La Monaca Portoghese
Presentazizone di Luigi M. Lombardi Satriani

per il saggio

Le lettere d’amore di una monaca vissuta nel Seicento possono costituire una ghiottoneria letteraria e lo sono state se si pensa al numero delle dizioni apparse nei diversi paesi.
Ma l’edizione che qui si introduce, a cura di Maricla Boggio, pur ponendo in risalto la poeticità del testo,non si limita alla valutazione estetica di questa sofferenza amorosa letterariamente espressa; si fa carico anche della emblematicità di tale vicenda, che viene ripercorsa con tensione critica restituendo al discorso di Mariana il suo essere poesia, ma anche il suo essere presa di coscienza.
La storia di un amore – e ogni storia di amore è, pur con le complicità, la violenza e l’oppressione di cui si carica, ricapitolazione e rifondazione del mondo – diventa così, per Maricla Boggio che vi si accosta con intelligente delicatezza, occasione per ricostruire un processo di maturazione e per delineare tratti del movimento religioso femminile.
Oltre che una messa a fuoco di una personalità che la sofferenza affina e spiritualizza, abbiamo così l’inquadramento problematico di una serie di tensioni e di fermenti femminili che trovarono, nelle diverse epoche, quello sbocco che era loro consentito, in una società dominata da una rigida divisione-stratificazione tra i sessi.
All’esigenza femminile di affermare la propria identità e di autorealizzarsi nel sociale, che restava dominato da una logica e da un quadro di valori virilocrativi, la società seicentesca rispose – ed è risposta che parte da più lontano e giunge più lontano – attraverso l’interdizione della maggior parte degli ambiti e l’attribuzione di alcuni spazi, ben definiti, nei quali le donne potevano dirsi protagoniste tollerate. Si tratta dello spazio del sacro – nei suoi molteplici piani, dal divino al deminico, e nelle sue molteplici valenze -, del mistero, della morte. Anche l’amore – con i suoi equivoci, “la menzogna dell’Eros e l’Eros della menzogna” (Fontana), e con il suo potere di rinnovamento e di conferimento di senso – rientra in questo ampio orizzonte di sacralizzazione cui vengono preposte le donne, “l’infinita preoccupazione del loro cuore” di cui parla Rilke.
Sappiamo che la negazione di una sostanziale eguaglianza si realizza non solo attraverso l’attribuzione ideologica di inferiorità, ma anche attraverso l’esaltazione acritica di una non meglio specifica “superiorità”. Dalla negazione dell’anima della donna alla sua angelicazione, la donna, mai eguale, è stata definita da un sapere maschile che, come tutti i saperi delle nostre società, si è costituito in potere.
Eppure, il quadro, qui richiamato per rapidissimi cenni, resterebbe incompleto se non venisse detto anche altro, se non si ricordasse come, nonostante e a dispetto della logica di potere, l’aver affidato alle donne la gestione del sacro abbia comportato, oltre la ghettizzazione, un potere culturale enorme, le abbia esaltate di fatto come persone, le abbia costituite come detentrici di sapere e garanti della continuità culturale. Una società sacra – nei suoi quadri di riferimento, nel suo protocollo di valori, anche se non nella sua pratica – non può scherzare col sacro, né può strumentalizzarlo, anche se può tentare di farlo e illudersi di farlo.
Anche la società contadina tradizionale – la cui cultura è data da quel folklore oggi divenuto oggetto di ambigue operazioni finalizzate al consumo, ma anche testimonianza di “diversità culturale” e di “resistenza all’integrazione egemone” – affida alle donne la dimensione del sacro e con ciò stesso, al di là di tutte le discriminazioni inflitte, consegna loro la sua stessa possibilità di sopravvivenza, la sua necessità di dispiegare le azioni dentro quadri di riferimento simbolici.
Si intende che tutto ciò andrebbe analizzato in aree specifiche, con rigorosa differenziazione storica e con profonda attenzione alle specifiche modalità, analogie, differenze, ma qui si vuole soltanto accennare a una problematica spesso macroscopicamente assente nella cultura urbanocentrica e genericamente iconoclasta. E anzitutto dovrebbero essere posti in risalto i differenti significati assunti nelle diverse epoche, alla “scelta” religiosa, l’intreccio di dipendenza e autonomia, pur sempre relativa, che la condizione monacale comporta, le stratificazioni interne a tale mondo del chiostro.
Non potrà essere facilisticamente contrapposto all’ambito familiare e sociale, di violenza e di costrittività, quello monacale, fantasticato “libero” e agevolante processo di autorealizzazione. Anche in questo la logica di potere e il suo costitutivo ordine del discorso sono presenti e la condizione di monaca assume connotazioni estremamente diverse in connessione con i mutamenti della società.
Eppure, una cultura discriminatrice, che istituisce ghetti per delimitare il “diverso”, etichettandolo e circoscrivendo rigidamente il suo ambito di azione, incontra qui il suo limite e pone, involontariamente, le premesse per la sua negazione, il suo superamento. Contraddizione, paradosso, vendetta della storia, il rimosso riemerge sulla scena dicendosi come soggetto.
Analogamente, il discorso della verità ha occultato per secoli il discorso vero; “il primo ha formulato, teorizzato, imposto, per secoli, un concetto ufficiale e normativo della verità, verità del sapere, che era, in ultima istanza, la verità del potere; il secdondo ha preso su di sé, in forme ironiche, derisorie, segrete, fruste, allusive, traslate, trasgressive e infine scientifiche, a partire dal XVII secolo, la verità vera, quella per cui i sofisti sono stati banditi dalla città, il Savonarola e Giordano Bruno sono finiti sui righi, Campanella ha trascorso trent’anni in carcere, Galileo ha dovuto ritrattarsi di fronte all’Inquisizione, Mrx è vissuto di stenti e Freud ha tenuto i suoi corsi a Vienna davanti a un pubblico di cinque persone”( A. Fontana, La scena, in AA.VV.. Storia d'Italia, vol. I, Torino, Einaudi, 1972). Ma la parola di Galileo, di Marx, di Freud permane nella realtà attuale, che si è svolta contro quella di chi ha inflitto loro persecuzioni e silenzio.
Ancora, nella dialettica signoria-servitù, è il Servo, come sappiamo, che può iniziare il movimento che negherà il Padrone, liberando entrambi.
Infine, la società maschile elimina dal suo orizzonte la centralità del sentimento, relegandola alla dimensione femminile ed è questa a riproporla quando le logiche della realizzazione secondo potere, l’assolutizzazione del lavoro, lo scientismo, l’efficientismo organizzativo e produttivistico, entrano irrimediabilmente in crisi, assieme al sistema di morte che hanno creato. I dominati, i diversi, i marginali rientrano prepotentemente sulla scena che li aveva rimossi e negati; i muti della Storia diventano soggetti del discorso, il silenzio si articola nel linguaggio intelligibile.
Certo, per una figura che si dice soggetto, che ritorna, migliaia e migliaia restano nell’opacità di una sofferenza subìta, mutilate dal dominio che le ha rese oggetto, nei costi umani di questa crudele dialettica sono stati calcolati e non sono forse calcolabili.
A Mariana Alcoforado, monaca a Beja, fanno muto riscontro i fantasmi di quante hanno subìto sul loro corpo il destino di esclusione e sono sparite senza traccia, vittime cui è stata negata la possibilità di essere almeno testimoni.
“Mariana non poteva prevedere che il suo dolore segreto sarebbe potuto diventare l’espressione di una rivendicazione politica, ma oggi si moltiplica in quelle che la ricreano per ripercorrere modernamente il sacrificio umano, l’intolleranza impulsiva che allora non conosceva il suo valore e che adesso lo conosce e lo afferma”.
Non è soltanto una storia individuale che Maricla Boggio delinea, accostandosi alla monaca portoghese, ma una riflessione sulla realtà femminile, che legge con impegno femminista, anche, ma senza ripetere drasticità di giudizi, meccanicità e terrorismi valutativi.
Così, la conclusione critica risuona anche come moderna epigrafe per una lontana vicenda. “Nella difficile conquista della rivendicazione intellettuale, più che nella disinvolta pratica del sesso e dell’arte di amare, Mariana riscatta una condizione femminile di schiavitù. Anche oggi è più facile acquisire libertà di costumi sessuali che reale libertà intellettuale: a conclusione della sua esperienza di amore, a prezzo della verifica che la felicità, per un attimo trovata e poi irrimediabilmente perduta, è impossibile, Mariana riesce a conquistare il bene prezioso e pesante della ragione”.


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