Note per Sibilla di Mario Prosperi

Sibilla, nome di una protagonista che viene da un'isola non nominata, ma luogo di una "origine del linguaggio" (Creta? Cipro?), suggerisce come immediatamente pertinente uno stile "metafisico". (Non erano i fratelli De Chirico originari di Creta?). L'isola da cui Sibilla viene a cercare un padre non conosciuto è a sua volta elemento simbolico che invade la scena alla maniera "metafisica" (appunto) mediante un pacco di dimensioni "spropositate" che si presenta alla vista come "il discobolo di Mirone impacchettato da Christo". Dal pacco esce sabbia e colui (il padre) che lo ha ricevuto ne intende subito la natura metaforica: "Che straordinaria idea: l'isola dentro casa".
Così gli spazi sono ariosi e comunicanti, le figure assorte e iconicamente predefinite come citazioni "meta" letterarie.
L'isola viene a invadere con sabbia e conchiglie la casa tappezzata di libri dell'autore Ascanio Andrei, così come la memoria di un amore (rimossa) torna a invadere la geometrica razionalità della attuale "casa" (l'Accademia) in cui l'autore vive in maniera narcisisticamente autoreferenziale, accudito come da una possessiva perpetua dalla sua stessa sorella maggiore (divorziata) Alina. Andrei vive nel circolo vizioso del suo narcisismo ordinando tesi di laurea a studentesse adoranti sui racconti che egli stesso scrive.
L'arrivo di Sibilla, a lui ignota fino a questo incontro, scompagina il suo equilibrio come un autentico "oracolo", poiché essa nacque da una relazione con una donna che lo scrittore amò in un'isola non italiana, dove si trattenne come ricercatore in un periodo successivo alla laurea, di cui rimane traccia in un'opera giovanile scritta nella lingua dell'isola.
Il rimosso si fa centrale nella sua coscienza e nella sua vita, ma a questo non regge: un provvidenziale convegno letterario in Libano lo sottrae per il momento alle conseguenze della sua paternità, ma dovrà ben tornare, e anche Sibilla tornerà... L'oracolo di cui è portatrice è forse l'augurio di poter ritrovare un destino, a partire proprio da una vitale ma rimossa "isola" della propria esperienza? Il seme prodotto allora (in ogni senso) da cui il racconto "L'isola", in una lingua "originale", dopo di allora non più usata, si pone con urgenza come quello che gl'indica una figlia "sibilla" per uscire dal proprio autoavvitamento? Ed è questo un augurio che viene rivolto a tutta l'attuale letteratura italiana?

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