Le ragioni dei vinti

di Luigi M. Lombardi Satriani

Ripetere ancora una volta la grandezza dell’opera di Euripide può apparire a ragione esercizio del tutto inutile o segno di notevole presunzione.
Se un autore, quale questo grande tragico, attraversa i secoli con un discorso ancora oggi eloquente, deve senz’altro esserci un motivo forte e non sarà il nostro riconoscimento ad aggiungere intensità di comunicazione all’opera.
Più che una sottolineatura ulteriore della grandezza di Euripide, dunque, può non essere inutile soffermarsi un momento su alcune specificità di Troadi e sui tratti caratteristici di questa traduzione di Maricla Boggio.
La crudeltà della guerra costituisce il fulcro di Troadi: la violenza che si abbatte su di loro, la sopraffazione fatta loro patire, la prigionìa, la schiavitù.
La vicenda vittoriosa dei Greci viene qui filtrata dall’occhio dei vinti, dalle parole di chi questa vittoria subisce nell’uccisione dei familiari, nella propria cattività.
E’ un’altissima meditazione sull’ingiustizia assoluta della guerra, sull’arroganza autoreferenziale dei vincitori, sulla loro impermeabilità alle ragioni dei vinti, ai quali non resta altro sbocco che tradurre il dolore conquistandolo come linguaggio, per cui questo testo si pone esso stesso come discorso che è sofferenza liberata nelle parole, in analogia con l’immagine espressa da una corifea: “Pianto è sofferenza liberata nelle lacrime”. Più in particolare, è sofferenza delle donne oggetto di conquista e di spartizione tra i Greci, che fa emergere da un lato la brutalità ottusa dei vincitori, dall’altro riconferma soggettività e dignità alle vinte.
In tutta la vicenda tragica sono proprio le donne, la loro dignità di madri e di spose, le loro rivalità, le loro scelte di ordine sacrale, che emergono in monologhi o in dialoghi nei quali vengono delineate dimensioni private, modalità culturali e testimonianze di una irredimibile regalità.
Nel monologo di Cassandra, come nel dialogo tra Ecuba e Andromaca, come in quello fra Elena e Menelao, non soltanto si dispiegano le vicende personali, ma vengono rappresentate sensibilità ed intelligenze che trascendono il destino biologico, pur essenziale delle donne, nel quale troppe volte vengono costrette in ruoli tipizzati.
Vicenda mitica nella quale è adombrata una reale esperienza storica, questa, organicamente inserita nella cultura greco-classica di cui è parte. Essa si declina nel mito, interpretazione poetica del mondo e sua fondazione attraverso la rappresentazione dei bisogni di fondo delle umane società; il dolore, il pianto, l’amore, la violenza, la crudeltà e la necessità della pietà, attraverso i miti vengono continuamente reinventati e, trovando orizzonte di discorso, consentono anche una loro continua attualizzazione.
Sono queste a mio avviso le ragioni per le quali un testo come Troadi possiamo oggi intenderlo nella sua classicità e, contemporaneamente ma non contraddittoriamente, assumerlo attraverso la nostra sensibilità di testimoni di altre vicende, di altre sopraffazioni e violenze, non meno feroci, non meno devastanti. E sono queste ragioni che forse hanno indotto Maricla Boggio ad accostarsi a questo testo, a tradurlo, a utilizzarlo didatticamente nei suoi corsi all’Accademia, a riproporlo ancora una volta oggi.
Sappiamo come la traduzione non sia operazione innocente o univoca. Essa comporta scelte precise, volontà di mantenimento di alcune forme e rifiuto di altri moduli linguistici, per cui la traduzione si pone anche come reinvenzione di quel linguaggio, sua riorganizzazione.
Maricla Boggio già altre volte si era confrontata con i classici greci, riproponendone traduzioni e spettacoli. In Troadi mantiene i diversi livelli del linguaggio, i ritmi relativi alla variegata tipologia dei parlanti, la ricchezza delle metafore, la fantasiosa espressività delle divinità, elementi tutti che trasmettono la suggestione del mito, mantenendo la sacralità dei personaggi, delineati nella loro specificità; il linguaggio risulta quindi moderno, ma non come se fosse “tradotto” nella modernità. E’ una scelta che a me appare pienamente convincente, perché si accompagna armonicamente alla estrema attualità delle tematiche, reso così con una persuasiva e fluida forza comunicativa. Nessuna forzatura; ogni tratto sembra “naturale” anche quando evocativo e lontano. Vengono così rese, con tutta la loro carica di suggestione, l’eloquenza del mito, la seduttività fondante della poesia. Continuano così a riecheggiare, pur con altri suoni, le parole di Euripide, di sofferenza e di amore.

Amore, amore
che un giorno sei venuto nelle case di Dardano padre di Troia
e sei caro agli abitanti del cielo,
oh! come innalzasti allora questa città
stringendola in legami di sangue con gli dei!
Non voglio parlare delle colpe di Zeus;
ma la funesta luce dell’Aurora dalle candide ali, cara agli uomini,
senza emozioni guardò la città, guardò la rovina della rocca,
pur avendo nel suo letto uno sposo di questa terra, padre dei suoi figli,
che una quadriga di stelle rapì e portò via, speranza grande per la terra patria.
Ma i l’amore degli dei per Troia si è dileguato.


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