E’ un “immenso bagaglio di umani dolori e di umanissimi sbagli” il materiale su cui Maricla Boggio, Raffaella Bortino e Francisco Mele hanno lavorato realizzando così questo volume di grande impatto per la drammaticità della condizione di cui parla e per l’universo problematico che delinea.
Quest’opera sollecita considerazioni su piani differenziati e da una molteplicità di angoli visuali, compreso, anche se non in forma esclusiva, quello antropologico ( donde la sua collocazione nella Collana di Antropologia Culturale).
E’ significativo, infatti, che l’universo giovanile presente attualmente nella comunità terapeutica manifesti peculiarità diverse dalle generazioni precedenti, testimonianza ulteriore che il mondo dei giovani non resta immutato, ma a seconda delle trasformazioni della società recepisce variazioni e pone una diversa accentuazione ad alcuni tratti culturali che lo caratterizzano.
Tali variazioni sono evidenti nelle storie che Maricla Boggio ha scritto facendo riferimento a decenni precedenti quelli relativi ai casi del dialogo a tre. Flora e Guidomaria sono protagonisti di due fasce giovanili di diversa connotazione rispetto alle attuali; vi si rispecchiano innumerevoli giovani che hanno provato su se stessi droga e disagio, con differenti reazioni da parte delle famiglie.
Lo svolgersi delle storie viene riassunto nei suoi tratti essenziali ed esso riceve luce di verità attraverso il processo di elaborazione letteraria. Si conferma così ancora una volta che, contrariamente a quanto solitamente viene affermato, non è tanto la letteratura a raggiungere, a volte, la verità, ma è la verità a dispiegarsi come letteratura, secondo l’invito rivoltoci, in anni ormai lontani, da Leonardo Sciascia con il suo lucido sguardo sulla società del nostro tempo.
Francisco Mele rivela che “i tossicodipendenti di questo periodo presentano caratteristiche differenti da quelli di venti/trent’anni prima; non sono disillusi dalla politica in quanto non hanno fatto scelte in questo campo; si drogano per noia, per emulazione, soprattutto nell'ambiente circoscritto alle discoteche, alle palestre, ai campi sportivi, alle playstations dove non si discute sulle finalità della società e sul proprio ruolo in essa, a cui pure questi giovani appartengono e di cui dovranno in futuro assumersi le responsabilità”. Fornendo un suo specifico apporto teorico al dibattito contemporaneo egli, “in contrapposizione alla società della disciplina secondo Foucault”, definisce la nostra società come post-nevrotica; in essa si “delinea una situazione ancor più drammatica: la perdita dell’autorevolezza e dell’autorità da parte di genitori ed insegnanti riguardo al ruolo di educatori; predomina in loro il sentimento di impotenza e la sensazione di essere in ostaggio di un ruolo che viene ad essi imposto dall’ordine giuridico in quanto responsabili sia come padri che come insegnanti”.
Uno degli aspetti più rilevanti è l’assenza di voglia di vivere nei giovani sofferenti, per i quali persone, oggetti, mete scolorano progressivamente sino a ingrigirsi in un orizzonte plumbeo. E’ quella crisi di perdita di semanticità del mondo che tanta narrativa contemporanea ha efficacemente descritto (si pensi ad esempio alle opere di Sartre e di Camus), non a caso ampiamente utilizzata da Ernesto de Martino negli appunti preparatori per l’opera sulle apocalissi cuulturali e psicopatologiche, parzialmente apparsi postumi, com’è noto, ne La fine del mondo a cura di Clara Gallini.
Scolorimento del mondo e condizione di abulìa nei giovani, ma anche, e decisivamente, disinteresse sostanziale per loro da parte di generazioni precedenti, data anche l’attuale temperie culturale sempre più improntata a un rifiuto dell’assumersi specifiche responsabilità, a evadere dalla propria irrinunciabile funzione di trasmissione di valori e mete culturali. In una situazione siffata, il richiamo alla responsabilità può apparire atteggiamento obsoleto o, ancor peggio, “moralistico” con tutta la connotazione negativa che tale termine oggi ha assunto e che tende a estendersi, oltre che al moralismo, a qualsiasi considerazione di ordine morale.
Aspetto molto importante è, inoltre, la diversa provenienza etnica di questi giovani; si parla molto oggi della nostra società come società multietnica, ma non si sono ancora indagati adeguatamente i drammatici costi dell’incontro/scontro tra appartenenti a etnie diverse, le cui difficoltà sollecitano a volte la soluzione illusoria della droga, la fuga cioè in una dimensione apparentemente liberatrice.
Il materiale qui raccolto è frutto di numerosi anni di lavoro da parte di Raffaella Bortino. In particolare è l’impegno sulla doppia patologia a caratterizzare un impegno che non limitandosi alla gestione della tossicodipendenza, si fa carico di quelle situazioni “inguaribili” per le quali, fra l’altro, non esiste una adeguata legislazione.
Nell’ampio dialogo che ha con i due interlocutori, Raffaella Bortino delinea il contesto socioculturale in cui sorge la sua prima comunità terapeutica e le vicende che segnano le diverse tappe di questa e delle sue successive iniziative seguendo in parallelo il mutamento della società e delle varie esigenze insorgenti in essa. La terapeuta ci presenta un mondo della disperazione in cui sono immerse figure di varia umanità, ognuna con la sua specifica storia, ma tutte accomunate da una dimensione di sopraffazione e violenza..
Il capitolo “Le martoriazioni” presenta in particolare donne segnate da incesto, violenza, torture autoinflitte che una volta conosciute difficilmente possono essere ignorate per il carico di sofferenza e di drammaticità che testimoniano, nonostante che da parte delle protagoniste spesso non emerga la consapevolezza di tutto ciò, come non emerge in altre storie di giovani ugualmente segnati dalla sopraffazione e dalla indifferenza. Anche la storia della “coppietta dei belli come due cuori”, espressione mutuata dall’idioma torinese, testimonia tale indifferenza e la perdita dei livelli di valutazione e di graduazione di valore.
I casi qui presentati, tratti dal lavoro quotidiano di Raffaella Bortino nella comunità terapeutica da lei fortemente voluta e che ha rappresentato in Italia la prima iniziativa specifica del trattamento della doppia diagnosi, delineano un ambito problematico che può essere ulteriormente approfondito da una molteplicità di punti di vista e di prospettive disciplinari, tale è la ricchezza di tematiche che essi testimoniano. Si tratta infatti di casi scelti emblematicamente a descrivere dal di dentro una condizione di disagio su cui spesso la società preferisce non soffermarsi, facendola oggetto di una sostanziale rimozione.
Riflettendo su tali storie, gli autori le recepiscono ognuno dal proprio angolo visuale e sviluppano una serie di considerazioni critiche, ponendo in risalto i diversi aspetti di esse e segnalando le carenze normative, formative e sociali rispetto a cui deve quotidianamente scontrarsi la clinica in una società apparentemente protesa per il soddisfacimento di tutti i bisogni.
Viene a risaltare, inoltre, quel processo di diffusa burocratizzazione che, attenuando progressivamente la tensione utopica, ha contribuito all’instaurazione di un atteggiamento sostanzialmente inadeguato nella pratica terapeutica.
Storie di uomini e di donne, paradigmi di umanità marcati spesso dall’emarginazione sociale, altre volte dalla mancanza degli affetti, dalla violenza, dal dolore, dall’ansia autodistruttiva. Storie di esistenze che si consumano nella disperazione o nell’indifferenza che comunque è una diversa forma di disperazione, che si affollano sulla scena di questa nekuia chiedendo di fatto, quali larve, che prima di inabissarsi nell’oblìo e nell’invisibilità sociale si tenga conto di quanto esse hanno patito, di quanto non hanno avuto di ciò che umana la vita conferendole il suo ineludibile tepore.
Proprio per questa carica di emblematicità, per questa dimensione di insostituibile testimonianza del vissuto, per quest’ordine di riflessioni critiche che Maricla Boggio, Raffaella Bortino e Francisco Mele sviluppano dall’immenso bagaglio di cui si è detto, il contributo che questo volume dà alla conoscenza dell’universo delle dipendenze e del disagio è particolarmente rilevante.
Tale volume non concorre soltanto a dilatare l’ambito della nostra consapevolezza scientifica, ma offre strumenti atti all’elaborazione di una politica, sia sul piano legislativo che su quello concretamente operativo, all’altezza dei drammi che qui vengono così efficacemente segnalati.
indietro