Euripide

TROADI

traduzione di Maricla Boggio

prefazione
di Luigi M. Lombardi Satriani

introduzione di
Agostino Masaracchia

BESA


 

PROLOGO

POSEIDONE – Io, Poseidone, sono venuto qui
abbandonando le profondità di sale del mar Egeo,
dove i cori delle Nereidi imprimono la bellissima orma del piede.
Da quando intorno a questa terra di Troia
Apollo e io abbiamo costruito le torri di pietra
diritte, perfette, mai dalla mia mente
si è allontanato l’affetto per questa città,
e adesso, caduta sotto i colpi delle lance dei Greci,
devastata, è fumo.
Un uomo della Focide, Epeo,
con i marchingegni di Atena ha costruito
un cavallo riempiendolo di armi
e lo ha fatto portare dentro le mura, idolo funesto
che gli uomini delle future generazioni ricorderanno
come il cavallo di legno che ha partorito guerrieri.
E un deserto sono i boschi sacri
e i templi degli dei grondano sangue;
e Priamo è caduto ucciso
sui gradini della statua di Zeus protettore della sua casa.
E le ricchezze dei Troiani e tutto l’oro
sono portati via sulle navi dei Greci.
Quelli che hanno assalito la città
aspettano il vento favorevole per rivedere
allegri, dopo il tempo di dieci raccolti,
le mogli e i figli.
Era, dea di Argo, e Atena hanno annientato questa gente;
mi hanno vinto, e per questo lascio la superba Troia e i miei altari:
quando un deserto desolato si stende sopra una città,
ne soffre il culto degli dei e diventa impossibile onorarli.
E lo Scamandro echeggia per le grida delle donne prigioniere,
che ricevono a sorteggio i padroni.
Certe le ha avute la gente dell’Arcadia,
altre i Tessali, e i figli di Teseo, nobiltà ateniese.
Ma le Troiane non ancora sorteggiate
stanno sotto le tende, tenute in serbo
per i generali dell’esercito; e tra loro c’è ha figlia di Tindaro,
Elena di Sparta, giustamente considerata prigioniera.
Se volete vedere una donna disgraziata,
guardate Ecuba, che giace a terra davanti alle tende:
piange e ne ha molti motivi:
le è morta una figlia, la povera Polissena,
coraggiosamente, accanto alla tomba di Achille;
e Priamo se ne è andato, e i suoi figli;
e Cassandra, la vergine che Apollo suo signore ha reso folle,
Agamennone dimenticando quanto appartiene al dio e gli è sacro
la sposa a forza con un matrimonio destinato a rimanere oscuro.
Così addio,
città che un giorno sei stata felice!, torri levigate!
Se Atena, la figlia di Zeus, non ti avesse portato alla rovina,
staresti ancora salda sulle tue fondamenta.

ATENA – Posso rivolgerti la parola? Dico a te
che per nascita sei il più stretto parente di mio padre,
a te che sei una grande potenza e godi molta stima fra gli dei.
Io ho rinunciato ormai all’ostilità di un tempo,
posso rivolgerti la parola?

POSEIDONE – Sì, lo puoi: le conversazioni fra parenti,
Atena mia signora, sono spinta non piccola all’affetto del cuore.

ATENA – Ho sempre apprezzato i tuoi buoni sentimenti:
e adesso ti porto, mio signore, un discorso che interessa a me e a te.

POSEIDONE – Vieni ad annunciarmi una decisione
da parte di qualcuno degli dei, o di Zeus,
o magari di qualche altro spirito divino?

ATENA – No, sono venuta per Troia, dove siamo noi ora.
Sono venuta per la tua potenza, per unirla alla mia.

POSEIDONE – Adesso ti sei mossa a pietà di Troia
e hai scacciato l’ostilità di prima?
Adesso che è ridotta in cenere dal fuoco?

ATENA – Torna a quello che ti ho detto.
Vuoi partecipare ai miei progetti?
Vuoi fare anche tu quello che io voglio fare?

POSEIDONE – Senz’altro: ma proprio per questo
voglio conoscere i tuoi piani anch’io:
tu sei venuta qui per i Greci o per i Troiani?

ATENA – Voglio far contenti i Troiani che prima odiavo,
e procurare un ritorno penoso all’esercito dei Greci.

POSEIDONE – Ma perché tu passi all’improvviso
dall’uno all’altro sentimento,
e odi e ami senza limiti chiunque tu prenda di mira?

ATENA – Non sai che io e i miei templi
siamo stati oltraggiati?

POSEIDONE – L’ho visto, quando Aiace
ha trascinato fuori Cassandra con la forza.

ATENA – E nonostante questo, niente dai Greci
ha avuto a soffrire e niente ha sentito contro di lui.

POSEIDONE – Eppure hanno distrutto Troia
con l’aiuto della tua potenza.

ATENA - Perciò con la tua voglio punirli.

POSEIDONE – Facile, se tu lo vuoi.
Ma che cosa hai in mente di fare?

ATENA – Voglio fargli fare un ritorno infelice.

POSEIDONE – Mentre stanno a terra
o quando saranno in alto mare?

ATENA – ATENA – Quando staranno navigando da Troia verso casa.
Zeus manderà pioggia e grandine tremenda
e tenebrose bufere dal cielo,
e ha promesso che mi darà il fulmine
per colpire le navi dei Greci e col fuoco incendiarle.
Tu poi da parte tua – questo è il tuo compito –
fai in modo che le coste del mar Egeo
siano sbattute da ondate violente e da vortici marini
e riempi di morti l’insenatura dell’Eubea:
così, per l’avvenire, imparino i Greci
a rispettare i miei templi e a venerare gli altri dei!

POSEIDONE – D’accordo, non c’è bisogno di lunghi discorsi.
Sconvolgerò le onde dell’Egeo. E le rocce di Micene,
e gli scogli di Delo, di Sciro, di Lemno,
e il capo Cefareo raccoglieranno i corpi di infiniti morti.
Adesso va sull’Olimpo e prendi dalle mani di tuo padre
le frecce del fulmine, poi aspetta
quando l’esercito dei Greci spiegherà le vele.
Pazzo chi distrugge le città, e templi e tombe
luoghi sacri dei morti, abbandonandoli al deserto.
Lui stesso più tardi deve morire.

ECUBA – Alza...alza...alzati infelice,
solleva da terra il capo, il collo,
tutto questo non è più Troia.
E’ cambiata la fortuna, rassegnati.
Naviga secondo la corrente.
Naviga secondo la sorte.
E non rivolgere la prora della tua vita
contro l’onda.
Naviga alla ventura.
Ahi! Ahi!
Che motivo di lamentarmi non ho io
infelice, per me tutto è finito,
patria e marito e figli.
O splendido fasto degli antenati abbattuto,
come dunque non eri niente!
Che cosa devo tacere? Che cosa non devo tacere?
Di che lamentarmi?
Sto male. Ho le membra indolenzite,
la terra è dura sotto il mio corpo disteso.
Oh! la testa. Oh! le tempia. Oh! i fianchi!
Come vorrei rigirarmi
e rialzarmi per sfogare il mio canto
di inutili lacrime!
Per chi soffre c’è almeno questo conforto,
far vibrare nel canto il dolore.

STROFE

O veloci prore delle navi che andando alla sacra Ilio
attraverso il mare rosseggiante e i porti della Grecia,
con odioso canto di flauti e suono di zampogne
siete approdati, ohimè, nel golfo di Troia
per raggiungere l’odiata moglie di Menelao,
vergogna di Castore e disonore di Sparta.
Quella donna ha fatto morire sgozzato Priamo,
padre di cinquanta figli e fa naufragare me,
Ecuba disgraziata, in questa sciagura.

ANTISTROFE

Ohimè, su quali sedili io siedo aspettando
vicino alla tenda di Agamennone!
E sono condotta schiava io, vecchia, via dalla mia casa,
con i capelli tagliati da questa misera testa.
Mogli infelici dei Troiani armati di lance di bronzo,
e vergini, vergini destinate a nozze infelici,
Troia è in fiamme, piangiamo!
Come una madre agli uccelli alati,
così per voi io canterò una canzone,
non quella certo che un giorno,
appoggiandomi allo scettro di Priamo
e guidando con il mio passo il coro,
secondo i sonori ritmi della mia terra,
innalzavo agli dei.

 

 

PARODO/PRELUDIO CORALE

I SEMICORO

STROFE

CORIFEA – Ecuba, perché ti lamenti?
Perché gridi?
Dove va il tuo discorso?
Attraverso le tende ho udito i tuoi lamenti
e il dolore trafigge il petto alle Troiane
che dentro a queste tende piangono la loro schiavitù.

ECUBA – Figlie, la mano dei Greci armata di remi
si muove ormai sulle navi.

SEMICORO - Oh! Che cosa vogliono?
Forse porteranno anche me sulle navi,
lontano dalla mia terra?

ECUBA – Non lo so, ma sento che avverrà una sciagura.

SEMICORO – Ahi! Ahi! Povere donne di Troia,
venite fuori dalle tende per udire cose tremende:
i Greci preparano il ritorno!

ECUBA – Non mi chiamate fuori, adesso,
la delirante Cassandra,
vergogna pei i Greci,
in delirio per le sue visioni:
non fate che io sia colpita da questo dolore!
Ah! Troia! Infelice Troia! Sei perduta!
e infelici quelli che vivi ancora o uccisi
ti lasciano!

SEMICORO

ANTISTROFE

CORIFEA - Ohimè! tremando ho lasciato
le tende di Agamennone
per udire te, regina:
I Greci hanno deciso di uccidermi?
Oppure mi faranno partire sulle navi?

ECUBA - Figlia, mi sono alzata presto,
sono venuta qui, agitata nell’animo dalla paura.

SEMICORO - E’ arrivato già qualcuno mandato dai Greci?
A chi sono già stata assegnata come schiava?

ECUBA – No, ma comunque stai per essere sorteggiata.

SEMICORO - Ahi! Ahi! Chi mi porterà via,
in qualche isola, lontano da Troia? Ad Argo? A Ftia?
In quale terra andrò io?

ECUBA – Ahi! Ahi! E io, disgraziata, vecchia,
inutile come un fuco, misera ombra di morte,
immagine vana di morti,
chi serviro? In quale parte del mondo?
Serva di una casa, custode di bambini,
io che a Troia avevo onori da regina?

 

 

PRIMO STASIMO

CORO

STROFE

Ahi! Ahi! Tu piangi, Ecuba, la tua rovina?
E io allora? Non farò più andare la spola
su e giù nei telai di Troia.
Per l’ultima volta io guardo la casa dei miei genitori.
Per l’ultima volta... sopporterò dolori più pesanti dei tuoi.
Sarò costretta a far l’amore con un Greco
- maledetta quella notte, maledetta quella sorte –,
sarò costretta da schiava ad andare a prendere l’acqua alla fonte a Corinto.
Oh se almeno potessimo andare alla famosa, felice terra di Teseo!
Perché non vorrei certo andare dove scorre vorticoso l’Eurota,
nella città odiata di Elena:
là sarei serva di Menelao che ha distrutto Troia!

ANTISTROFE

Ho sentito tanto parlare della valle del Penéo:
si stende ai piedi dell’Olimpo, bellissima e ricca di frutti.
Oppure, se non è possibile andare laggiù,
vorrei che mi fosse concesso di andare alla sacra terra di Teseo...
Io vorrei anche andare alla terra dell’Etna, che è di Efesto
e sta davanti alla Fenicia ed è famosa per i suoi atleti
ed è vicina per chi naviga nel mar Ionio
ed è bagnata da un fiume bellissimo, il Crati,
che tinge le acque di un biondo dorato
e rende fecondo e felice quel popoloso paese...

EPODO

Ed ecco un messaggero dal campo dei Greci.
Arriva di corsa. Che notizie ci porta? Che dice?
Ormai noi siamo schiave della loro terra...

 

 

PRIMO EPISODIO

TALTIBIO – Ecuba, tu sai che sono venuto a Troia molte volte
a portare messaggi dell’esercito greco.
Tu, donna, conosci Taltibio anche da prima;
adesso vengo per annunciarti una notizia che non vi aspettate.

ECUBA – Questo, care donne,
era da tempo causa per voi di timore.

TALTIBIO – Siete già state sorteggiate,
se era questo il vostro timore.

ECUBA - Ahimè...E quale città della Tessaglia...
o quale citta della Ftia... o della terra di Cadmo...
quale città devi dirmi?

TALTIBIO - Siete toccate una per ogni guerriero
e non sottomesse allo stesso.

ECUBA - E allora, a quale guerriero è stata destinata ognuna di noi?
Chi di queste donne di Troia avrà un destino felice?

TALTIBIO - Io lo so, ma chiedimi una cosa per volta,
non tutte insieme.

ECUBA - Che destino allora è toccato a mia figlia,
dimmelo, alla povera Cassandra?

TALTIBIO - L’ha presa Agamennone,
se l’è scelta lui.

ECUBA – Allora l’ha presa come serva per Elena,
la sposa di Sparta? Ahi! Ahi! che disgrazia!

TALTIBIO - No, l’ha presa come sposa segreta.

ECUBA – Ha preso proprio la vergine di Apollo,
lei a cui il dio dall’oro nei capelli
aveva fatto il dono di una vita senza nozze?

TALTIBIO - Amore lo ha colpito
per questa ragazza ispirata dal dio.

ECUBA – Figlia, getta via le chiavi sacre
e strappa dal tuo capo i veli consacrati,
gli ornamenti che finora indossavi!

TALTIBIO - Allora non è per lei un grande onore
essere scelta come donna di un re?

ECUBA – E che cosa fa la figlia che mi avete appena tolta,
dov’è?

TALTIBIO - Parli di Polissena, o di chi?

ECUBA – Di lei: A chi l’ha resa schiava la sorte?

TALTIBIO – Le è stato ordinato di servire la tomba di Achille.

ECUBA – Oh! io l’ho fatta nascere serva di una tomba?
Ma che legge è questa, e che rito è questo dei Greci?

TALTIBIO – Considera tua figlia fortunata. Lei sta bene.

ECUBA – Cosa hai voluto dirmi?
Vede ancora il sole?

TALTIBIO – Il destino ha voluta liberarla dalle fatiche.

ECUBA – E che è successo alla moglie del mio Ettore,
che destino ha avuto Andromaca infelice?

TALTIBIO – Anche lei se l’è presa il figlio di Achille,
è stato lui a scegliersela.

ECUBA – E a chi vado come serva io,
io che ho bisogno di un bastone
per sostenere questo vecchio corpo?

TALTIBIO – Ulisse signore di Itaca
ha avuto te come schiava.

ECUBA – Ah! Ah!
Colpisciti il capo!
Dilaniati con le unghie la faccia rugosa!
Ahi! Ahi!
Mi è toccato in sorte di servire
un essere subdolo, spregevole,
nemico della giustizia,
una belva senza legge,
che rende falsa ogni cosa,
e ogni cosa mistifica con ambigue parole,
e la gente prima amica la rende nemica.
Piangete su di me, donne di Troia!
Sono una disgraziata,
mi è toccata la sorte più infelice!

CORO – Tu conosci almeno il tuo destino, regina,
ma chi fra i Greci è il padrone del mio?

TALTIBIO – Andate servi!
Bisogna che al più presto Cassandra venga qui.
Quando l’avrò consegnata al suo padrone,
potrò poi condurre agli altri capi
le prigioniere sorteggiate.
Oh! Ma che fiamma abbagliante sta bruciando là dentro?
Le donne incendiano le tende o che altro fanno?
Mentre stanno per essere portate via
si danno fuoco e vogliono morire?
Chi è abituato a vivere libero
non sopporta la schiavitù.
Venite fuori! Fuori dalle tende!
Quello che va a vantaggio loro
diventerebbe una mia colpa!

ECUBA – Non è così, non danno fuoco alle tende
ma è mia figlia Cassandra; tutta presa dalle sue visioni
correndo si precipita qui.

STROFE

CASSANDRA –

Alza!
Mostra!
Porta la luce!
Oh! io santifico
io illumino
questo luogo sacro
con le torce!
Dio delle nozze! Signore!
Guardate! Guardate!
Felice è lo sposo
e felice è la sposa,
io, destinata al letto di un re, ad Argo!
Dio delle nozze! Signore!
Tu madre stai piangendo
con lacrime, con lamenti
la morte di mio padre,
la nostra cara patria.
E allora io accendo questa fiaccola per le mie nozze
a diffondere splendore,
per dare luce a te,
Dio delle nozze,
per dare luce a te,
Ecate dea degli Inferi
come richiede il rito
per le nozze delle vergini!

ANTISTROFE

Muovi il piede leggero,
guida le danze in coro,
come nei giorni più felici di mio padre!
Avanti su!
Questa danza è sacra!
Guidala tu adesso Apollo!
Io compio un sacrificio nel tuo tempio
fra gli alberi di lauro!
Dio delle nozze!
Dio! Dio! Dio!
Danza, madre! Danza anche tu!
Muovi il tuo piede, su e giù,
a tempo con il mio
il ritmo leggero dei passi!
Celebrate le nozze per la sposa, sì!
con canti allegri, con canti di festa!
Su, ragazze troiane, danzando nei vostri veli
cantate per le mie nozze
lo sposo che mi è destinato!

CORIFEA – Non la trattieni, regina?
In delirio il suo passo la porta al campo dei Greci.

ECUBA – Dio del fuoco, tu porti la fiaccola
nelle nozze degli uomini,
ma questa fiamma che oggi tu accendi
è triste, e allontana le nostre speranze.
Oh! figlia, mai avrei creduto
che saresti andata a delle nozze
sotto la minaccia delle lance, delle spade dei Greci.
Dammi la fiaccola, con la tua danza da pazza
non puoi tenerla diritta. La disgrazia ti fa sragionare,
e tu sei presa dalla tua follia.

CASSANDRA – Madre, incorona il mio capo vittorioso
e rallegrati delle mie nozze con un re.
Accompagnami
e se ti pare che non sia svelta nel passo,
spingimi con la forza: se Apollo esiste,
Agamennone l’illustre signore dei Greci
nello sposarmi farà un matrimonio
più luttuoso di quello di Elena. Perché io lo ucciderò
e manderò a mia volta la sua casa in rovina
vendicando i miei fratelli e mio padre.
Ma non voglio parlare di queste cose.
Non voglio parlare della scure
che andrà a cadere sul mio collo e sul collo di altri.
Non voglio parlare dell’assassinio della madre
che saranno le mie nozze a portare,
e non voglio parlare della distruzione della casa di Agamennone...
Voglio invece proclamare che questa città
sarà più felice dei Greci. Sì,
io sono preda del delirio divino
ma ne rimarrò fuori per quanto basterà.
Questa città sarà più felice dei Greci:
per una sola donna, per un solo amore,
per riprendersi Elena
quelli hanno perso uomini infiniti...
E Agamennone poi, il saggio comandante,
perdette le cose più care in cambio di quelle più odiose:
la figlia, la gioia più bella, di sua volontà,
l’ha ceduta per una donna!
E i Greci venuti fino alle rive dello Scamandro
morivano
non per difendere i confini della loro terra,
né le mura della loro città.
Quelli che il dio della guerra rapiva
non rividero i figli,
non furono avvolti nel lenzuolo funebre
dalle mani delle spose,
ma sono sepolti in terra straniera.
A casa poi accadevano cose simili a queste.
Le donne morivano vedove e sole,
gli uomini restavano senza figli
dopo averli allevati per altri,
e non ci sarà nessuno a offrire alla terra
il sangue di una vittima sulla loro tomba.
Di questo elogio è degna la loro impresa!
Meglio poi tacere la vergogna,
non voglio cantare le azioni malvage.
Voglio invece cantare i Troiani,
la loro gloria più bella, sono morti per la patria.
Quelli che la lancia potè rapire,
portati nelle loro case dagli amici
hanno avuto sepoltura in patria,
seppelliti dalle mani di chi doveva compiere quel rito.
E i Troiani che non erano morti combattendo
abitavano ogni giorno con la sposa e con i figli,
e queste gioie mancavano ai Greci.
E quanto è capitato a Ettore,
tanto triste per te, ascolta invece com’è.
Lui se ne va
con la fama di uomo valoroso,
e questa gloria gliel’ha data
la venuta dei Greci;
se questi invece fossero stati a casa,
Ettore pur essendo coraggioso
sarebbe rimasto sconosciuto.
Paride poi ha sposato la figlia di Zeus;
ma senza queste nozze, nessuno avrebbe parlato di lui.
Chi è saggio deve sfuggire la guerra,
ma se è costretto ad arrivarci,
non è vergogna morire nobilmente per la propria città,
è vergogna morire con disonore.
Per tutte queste riflessioni,
non bisogna, madre, che tu pianga
sulla nostra terra, né sulle mie nozze:
perché con queste nozze io distruggerò
quanti sono nemici a me e a te!

CORO – Con piacere tu ridi delle disgrazie della nostra terra
e canti cose forse non vere, eppure le canti...

TALTIBIO – Se Apollo non ti avesse riempito la testa di pazzia
non faresti partire i nostri capi
con simili presagi senza esserne punita.
Ma gli uomini ritenuti saggi
non sono superiori a quelli che non valgono niente.
Il più potente signore di tutti i Greci,
Agamennone, fu preso dall’amore per questa pazza,
e io, sì, sono povero,
ma non l’avrei sposata.
Non hai la mente a posto,
gli insulti ai Greci e le lodi ai Troiani
li affido ai venti...
Seguimi alle navi,
bella fidanzata del nostro capo.
Tu poi, se Ulisse vuole portarti via,
seguilo: sarai la schiava di una donna saggia,
come dicono quanti sono venuti qui.

CASSANDRA – Orribile servo.
Perché sono chiamati messaggeri
questi schiavi che stanno intorno ai principi,
oggetto di odio per tutti?
Tu dici che mia madre entrerà nelle case di Ulisse?
Ma dove sono gli oracoli di Apollo
che lui mi ha rivelato?
Dicono che morirà qui!
E non ripeterò altre cose...
Ulisse disgraziato
non sa quali sciagure dovrà ancora sopportare,
e come i miei mali e quelli dei Troiani
un giorno gli sembreranno oro.
Dopo aver passato dieci anni
oltre a questi già trascorsi,
arriverà alla sua terra da solo.
Dovrà incontrare lo stretto passaggio della rupe
dove abita la terribile Cariddi...
e il Ciclope che abita sui monti e divora gli uomini...
e la Ligure Circe che li trasforma in porci...
e il naufragio nel mare...
e i Lotofagi...
e le vacche sacre del Sole,
che uccise parleranno dalle carni,
dolorosa voce per Ulisse...
Alla fine andrà vivo nell’Ade
e scampato dal mare
troverà infinite disgrazie a casa sua...
Ma perché poi prendo di mira le sciagure di Ulisse?
Cammina più in fretta mio piede,
andiamo ad unirci allo sposo
giù in fondo agli Inferi!
Di certo, Agamennone, sarai sepolto in modo squallido,
di notte, non di giorno,
tu che all’apparenza ti comporti con onore,
capo dei Greci, generalissimo!
E io sarò un cadavere nudo
sbattuto da vortici d’acqua sulla tomba dello sposo,
a brandelli in pasto alle fiere!
O ghirlande di colui che fra gli dei mi è più caro,
io vi dico addio!
Io lascio le feste che prima mi rendevano felice!
Io vi strappo dal mio corpo e vi getto via,
finché il mio corpo è puro
che io possa affidarvi ai venti veloci
perché vi portino a te
dio delle mie profezie!...
Dov’è la nave del capo?
Dove devo salire?
Come te,
io sono ansiosa ormai di partire...
Tu mi porterai via
come una delle tre divinità della vendetta...
Addio madre! Non piangere più!
O patria amata!
Fratelli che siete sotto terra,
e tu padre, che ci hai dato la vita...
Non mi aspetterete per molto tempo;
ma io verro fra i morti vittoriosa,
perché distruggerò la casa di Agamennone
che ci ha rovinato!

CORO – Donne che state intorno ad Ecuba,
non vedete come la padrona cade a terra senza voce?
Non la sollevate?!
Non possiamo lasciarla così! E’ vecchia!
Rialziamola!

ECUBA – Lasciatemi stare dove sono caduta.
Non possono arrivare gradite le cose che fanno male,
ragazze.
E quanto ho sofferto, quanto soffro e soffrirò
non può che lasciare abbattuti.
O dei! Io invoco, sì, dei cattivi alleati,
ma chiamare gli dei tuttavia offre l’apparenza di un conforto
quando uno di noi si trova dentro a un destino infelice.
E prima di tutto,
ho voglia di ricordare la felicità passata,
avrò più compassione per le disgrazie di oggi...
Eravamo dei re.
Mi sposai in una famiglia di re,
e poi partorii figli stupendi,
non solo perché erano tanti,
ma perché erano i migliori fra i Troiani,
come nessuna donna mai,
né troiana, né greca, né barbara
potrebbe vantarsi di aver partorito.
E li ho visti...sì...
li ho visti cadere
sotto la lancia dei Greci...
e mi sono tagliata questi capelli
sulle tombe dei morti
e non l’ho saputo da altri
e ho pianto e con questi occhi io stessa
il padre Priamo ho visto sgozzare
sull’altare della nostra casa
e la città presa!
E le ragazze
che avevo allevato per splendidi matrimoni,
come se le avessi allevate per altri,
mi furono strappate dalle mani...
E non ho speranza di essere più vista da loro
e anch’io non le vedrò mai più.
E al colmo di tutti questi mali che io devo patire
sarò portata in Grecia
vecchia donna schiava.
E mi costringeranno a fare
cose non adatte alla mia età
o da serva, a tenere le chiavi delle porte,
io che ho partorito Ettore,
o a preparare il pane
e ad avere per letto la terra
anche se la mia schiena è tutta rattrappita,
invece di un letto da re
e ad avere il corpo coperto di stracci,
cose logore intorno a una logora cosa,
cose che i ricchi disprezzano.
Ahi! per un solo matrimonio di una sola donna
quante cose sono successe
e quante ne succederanno!
Figlia mia, Cassandra,
compagna degli dei nella follia
per queste sciagure hai perso la tua purezza!
E tu povera ragazza dove sei?
dove sei, Polissena?
Di tanti figli avuti
maschi e femmine,
nessuno adesso può aiutarmi
in questa mia infelicità.
Perché dunque volete sollevarmi?
Che speranze posso avere nel futuro?
Guidate il mio passo.
Camminavo con tanta eleganza, una volta, a Troia...
Guidatelo adesso, fino a dove c’è un po’ di paglia
per terra, e pietre per cuscino...
Voglio caderci sopra
e consumarmi nelle lacrime.fino a morire.
E dunque non giudicate felice nessuno
di quanti appaiono fortunati
prima che non sia morto.

 

 

SECONDO STASIMO

CORO

STROFE

Musa, canta fra le lacrime
un nuovo inno su Troia.
Adesso io voglio ricordare
come sono stata annientata
a causa di quel carro a quattro zampe.
I Greci avevano lasciato vicino alle porte
il cavallo con le briglie d’oro,
pieno d’armi, che risuonava fino al cielo.
E allora il popolo di Troia
dalla rupe si era messo a gridare:
“Avanti!, ormai avete finito le vostre fatiche,
portate questo splendido lavoro
alla sacra fanciulla troiana,
ad Atena nostra dea figlia di Zeus!”.
Chi delle ragazze non è accorsa,
e chi fra ivecchi non è corso dalle case?
E tutti allegri cantando
fecero entrare l’insidiosa rovina.

ANTISTROFE

E tutta la gente di Troia
si accalcava alle porte della città
per guardare da vicino l’insidia dei Greci:
era sbozzata in tronchi di pino,
disgrazia della terra troiana
e gioia per l’indomita Atena dai divini corsieri.
E avvolsero il cavallo con corde di lino ritorto
come se fosse un vero scafo di nave,
e lo trascinarono nel tempio di pietra della dea,
su quel terreno dove tanti erano morti per la patria.
E quando poi l’oscurità della notte
discese sulla stanchezza e sulla gioia
e il suono dei flauti e i canti a noi cari
risuonavano nell’aria
e le ragazze battendo il tempo con i piedi
cantavano un canto felice,
ecco! nelle case un vivido bagliore di incendio
gettò nel sonno una luce sinistra!

EPODO

Sì, io festeggiavo in quel momento
nella mia casa con canti e danze
la vergine che abita sui monti figlia di Zeus.
Ma un grido di morte subito si diffuse per la città
e invase ogni casa di Troia
e i bambini più piccoli spaventati
si attaccavano alle vesti delle madri.
E il dio della guerra usciva fuori dall’agguato
opera di Atena.
E cadevano le vittime accanto agli altari
e le ragazze restavano sole perché tanti uomini furono uccisi,
bellissima corona di vergini destinate alla Grecia fiorente,
ma lutto per la loro terra.

CORIFEA

Ecuba, vedi che giunge Andromaca
portata su di un carro dai Greci
e il caro Astianatte, il figlio di Ettore
è appoggiato al suo petto fremente.
Dove ti porta questo carro, infelice donna
che siedi accanto alle armi di bronzo di Ettore
e alle cose strappate ai Troiani,
bottino di guerra con cui il figlio di Achille
arricchirà le sue navi partendo da Troia?

 

 

SECONDO EPISODIO

ANDROMACA – I Greci, i padroni mi portano via!...

ECUBA – Ohimè!

ANDROMACA – Perché sospiri su quanto io dico...

ECUBA – Ahi! Ahi!

ECUBA - ...di questi dolori...

ECUBA – Oh dei!

ANDROMACA - ...e di questa disgrazia?...

ECUBA _ Oh figli miei!

ANDROMACA – Un tempo eravamo tuoi figli!...

ANTISTROFE

ECUBA – E’ morta la mia felicità,
è morta Troia...

ANDROMACA – Oh sì!...Oh sì!...

ECUBA - ...E i miei figli coraggiosi...

ANDROMACA – Ahi! Ahi!

ECUBA – Ahi! Che orribile destino...

ANDROMACA - ...della nostra città...

ECUBA - ...ridotta a un’ombra di fumo!

STROFE II

ANDROMACA – Vieni Ettore, ritorna da me...

ECUBA – Tu chiami mio figlio dagli Inferi, povera Andromaca!

ANDROMACA – Tu eri il sostegno di tua moglie!

ANTISTROFE II

ECUBA – E tu, Priamo, che amavo tanto,
fammi riposare accanto a te.

STROFE III

ANDROMACA – Grandi sono questi desideri...
grandi i dolori che dobbiamo sopportare:
la nostra città è distrutta
e dolori si aggiungono a dolori
perché gli dei ci sono contro,
da quando tuo figlio sfuggito alla morte
per quell’odioso legame con Elena
mandò in rovina la rocca di Troia.
E corpi insanguinati stanno a terra
vicino all’altare di Atena,
in attesa degli avvoltoi.
Lui ha reso schiava la nostra città.

ANTISTROFE III

ECUBA – O mia terra infelice...
Io piango su di te come se ti avessi già lasciato...
Adesso io sono finita e tu lo vedi...
e piango la casa dove sono nata.
Figli, vostra madre è rimasta abbandonata.
Com’è triste tutto questo!
Lacrime su lacrime nelle nostre case...
Chi è morto, almeno dimentica i dolori,
non ha più lacrime!

CORIFEA – Dolci le lacrime per chi ha una pena,
pianto è sofferenza liberata nelle lacrime!

ANDROMACA – O madre
dell’uomo che una volta con la lancia
annientava un numero infinito di Greci,
madre di Ettore,
questo spettacolo lo vedi?

ECUBA – Vedo quello che fanno gli dei:
chi non è niente, lo sollevano in alto
e abbattono i potenti.

ANDROMACA – Io sono portata via come preda di guerra
insieme a mio figlio, e chi era nobile diventa servo.

ECUBA – Il potere del destino è tremendo:
anche Cassandra mi è stata strappata con la forza.

ANDROMACA – Ahi! Ahi! Un altro Aiace allora,
un secondo guerriero crudele è venuto per tua figlia?
Ma tu soffri anche per altre disgrazie.

ECUBA - Sì, non si fermano mai, e aumentano sempre...
perché un male si aggiunge a un altro male
come per una gara.

ANDROMACA – E’ morta tua figlia Polissena,
sacrificata sulla tomba di Achille,
regalo a un morto, a un corpo senza vita.

ECUBA – Ah! Questo è l’enigma, adesso mi è chiaro,
questo è l’enigma che prima Taltibio
mi annunciò con parole oscure.

ANDROMACA – L’ho veduta io stessa.
Sono scesa dal carro,
ho coperto il suo corpo col mantello...
mi sono percossa il petto...

ECUBA – Ahi! Ahi! figlia mia!
Come sei stata sacrificata stupidamente!
Come sei morta per niente!

ANDROMACA – E’ morta come è morta,
in ogni caso è morta.
Questa è una sorte più fortunata
della mia che mi fa vivere!

ECUBA – Morire, bambina mia,
non è lo stesso che vedere la luce.
La morte è il nulla,
nella vita ci sono le speranze.

ANDROMACA – Madre, tu che hai dato la vita,
ascolta il mio ragionamento,
voglio consolarti un poco.
Non nascere è lo stesso che morire,
ma morire è meglio che vivere nell’infelicità,
perché chi non sente niente, non soffre...
Chi invece è stato felice,
travolto dalle disgrazie non ha più dentro di sé
la felicità di prima.
Lei, Polissena, è morta come se non avesse mai visto la luce,
e i suoi mali non li ha conosciuti.
Io invece avevo aspirato alla gioia,
ne avevo goduto più di quanto avessi sperato.
Poi ogni fortuna mi è mancata.
Tutte le cose che si possono riunire
per mettere una donna alla prova,
io le facevo, nella casa di Ettore.
E là...
- non so se sia giusto o no criticare una donna per questo –
io non desideravo quello che procura una cattiva fama
a una donna che non se ne sta a casa sua,
e rimanevo nelle nostre stanze. E dentro
non lasciavo che entrassero maliziose parole di femmine;
per indole mi guidava la riflessione, questo mi bastava.
Offrivo al mio sposo il mio silenzio ed il volto sereno...
e sapevo dove potevo vincerlo,
dove bisognava lasciare a lui di vincere...
E tutto questo vennero a saperlo i Greci,
ed è stata la mia rovina,
perché quando mi hanno fatta prigioniera,
il figlio di Achille ha voluto prendermi per moglie.
Perciò dovrò servire nelle case dei nostri assassini.
E allora, se dimenticherò il mio caro Ettore
e aprirò il mio animo allo sposo di adesso,
apparirò cattiva nei confronti di chi è morto;
se odierò il marito di adesso,
sarò odiata da chi è il mio padrone.
Dicono che una sola notte può placare
l’ostilità di una donna verso un uomo,
ma io disprezzo chi dimentica il marito di prima
e si precipita ad amarne un altro.
Neppure una bestia abituata al giogo insieme ad un’altra
si adatta facilmente a distaccarsene, ed è una bestia, senza uso di ragione.
Ettore caro, tu mi proteggevi,
eri grande per intelligenza, per nascita, per ricchezza e valore.
Tu mi avevi presa pura dalla casa di mio padre,
tu per primo hai unito il mio letto di vergine al tuo.
E adesso tu sei morto, sì,
e io devo andare per mare prigioniera
verso la Grecia dove sarò schiava.
E allora madre, la morte di Polissena
su cui tu piangi, non è meno triste
delle mie disgrazie?
Perché io non ho più nessuna speranza,
mentre questo conforto è lasciato a tutti gli uomini,
e nel mio cuore non mi illudo di aver mai più felicità.
Eppure almeno illudersi è dolce!

CORIFEA – Sei disgraziata come me,
ma parlando della tua sorte
mi fai capire in quale triste situazione io mi trovi.

ECUBA – Io rimango senza voce. La tempesta scatenata dagli dei
vince ogni mia resistenza. Ma tu, figlia mia cara,
non ricordare la fine di Ettore,
le tue lacrime non possono salvarlo.
Tratta bene il tuo nuovo padrone,
renditi gradita con la seduzione dei tuoi modi.
Sarà un vantaggio per i tuoi cari
perché potrai allevare questo figlio di mio figlio
a vantaggio di Troia; forse un giorno i tuoi nipoti
potranno venire di nuovo ad abitare qui,
e la nostra città esisterà un’altra volta!
Ma che altro viene a dirci questo servo dei Greci?

TALTIBIO – Moglie di Ettore,
che una volta era il più nobile dei Troiani,
non odiarmi: io non vorrei,
ma devo darti una notizia da parte degli Atridi.

ANDROMACA – Che cos’è? Già quest’inizio preannuncia una sciagura!...

TALTIBIO - Hanno deciso che il bambino...come posso esprimere il messaggio?...

ANDROMACA – Vogliono darlo a un altro padrone?

TALTIBIO – Nessuno dei Greci sarà mai suo padrone.

ANDROMACA – Allora, unico rimasto dei Troiani, vogliono lasciarlo qui...

TALTIBIO – Non so come dirti cose così terribili..

ANDROMACA – Ti ringrazio per il tuo ritegno,
tranne che tu non mi dica cose terribili...

TALTIBIO – Uccideranno il tuo bambino.
Ecco, hai saputo questa grave sciagura.

ANDROMACA – Ohimè, questo è ancora più tremendo
che dovermi sposare!

TALTIBIO - E’ stato Ulisse a vincere fra tutti i Greci.
Ha detto...

ANDROMACA – Non è possibile!
E’ troppo quanto soffro!

TALTIBIO - ...ha detto che non bisogna
lasciar crescere il figlio di un uomo di valore...

ANDROMACA – Vorrei che proponessero lo stesso
per i suoi figli!

TALTIBIO - ... e ha detto che bisogna gettarlo giù dalle torri di Troia.
Sopporta con dignità questa disgrazia,
non cercare di voler sembrare forte, tanto non puoi far nulla..
Non hai speranza di trovare aiuto, quindi devi riflettere:
la tua città è distrutta,
tuo marito è morto,
tu sei finita:
lottare contro di te è uno scherzo per noi.
E allora non voglio che tu ti metta contro, e insulti, e maledica i Greci.
Se offendi l’esercito, il bambino non sarà seppellito, e non potrete neanche piangerlo
Se starai zitta, il cadavere non rimarrà senza sepoltura,
e anche tu avrai più compassione da parte dei soldati.

ANDROMACA – Caro bambino mio, tanto tanto amato,
morirai ucciso dai nemici lasciando tua madre disperata.
Il valore di tuo padre che ha salvato tanti altri per te diventa morte,
il suo coraggio non è servito a niente.
Quando un giorno sono venuta nella casa di Ettore,
non pensavo di far nascere mio figlio perché fosse una vittima dei Greci,
ero sicura che sarebbe diventato il signore dell’Asia!
Piangi, bambino mio? Hai capito come sei disgraziato?
Perché ti tieni stretto al mio vestito
e ti nascondi come un uccellino sotto le ali della mamma?
Non viene Ettore con la sua lancia gloriosa,
è sotto terra, non viene a salvarti,
e non verranno i fratelli di tuo padre, e il nostro esercito...
Ma giù a precipizio con un salto terribile dall’alto,
senza pietà troncherai il tuo respiro.
Abbraccia, abbraccia tua madre dolcemente così...
Oh! dolce il palpitare del tuo corpo!...
Per niente allora io ti ho dato il mio latte quando eri in fasce...
Per niente ho sofferto, mi sono ammazzata di lavoro per te!
E adesso...mai più ancora...un’altra volta... abbraccia la tua mamma,
tienti stretto a chi ti ha dato la vita, avvolgi le tue braccia attorno alle mie spalle
e dammi un bacio...
Greci, che avete inventato torture da selvaggi,
perché ammazzate questo bambino che non ha nessuna colpa!?
Elena, tu non sei figlia di Zeus!
Sono sicura che hai avuto molti padri;
prima di tutti il Genio del Male, poi quello dell’Odio, e del Delitto,
e della Morte e di tutti quanti i mali nutre la terra.
Non ti ha dato la vita Zeus, tu hai portato distruzione a noi e ai Greci.
Vorrei che tu morissi!
A causa dei tuoi occhi bellissimi sono andate in rovina le terre dei Troiani.
E allora prendetelo, portatelo via, gettatelo giù se volete gettarlo giù!...
Dividetevi la sue carni!
Noi siamo stati annientati per volontà degli dei
e non possiamo allontanare la morte da questo bambino.
Nascondete questo mio misero corpo, gettatelo sulla nave.
Io vado alle mie belle nozze dopo aver perduto il figlio che era mio!

CORIFEA – Troia città infelice!
Quante vite hai perduto
per una sola donna e le sue nozze orrende!

TALTIBIO – Sù bambino, lascia l’abbraccio della tua povera madre,
cammina fino alle torri,
là è stato deciso che tu muoia.
Ma queste cose dovrebbe dirle chi è più crudele di me.

ECUBA – Figlio, bambino del mio povero figlio,
tua madre ed io siamo private della tua vita contro ogni giustizia.
Che sarà di noi?
Che cosa posso fare per te, mio povero bambino?
Io ti offro questi colpi sul mio capo e sul mio petto,
questo solo ho il potere di ordinare!
Io soffro per la mia città, io soffro per te,
che cosa deve ancora accadere per la nostra rovina?

 

 

TERZO STASIMO

CORO

STROFE I

Oh Telamone, re di Salamina ricca di api
che abitavi nell’isola dove di là dal mare
sorgevano i sacri colli dell’Acropoli
su cui Atena fece crescere il primo ramo del lucente olivo,
corona ed ornamento della splendida Atene!
tu venisti, venisti gareggiando in valore
con il figlio di Alcmena armato dell’arco
per distruggere Troia, Troia nostra città;
venisti a Troia un giorno dalla Grecia...

ANTISTROFE I

...e per la prima volta Eracle, adirato per la perdita dei bellissimi cavalli,
portò con sé il fiore della Grecia, e sul fiume impetuoso, il Simoenta,
fermò la nave, legò le gomene e colpì con la freccia Laomedonte;
e poi distrusse con il fuoco avvampante le mura costruite con la squadra del Sole,
e devastò la terra di Troia; e la sua lancia insaguinata per due volte
con altrettanti assalti distrusse tutt’intorno le mura della terra dei Troiani..

STROFE II

E inutilmente ti aggiri, fanciullo prediletto, Ganimede
fra le brocche e il vasellame d’oro a riempire,
incombenza bellissima, le coppe di Zeus.
Mentre la terra dove sei nato la divora il fuoco
e le spiagge marine risuonano di gemiti,
le Troiane come un uccello che stride sui suoi piccoli
piangono gli sposi, piangono i figli, piangono le vecchie madri.
Perdute le tue piscine rugiadose, scomparse le arene dei ritrovi giovanili,
tu invece mantieni un aspetto smagliante di bellezza e di grazia impeccabile
accanto al trono di Zeus,
mentre le lance dei Greci hanno distrutto la terra di Priamo.

ANTISTROFE II

Amore, amore
che un giorno sei venuto nelle case di Dardano padre di Troia
e sei caro agli abitanti del cielo,
oh! come innalzasti allora questa città
stringendola in legami di sangue con gli dei!
Non voglio parlare delle colpe di Zeus;
ma la funesta luce dell’Aurora dalle candide ali, cara agli uomini,
senza emozioni guardò la città, guardò la rovina della rocca,
pur avendo nel suo letto uno sposo di questa terra, padre dei suoi figli,
che una quadriga di stelle rapì e portò via, speranza grande per la terra patria.
Ma l’amore degli dei per Troia si è dileguato.

 

 

TERZO EPISODIO

MENELAO – Com’è luminosa questa giornata!
Finalmente avrò nelle mie mani mia moglie Elena!
Perché io sono Menelao, e ho sofferto, ho sofferto!...
e con me tutto l’esercito. E poi, sono venuto a Troia
non come tanti credono per colpa di una donna,
ma contro un uomo che approfittò della mia ospitalità
e se la portò via da casa mia.
Gli dei però gliel’han fatta pagare,
a lui e alla sua terra sconfitta dalle nostre armi.
E allora vengo qui proprio per portar via quella disgraziata...
non dico volentieri il nome di quella che un giorno era mia moglie:
in queste tende assegnate alle prigioniere
è stata calcolata come tutte le altre donne di Troia.
Quelli che con fatica l’hanno riacciuffata con le armi
mi hanno accordato di ucciderla, a meno che
invece di ammazzarla
io non voglia di nuovo riportarla in Grecia, nella nostra terra.
A me però sembra più giusto di non decidere a Troia la sorte di Elena,
ma per nave condurla invece fino in Grecia, e là farla uccidere,
a vendetta di quanti amici sono morti qui.
Sù compagni, andate a prenderla nelle tende,
portatela qui trascinandola per quella chioma responsabile di tante uccisioni!
E appena i venti saranno favorevoli, la spediremo in Grecia!

ECUBA - Sostegno della terra,
tu che la terra abiti, chiunque mai tu sia,
difficile a capirsi, Zeus,
sia tu legge di natura,
sia essenza razionale degli uomini,
io ti supplico,
perché tu muovendo per strade silenziose
guidi ogni azione e fai giustizia.

MENELAO – Ma che succede?
Che strane preghiere stai facendo agli dei?

ECUBA – Io ti approvo, Menelao, se ucciderai tua moglie.
Ma quando la vedrai vattene via
perché non ti prenda con la forza del desiderio.
Perché con uno sguardo conquista gli uomini,
distrugge le città, dà fuoco alle case,
questo è il potere del suo fascino! Io la conosco,
e anche tu e tutti quelli che ha fatto soffrire!

ELENA – Menelao, questo inizio mi spaventa!
Mi trascinano fuori dalle tende con la forza i tuoi servi!
Purtroppo lo so, si può dire che mi odii; eppure voglio farti una domanda:
in che disposizione d’animo sono i Greci, e come sei tu, rispetto alla mia vita?

MENELAO – Non si è deciso ancora niente,
ma tutto l’esercito ha affidato a me di ucciderti perché tu mi hai offeso.

ELENA – Mi è almeno concesso di difendermi contro questa decisione,
perché se muoio, si sappia che muoio ingiustamente?.

MENELAO – Non sono venuto qui per ascoltare i tuoi discorsi,
ma per ucciderti.

ECUBA – Stai a sentirla Menelao, che non muoia senza questa soddisfazione,
e lascia a noi la possibilità di risponderle, tu non sai quanto male ha fatto a Troia.
Ma tutto quanto io dirò la annienterà, non potrà sfuggire alla morte!

MENELAO – E’ una concessione inutile, ma se vuole parlare,
va bene, glielo accordo solo per rispetto a quanto hai detto tu
- voglio che lei lo sappia – e non per usarle un riguardo.

ELENA – Forse non mi risponderai,
sia che sembri parlar bene, oppure male
perché mi consideri nemica.
Ma siccome immagino quali sarebbero le accuse che mi faresti,
parlerò come se rispondessi alle tue parole contrapponendo le mie accuse alle tue.
Prima di tutto,chi ha dato origine ad ogni male è stata quella lì,
perché ha fatto nascere Paride.
Poi è stato un vecchio pastore a mandare in rovina la città e anche me,
perché non ha ammazzato quel bambino, Alessandro,
un tempo sognato dalla madre come tizzone ardente.
E devi sentire ancora com’è andato il resto.
Questo ragazzo ha dato il suo giudizio alle tre dee riunite.
Il dono di Pallade ad Alessandro era
che come capo dei Troiani avrebbe annientato la Grecia.
Era gli aveva promesso di concedergli il dominio assoluto sopra l’Asia
fino ai confini con l’Europa se Paride avesse fatto vincere lei.
Cipride poi, incantata della mia bellezza, gli aveva promesso di darmi a lui
se lei avesse superato le altre dee.
E così le mie nozze salvano la Grecia: perché non siete dominati da altri popoli,
non siete stati costretti a difendervi, né siete stati conquistati.
Mentre però la Grecia in tutta questa storia
ha avuto una bella fortuna, io sono stata rovinata: venduta per la mia bellezza,
e schernita da quelli che avrebbero dovuto incoronarmi.
Tu stai per dirmi che non sto ancora parlando di quello che riguarda il matrimonio...
e perché me ne sono andata di nascosto da casa tua.
E’ arrivato, accompagnato da una dea non da poco,
lo spirito del male figlio di questa qui,
chiamalo come vuoi, Alessandro o Paride che sia.
E tu non ti vergogni?, l’hai lasciato in casa tua e su una nave
sei partito da Sparta per andartene all’isola di Creta.
E questo basti!
Allora a questo punto vorrei chiedere, non a te, ma a me stessa:
che cosa avevo in mente dentro di me
quando ho seguito quell’uomo straniero e ho lasciato la mia terra e la mia casa?
Rimprovera Afrodite e sii più forte di Zeus che comanda tutti gli altri dei,
ma di quella è schiavo: a me quindi il perdono.
Adesso potresti farmi un discorso accettabile:
quando Alessandro se ne è andato all’altro mondo,
le nozze volute dalla dea non c’erano più,
e allora avrei dovuto lasciare quelle tende e raggiungere i Greci:
è proprio questo che ho tentato di fare!
Possono dirlo i soldati a guardia delle torri, le sentinelle delle mura!
Più volte mi hanno sorpresa
mentre con delle corde cercavo di calarmi fino a terra.
Ma mi ha rapita Deifobo: questo nuovo marito
mi tenne come moglie anche se i Troiani non volevano.
E come allora dovrei dunque morire giustamente,
per opera tua, sposo mio, io che ho sposato Paride per forza
e invece di ricevere riconoscenza dalla mia patria
sono vissuta addirittura come schiava?
Se poi tu vuoi vincere gli dei, pretendi una cosa da pazzi.

CORO – Regina, aiuta i tuoi figli e la tua terra. annienta la sua capacità di convincere,
perché parla bene anche se è perfida... e una cosa così è tremenda!

ECUBA – Prima di tutto voglio farmi alleata delle dee.
Dimostrerò che questa qui non dice la verità.
Perché non posso credere che Era e Pallade siano arrivate a un punto tale di stupidità
che l’una voleva vendere la Grecia ai barbari
e l’altra voleva che Atene fosse soggetta ai Troiani:
loro, per uno scherzo, per un po’ di civetteria se n’erano andate sul Monte Ida.
Ma per quale motivo la dea Era avrebbe avuto tanta smania di bellezza?
Poteva forse ottenere uno sposo migliore di Zeus?
Oppure Atena andava a caccia di mariti fra gli dei,
lei che aveva chiesto al padre di rimanere vergine perché odiava il matrimonio?
Non far passare da stupide le dee per dar lustro alla tua malvagità!
Tu non puoi convincere chi è intelligente.
E poi hai detto una cosa davvero ridicola: hai detto che Cipride è andata con mio figlio
a casa di Menelao: ma allora non poteva rimanersene tranquilla in cielo
e trasportarti a Troia con tutta la tua città?
Mio figlio era proprio una bellezza,vedendolo ti sei fatta tutta una passione:
gli uomini danno sempre la colpa ad Afrodite, e amore e stoltezza sono la stessa cosa.
Tu l’hai visto, tutto splendente nelle vesti del suo paese,
carico d’oro, l’hai amato subito pazzamente.
Tu te ne andavi in giro per l’Argolide senza poi tanti mezzi;
lasciando Sparta tu speravi di caricare le tue spese
alla nostra città perché era piena d’oro, e la casa di Menelao
non ti bastava per il lusso sfrenato che volevi!
E questo basti!
Tu dici che mio figlio ti ha portato via con la forza:
ma chi degli Spartani se n’è accorto?
hai forse chiesto aiuto, sono accorsi i tuoi fratelli,
Castore e Polluce, ancora uomini, non ancora saliti fra le stelle?
Poi sei arrivata a Troia, e i Greci sono venuti a cercarti;
si è iniziata una lotta mortale:
se sapevi che vinceva questo qui, allora tu lodavi Menelao,
così mio figlio si tormentava perché aveva un grande rivale in amore;
se le cose andavano bene per i Troiani, Menelao non valeva più niente.
Tu stavi dietro soltanto alla fortuna come se volessi inseguirla,
della vera virtù non t’importava.
E poi dici che cercavi di scappare calandoti con le corde dalle mura,
come se tu fossi rimasta tuo malgrado nella città?
Quando mai sei stata sorpresa a metterti un laccio al collo
o ad affilare un coltello per ucciderti,
questo dovrebbe fare una donna onesta che rimpianga lo sposo di prima.
Eppure, quante volte ti ho dato dei consigli, parlandoti e parlandoti...
Va via di qui, figlia mia, mio figlio si troverà un’altra...
Ti aiuterò io stessa a nasconderti dentro le navi greche...
Fa che i nostri ed i Greci smettano di lottare...
Ma era un discorso che non faceva per te.
Nella casa di Alessandro tu ti divertivi a essere insolente,
ti piaceva essere adorata dalla nostra gente,
ne provavi un’enorme soddisfazione.
E dopo tutto questo tu ti presenti qui acconciata con cura
e hai il coraggio di stare di fronte a tuo marito! Sei spregevole!
Avresti dovuto presentarti con umiltà, in abiti dimessi,
tremando di paura, i capelli rasati, tutta presa dalla nostalgia,
non piena di superbia per gli errori compiuti!
Vuoi vedere dove va a finire il mio discorso, Menelao?
Rendi onore alla Grecia, fai morire questa qui
come ti sembrerà più giusto,
e stabilisci per le altre donne questa legge,
che chiunque tradisca il marito, deve morire.

CORO – Menelao, ripaga questa donna
in modo degno degli antenati e della tua casa.
Evita che i Greci ti rimproverino per la tua debolezza,
ti sei dimostrato valoroso verso i nemici!

MENELAO - Tu sei d’accordo con me sul fatto che questa qui
se n’è andata di sua volontà da casa mia per entrare nel letto di un altro.
Afrodite l’ha inserita nel discorso solamente per darsi delle arie.
Tu pagherai tutte in una volta le lunghe sofferenze dei Greci,
così non mi offenderai più.

ELENA – Ti prego mi butto in ginocchio ai tuoi piedi non uccidermi!
Non far pesare su di me una colpa che è soltanto degli dei!
Perdonami!

ECUBA – Non tradire i tuoi compagni che lei ha ucciso,
ti scongiuro per quei morti e per i loro figli!

MENELAO – Basta così, vecchia! Di lei non me ne importa niente!
Dirò ai miei soldati di portarla fino alle navi.

ECUBA – Non lasciarla salire sulla tua stessa nave!

MENELAO – Ma perché? Credi che peserà molto di più?

ECUBA – Non c’è amante che non ami per sempre.

MENELAO – Fino a quando il cuore di chi ama non cambi atteggiamento.
Comunque farò come vuoi tu, non salirà sulla mia nave.
In fondo non dici male, e quando arriverà in Grecia morirà come merita
e imporrà a tutte le donne di comportarsi con saggezza.
Non è cosa facile, ma la morte di questa qui
incuterà spavento anche alle donne peggiori.

 

 

QUARTO STASIMO

CORO

STROFE I

Così, Zeus, tu hai abbandonato ai Greci
proprio il tuo tempio a Troia e il tuo altare profumato
e le fiamme delle offerte
e il fumo della mirra che si spande nell’aria
e la rupe sacra della città... e dell’Ida,
dell’Ida le valli coperte di boschi e fiorite d’edera,
bagnate dai ruscelli che scendono dai ghiacciai,
e la vetta colpita per prima dal sole,
la luminosa casa a te sacra!

ANTISTROFE II

Finiti i sacrifici fatti in tuo onore...
i canti sacri nella notte...
le feste preparate per gli dei...
e le statue d’oro, e i dolci in forma di luna,
dodici di numero, immagini del nostro paese...
Io voglio, io voglio sapere
se tu che sei potente
inaccessibile sul tuo trono celeste...
tu pensi a tutto questo
mentre la mia città è distrutta,
incenerita dall’impeto del fuoco...

STROFE II

Caro... caro mio sposo... tu sei morto...
e ti aggiri senza pace...
senza che io ti abbia lavato con l’acqua...
senza che ti abbia potuto seppellire...
e una nave veloce, spiegando le vele...
mi porterà in Grecia...
tra alte mura di pietra.
Alle porte della città
un gruppo di bambini
piange avvinghiandosi alle madri...
Una ragazza grida “Mamma mi portano via da sola...
lontano dai tuoi occhi...
mi portano sopra una nave nera...
forse all’isola sacra di Salamina...
forse alla punta della terra che guarda i due mari...
dove hanno le porte le case di Pelope...”.

ANTISTROFE II

Oh! Io spero! Io spero!
quando la nave di Menelao starà in mezzo al mare
che il il fulmine il dio lo scagli con tutte e due le mani
proprio in mezzo alla nave,
perché lui mi porta via dalla mia città,
dalla mia terra, serva in Grecia,
mentre la figlia di Zeus, quella Elena,
starà a specchiarsi come una signora!
Oh! Io spero! Io spero!
che lui non riesca mai a raggiungere Sparta,
né la casa di suo padre,
e la città dov’è il tempio di Atena,
perché ha ripreso quella disgraziata,
vergogna della Grecia potente,
triste rovina della nostra terra!

EPODO

Ahi! Ahi! Disgrazie nuove si mutano in nuove disgrazie
per questa terra!
Guardate donne di Troia il corpo di Astianatte...
Lo portano i Greci che lo hanno ucciso...
lo hanno gettato dalle torri senza pietà!...

 

 

ESODO – QUARTO EPISODIO

TALTIBIO – Ecuba, una sola nave è rimasta qui
ed è pronta a trasportare quello che resta
delle prede del figlio di Achille,
e lui stesso, Neottolemo, è già partito
perché ha saputo di nuove sventure
per Peleo, Acasto lo ha cacciato dalla sua terra.
Perciò se ne è andato più presto di quanto avrebbe voluto,
e con lui è partita Andromaca.
Mi ha fatto versare molte lacrime mentre si allontanava sulla nave,
perché piangeva la sua terra e mandava ancora un saluto
alla tomba di Ettore. Lei ha scongiurato di seppellire questo corpo
che era del figlio del tuo Ettore ed è morto precipitando dalle mura.
E ha pregato che questo scudo di bronzo, che una volta
spargeva il terrore fra i Greci quando il padre se ne copriva il petto,
non fosse portato nel suo regno, appeso nella stanza dove Andromaca,
madre di questo morto, si sarebbe dovuta congiungere con lui,
e le avrebbe ricordato un dolore,
ma di seppellire il bambino sullo scudo
invece che in una bara di legno e di pietra,
e di affidarlo alle tue braccia,
perché tu seppellisca il morto con pepli e corone
come meglio potrai nelle condizioni in cui ti trovi.
Andromaca è partita e la fretta del suo padrone
le ha impedito di dar sepoltura al bambino. Noi, sì,
quando tu avrai adornato il corpo, noi dopo averlo ricoperto di terra,
allora leveremo l’ancora.
Fai dunque al più presto quello che ti è stato chiesto.
Una sola cosa ho già fatto io, te l’ho risparmiata:
sono entrato nel fiume e ho lavato il corpo,
ho fatto scorrere l’acqua sulle ferite
e ora vado a scavare una fossa per lui,
così che unendo quanto tu farai con quello che io faccio,
sia possibile spingere al più presto la nave verso casa.

ECUBA – Mettete a terra lo scudo rotondo di Ettore,
io lo rivedo con tristezza.
Greci, voi vi inorgoglite per l’uso delle armi
piuttosto che usare la mente con saggezza.
Perché avete avuto paura di un bambino?
Perché avete commesso ancora un nuovo delitto?
Perché forse lui avrebbe riscattato la caduta di Troia?
Non valete dunque proprio niente,
perché quando Ettore aveva fortuna in battaglia,
noi eravamo annientati da un’altra innumerevole schiera di soldati:
adesso la città è stata presa, i Troiani distrutti,
e voi avete paura di un bambino così?
Io non approvo questa paura, perché non passa attraverso la ragione.
Oh caro, caro, che brutta morte hai avuto!
Se almeno tu fossi morto per la tua città,
dopo aver raggiunto la giovinezza,
le nozze e il potere che rende pari agli dei,
saresti stato felice, se la felicità sta in queste cose:
questi beni tu li hai visti e conosciuti,
ma non hai potuto farli tuoi, figlio mio,
e pur avendoli in casa, non hai potuto usarli.
Poverino, queste mura hanno rovinato il tuo capo ricciuto
che tua madre copriva di baci: adesso dalle ossa
frantumate esce il sangue, e non voglio dire cose più tristi.
Oh mani, voi ripetete le forme delicate di quelle del padre,
ma mi state davanti senza vita! Oh cara bocca
che delle volte mandavi tanti strilli, sei morta; mi hai mentito
quando ti gettavi addosso a me e mi dicevi:
“Madre, io per te, sì, mi taglierò una grande ciocca
dei miei riccioli e condurrò sulla tua tomba un gruppo di compagni
per portarti un saluto affettuoso”.
Non sei tu a seppellirmi, ma io che sono vecchia,
senza più patria, senza figli, sppellisco te
che sei tanto più giovane! Ohimè! ti accarezzavo,
ti guardavo mentre dormivi, tutto finito!
Che cosa potrebbe scrivere un poeta
di te, sulla tua tomba un giorno?
Che i Greci hanno ucciso un bambino per paura?
Che vergogna per la Grecia!
Tu non hai avuto niente delle ricchezze di tuo padre,
avrai almeno questo scudo di bronzo, sarà questa la tua tomba.
Scudo che hai difeso il braccio robusto di Ettore,
hai lasciato che andasse in rovina proprio chi aveva cura di te!
Come mi è cara questa impronta del suo polso
sulla tua imbracciatura e sugli orli il sudore che a Ettore
nella fatica cadeva dalla fronte, quando se lo accostava al mento!
Portate, radunate qui gli ornamenti per questo povero morto,
come è possibile in queste circostanze, perché la nostra sorte
non ci dà tanti mezzi, ma tutto quello che abbiamo, lo avrai.
E’ sciocco chi tra gli uomini si rallegra
perché crede che gli vada sempre bene:
la fortuna per sua natura si sposta qua e là,
come un uomo insensato, e nessuno mai è sempre felice.

CORO – Ecco, queste donne ti portano,
per adornare in modo degno il bambino,
pepli e veli delle spoglie troiane..

ECUBA – Figlio, la madre di tuo padre
non ti mette quegli ornamenti che erano tuoi,
vinti un giorno fra i compagni nelle gare coi cavalli
né in quelle dell’arco, giochi che i Troiani amano senza eccedere;
tutto ti ha tolto Elena, anche la vita ti ha preso
e ha mandato in rovina la tua casa.

CORO – Ahi! Ahi! mi hai toccato il cuore, mi hai toccato...
Tu un giorno saresti stato per me il grande signore di questa città!

ECUBA – Ma gli ornamenti delle vesti troiane
che tu avresti dovuto indossare nel giorno del tuo matrimonio
con la più nobile delle donne dell’Asia, li depongo io
sul tuo corpo. E tu, caro scudo di Ettore,
tu che gli hai dato infinite vittorie, ricevi questa corona di fiori:
anche sepolto non morirai insieme a lui, è giusto onorare te
più che le armi del furbo e perfido Ulisse.

CORO – Ahi1 Ahi! Che amaro lamento!
La terra ti accoglie, figlio mio!
Piangi, intona gemendo, madre...

ECUBA – Ahi! Ahi!

CORO – ... il lamento dei morti!

ECUBA – Ohimè!

CORO – Oh sì, per i tuoi dolori insopportabili!

ECUBA – Io ti curerò le ferite fasciandole,
come uno che di medico ha il nome e non il potere...
A tutto il resto penserà tuo padre fra i morti...

CORO – Colpisci, colpisci il tuo capo!
Percuotilo con la mano...ahi...mè...ahi...mè...

ECUBA – O donne o care...

CORO – Ecuba, siamo con te! Che cosa vuoi dirci?

ECUBA – Volontà degli dei sono state le mie sofferenze,
e Troia fra ogni altra città hanno scelto per il loro odio,
invano abbiamo offerto animali per sacrificarli a loro.
Ma se un dio si fosse gettato sulla nostra terra,
e ci avesse distrutto da cima a fondo,
noi saremmo rimasti oscuri,
non saremmo stati esaltati dalle Muse,
non avremmo offerto materia di canto per gli uomini del futuro...
Andate, seppellite il morto nella misera tomba,
ha ormai gli ornamenti che è giusto mettere ai morti...
Ma io credo che a chi è morto poco importi se riceve ricchi onori,
questo è solo un motivo di superbia dei vivi...

CORO – Ahi! Ahi!
Povera madre che in te aveva riposto
le speranze più grandi della sua vita!
E tu che tutti giudicavano felice
perché eri nato da una famiglia nobile,
sei morto in modo così atroce!
Ahi! Ahi!
Ma chi vedo agitare dei tizzoni ardenti?
Qualche nuova disgrazia sta per cadere su Troia!

TALTIBIO – Soldati che siete stati scelti per incendiare questa città,
vi ordino di non avere incertezze, appiccate il fuoco,
così, dopo distrutta Troia, partiremo allegri verso casa!
Voi ragazze, quando i capi del nostro esercito daranno il via alle trombe,
dovete arrivare alle navi per salpare. E tu, vecchia, andrai con loro.
Questi soldati vengono a cercarti da parte di Ulisse,
a cui la sorte ti ha assegnato come schiava.

ECUBA – Ah! Questa è ormai l’ultima delle mie disgrazie,
io vado via dalla mia patria, la città è invasa dal fuoco.
Affrettati, mio vecchio piede, anche se con fatica,
voglio ancora salutare la mia infelice città.
Troia, una volta tu vivevi grandiosa fra i barbari,
presto perderai il tuo nome glorioso. Ti bruciano!
e ormai ci portano via schiave dalla nostra terra.
Ahimè! o dei! Ma perché invoco gli dei?
Anche prima li invocavo, e non mi hanno ascoltato.
Sù, corriamo verso l’incendio, la cosa più bella per me
è morire nel fuoco insieme alla mia patria.

TALTIBIO – Tu deliri, disgraziata, per le tue disgrazie.
Prendetela, non esitate, dobbiamo metterla nelle mani di Ulisse,
è il suo premio di guerra.

ECUBA – Ahi! Ahi! Ahi! Ahi!
Zeus, signore di questa terra, nostro padre,
vedi quale trattamento indegno della nostra stirpe
dobbiamo soffrire?

CORO – Lui vede.
La nostra grande città non è più una città,
è morta, Troia non c’è più!

ECUBA – Oh! Oh! Ohimè!
Troia brucia! E la rocca di Pergamo è arsa dal fuoco
e la città e le mura fino in cima...

CORO –Annientata dalle lance dei Greci, questa terra sparisce
come un’ombra di fumo da un’ala nel cielo.
Le case sono in fiamme...Il fuoco le consuma...

STROFE

ECUBA – Ahi, terra che hai nutrito i miei figli!

CORO – Ahi! Ahi!

ECUBA – Figli, ascoltate la voce di vostra madre!

CORO – Col tuo lamento tu chiami i morti!

ECUBA – Con tutta la mia infelicità mi prostro sulla terra,
la percuoto con tutte e due le mani.

CORO – Anch’io come te mi inginocchio
e invoco i miei uomini da sottoterra.

ECUBA – Siamo prese...Siamo portate via...

CORO – Dolore...dolore è il tuo grido!

ECUBA – Siamo trascinate schiave
lontano dalla nostra patria!
Ahi! Priamo, Priamo, anche se sei morto senza sepoltura,
senza amici, almeno non hai visto la mia fine!

CORO – Perché una nera pietosa morte
chiuse i suoi occhi, lui non vide le stragi...

ANTISTROFE

ECUBA – Oh! templi!...Mia amata città!...

CORO – Ahi! Ahi!

ECUBA – Fiamme di sangue e lance vi distruggono!...

CORO – Presto cadrete... senza nome più
nella nostra amata terra!

ECUBA – E la cenere che vola come fumo nell’aria
non mi farà più vedere la mia casa...

CORO – E il nome di questa terra svanirà...:
Ogni cosa sparisce in un modo o nell’altro...
Così Troia non esiste più.

ECUBA – Vedete? Udite?

CORO – Sìììì...Il fragore della rupe!

ECUBA – La scossa...la scossa tutta sommergerà la città...
Ahi! Terribili dolorosi squilli di tromba, guidate il mio passo!
Accompagnatelo nel giorno infelice della mia schiavitù.

CORO – Ahi! città infelice!
Ma nonostante tutto questo volgi il tuo passo verso le navi greche.


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