MARIA DELL’ANGELO
di Maricla Boggio
a Natuzza tramite Regina
a Regina tramite Natuzza
LA SCENA
Una stanza di casa contadina. Una sedia, Uno sgabello. Un tavolo con sopra una tuta di lana azzurra, da neonato; un mazzetto di rose; una scatola di cartone con alcune medagliette; una fila di immaginette. Una brocca e un catino, da un lato.
Una porta, al centro del muro di fondo.
Maria entra precipitosamente e chiude la porta dietro di sé.
Colpi furiosi vengono battuti dall’esterno sulla porta. Maria vi si appoggia a impedirne l’apertura.
MARIA – No! A voi non vi ricevo!
I colpi continuano.
Se continuate a picchiare, non vi parlerò neanche da qui!
I colpi cessano.
Voi giornalisti... registi...operatori...di quello che succede vi interessa soltanto la notizia! Milioni di spettatori davanti al televisore, ecco che cosa volete! Titoli sui giornali grandi come tutta la pagina. E la mia fotografia, magari con le stigmate bene in vista per attirare l’attenzione!
Apre le mani, palme avanti: sui polsi sono evidenti delle profonde cicatrici con sangue raggrumato.
Che ve ne importa a voi se sconvolgete la vita a una persona?!
Io non voglio che tutta l’Italia mi conosca! Già troppi vengono, le forze non mi reggono.Uno lo dice all’altro per fiducia...e quando sono arrivati fino a qua che dovrei fare? Mandarli via? Li ricevo, e preghiamo insieme il Signore. Ma voi non venite qui per questo!
I colpi riprendono con furia. Maria li sovrasta con la voce.
Andate a caccia del successo. I soldi, vi fanno gola. Così mutate la carità in richiamo, il soccorso diventa strumento di potere. Mi definite la maga che fa i miracoli. Il Signore mi ha chiamato per gloria sua. Io gli sono serva e lui continuo a servire aiutando chi ha bisogno. Ma tu non sei venuto per questo!
I colpi crescono. Maria in preda ad una forte agitazione si abbandona s
ulla sedia. Si copre gli occhi incrociando le braccia sul volto e ponendosi le mani sulle orecchie.
Ah! Non ne posso più!
Respira con affanno. I colpi cessano. Maria si toglie le mani dal volto. A poco a poco si calma. Sospira.
Mio Dio, non mi lasciare.
Prende dal tavolo delle immaginette, le guarda una per una.
Se le sono già quasi finite... Il tuo volto vogliono poprtarselo via tutti...Immaginette a centinaia, in pochi giorni. Nuove, appena stampate... Quelle di prima erano tristi, avevi certi occhi che trapassavano! Qui si vede che soffri: certo, stai sulla croce, ma sei sereno...
Ripone le immaginette sul tavolo. Dalla scatola tira fuori delle medagliette. Le fa ricadere ad una ad una.
E le medagliette...a manciate se le pigliano! Per i parenti, .a casa... I malati, che tu li protegga...Ai bambini gliela cuciono nella maglietta, credono che abbia più effetto se io la tengo in mano...Si aiutano con piccole cose, basta una consolazione da niente quando non ce la fanno più per continuare a sopportare... Allora io stringo la tua medaglietta fra le dita e prego, li raccomando a te. Ma sono tanti! Proprio tanti, delle volte. E mi manca il tempo per ascoltarli e poter dire una frase che gli dia solievo. Riduco le ore che andrebbero destinate alla famiglia, i miei per ora stanno bene, Signore vi ringrazio. Ma ogni tanto per il pranzo vorrei fare qualcosa che non siano i soliti spaghetti... il formaggio e l’insalata o il salame... Per Matteo mio è una festa quando preparo le polpette con l’aglio. Ai figli, specie a Pino, gli piace tanto la parmigliana! : uno strato di melanzane fritte dorate... poi mozzarella e pomodoro, basilico e il olio d’oliva...Ma per la parmigliana ci vuole troppo tempo. Preferisco avere la coscienza in pace e fare i soliti spaghetti con il sugo. Mi siedo in questa stanza che il sole non è alzato, e sono qui ancora che è già buio.Mi corico e tanti già ne arrivano, quelli da più lontano. Restano in macchina, ad aspettare che faccia chiaro. All’alba il cortile è pieno. Pazienti, in attesa che io apra la porta. Quando hanno provato proprio tutto, vengono qui. Tu, Signore, mi hai chiesto di soccorrerli. Io so che sei vicino a me anche se non ti vedo. Il tuo Angelo mi guida. All’inizio non credevano che era lui a suggerirmi. Ma non potevo darle io certe risposte, poi hanno dovuto capire. Io che non so leggere, che a stento faccio la mia firma. Parole a volte che neppure conosco... E i nomi delle malattie; le cure, quelle che scrivono i professori...
Alza il capo fissando un punto verso l’alto.
Anche oggi mi hai suggerito, Angelo di Dio.
Un frullo intenso di ali piumate.
Stavi lassù, pieno di luce... Zitto, aspettavi che parlassero. Loro sotto. Nessuno ti vede, soltanto io. Ti voglio bene come se tu fossi uno dei miei figli: bello, placido come un bambino ben nutrito. Quando sillabi le parole più difficili perché io le ripeta senza errori, le tue piccole guance si tendono come palloncini e si fanno colorite per lo sforzo. Poi sbatti le laucce, tutte le tue piume lucenti...: per quelle ti ho riconosciuto come un angelo del Signore, avevo visto in chiesa delle creature come te. Tu mi aiuti, con questa gente che ha bisogno. Delle volte io non capisco cosa chiedono. Di malattie::. se sono in pericolo di vita... Dei loro morti::: Tu mi dici: “Maria, digli così... e poi così”, e io ripeto. Se ne vanno più sereni, con la speranza. Ma davanti a certi, rimani muto. Io ti chiedo con l’anima:tu niente. Qualche cosa devo dire a chi mi sta davfanti e aspetta! Sennò se ne vanno... E allora io gli dico che bisogna pregare.
Si prende il volto fra le mani.
Loro mi guardano imbambolati e ripetono: “pregare? Perché?”. Io gli posso spiegare?... Sono così fredde quelle parole; mi si stringe il cuore. “Pregate”, torno a dire. “Pregate il Signore. Lui sa. Vede. Affidatevi a Lui”. Ma adesso ho bisogno di riflettere. Uomini e donne, come segni di Dio, ognuno a portare la sua pena. Quello che hanno chiesto, e cosa ho detto io per tuo tramite, a consolarli... Ripensare alla gente assieme a te, Angelo mio.
La mano le corre alla fronte.
Oggi è venuta quella madre. Appena l’ho vista, sedersi qua...
Tocca lo sgabellino davanti a lei.
...ho avuto un brivido. Tu tenevi gli occhi bassi. Non ti è uscita una parola. Lei ha aperto una borsa...
Prende la piccola tuta azzurra che sta sopra il tavolo.
...e mi ha gettato questa tutina. Non riusciva a strapparsi dalla bocca quello che si teneva chiuso dentro il cuore.
Stringe la tutina fra le mani.
L’aveva preparata lei con tanta cura!... Le donne quando aspettano un bambino ne fanno, di abitini golfetti e calze e scarpettine!...E anch’io, quand’ero incinta dei miei figli, quanti me ne sono usciti dalle mani! Ma questa tuta!... Le braccia piccole piccole, di lana...e le gambette morbide...Non potevano scaldare il suo bambino, i medici le avevano detto che sarebbe nato senza braccia e senza gambe.
Alza in alto la tuta.
Signore, perchè lo fate nascere così? meglio tenervelo con voi a cantare coi serafini e i cherubini, piuttosto che mandarlo qui a soffrire. Aveva già due figli, quella madre; sani, forti, vivaci. Lavorava in ospedale, forse l’aveva colpita un’infezione, c’era stato un contagio: non sapeva. Quando i medici glielo avevano detto, si era ribellata. Gridava che quel bambino non lo voleva, e che avrebbe abortito. Ma poi, l’aveva presa un amore terribile per quel figlio non ancora nato; voleva dare a lui più cure che ai fratelli, perché più di loro ne aveva bisogno, questo andava ripetendo e piangeva... Il dolore le si era liberato nelle lacrime.
Rimette la tutina sul tavolo.
Intanto si era ripreso il suo abitino, e lo biaciava e lo accarezzava...Tu stavi muto, Angelo di Dio. E io, potevo dire a quella madre che era giusto che il bambino nascesse, se era lei ad accettare sofferenze che avrebbe poi dovuto sopportare il figlio? “Pregate. Pregate il Signore...”. E tu, la testa sul petto, le ali abbassate e gli occhi stretti per non incontrare il mio sguardo. Poi la madre si è alzata. Mi ha gettato la tutina come a dire: “Ti affido la mia creatura disgraziata”.
Congiunge le mani.
Signore, Tu vuoi questo!? Ma chi sono io? L’ultima. La serva di chi serve. un verme della terra...
Si alza. Versa dalla brocca dell’acqua nel catino e se ne bagna il volto.
Il Signore capisce con la mente, non con il cuore di una madre. E’ la madonna che forse può aiutarmi...
Alza il volto e sussurra la preghiera, come se parlasse a una persona molto vicina a lei.
Madre Madonna, aiuta quella madre! Quando tu hai saputo di esser madre, è stata una notizia bella. Hai avuto fiducia nell’Angelo di Dio. Soltanto per un attimo hai provato sconforto, temendo la maldicenza della gente. Ma poi Giuseppe e tutti quanti parenti e amici ti hanno creduta e hai avuto rispetto, Madre di Dio! La tua attesa è stata dolce, sicura la speranza della nascita di un figlio perfetto. E anch’io, quand’ero incinta, aspettavo con gioia. Ma se sapevo che mi nasceva un figlio disgraziato, non so cosa facevo. Non farlo venire al mondo!: era questa forse la mia preghiera a Dio. O lo spegnevo quand’era ancora in me... Oppure nasceva perché mi era mancato il coraggio di impedirgli di venire alla luce. Qualunque decisione avessi preso, nessuno poteva giudicarmi, Dio soltanto... Ma doveva poi rendermi ragione del tormento in cui mi aveva messo, costretta a scegliere tra peccato e sofferenza imposta a un innocente.
Madre di Cristo, Questa donna è chiamata a sopportare un peso grave. Suo figlio non finirà forse sulla croce solo perché non avrà braccia, e non avrà gambe da inchiodare.
Aiutala, Madonna, se lei accetterà che il su obambino si presenti sulla terra.
Va a bere alla brocca. Torna a sedere.
Adesso mi sento più serena. Ti ringrazio, Signore. Mi dai l’aria, l’acqua... il riposo. Qualche volta mi regali dei momenti perfino allegri. Ti ricordi l’Avvocato, Angelo mio? Quello che si era portato il testamento...
Da sotto la porta esce una busta infilatavi dall’altra parte. Attratta da quel fruscio, Maria la vede.
Vuoi vedere che è il giornalista?...
Si china a prendere la busta. La apre, ne estrae un foglio da cui sporgono alcune banconote.
Un foglio... Che ci sarà scritto? I soldi li riconosco...
Alza il foglio verso l’alto tenendolo aperto.
Un frullo d’ali.
Ah!: “Offerta per la Madonna”! Il giornalista cerca di intenerirmi. La Madonna non vuole soldi, ma che sia puro il suo cuore.
Rimette il foglio e i soldi nella busta e la fa ripassare sotto la porta.
Accostata alla porta per essere udita dall’esterno, grida.
Finchè ti servirai di questi mezzi, non parlerò con te!
Torna a sedere e riprende il discorso iniziato con l’Angelo.
Quell’Avvocato, Angelo mio, te lo ricordi? Era venuto qui portandosi il testamento...
Un frullo d’ali molto deciso.
Sì, proprio quello che eer aconvinto di avere il cancro. Il medico glielo aveva “diagnosticato”, a forza di fumare sigarette per anni e anni!, gli aveva detto. Ma tu scuotevi la testa, i ricci ti brillavano come candele di Natale.
Guarda ridendo in alto, ondeggiando il capo da una parte e dall’altra, poi torna a guardare su con aria birichina.
Facevi così... e poi così, angelo mio. E ridevi, con la tua voce sottile, d’argento. Ridevi perché eri contento e ripetevi: “E’ sano è sano è sano!”, come la filastrocca della novena. C’era pericolo, certo: l’infiammazione della gola poteva diventare cancro; che fumasse tanto era vero e doveva smettere, il medico però la aveva visto peggio di come realmente stava di salute, e nel terrore che invade tutti quanti al pensiero di quella malattia, gliela aveva, appunto, “diagnosticata”. L’Avvocato, poveretto, per forza ci credeva! Disperato mi mostrava il testamento: non aveva ancora sistemato gli affari per la sua famiglia... temeva per i figli; la moglie era una donna di casa e non capiva niente di titoli e di investimenti... Piangeva e fumava; con rabbia si accendva una sigaretta dopo l’altra, e quel fumo da cui credeva di venire ucciso diventava il suo unico conforto... Tu allora mi hai strizzato l’occhio. Agitavi le ali davanti alla sua sigaretta, io temevo che ti bruciassi le piume...... dimenticavo che sei puro spirito; e soffiavi con le tue piccole guance tonde!, attiravi il fumo: lui aveva un bell’”aspirare”, in gola non gli andava più! Si è spaventato, ma io dovevo trattenermi per non ridere, e poi ero contenta: quello sbigottimentimento per una cosa che succedeva contro le leggi della natura stava lasciando il posto, nell’Avvocato, a una sorta di stupore riconoscente. “Non avete niente – gli ho detto -, dovete soltanto smettere di fumare: il Signore vuole farvelo capire”. Allora lui si è inginocchiato; gridava che Dio gli aveva fatto la grazia, ha sollevato in alto il braccio come se fosse stato in tribunale, davanti ai giudici, con il suo mantello nero a frange d’oro, e ha gettato via la sigaretta.
“Non fumerò mai più”, ripeteva con gli occhi rivolti al cielo, “il Signore mi ha parlato”. Dovevo dirgli che eri stato tu? Importava che quell’uomo fosse salvo e che a Te, mio Dio, manifestasse la sua riconoscenza.
Sospira.
Se una storia finisce bene, sono così contenta! La figlia dell’infermiera è tornata a ringraziarmi dopo guarita. Quando veniva a farmi le iniezioni, sua madre mi raccontava di lei. La gente crede che il Signore, a me, mi preservi dalle malattie. Pensano che abbia questo privilegio rispetto agli altri. E invece io, i reumatismi li ho da anni, Firmina con le sue iniezioni è tutto quanto può darmi sollievo. Mentre riempiva la siringa, Firmina mi parlava di sua figlia, della disgrazia che l’aveva colpita: era angosciata al pensiero di dover morire, ma non tanto per sé, quanto per i bambini che restavano senza mamma. E mentre mi massaggia con l’alcool dopo fatta la puntura, mi pregava come se fossi io a decidere di fare qualche cosa per sua figlia. Questa ragazza io non la conoscevo. Un giorno qui c’è stato un attimo di calma. La gente era andata tutta al bar a festeggiare una donna che aveva gettato le stampelle, ma io ero rimasta in casa, per riposarmi. E mi è venuta in mente la figlia di Firmina. Dovevano operarla, era l’ultima notizia che la madre mi aveva raccontato, si era scoperto un tumore dentro un rene e l’intervento era assolutamente necessario. Da un momento all’altro mi sono trovata nella sua stanza in ospedale: una camera a due letti, uno era occupato da lei. Se ne stava pensierosa nella sua vestaglia bianca, con dei fiori color pervinca ricamati sul collo... Sparse intorno, le sue cartelle cliniche. Il airot era medico; a forza di ascoltarlo, capiva anche lei le malattie, non avevano potuto dirle una bugia. Mi sono seduta sul letto accanto al suo. Dopo un po’, lei ha alzato gli occhi e mi ha visto. E’ rimasta sorpresa, non mi aveva sentito entrare e la porta era chiusa. Allora le sono andata vicino e le ho detto: “State tranquilla”. Lei si è tirata su e mi ha fatto un mezzo sorriso. Però tremava; io intanto chiedevo al Signore che la facesse portare a me, quella sua pena. “State tranquilla – le ho ripetuto -, avete due bambini che hanno bisogno di voi, la Madonna intercede per la vostra salute”. Le ho sfiorato le spalle con una carezza; lei mi ha preso la mano, e me la stringeva forte forte tra le sue. Poi ho sentito le voci di quelli che a casa mi aspettavano; erano tornati dal bar, nessuno si accorto che ero andata via, credevo che fossi rimasta nella mia stanza a riposare, e si erano messi seduti, quieti quieti, aspettando il loro turno. Mi avevi aiutato tu, Angelo mio.
Un frullo d’ali molto lungo, come un volo da un punto all’altro della stanza.
Ero stata qui ed ero stata là, nello stesso momento...Alla figlia di Firmina non mi era venuto di dirle “pregate”, come faccio di solito nei casi disperati come il suo. La mia bocca aveva nominato la Madonna senza che lo volessi. E vederla poi guarita, tutta sorridente, piena di fiducia, mi ha dato una gioia! una gioia come se fossi stata io ad aver ricevuto quella grazia. Prima dell’operazione i medici avevano voluto ancora fare una radiografia: la massa scura del tumore era sparita!Niente più operazione, si erano sbagliati, hanno poi detto, non potevano ammettere... un miracolo!
lei si è ricordata della visita in ospedale, ha raccontato ogni cosa alla madre, e Firmina ha pensato che fossi stata io. Così la figlia è venuta a ringraziare. Ma di mia volontà io non ho fatto proprio niente. Non sono io che decido chi può guarire e a chi resta soltanto di pregare! Se fossi io quella che sceglie, guarirei chi è più buono, chi ha avuto sofferenze nella vita e nonostante tutto ha continuato ad amare il Signore...
Un frullo d’ali molto forte, come risentito.
Non mi sgridare Angelo di Dio! Io parlo a te come a me stessa. E’ il Signore che sa, è Lui che decide questo sì quello no. Ma in certi casi a noi pare ingiustizia...
Si porta una mano sulla bocca, a voler impedire ad altre parole ardite di uscirne fuori.
Oh Signore perdonami! Come posso definire ingiusta una cosa che fai Tu? ma a te, almeno a te lo devo dire, Angelo mio, cosa mi sento dentro: tu che mi aiuti a consolare questa gente e a guarirla come tramite di Dio.
Medita, con un sorriso estatico.
E poi, guarire...Non chiede soltanto questo, la gente, al Signore. La sofferenza fisica fa gridare... Il dolore è cattivo. Ma in molti casi non è il corpo a star male. Mangia, dorme, respira il corpo, anche se la mente si macera d’angoscia: come un amico un po’ ottuso ,egoista, che si dà da fare a mantenersi in forze anche se il cuore è in pena, perchè vuol continuare a vivere. Per quel tormento del cuore, anche il corpo delle volte si ammala. Quando la mia Bettina respirava male per la bronchite e il suo corpicino si schiantava sotto i colpi della tosse, in casa andavo avanti a lavorare ma era l’ansia per lei che mi teneva. Tutto facevo io, ma come in sogno. Avrei patito meno se quella tosse maligna l’avessi avuta io sopra di me.
Un frullo d’ali variato e lungo.
Tu pensi a quel ragazzo. Quello venuto di notte, come un ladro. Delle volte ci penso anch’io. Sembrava un vecchio; il viso pallido, teso, e quella ruga dritta in mezzo agli occhi... Era buio quando è entrato: è uscito l’ultimo ed è saltato fuori lui dall’ombra. Occhi chiari; appena l’ho guardato li ha abbassati. Tremava. Come per febbre. O paura di qualcosa. E le mani inquiete; sottili, di marmo: di sicuro non ci lavorava. La sua macchina davanti alla finestra, tutta arrugginita. Non doveva aver soldi. Rimaneva in piedi. Sul punto di andarsene, appena arrivato.
Un frullo d’ali intenso.
Sì, tu mi sussurravi i suoi pensieri... “Questa donna. Un’ignorante. Che cosa mi è saltato in mente di venire... Nemmeno la Chiesa può liberarmi!...”. Io pregavo il Signore che gli desse il coraggio. L’Angelo suo, il Custode che sempre ci accompagna, gli stava triste triste sulla spalla sinistra: non la destra dove noi ce l’abbiamo, e per questo ho capito chi era. E gli dico: “Sedetevi Padre”, perché l’Angelo ai preti sta sulla sinistra, così vuole il Signore. Appena sente “padre” lui fa un sobbalzo. Di colpo è diventato tutto rosso, e mi fissava stupito che conoscessi il suo segreto. Aveva addosso un maglione, una giacca, dei pantaloni di velluto... niente lo denunciava, che er aprete. Allora si è deciso a parlare. Viveva accanto alla gente di un quartiere della periferia di una grande città, gente arrivata lì per caso, niente in comune tra di loro. Famiglie a pezzi. Un andare e venire tra prigione e ospedale. E il lavoro, quello che capitava... Voleva cercare di aiutarli. Aveva organizzato un doposcuola assieme agli obbiettori di coscienza; ma ai ragazzi serviva anche un po’ di sport: così, tra i caseggiati in costruzione, si erano ritagliati un campetto di calcio... Poi erano andati gli anziani, da lui. Litigavano sempre su cosa fare della loro gironata: li aveva messi d’accordo ad aprire un circolo, e s’erano inventate gite, e lotterie... perfino un ballo con dei premi... Alternative al nulla. Ma insomma, un po’ più di allegria sembrava fosse arrivata nel quartiere... Mentre parlava, si tirava il ciuffo che gli cadeva sopra gli occhi. Era tornato ragazzo nel volto, e raccontava con entusiasmo, riviveva... Si davano il turno a lavorare insieme a lui. Ragazzi e ragazze, gli obbiettori, disoccupati, donne... Una, modesta nell’aspetto, eppure l’aveva colpito. E...forse per la caparbietà che metteva nelle cose che faceva, nei silenzi meditati che sfociavano a un tratto in una frase... sempre sensata, nel sorriso che le veniva, a superare un momento difficile... non sapeva, ma si era innamorato di lei.
Un frullo d’ali vivace e lieve.
Sì, sì, lo disse in fretta “innamorato”, quasi mangiando la parola, era arrossito di nuovo, e taceva; ma poi ha ripreso a raccontare. Dall’intesa nel lavoro che li univa con fiducia reciproca era venuto improvviso, senza che se l’aspettassero, il desiderio di donarsi, anche nel corpo. “Verbum caro factum est”, era stato così anche per Cristo; ma un prete non doveva. Aveva fatto una promessa, e una rinuncia, quando non poteva ancora immaginare cosa fosse avere accanto una donna e dividere con lei la vita intera... Non più chiuso in se stesso, andava aprendomi il suo cuore. La confusione si schiariva in parola. L’affanno si placava in respiro. Il suo Angelo ti faceva dei cenni, come a dire: “Vedi... Senti?... Ecco perché io sono triste”. E tu assentivi serio, meditando. Intanto io mi mettevo al posto di quell’uomo. Certo, aveva mancato a una promessa. L’amore ispirao dal Cristo, proprio per il suo impegno fra la gente lo aveva portato a quella donna: e l’amore per lei era una colpa. La voce gli si era fatta fioca: prima era sicuro dell’appoggio di Dio, della sua protezione, ora si tormentava temendo il suo giudizio. Per la prima volta dopo anni, forse dai tempi in cui era bambino e aveva su di sé l’affetto di sua madre, si era sentito amato; ma adesso era più solo e disperato che mai. Cosa voleva Dio da lui? Com’era bella la vita assieme a quella donna!, anche i disagi diventavano prove di affetto perchè si univano le forze per superarli assieme; trovava esaltante tutto questo, ma rimaneva un’ombra, ed era l’ambiguità della contraddizione in cui viveva. Si era fatto tollerante con la gente; con più comprensione prendeva parte alle difficoltà che vedeva in ciascuno, con più dolcezza ne scusava le mancanze, perchè era diventato come loro. Poi però, un pensiero fisso: per la Chiesa era in colpa. Aveva fato una promessa, non l’aveva mantenuta. Continuare a lavorare nel quartiere? Ma la forza che prima si sentiva dentro andava a poco a poco affievolendosi. Stanco, logorato dalle piccole angherie di ogni giorno. Si rassegnava alle ingiustizie. Come gli altri. E gli rimordeva, poi, di dare un dolore a quella donna che lo amava ma alla quale non poteva dire “Ti sposo”, e di questo lei si rattristava senza capire il suo dramma fino in fondo. Così era venuto qui. Per tutto il tempo del racconto era rimasto in piedi. Tu, Angelo mio, avevi fatto amicizia con il suo Custode; eri accovacciato sull’altra spalla di quel prete e parlavate fra di voi con quel voswtro linguaggio fatto di frulli d’ali e di mossette...
un frullo d’ali di assenso.
Per provare tutta intera la vita difficile della gente qualunque, da prete si era fatto uomo. Anche Cristo, ma senza macchia di peccato; lui sì, ed era il suo tormento. Ma poichè provava pena aveva già il perdono: questo dicevi all’Angelo del prete venuto di lontano e sorridevi perché ti credesse. Non poteva il Signore essere in collera con lui se il suo Angelo intanto sorrideva. Così gli ho chiesto: Se andava via dal quartire, la gente che cosa vrebbe pensato? Sarebbero rimasti delusi – ha risposto -; era come abbandonarli, mettere avanti a un impegno il proprio comodo. C’era ancora molto da fare, progetti da portare avanti che avrebbe continuato poi la gente, ma era lui che doveva lavorarci. Allora era necessario che rimanesse, io insistevo. Quelli del quartiere avevano bisogno di lui e lui aveva bisogno di loro: se non riusciva a essere senza peccato, come Cristo, quella era già la sua pena, e doveva accettarla.
Un vivace frullo d’ali.
Eh! Me lo ricordo, Angelo mio: si era seduto e piangeva. Tu dalla sua spalla non lo perdevi di vista... Si lasciava andare a una consolazione misteriosa, fatta di lacrime, e non cercava di frenarsi. “Il Signore tiene conto della tua solitudine e ti ama - io gli dicevo -, e vuole che tu ami gli altri come fa Lui con te. La legge è intransigente, ma Dio può agire al di là della legge”. Il prete rifletteva, le labbra strette, e scuoteva la testa: non trovava soluzione al suo problema. Però gli era tornata la voglia, il gusto di lottare. “Il tuo posto è con quella gente”, gli ho poi detto alla fine. Lui si è avviato per uscire. Sulla porta si è fermato, vedevo una luce fargli chiaro nella mente. “Non devo lasciarli, sembrerebbe una fuga”, ha sussurrato, era l’inizio di un colloquio con se stesso. Il suo Custode non voleva più lasciarti, tu l’hai accompagnato fuori. Avevi trovato un amico, e già dovevi dirgli addio.
Un frullo d’ali come un sì.
Ma trovarsi e capirsi per un attimo è già una cosa preziosa. Sì, delle volte il Signore ci regala una gioia, e poi ci richiama sul cammino.
Riprende il filo del pensiero, silenziosa.
Invece non vorrei trovarmi più davanti quel signore distinto che veniva dall’Università...
Un frullo d’ali di consenso.
Ben vestito, educato, si capiva che aveva studiato tanti libri... un professore... ragionava... ragionava... Aveva chiuso la porta del suo cuore e al suo posto ci teneva i numeri... Forse, mio Dio, è stata l’unica persona che non ha voluto sentire il tuo richiamo.
Un frullo d’ali modulato, con differenti tonalità.
Dopo averle ascoltate dall’Angelo, Maria ripete le sue parole – che soltanto lei intende – scandendole e ripensandole prima di pronunciarle.
“Stava dentro lo spirito di Dio, per lui ancora silenzioso... Quando sarà il momento... parlerà la sua voce...”. Certo non può esistere un’anima che non risponda al richiamo del Signore. Anche la più sorda. Se Dio l’ha creata, è per la sua parola. Ma ricordi quel signore, com’era fiero della “sua” ragione? Era venuto per “constatare di persona”. Indispettito che anche gente del suo “livello culturale” gli parlasse con convinzione di quello che succedeva qui. Di guarigioni, di diagnosi da ospedale dette da un’ignorante come me... E delle sante piaghe...
Si guarda i polsi.
... che tu mi hai impresso, Signore. E dei morti, che io dico dove vedo e come stanno. Rideva mentre enumerava queste cose. parlava con un tono rispettoso, ma sotto la voce si avvertiva tremore, di derisione e rabbia. E mi guardava!... Come si esamina un insetto curioso. Tu mi avevi raccomandato di tacere, angelo mio.
Un frulletto contrariato.
E per un po’ io sono stata zitta. Ma potevo negargli una risposta, quando mi ha chiesto se parlavo per me o per qualcun altro? Per il Signore!, non potevo non dirglielo! “Ah ! ‘Per il Signore!’ Ed è lui in persona che vi parla?”, fa lui, con quell’ira mascherata di riso nella voce. E io: “E’ l’Angelo, il suo angioletto che mi suggerisce...”. Lui fa sì con la testa come se approvasse la risposta. “Ah, sì, l’angioletto!... E ha le piume... e le ali... Certamente”, mifa, e poi ride. “Certo ha le piume – gli rispondo io -, ed è bello, con la vestina candida e le guance rosse, come un bambino ben nutrito”. “Ah! Ben nutrito! - fa lui -. E cosa mangia?”. Che gli importava di saperlo? “Non gliel’ho chiesto mai – gli dico io -. Lui sta accanto al Signore e viene qui ogni giorno; mi aiuta. Io non so altro”. Allora il professore si fa serio e con lo sguardo duro, d’improvviso, come forse fa coi suoi studenti, mi interroga: “E i morti, li vedete?”. “Sì li vedo – rispondo -. Vedo dove il Signore li ha mandati. Se stanno bene e sono in pace. Tanti hanno bisogno che preghiamo e devono passare in penitenza un certo tempo, lungo o breve dipende dai peccati, per ritrovarsi poi assieme a Dio”. Rideva, come a dire “Aspetta aspetta, ho preparato qualche cosa per te...”. Tira fuori da una tasca una foto e me la mette sotto gli occhi. “Ditemi dove si trova adesso, se la vedete”, mi dice con un tono, come a sfida. Era una donna anziana, somigliava a lui nei lenamenti, ma lo sguardo era come rassegnato, aveva forse pena per un figlio così, perché – si capiva – era sua madre. Prendo la foto in mano per osservarla meglio. E penso e penso se l’avevo incontrata, quella signora, in mezzo ai morti nei prati immensi dove aspettano di essere accolti dal Signore. Volti di vecchi ritornati giovani. Sguardi riaccesi dalla luce divina. Certi già nella gloria di Dio... Chi al Prato Verde in attesa, ma già sicuri del perdono...Tanti ansiosi di preghiere per liberarsi dalle scorie del mondo... E poi, quelli che Dio non lo vedranno mai, dannati che imprecano e bestemmiano... Fanno paura al solo guardarli... Forse al momento del giudizio, il Signore li accoglierà di nuovo in sè. Ma quella povera creatura triste che mi guardava dalla fotografia, io non la ricordavo in nessun luogo. E glielo dico, al professore; aspettava sogghignando che cadesso in errore e ripeteva: “Allora? Dove si trova, la signora? Voi certamente la vedete... Dio ve lo fa sapere...”. “E’ vostra madre”, io gli ho detto piano. E non volevo aggiungere nient’altro. Eppure tu me lo imponevi...
Un frullo d’ali fortissimo, uno strepito risentito e violento.
Sì, ti sentivi offeso: perchè lui provocava, come un ladro che ruba a un amico che deesidera soltanto aiutarlo... E volevi lo dicessi, che era viva la signora della foto, e per questo io non la vedevo: non potevo, vederla! E lui, che se la conservasse per il tempo che le restava sulla terra, anziché usarla per i suoi esperimenti razionali! ma umiltà e carità impongono prudenza. Per illuso che fosse di spiegare tutto con la mente, quell’uomo non potevo trattarlo come un ragazzo da umiliare perchè aveva detto una bugia. Così ho detto ancora solamente che quella signora nell’aldilà io non l’avevo incontrata, o forse non la ricordavo: tanti me ne passavano ogni giorno davanti agli occhi... Facesse i conti con la sua coscienza: lui aveva tentato di imbrogliarmi, mentre io non avevo altro scopo che aiutarlo... Se ne è andato poi con la sua foto, perplesso, deluso di non trovarmi in mala fede... e sentendosi nascere nel cuore un turbamento, non sapeva perché.
Da sotto la porta sbucano una rivista illustrata e una busta larga. Avvertendo il fruscio della carta, maria si china a raccogliere busta e rivista.
Carta lucida... colori accesi... Fotografie che la gente sembra viva. Certo anch’io figurerei bella così... e importante: “La donna dei miracoli!”...
Depone sul tavolo la rivista.
E’ una grossa tentazione. La mia immagine moltiplicata, presente dappertutto. E le cose che dico, fissate per sempre, ben scritte che tutti possano conoscerle e ripeterle. Eh! Superare le possibilità umane... Diventare un’infinità di presenze, senza limiti di tempo e di spazio... Che tentazione!
Guarda la busta lunga rimastale fra le mani. Fra curiosità e rabbia, la apre veloce. Ne estrae un assegno.
Un assegno! Di quant’è, Angelo mio?
Sporge l’assegno verso l’alto, apsettando la risposta.
Leggi un po’!... Ah! Una bella cifra!
Dalla busta sporge un biglietto. Lo protende verso l’alto.
C’è anche un biglietto...
Ascolta l’Angelo che legge; ne ripete le parole.
“Purché mi conceda un’intervista”... No! Gliel’ho già detto, niente intervista. Non voglio soldi, non voglio fotografie!
Sta andando verso la porta per rimetterci sotto la rivista e la busta con assegno e biglietto, ma si ferma al frullo d’ali dell’Angelo.
Eh!? Cosa dici?... Sì, sì, Angelo mio: sarebbe giusto che tutti potessero sentire una parola che li avvicinasse di più a Dio. Ma sei sicuro tu, che i giornali servano a questo scopo? Che la televisione e il cinema aiutino a conoscere la parola del Signore? Vuole farne uso a suo vantaggio, il giornalista! Suscitare curiosità per la “donna dei miracoli”! Non è cattivo, soltanto non capisce.
Con gesto deciso fa passare il tutto sotto la porta. Siede, sollevata nell’espressione del volto.
E bisogna arrivare a capire... Ma le strade di Dio sono misteriose... imprevedibili. L’altro giorno è venuto quel signore... Quello che quando parla lui, tremano tutti... Una famiglia potente la sua, una famiglia “di rispetto”... Io gli vedevo l’anima; ci scoprivo cose che lui neppure più ci pensava, di averle fatte: una tovaglia bianca, con tanti sgorbi da sembrar nera come il carbone.Lo sporcavano i peccati più tremendi:come carne morta, dava tormento al solo guardarla. Parlava con un filo di voce, quell’uomo abituato al comando. Si era creduto al di sopra di tutti, onnipotente. Poi il Signore gli aveva ricordato che era un uomo come tutti gli altri: a soffrire era suo figlio, un bambino, lui non aveva pensato che avrebbe potuto succedere “quella cosa”, abituato com’era a risolvere tutto col denaro. “Un uomo politico, uno molto importante” tu mi sussurravi, e quasi sembravi intimidito. Ma poi hai riso, con quella tua risata angelica, crudele. E mi è sembrato l’ultimo dei poveri. Stava piangendo, e supplicava... Di fornte a quell’uomo disperato provavo schifo ma anche pietà. Cominciai a pregare e i suoi peccati si staccavano da lui come la sporcizia da un vestito.
: venivano ad affollarsi nel mio corpo e io me ne sentivo soffocare. Sudavo sangue. Dio aveva posto su di me la sofferenza, perché quell’uomo si salvasse; ma doveva pentirsi, rifiutare i principi su cui si era fondata la sua vita. Aveva cominciato a guardarsi un po’ dentro, gli importava soltanto che suo figlio si salvasse e supplicava che glielo salvassi: dovevo fargli il “miracolo”. Quella creatura innocente, volevo che vivesse. Ma non decido io. E’ il Signore. La malattia del figlio peera una prova per quell’uomo ad accetare la volontà di Dio? Forse con qauella prova, Dio intendeva riportarlo a sé? Oppure aveva deciso di punirlo? Quel ragazzo lo avrebbe sacrificato? O lo guariva per mostrare al padre che Dio se vuole può accordare il perdono?...
Tace assorta. Un frullo d’ali la sollecita a riprendere a parlare.
Non mi ero mai posta tante domande. Finora ho servito il Signore senza chiedergli spiegazioni. Adesso dentro di me sento questa necessità.
Guarda in alto, in direzione dell’Angelo,
Non dici niente? Come un bambino che fa i dispetti. Non hai avuto il tempo di giocare e, appena, puoi, ti sfoghi con me.
Un frullo d’ali vivacissimo. Maria gira il capo a seguire il volo, dall’alto fino a lei,
Vieni... Vieni sulla mia spalla... Vieni, Angioletto, bimbo mio...
Maria fa una carezza nell’aria, come a toccare un corpicino sopra la sua spalla.
Ti è mancato l’affetto della mamma e ne vorresti almeno un poco qui... E quando vedi una madre con un figlio dimentichi perfino di suggerirmi le parole del Signore.
Un frullo d’ali leggero.
Non devi vergognarti. Ti commuovi, io ti capisco. Quando è venuta quella signora a lutto, dalla città, te ne sei stato zitto. Era entrata insieme a una ragazza che la seguiva senza far rumore. La signora si è seduta su quell’unica sedia, la giovane è rimasta in piedi. Allora io ho preso uno sgabello e gliel’ho portato, che sedesse anche lei. Aveva il viso smunto: così alta e sottile!, di una magrezza che faceva impressione; uno sguardo da febbre ma dolcissimo, e teneva gli occhi fissi sulla madre: si somigliavano, le riuniva poi come un dolore, che non riuscivo a decifrare... La ragazza continuava a rimanere in piedi, e allora, con un gesto, l’ho invitata a sedersi. Ma lei non si muoveva, come aspettasse il permesso della madre. Così ho chiesto alla signora che facesse accomodare anche sua figlia.Quella ha spalancato gli occhi e ha dato un grido: smarrita, incapace di parlare. “Vi somiglia tanto – le dicevo per rincuorarla-, avete uguali gli occhi, e i capelli, lunghi, neri; voi li portate annodati perché siete signora, ma vostra figlia avrà forse sedicianni...”. lei si è messa a piangere e scuoteva la testa, sconsolata. “Sedici anni sì – dice poi tra le lacrime -, sedici anni quando ci ha lasciati”. E tante cose una sull’altra mi chiedeva: che vestito portava, il colore, il taglio, e la camicetta, e il collettino... Tutto, tutto voleva sapere. Le ho descritto l’abito, le maniche lunghe fino al polso... e un mazzetto di rose, che la ragazza teneva stretto fra le mani. Il mio sguardo ha cercato poi le scarpe, e mi sono accorta che la ragazza stava sospesa in aria, non toccava il pavimento, e questo era il segno da cui riconoscevo i morti dai vivi. Se non mi avverti tu, Angelo mio, lo sai, io non ci vedo differenza. La madre intanto – ti ricordi? -, diceva di sì, che l’avevano vestita in quel modo, sua figlia morta di sedicianni, nella bara... E la pensava ogni momento, sperando di poterle parlare, per sapere come stava... La ragazza intanto si era seduta e mi fissava, lo sguardo supplichevole. Poi con un filo di voce mi sussurra: “Ditele che sono in pace! Consolatela, che io prego per lei. Ma sua serena, altrimenti io soffro le sue pene”. Allora tu sei volato giù...
Un frullo d’ali, come se la situazione descritta si ripetesse. Maria segue con gli occhi la traiettoria dell’Angelo fino alla sedia.
... proprio così, sei sceso come adesso e le hai fatto una carezza. La madre in quel momento ha avuto un brivido, come se quella carezza la sentisse su di sé. “Abbi fiducia - allora le ho detto -, tua figlia sta bene, è felice, purchè tu non pianga e ti disperi”. Lei si è asciugata gli occhi, poi mi ha mostrato il medaglione che portava al collo. C’era dipinto un viso di bambina, che sorrideva. “Il signore mi dia la forza – ha mormorato -, devo pensare agli altri figli. Da quando è mancata Lucina, tutto l’amore per quelle creaturese nìè fuggito via assieme a lei”. “Non devi dire così – stavo cominciando a risponderle -, che il Signore vi perdoni”. Ma lei si è messa a gridare: “Lui mi deve perdonare?!”, e faceva un gesto di rabbia verso l’alto. Tu le hai soffiato sul viso per darle un po’ di sollievo; lei è tornata tranquilla, e mi faceva pena perchè non si sentiva amata... “Mi avete mostrato il mio dovere”, ha detto poi, più calma. Ha voluto baciarmi la mano e se n’è andata, senza aggiungere nient’altro. Anche sua figlia non c’era più. Ma dove prima stava seduta, era rimasto il mazzetto di rose.
Un frullo d’ali. Dal tavolo Maria prende il mazzetto e lo alza verso l’Angelo.
Tu eri tornato in alto. E ridevi contento. Ma qwuesto mkazzetto di rose?...
Un frullo d’ali vivace e breve.
Ah! Era stata la ragazza a lasciarmelo! Aveva ritrovato la pace, perché alla madre era rrivtato il suo messaggio...
Aspira il profumo delle rose. Le ripone sul tavolo. Si fa il segno della croce.
La morte di una figlia. Sembra il dolore più terribile. Non è così. Può essere la disperazione, per una madre. Per un’altra, la liberazione, pur amando anche lei la sua creatura.
Un frullo d’ali veloce come un “no”.
Tu non mi credi? Ma che ne sai, bambino mio, di come soffrono gli uomini? Tu conosci i misteri divini, ti illumini di saggezza eterna, ma il dolore umano tu non lo puoi provare.
Un frullo d’ali lieve come un sospiro.
Non rattristarti. E’ un dono grande non provare il dolore. La madre che vorrebbe morta sua figlia,ha pena per la sua creatura; la sa schiava di qualcosa che è più forte di lei, e dopo infiniti tentativi di aiutarla ad uscirne, quando ha perduto ogni speranza, accetta nel suo cuore di perderla, la sua bambina, purché non soffra più. E’ venuta l’altro giorno, una madre così. Tu le sei andato sulla spalla...
Un frullo d’ali.
... come hai fatto adesso con me.Sfioravi la sua fronte con le piume e le davi un po’ di respiro. Dalla bocca le u8sciva un mare di veleni, trattenuto per anni... di scoperte umilianti per la sua bimba tanto amata. La droga ne aveva rapito la bellezza, il suo volto pareva di una vecchia, neinte più la faceva sentir viva, solo la “roba”. La madre le aveva dato tutto quanto aveva. Lo stipendio se ne andava in pochi giorni. E venduti gli oggetti più cari. Poi prestiti... somme mai restituite... Qualche furto... Scippi... Le radio nelle macchine... Darsi per una dose... e lo spaccio... Carcere... Ospedale... e pestaggi... vioelnze e umiliazioni... Le tappe obbligate della droga. ED forse ormai anche il male irreparabile... Sparito l’amore. Della figlia per lei. Ma anche della madre per la figlia, che le aveva rovinato la vita.
Maria si ferma, in difficoltà a proseguire. Riprende poi con fatica.
Esaurito quel fiume di parole spente, gridava a Dio che l’aiutasse. Lasciava in agonia sua figlia: e allora che se la prendesse e non la facesse più soffrire! Spietata nei confronti di se stessa, andava descrivendo il corpo amato diventato un ammasso di piaghe. lontano il tempo del suo dolce sguardo, delle risa e dei canti, degli scherzi tra loro nella complicità dei piccoli segreti... E le corse che le sue snelle gambe di cerbiatta tracciavano nei prati, cancellate per sempre... Io pregavo il Signore che mi facesse dare una risposta ma la mia lingua rimaneva muta. Lei aspettava sfinita per lo sforzo, con una piccola speranza negli occhi. io non osavo dire: “pregate il Signore, Lui sa”; per me l’unica preghiera era chiedere che sua figlia morisse... le ho preso una mano fra le mie. Gliel’ho stretta perchè condividevo la sua pena. Dopp un poco se n’è andata via. Ma da allora io sono restata assieme a lei. Altri poi sono venuti, io li ascolto, tu mi dici le risposte... Ognuno ha avuto il suo conforto. Ma il mio cuore è rimasto con la madre.
Maria si concentra nella preghiera. Sulle ginocchia le cade una pioggia di dolci. All’urto riapre gli occhi e ride.
Ah! i mostaccioli degli sposi! me ne ero scordata...
Mastica un biscotto con gusto.
Che delizia! Cannella al punto giusto... Mandorle fini... E zucchero glassato.
Ne sporge uno verso l’alto.
Vuoi assaggiarne uno anche tu? I bambini ne vanno pazzi...
Come afferrato da una mano invisibile, il mostacciolo si innalza fino al soffitto e sparisce.
Un rumore crocchiante; come un veloce triturar di denti su di un biscotto duro.
Poi una nuvoletta di briciole scende su Maria che è rimasta in silenzio ad ascoltare quel rumore con un sorriso soddisfatto. Prende dal tavolo un foglio di carta e vi impacchetta i mostaccioli.
Questi dolci, li avevo dimenticati... E’ stato quando i ragazzi di Briatico hanno insistito che andassi al matrimonio. I genitori non volevano lasciarli sposare perché lui era stato carcerato, ma poi si erano convinti che era un ragazzo bravo e aveva messo una pietra su passato. Quel giorno stavo qui con la solita folla che aspettava... A un certo punto mi viene forte forte il desiderio di andare a fare gli auguri a quei ragazzi. E mi ritrovo subito in mezzo agli invitati: erano tutti al ristorante e stavano finendo di mangiare. Mi fanno una gran festa e vogliono che sieda in mezzo a loro e che mangi e che beva!... Ma io dico che sono andata un momento a salutare, devo tornare a casa in fretta perchè stanno aspettandomi. A quel punto la madre della sposa mi mette in braccio un bel po’ di mostaccioli: “Li ho fatti io! – mi grida già lontana, in faccende – Io, con le mani mie! Ve li dovete pigliare sennò mi offendo!”. E allora prendo i dolci e chiudo gli occhi e penso alla gente in attesa a casa mia, che vorrei essere subito da loro. Mi ritrovo in qauesta stanza e riprendo a far entrare gente; ascolto, rispondo, prego, tutto come sempre: Ma i mostaccioli non se ne erano venuti via con me.
Ride.
Sono arrivati adesso! Li darò stasera ai piccolini...
Un colpo alla porta, deciso ma non violento.
Chi sarà? Nessuno bussa in questo modo. Delicato. Eppure deciso.
Segue con lo sguardo la traiettoria dell’Angelo che compie alcuni giri, dall’alto della sua spalla, poi ancora in alto e infine di nuovo a lei; un frullo prolungato e modulato.
Non vuoi dirmi chi è. Sei inquieto... Ma sento il tuo peso leggero sulla spalla e mi conforti...
La porta si spalanca. Entra un uomo ancora giovane. Intenso nei gesti contenuti. Siede, senza guardare Maria che si alza in piedi intimidita, e poi parla sottovoce all’Angelo sulla sua spalla.
ma dimmi qualche cosa, Angelo mio... Lo conosci? Non riesco a vederti in faccia e te ne stai muto... Non so cosa pensare... Eppure sono tranquilla.
Con un gesto l’uomo la invita a sedere. Maria siede.
UOMO – Io sono triste fino in fondo all’anima. Perché molti amici sono morti. E non mi è stato possibile fare niente per loro.
MARIA – Siete venuto per questi amici?
UOMO – Sono venuto per me. Per questi amici che sono con me nell’affetto. E anche per te.
MARIA – Se posso fare qualche cosa...
UOMO – Noi dobbiamo parlare.
MARIA – Delle volte l’angelo mi suggerisce. ma adesso se ne sta zitto. Non so chi siete.
UOMO – Mi hai chiamato tante volte. io ti conosco bene.
MARIA – Non vi ho mai visto qui.
UOMO – Sono sempre con te. Ma nello spirito.
MARIA – Signore!
Si alza in piedi emozionata. Sta per inginocchiarsi di fronte all’Uomo, ma lui la trattiene con un gesto e la fa sedere.
Ma tu sei Gesù, il mio Signore...
CRISTO – Sì.
MARIA – Ho tante cose da chiederti! Ci sono giorni che non so come fare con tutta questa gente. Vengono, e vogliono essere ascoltati. Hanno bisogno e chiedono. Lo so che tu non li lascerai senza risposta, e che per questa incombenza ti servirai di me. Lui...
Fa segno verso l’Angelo sopra la sua spalla. L’Angelo vola al soffitto descrivendo una breve parabola che si avverte con il frullo delle ali, poi scende fino al pavimento, in contemplazione di Cristo, muovendo sommessamente le ali.
...l’Angelo, mi suggerisce, Voi me l’avete mandato, e gli date i messaggi. E’ vostra ogni decisione. Ma i miracoli...
Maria si arresta incerta.
CRISTO – Che cosa stavi per dirmi? i miracoli li faccio solo quando non posso rifiutarmi.
MARIA – Io sarei contenta che andassero a certe persone. A volte chi li riceve non li mereita.
Si mette una mano sulla bocca per aver osato troppo.
Scusatemi, ma siete stato Voi a chiedere. Sì, in certi casi i miracoli mi sembrano ingiustizia. E la gente reagisce. Ho sentito gridare: “Perchè quello sì e io no?”. Io non rispondo. Dico “pregate!”, ma anche a me rimane un’insoddisfazione. Dio che sembra faccia delle preferenze non è facile da accettare.
CRISTO – A volte il miracolo pare ingiustizia. per questo non ne vorrei fare. Ma mio padre...
Fa un gesto vago verso l’alto.
Vede al di sopra, attraverso la sua natura divina. Vede nei secoli futuri... fino all’eternità. Al di là dei mari e delle catene di montagne... sopra le nazioni... i continenti... le parentele e i governi... Vede negli spazi che superano il mondo e costituiscono l’universo.
Tira fuori da una tasca una piumetta bianca, le soffia dentro scarriffandola tutta. poi la lascia andare e rimane per un momento a guardarla.
E anche la Colomba... lo Spirito vede al di sopra. In qualche occasione pare perfino crudele. Il suo occhio si pone fuori dal mondo e contempla l’eterna infinita perfezione. io invece sono anche qui, con voi. Dentro i limiti di chi vive una vita umana, breve e soggetta a errori. Ho provato nella mia carne che cos’è il dolore. Ogni uomo è in me.
Maria gli mostra i polsi.
MARIA – Ogni Quaresima pensando a Voi sulla croce soffro i chiodi nei polsi. Il sangue mio per i peccatori...
CRISTO - Per questo ho bisogno di te.
MARIA – Io ho accettato. Non per i miracoli, ma per la sofferenza.
CRISTO – La sofferenza. Sì. Il miracolo è... un dono. Richiesto ma non atteso. Non meritato. Sapete come fanno durante le feste, in paese?... che gettano i dolci dal carro tutto infiorato...
MARIA – Da noi si usa al Corpus Domini. Io carro passa e da sopra buttano i dolci. E fiori... immaginette...
CRISTO – A manciate il signore della festa getta i dolci alla gente che gli tende le mani. Chi prende prende... Non c’è criterio di giustizia.
MARIA – E’ la generosità del Signore, non suo dovere. Ho capito.
CRISTO – Tutti invece dovrebbero vivere sereni, anche nel dolore, e dio rado ci riescono. Tu sai dare serenità a chi viene qui. Ma non c’è nessuno poi che ascolti te. Io sono venuto anche per questo.
MARIA – Come posso parlarvi delle mie pene, così piccole e sciocche in confronto alle vostre?
CRISTO – Le mie sono quelle di tutti gli uomini. Insieme a me tu patisci le mie piaghe. Ora chiedi per te.
MARIA - Vi chiedo di farmi trovare il tempo per la mia famiglia. Io ho preso l’impegno con loro, nella vita. Non sarebbe giusto trascurarli. Per loro devo preparare da mangiare. Vestiti puliti, stirati. Rifare i letti. Tutte cose da poco, ma necessarie...
CRISTO – La potenza di Dio è costruita su queste azioni oscure.
MARIA – Ci sono momenti in cui ho paura di non farcela. Ascoltare quelli che vengono; poi trovare la parole giuste per compatire, consigliare... E intanto mi assilla il pensiero di quanto mi rimane da sistemare dentro casa. Ah! E’ un tormento ed è un’umiliazione rubare a Dio del tempo per i piccoli bisogni quotidiani. Vorrei potermi dedicare tutta agli altri, per amor vostro. Ma non posso.
CRISTO – Non sapresti più compatire. Tu adesso ci riesci perchè sei come loro, e soffri su di te le stesse difficoltà, le fatiche, i mali che sono di tutti.
MARIA – La giornata corre via sempre troppo in fretta. Non basta che riesca a trovare il tempo per i lavori di casa, è necessario anche parlare, con i miei. Ci sono momenti difficili che chiedono dialogo. Delle notti non dormo nell’attesa del giorno che sta per cominciare.
Alza gli occhi su Cristo.
Il Signore siete Voi. Sì, il tempo per tutto me lo avete sempre fatto trovare. Ma scappa via come l’acqua dentro un secchio bucato, e alla fine si rimane con la sete. Chi sono gli altri, poi? I miei figli... mio marito: anche loro sono gli altri.
CRISTO – Per la famiglia il tempo tu lo trovi. Ma è per te che non ne lasci. Questo rischia di diventare un peccato di superbia... Non sentirti insostituibile.
MARIA – Quando il mio cuore è pieno da scoppiare, parlo con l’Angelo. Quelli che vengono da me, nessuno ascolta la voce dell’altro. Ognuno si porta dentro le sue pene, in me trovano qualcuno che li ascolta, non sono più soli. Le parole sciolgono il male. Una madre, una moglie, un marito, dei ragazzi, il padre: gli dico che li ho visti, che stanno bene e sono in un bel posto accanto a Dio. E’ così che ritrovano la pace.
CRISTO – Tu glielo dici, dove vanno.
MARIA – Devono passare una quarantina di giorni, prima che io li veda. Fanno un periodo di attesa, lo sapete... E dopo sono accolti.
CRISTO – Sì, poi stanno con me. Tu puoi parlare con loro perché di questo potere fai uso con saggezza. Solo in qualche caso, raro e particolare, possono riprendere contatto, i vivi e i morti. E tu ne sei tramite.
MARIA – Ho accettato per amor vostro. Ma adesso mi è venuta dentro un’ansia di sapere.
CRISTO - Sono venuto anche per questo.
MARIA – Perché avete scelto proprio me? Non sono più buona di altre donne. Neppure più religiosa. Ignorante, poi...
CRISTO – Sono tante le donne come te. Donne che vanno tardi a dormire e si alzano presto. Capelli aridi, senza peiga. Se sono ben pettinate, è perché lavorano fuori. E allora, orario d’ufficio e poi casa. Gesti ripetuti. Ritmi impossibili, se non fosse l’amore a sostenerli. La gente non si accorge deella forza straordinaria che ogni essere umano possiede, solo che voglia usarla. Donne, ma anche uomini. Un reciproco donarsi. Non per forza, come si vive tante volte la vita. Tu restituisci ai gesti quotidiani il valore divino.
MARIA – La gente non se ne accorge. Chiede il miracolo...
CRISTO - La gente non si rende conto di vivere in mezzo ai miracoli.
MARIA – Sono così ostinati nella ricerca di quella che credono la felicità... Come faccio a spiegarglielo?
CRISTO – Non ci riusciresti.
MARIA – E allora che cosa devo fare?
CRISTO - Quello che hai fatto sempre. Molte sofferenze tu sai alleviarle. Altre rimangono, e sono il segnodel mondo. Capiranno quanto possono amarsi anche nella sofferenza e se tu li amerai come io li ho amati, sarà più facile per loro capire.
Cristo si alza in piedi.
CRISTO – Devo andare. Molti amici sono morti. E non mi è stato possibile fare niente per loro.
MARIA – Tu sei il Signore e non hai potuto aiutare i tuoi amici?
CRISTO – ho rispettato la loro libertà. Hanno scelto il potere... il successo... il benessere a ogni costo. Piaceri attraenti. Provocazioni a chi ha creato tutte le cose, e agli uomini ha dato la possibilità di servirsene senza diventare schiavi. Hanno la libertà, che è un dono: della libertà non li voglio privare.
MARIA - Ma tu sei triste.
CRISTO - Sì. Sono degli amici. E forse non li vedrò più.
MARIA – Pregherò per loro.
CRISTO – Tu puoi parlargli. Sei una donna, della stessa loro natura. Forse ti ascolteranno.
MARIA – Dove posso incontrarli?
CRISTO - Uno è qui. I mezzi di cui dispone può voltarli al bene oppure al male. Il denaro, il successo, l’ambizione possono indurre ad abbandonare una strada iniziata nel desiderio di far bene. Scrivere in un modo o appena in una maniera un po’ diversa. Indurre a riflettere oppure distogliere. Scavare nelle profondità dell’animo, oppure turbarlo e scandalizzarlo. Cercare la notizia per amore della verità oppure inventarla, o distorcerla appena appena, per amore della professione. Questo lavoro che oggi consente alle azioni degli uomini di moltiplicarsi, unendo la gente in conoscenza e dialogo, è in bilico tra bene e male; l’ambiguità del suo uso è il rischio di oggi. Si può scegliere questo versante o quell’altro. Oggi è venuto da te un uomo. Ma tu non lo hai fatto entrare.
MARIA – Se accettavo le sue proposte, avrei fatto peccato di orgoglio. Devo confrontare le mie forze, porre dei limiti alle mie possibilità. Non mi hai avvertito anche Tu, del rischio di sentirsi indispensabili? Attraverso i mezzi di cui quell’uomo dispone, si moltiplicheranno le persone che vengono qui a domandare. Lui ha usato tutti i mezzi, per far cedere la mia umiltà...
CRISTO - Tu puoi guidare quell’uomo. Le tue parole di consolazione devono uscire dal chiuso della tua casa: chi le ascolterà potrà averle ad esempio per proniunciarne di uguali, per altri. Tu sarai ancora meno padrona del tuo tempo. Ogni tuo segreto rischierà di essere sulla bocca di tutti. la tua famiglia vivrà spiata da una folla sempre nuova di questuanti, famelici e ingrati. Ma in ciascuno troverai un uomo che soffre. Troverai me.
MARIA – Fino al sangue.
CRISTO - Non puoi conservarti per pochi. O tutti o nessuno. Fino al sangue, sì. Adesso è il momento di far entrare chi non hai ricevuto prima. Il pettegolezzo lascerà il posto alle parole e la chiacchierà al discorso. Sarai tu a rendere ancora possibile l’incontro con me.
Cristo esce. Al suo passaggio la porta si apre, poi si richiude.
MARIA – Signore! Farò come vuoi Tu.
Si guarda intorno cercando l’Angelo.
Angelo! Mio Angelo!
Un frullo d’ali.
Aiutami!
La porta si apre senza che nessuno abbia bussato. Compare lo stesso uomo di prima, ma vestito con un giubbotto, dei jeans e una cinepresa fra le mani.
OPERATORE – Devo chiederti molte cose.
MARIA – Che cosa, mi vuoi chiedere?
OPERATORE – Per me, prima di tutto.
MARIA – Chi sei?
OPERATORE – Un uomo, come tanti.
MARIA – Ti ascolto.
L’operatore depone la cinepresa. Siede sullo sgabello di fronte a Maria. Si tiene il capo fra le mani. Quando alza lo sguardo si fa buio.
FINE
Il testo è stato pubblicato dalla rivista “Hystrio” n. 3 1990 ed appare anche nel libro “Natuzza Evolo – il dolore e la parola” di maricla Boggio e Luigi M. Lombardi Satriani, Armando ed. 2007.
IL DOLORE E LA PAROLA
Luigi M. Lombardi Satriani
“Signore, perchè lo fate nascere così? Megli tenervelo con Voi a cantare coi serafini e i cherubini, piuttosto che mandarlo qui a soffrire”.
La domanda di Maria dell’Angelo si aggiunge alle inifinite altre cfhe mistici, pensatori, poeti, uomini “comuni” hanno riviolto a un Dio dai voleri incomprensibili, a un Essere il cui amore sembra mal si concilii con la sofferenza inflitta ai viventi. Giobbe e innumerevoli anonimi hanno gridato il loro “perché?” nella speranza di trovare almeno un significato a un dolore muto e perciò ancora più devastante.
Maria dell’Angelo di Maricla Boggio è un’altissima meditazione sul dolore e sul suo senso e ci restituisce, attraverso un personaggio emblematico, tutta la drammaticità dell’umano patire. La sofferenza fisica e il tormento deel cuore, il peso della preoccupazione e il tarlo dell’angoscia, la devastazione della malattia e l’ombra della morte incombono sulle esistenze individuali, erodendone il tempo; minandone, spesso irrimediabilmente, la possibilità di felicità.
Non è sempre il piano fisico a provocare maggiore sofferenza; “la sofferenza fisica fa gridare... il dolore è cattivo. Ma in molti casi non è il corpo a star male. Mangia, dorme, respira, il corpo, anche se la mente si macera d’angoscia: come un amico un po’ ottuso ,egoista, che si dà da fare a mantenersi in forze anche se il cuore è in pena, perché vuol continuare a vivere. Per quel tormento del cuore, anche il corpodelle volte si ammala”.
Alle persone che si affollano dinanzi alla sua porta Maria dell’Angelo dà, essenzialmente, serentià; la capacità di rasserenare, assieme a un’estrema dolcezza, caratterizza questo personaggio, che presentifica, in un tempo di ferocia individualistica, un paradigma desueto di umanità, percaso di tensione solidaristica. Alla madre della ragazza drogata, forse ammalata di aids e divenuta ormai “un ammasso di piaghe” Maira non dà parole, comunque inadeguate; tiene stretta la mano “perché condivideva la sua pena”. “Dopo un poco se n’è andata via. Ma da allora io sono restata insieme a lei. Altri poi sono venuti, io li ascolto, tu mi dici le risposte... Ognuno ha avuto il suo conforto, ma il mio cuore è rimasto con la madre”.
Una donna semplice, presa anche dalle incombenze domestiche, dà così agli altri il proprio tempo, la propria capacità di condividere l’altrui sofferenza. Il dolore è così mitigato, un po’ di generosità viene comunicata, anche se Maria resta alla fine con la sete di altro tempo, chè tutto è così irrimediabilmente breve.”Il signore siete voi. Sì, il tempo per tutto me lo avete sempre fatto trovare. ma scappa via come l’acqua dentro un secchio bucato, e si rimane alla fine con la sete”.
Tutto ciò viene compiuto da Maria, lo si è già notato, con essenziale semplicità: non dissimile in questo, maria, da tante altre donne semplici, che ripetono gesti quotidiani, trasmettendo attraverso di essi un derelitto tepore.
“La gente non si accorge della forza straordinaria che ogni essere umano possiede, solo che voglia usarla. Donne, ma anche uomini. Un reciproco donarsi. Non per forza, come si vive tante volte la vita. Tu restituisci ai gesti quotidiani il valore divino”, dice Cristo a Maria dell’Angelo, affidandole un messaggio di amore che può realizzarsi anche nella sofferenza. “Molte sofferenze tu sai alleviarle. Altre rimangono, e sono il segno del mondo. Capiranno quanto possono amarsi anche nella sofferenza e se tu li amerai come io li ho amati, sarà più facile per loro capire”.
Ispirandosi a una mistica calabrese, Natuzza Evolo, intorno alla quale si è costituito un universo del bisogno, del dolore, e che continua ancora oggi a porsi come interlocutrice dei bisogni di quanti a lei ricorrono, maricla Boggio ha delineato un personaggio di grande spessore e profondità.
Sarebbe errato, a mio avviso, impegnarsi a individuare puntualmente nel personaggio i tratti della mistica calabrese; ogni personaggio testimonia di sé, comunica la propria verità.
“Le parole sciolgono il male”, dice Maria; le società tradizionali hanno esaltato il potere terapeutico della parola.
Il linguaggio di Maria dell’Angelo è un linguaggio interiore, è testimonianza di un’operazione teatrale ched conferisce, con intensa suggestione, verità letteraria a una vicenda che si dispiega nella semplicità e nell’amore, mostrando come essi possano lenire la vita.