Su di un lettino da psicanalista è seduta una donna: abbigliamento moderno, di chi è abituata a lavorare per ore fuori casa.
Davanti a lei, lo psicanalista silenzioso, invisibile, identificabile con il pubblico.
La musica della “Medea” di Cherubini, lontana, poi sempre più presente, mentre intorno si fa luce.
Abiti e acconciature di epoche e civiltà diverse in mucchi divisi qua e là, in attesa che un recesso della memoria li vada ad individuare, facendoli rivivere.
CANTO — Del fiero duol che il cor mi frange
nulla mai vincerà l’orror!
O figli miei, o figli miei,
io v’amo tanto! Miei tesor!
E pensai di passarvi il cor
La musica e il canto si ripetono più volte. Medea vi è immersa, gli occhi enormi, tutta protesa ad ascoltare immedesimandosi.
La donna seduta si riscuote dalla fissità.
MEDEA — E solo adesso mi appare
quello che avrei potuto essere in passato …
Medea sì, Medea ... innamorata del suo uomo a tal punto da volerlo ammazzare
perché lui ama
un’altra donna … e quest’altra lei desidera
che muoia soffrendo, volendo ucciderla
con l’inganno ... e i figli, che lei ama
perché sono suoi, costati
la libertà degli anni migliori
… i figli sospesi tra l’amore esclusivo di lei
e l’odio perché sono anche di lui …
CANTO DI MEDEA — Del fiero duol che il cor mi frange
nulla mai vincerà l’orror
Con gesto di fastidio Medea scaccia la musica, quei sentimenti elevati, quella passionalità animalesca e irrazionale. Il canto tace.
MEDEA — Sono passate migliaia di anni.
Ma questa cosa selvaggia rimane intatta dentro di me.
Cerco di farmi forza e di ragionare.
Ripeto la mia storia, per capirla io stessa per prima.
Adesso Medea è stesa sul letto.
Febbrile e lucida inizia il racconto.
MEDEA — Tutto ciò che Giasone fa passare per posizioni
e analisi sue, sono invece i miei sforzi per fargli capire che nella nostra unione tutto è stato sbagliato.
Prima temevo tanto di perderlo, ché non c’erano limiti alla mia totale disponibilità, alla mia assoluta sottomissione. Così lui cercava in me la madre, e della donna che io ero non si è mai preoccupato. Questa donna era un essere che pensava, che voleva agire ed esprimersi autonomamente. Lui mi ha spinto nel ruolo di madre fino a soffocarmi. La moglie che voleva era quella madre che lo nutriva nel corpo e nel sesso, non la compagna che all’inizio ogni donna pensa di poter essere per il suo uomo. Così ero tagliata fuori da ogni possibilità di esprimermi. Solo l’affetto che avevo per lui mi ha permesso di non impazzire. Ma era amore quello? Era il senso avido e inappagato di sentirsi utile, necessaria come un oggetto di cucina, come uno spazzolino da denti, indispensabile come una lavabiancheria.
Mi sono resa conto, dopo anni, che rischiavo di diventare arida per sempre, se non amavo più me stessa. Perché quell’amore che sentivo per lui, era un rapporto fra carnefice e vittima, fra schiavo e padrone. Ogni mattina, in fretta alzarsi e correre in cucina, mettere al fuoco il caffè, poi il latte e il tè, e i biscotti nel vassoio, e una fetta di limone se ha il capriccio di cambiare, e qualche volta la cioccolata, se quando arrivavo nella camera da letto mi faceva capire che l’avrebbe gradita. Semplici attenzioni che può offrire ogni donna al suo uomo, ogni uomo alla sua donna, muri di pietra se ogni gesto è ripetuto ogni giorno ... ed è uno solo dei due a ripeterlo. Per non impazzire mi sono trovata un lavoro. Un lavoro qualsiasi, quasi infame …
Cucivo, dal mattino alla sera. Reggipetti, con la rosellina ai centro dove si uniscono le coppette. E mentre facevo su quella rosetta, pensavo a quanti seni di donna avrebbero contenuto, pronti ad offrirsi con amore a uomini distratti e inconsapevoli. Quel lavoro mi sembrava un divertimento, rubavo le ore alla casa, pulivo più in fretta i pavimenti, a tavola non cambiavo i piatti, e i bambini andavano in giro con le camicie un po’ sporche; era la mia libertà . I bambini erano contenti. Ormai erano abbastanza grandi, non dovevo preoccuparmi continuamente di loro. Al mattino andavano a scuola, il resto delle ore in cui ero fuori stavano a casa dei loro compagni. Lui invece la prese molto male. Cominciò ad andare dallo psicanalista. Ma più ci andava, più affioravano i problemi, e stava ancora peggio. Venne fuori che tutti i miti in cui aveva posto la sua sicurezza avevano subito un duro colpo dalla mia presa di coscienza, Il maschio madrone, il patriarca giudice assoluto ... tutto questo si afflosciò perché io cucivo reggipetti fuori casa, e parlavo con altre donne di problemi uguali ai miei, di mariti uguali a lui, di desiderio d’amore diventato così grande da uscire dalle pareti domestiche per andare a conoscere il mondo. Questo mio Giasone malato guarì. Si rese conto, cioè, che non c’era niente da fare. Prese il mio lavoro come un male necessario. Piuttosto che ammettere la sua sconfitta, si convinse che c’era bisogno di quel denaro, e che era giusto quindi che io aiutassi il bilancio. Non accettò che io avessi scelto di lavorare perché volevo vivere in un mondo che non era quello dove lui era l’unico padrone, e sue le leggi e gli orari e i comandi. Cominciarono le recriminazioni, le bugie, il tentativo di distruggermi psicologicamente. Non mi parlava più di sé, si chiuse dietro uno schermo negandomi le sue confidenze, nascondendomi i suoi sentimenti, I figli sembrava capissero che qualcosa stava cambiando in casa. Lui cercava di stargli più vicino, tentava di imitare quello che io avevo fatto fino ad allora,e si sforzava di copiare i miei gesti di un tempo, gli slanci affettuosi, certe cose che a me neppur più riuscivano. Perché io mi ero accorta che non ero felice, e quindi non potevo far felici i miei figli. Gli davo il latte, li lavavo, li coprivo di baci. Erano adulti ancora in via di crescere, io li trattavo come esseri soltanto bisognosi di cure materiali. Ma a lui non riusciva di riempire quel vuoto. Come avrebbe potuto, quei moti dell’animo non li aveva mai sperimentati con me, lui stesso se ne era privato!... Era così immaturo, che non sopportava che io stessi crescendo. Così mi ha lasciato.
Io tutto questo lo facevo, sì per me, ma anche per lui, perché imparasse a diventare un uomo. Lui invece si sentiva privato della madre, inventò le sofferenze ricattatorie e i ricatti sentimentali fino a minacciare il suicidio. Rimase piccolo, mentre io diventavo adulta. Alla fine l’avrei forse preso per mano, avrei ricominciato a guidarlo con tenerezza infinita, ma senza gioia ... Forse lui lo sapeva. Il desiderio di capirmi era durato un attimo. Ma capire veramente era faticoso; e forse lui uomo non giudicava dignitoso per un uomo distogliersi dal proprio cammino per cercare di capire una donna. Meglio rimanere nella posizione di chi vuole essere capito, facendosi una nuova schiava, per vocazione inevitabile da parte di ogni donna che ambisca a un rapporto con un uomo.
Giasone si rifugiò in un’altra. Credette di trovare in lei le risorse fresche di una persona non consumata da anni di convivenza. Che cosa ho provato quando ho saputo?Non so. Delusione e paura. Questo fatto non me lo aspettavo. E subito, un desiderio di vendetta. Su di lui. Su di lei. Come doveva essere accaduto alle donne del mito. Prede usate come bestie. Anche le regine, anche le maghe. Come Medea greca.
Un silenzio. Il bisbiglio lontano di antiche parole. Come un rigurgito dalle profondità dell’animo.
Suggerite in greco, le parole prendono consistenza in italiano nella bocca della moderna Medea che quasi a forza le esprime. Una immensa acconciatura serpigna, un nero manto amplissimo giacenti da una parte, Medea li afferra ascoltando come rapita le misteriose armoniche parole. Indossa il tutto ed è Medea greca.
VOCE — Korìntiai günàikes ... exéiton dòmon ... mè moi ti mèmpséste …
MEDEA — (febbrile, come ricordando una parte antica, da ripescare nella memoria. Il classico “copione”)
Donne di Corinto…
Questo fatto che non mi aspettavo …
questo fatto che si è abbattuto su di me …
ha distrutto la mia anima …
Io me ne vado …
Ho lasciato il piacere della vita …
Desidero morire, amiche!
Per me lui era tutto …
Io lo so, io lo so bene,
e il peggiore degli uomini è diventato lui, mio marito!
Di tutti gli esseri che hanno vita
Di tutti gli esseri che hanno coscienza
Siamo noi donne l’essere più infelice!
Per prima cosa dobbiamo comprarci un marito
spendendo ricchezze esorbitanti.
E dobbiamo prenderci un padrone del nostro corpo,
questo è un male più doloroso dell’altro.
Poi è un rischio gravissimo:
se l’abbiamo preso cattivo o buono.
Non sta bene che una donna si separi,
e non è possibile ripudiare il marito.
Se il marito non sopporta come un peso
il ménage e vive volentieri con noi
che ci siamo date da fare
perché tutto andasse per il meglio,
allora è una vita invidiabile,
se no, meglio morire.
E quando un uomo non ne può più
di stare con quelli dentro casa
esce, va cogli amici,
con quelli della sua età …
Noi dobbiamo invece guardare quella sola persona.
Dicono che noi in casa viviamo
una vita senza pericoli,
mentre loro in guerra combattono,
ma ragionano male.
lo preferisco star tre volte
a lottare corpo a corpo
piuttosto che una volta partorire.
Vorrei ottenere da voi soltanto questo:
se trovo qualche mezzo, qualche sistema
per far pagare a mio marito quello che si merita, tacete!
La donna è piena di paura per tutte le altre cose
e vile per la lotta e per le armi,
ma quando è offesa nel suo letto,
non c’è cuore più assetato di sangue.
VOCE — Uk éstin alle frèn miaifonotéra
Medea esce come da un incubo. Si toglie acconciatura e mantello, li getta da una parte, riemerge tremante, stremata.
Dall’alto cadono una camicia, un paio di pantaloni, un paio di slip da uomo. Medea il afferra, li stringe con impeto.
MEDEA — Mi ha detto che era stato a letto con lei,
me lo ha detto mentre stavamo facendo l’amore.
Non so se mi ha fatto più male sapere
che era stato con un’altra,
o quando mi ha gridato “Con lei posso parlare,
con te no!”
Con me lui sa di potersi permettere di dire tutto,
tanto non smetterò mai di amarlo.
Almeno, questo è quello che lui crede,
sono stata io a farglielo credere,
perché avevo bisogno di crederlo io stessa.
Lui è incapace di affrontare la realtà.
Non sa quanto si spende per mangiare,
non sa quanto costano i figli, i loro abiti,
i libri per fa scuola, si stupisce che io faccia dei debiti.
E questa sua incapacità
di adeguarsi al mondo esterno,
lui l’ha proiettata su noi due,
si è illuso sostituendomi,
di risolvere ogni problema.
Con me non può più fingere, ogni bugia è caduta.
Sfinita, Medea abbandona gli indumenti, è il flusso della memoria che si addentra nel profondo: avvolta nel telo che ricopre il letto, simile a un uovo, a un essere prenatale.
Si aprirà poco per volta, come emergendo.
MEDEA — Ci sono stati lunghi anni
pieni di dolore e di ira repressa,
di odio mascherato d’amore
per paura di perderlo,
di rimanere sola di fronte a una me stessa che non conoscevo
e di cui avevo paura,
anni in cui io lo elogiavo e lo ammiravo …
L’accordo allora era totale e profondissimo —
Giasone entrava in me fiducioso
di trovare il suo porto e il suo cibo —
uno dopo l’altro,
legami d’amore e vincoli di schiavitù
per me confinata nella casa
di fonte a lui sempre più fiero di quel regno crescente.
E quando i figli rischiarono
di mettere a disagio la sua pace
— la mia se n’era andata via da tempo,
ma per lui c’era la stanza silenziosa
e il cibo pronto e i vestiti stirati —
quando i figli rischiarono di mettere a disagio
la sua pace …
non negai il suo piacere,
glielo conservai come una schiava serena,
tenendo tutto per me il tormento.
Sapevo che i figli sarebbero arrivati
ancora e ancora avidi di venire al mondo,
chiamati dal nostro desiderio
irresistibile …
Li spensi prima che venissero alla luce
nella cavità oscura del mio ventre,
li spensi con dolore ma con fermezza,
per amore della loro impossibile felicità,
per amore di lui figlio più grande
bisognoso di affetto,
geloso di dividerlo con chiunque,
quelli furono i miei delitti,
mi fu più facile perché non sentii le loro voci,
non vidi i loro volti che somigliavano a lui,
li allontanai dalla vita pregando
che non sentissero male.
Ma quelli che vivono
devono essere felici
con accanto un padre e una madre.
Io non so se potrò essere madre
lontano da lui,
e se lui potrà essere padre
con accanto per moglie una ragazza …
Medea si rialza dal lettino perduta in sensazioni legate ad un passato che la supera di millenni.
Un sussurro di parole latine si avvicina fino a diventare frasi distinte.
VOCE — Haec cum foemineo constitit in choro:
unius facies praenitet omnibus
Quando appare questa ragazza in mezzo alle altre
la sua bellezza supera tutte
Un peplo romano e un pugnale cadono dall’alto accanto a Medea. Lei afferra il peplo e se ne avvolge ascoltandola voce. Poi afferra il pugnale, contemplandolo stupita.
MEDEA — Invoco la folla degli spiriti silenziosi,
e voi divinità dei morti
e il cieco Caos
e l’oscura casa del tenebroso dio dell’al di là
E gli antri della squallida Morte!
Anime, sottraetevi ai vostri tormenti
correte ad assistere a questo nuovo matrimonio!
Anche tu adesso astro delle notti, invocato
dai miei sortilegi, discendi con l’orrore minaccioso
della tua triplice fronte!
Secondo il costume della mia gente,
ho disciolto per te da ogni nodo la chioma,
ho percorso a piedi nudi foreste inesplorate,
ho chiamato a raccolta le acque da cieli senza nubi,
ho trascinato i mari negli abissi, il mondo dell’aria
ha visto confusi insieme il sole e le stelle …
Ho sconvolto l’ordine delle stagioni!
Al mio canto la terra d’estate è fiorita
come di primavera
e d’inverno è maturato il grano.
Il sole si è fermato
in mezzo al cielo senza più luce.
Per te divinità lunare
intreccio con le mie mani
questi nastri sanguinanti
che un serpente annoda in nove spire …
Serpi …
sangue …
cenere …
veleni antichi …
Per te offro un sacrificio solenne
sulla terra insanguinata.
Per te accendo la fiamma notturna
di questa fiaccola raccolta fra le tombe …
Per te inizio i miei canti piegando il capo su e giù …
Per te questo nastro mi tiene i capelli
come vuole il rito delle cerimonie funebri …
per te agito questo ramo emerso
dall’onda triste del fiume dei morti …
Per te
scoprendomi il petto
come una Baccante
mi ferirò le braccia
con il coltello sacro …
Il mio sangue è già sull’altare!
Questa mia mano deve imparare a stringere una lama,
deve versare il sangue di chi mi è caro.
Ecco. Ho fatto uscire questo liquido sacro dalla mia ferita.
Ora ti prego ti prego
tingimi tu di veleno
questa veste destinata a Creusa
Si toglie la tunica.
in modo che appena la indossi,
il veleno la bruci
come una fiamma fin dentro le ossa!
Che la sua chioma in fiamme
vinca le fiamme delle fiamme nuziali!
L’incantesimo ormai è compiuto
Medea ritorna esausta verso il lettino.
Come un’eco le parole latine, prima alte poi fino a farsi flebili e a sparire.
VOCE — Adsuesce, manus, stringere ferrum,
carosque pati posse cruores!
……
Peracta vis est omnis
… peracta vis est omnis
MEDEA — Ma che senso avrebbe uccidere quella creatura …
Una povera ragazza imbrogliata come lo sono stata io
tanto tempo fa …
quando almeno lui era bello e giovane …
certo un po’ meno benestante di oggi …
ma pieno di speranze e di entusiasmi.
Così lei oggi,
con le sue speranze di oggi
in cuor suo segretamente è sicura
di cambiare quanto di lui non ama.
Oh come vorrei farle capire
che sarà vittima anche lei.
E’ di nuovo il flusso profondo della memoria ad emergere.
Se cominciassi adesso la mia vita
non sposerei Giasone.
Come sono brave le ragazze di oggi!
Si trovano nei loro collettivi
discutono discutono …
decidono che il maschio è superato
inutile, castrante …
molto tempo lo passano tra loro
si divertono fanno delle feste,
cantano e ballano
e sono allegre fin che restano insieme
Poi quando tornano ognuna alla sua casa,
le angosce le attese le rinunce
tutto si ripresenta tale e quale …
Le donne possono prendersi appena
qualche ora di permesso,
poi rientrano mansuete
appena un poco più misteriose …
Finché una è ragazza
ha la sua libertà.
Sposata, è moglie.
E adesso ragazza tocca a te.
Ti odiavo prima
Ero gelosa dite.
Ora ti cedo con gioia
questo peso vagheggiato come un premio.
Facile adesso dire questo per me.
Ma credi mi è costato
anni di sofferenza.
Ero incapace di esistere, io donna,
se quell’uomo non mi rivelava
ogni cosa del mondo, e me …
perfino me a me stessa.
Poi mi sono accorta che dovevo
prendere io contatto con le cose
rifiutare i ruoli
passivamente accettati
come hanno fatto generazioni di donne
con remissività e pudore
vergognose del sesso
fiere dei loro uomini
dimentiche di sé.
E mentre io stavo cambiando
anche lui cambiava
ma faticosamente
trascinato
senza voglia
rimpiangendo
la comoda incoscienza di prima.
E non cambiavano invece i problemi
contro i quali si scontrava ogni nostra giornata.
I figli avevano le solite esigenze
e lui poi ci teneva al ménage,
le colazioni i pranzi le cene
gli inviti doverosi agli amici
l’ospitalità ai suoceri
i bucati la roba da stirare
le pulizie la mutua e le bollette da pagare
banalità che unite insieme sono la vita intera.
Invece di riflettere alla nostra situazione
dovevamo correre dietro
ai meschini ritmi quotidiani …
E mentre io cercavo di pagare i conti della casa
lui se ne andava a pranzo con quell’altra
coi soldi destinati alla famiglia.
Bella giovane elegante
nella sua trascuratezza femminista
quelle camicie a colori, quelle collanine da poco
che sembravano gioielli sulla sua pelle tesa di ragazza …
l’avevo vista di lontano, una volta
che apposta per riuscire ad incontrarla
ero stata a una riunione femminista.
Io spiavo ogni faccia intorno a me
cercando di trovare quella donna
che per caso
soltanto avevo visto in una foto
trovata nelle tasche di Giasone.
Stava in mezzo a un gruppo di ragazze
dalla voce pareva arrabbiata per qualcosa ma rideva
e le altre approvavano
volavano parole che non avevo osato mai,
“maschio”, “violenza”, “sessualità”,
proibite alla mia educazione
che solo a pronunciarle - mi dicevano — ti sporcano …
Sperai che tu morissi
per qualche circostanza che non dipendesse da me...
Medea si rialza dal lettino come se avesse visto davanti a sé la rivale.
MEDEA — Ma poi tu mi sei venuta vicino.
Le altre continuavano a discutere.
E qualche parola rabbiosa
arrivava ancora fino a noi.
Eccitava anche me quel vostro linguaggio …
mi pareva una trasgressione che dava dimensioni diverse all’esistenza.
La rabbia arrivò a farmi piangere.
Era per una ragazza violentata:
erano stati ragazzi come lei,
suoi compagni di scuola,
e vi stupiva la brutalità del gesto
consumato tra amici
solo perché tra questi uno è una donna.
E anch’io ascoltavo per la prima volta forse
pensai che si dovesse tutte insieme
sentirsi offese come la ragazza
e insieme quindi chiedere giustizia.
Non pensai più.
Come un tempo avrei fatto, automaticamente, nella comoda pigrizia del pregiudizio,
che era stata lei a volersela quella violenza,
che avrebbe dovuto stare in casa,
per una donna onesta uscire era già una provocazione...
Mi sentivo cambiata
e lo dovevo a voi.
Eri vicino a me e a me ti rivolgevi
proseguendo il discorso. come se ci conoscessimo da sempre.
E fu naturale anche per me
accettare di prender parte ad un incontro
che volevate fare
prima del processo in tribunale.
Stanche,
uscimmo da quella casa allegra e diroccata
che chiamavate la vostra casa,
andammo al bar, eravamo assetate,
e a me sembrò una cosa ardita
ordinare un bicchiere di latte …
da sola al bar io non c’ero mai stata …
Dimenticai per un momento
perché io stavo lì
e perché avevo cercato proprio te.
Mi venisti vicino come prima nel cortile.
Il tuo braccio era intorno alle mie spalle,
tu così giovane così quasi mia figlia
ma io tanto più giovane di te
nell’esperienza autonoma di donna.
E parlammo camminando.
Piano piano il tuo discorso si faceva più tuo
mi raccontavi che avevi “uno” sposato,
un uomo intelligente e buono
che ti raccontava con pena nonostante quell’amore,
dei figli ... e della moglie …
E quella donna a poco a poco
prendeva forma dalle tue parole:
ero io, ma non sapevo in fondo
se riconoscermi
in quella creatura
che Giasone ti aveva raccontato
con una sofferenza in lui che mi stupiva.
La tua ansia per lei era sincera
e io ti consolai parlandoti
di non so quali cose.
Avevo nella sporta della spesa
un abito di lino indiano …
Medea tira fuori da una borsa l’abito bianco; lo farà volteggiare come se fosse indossato poi dalla ragazza.
comprato in un banco sul mercato
per consolazione, per bisogno
di sentirmi desiderata, e diversa
agli occhi di lui.
Mi parve che quell’abito
sarebbe andato meglio a te,
anch’io vi sarei stata dentro
per l’amore di lui …
Te lo diedi
e fu un dono naturale
naturalmente accettato
da te che subito ti togli
una collana di perle di corallo
e me la metti al collo
con un sorriso di nuovo spensierato.
Avevi un paio di blue jeans; sopra
hai infilato la veste bianca
e subito sei diventata una bambina,
e danzavi felice
mentre le altre si univano alla danza
e cantavano...
Medea afferra da un lato un’acconciatura seicentesca, un corsetto dorato. E’ Medea francese, splendida creatura tragica.
MEDEA — ... E Creusa ha voluto subito provarsi l’abito
L’abito bianco che prima teneva fra le dita quasi animandolo di vita, adesso lo getta via come se scottasse e a terra rimane un brandello di stoffa in fiamme.
MEDEA — Ma appena l’ha indossato ... disgraziata!
Sente d’improvviso un fuoco che la uccide …
Una fiamma si accende ... sottile …
e sparse scintille ... scorrono da ogni parte …
sul mio regalo fatale …
E Cleone ... e il Re si lanciano per spegnerlo …
Ma si aggiunge così altro motivo di pianto e di dolore …
Il fuoco afferra il Re ... che in un attimo brucia …
avvolto dal fuoco come lei …
VOCE — Est-ce assez, ma vengeance, est-ce assez de deux morts?
Consulte avec loisir tes plus ardents transports.
De bras de mon perfide arracher une femme,
Est-ce pour assouvir les fureurs de mon âme?
Que n’a-t-elle déjà des enfants de Jason,
Sur qui plus pleinement venger sa trahison!
Suppléons-y des miens; immolons avec joie
Ceux qu’à me dire adieu Creuse me renvoie.
Nature, je le puis sans violer ta loi …
MEDEA — Ma loro ... loro sono innocenti …
colpevoli di avere come padre Giasone …
Queste morti dovranno raddoppiare le sue sofferenze;
soffrirà come padre quello che sta soffrendo come amante.
Io cerco in tutti i modi di aizzare
il mio coraggio contro i figli ... eppure
la pietà lo combatte ... e si mette al posto suo.
Poi cambio d’improvviso, cedo al furore ...
adoro quei progetti che prima mi facevano orrore.
Dall’amore alla collera …
dai sentimenti di una femmina alle tenerezze
di una madre …
Cari frutti del mio amore, se io vi ho fatto nascere
non è stato soltanto per fare l’amore
con un uomo che adesso mi tradisce:
lui mi priva di voi, io di voi lo priverò...
La pietà rinasce dentro di me.
Sto per decidermi, e invece
ritorna a tentarmi.
lo non decido niente
e l’anima si perde
e rimane sospesa tra due passioni opposte …
Non voglio più pensarci
deciderà il mio braccio.
Io vi perdo, bambini,
ma sarà Giasone a perdervi.
Medea ripiomba fuori dalla dimensione tragica antica. Si libera del costume.
E’ di nuovo una donna di oggi.
Ansante, medita.
MEDEA — Né ucciderla, né uccidere i figli …
Meno di tutti, loro.
Parentela di sangue, certo, quella con lui,
dei miei figli, non solo figli a me.
Ma li amerei di meno
se li avessi trovati
senza padre né madre
strappati a un istituto?...
figli a me proprio perché
figli a nessuno.
Figli a me perché curati
ascoltati capiti
qualche volta picchiati
quando la parola non bastava …
Li amerei di meno
se il padre e la madre
fossero stati altri
morti, dimenticati, o indegni, incapaci
privati di quei figli
poi dati a me nell’adozione?...
Se tutto questo è vero
io devo strapparmi dal cuore
l’amore deluso per il padre,
e conservare l’amore
per le creature amate
non per il sangue.
Eppure …
quanti contrasti in me …
Per questi figli
si ribella la ragione
a usarli come oggetti di vendetta
mentre il cuore odia
l’uomo che li fece con me
e un istinto che non riesco a frenare mi spinge
ad uccidere lui ad uccidere loro …
Mentre Medea si raggomitola sul lettino, tormentata da sentimenti contrastanti, si sente il canto della Medea di Cherubini.
CANTO — E che? lo son Medea! lo sono madre
e li lascio in vita? Che mai fu?
Dove son? Son ciechi gli occhi miei?!
Pei figli di Giason
potei aver pietà?
Son figli miei
Se sono figli a me,
Padre è Giasone a loro!
Infelice! Infelice!
Come puoi tu pensar d’essere madre?
Come puoi ascoltar
Del cor la voce arcana?
Come omai puoi sentir
Materne ebbrezze al cor?
Or che far? Ah! Vo’ fuggir!...
Medea si rialza sopraffatta da sensazioni profonde e da antichi riferimenti che traggono origine da oscure forze incontrollabili.
Nell’aria ondeggia un abbigliamento di stile settecentesco, metastasiano. Medea vi si immerge e vi si trasforma via via mentre prosegue il canto.
CANTO — lo lascio i figli miei,
Il sangue mio diletto,
in man dell’infame!
Preceder ei mi può,
Può ferir pria di me!
No! Compirò l’impresa che il fato mi die’!
Oh, fosca Erinni! Implacabile Dea!
Distruggi nel mio sen
L’amore e la pietà!
Rendi il pugnal
Che di man mi sfuggi!
Ben io scordar farò
Un vile istante sol d’incertezza!
Oh debol cor! Tremante man!
Non sempre tu sarai dubbiosa!...
MEDEA — Ma forse in altri tempi
In termini di poesia
Si sentono accordi, come per l’introduzione di un recitativo.
MEDEA — Come erano quei versi?...
Altri accordi per un recitativo.
Medea si atteggia in quella sorta di sinuosa morbosità dolorante che è il clima del
Barocco.
MEDEA — ... Al genitor fu caro
Il sorriso dei figli,
solo inteso da noi,
E udir la prima voce
Che le madri consola. Ah! pera il giorno,
Che ignorando i miei fati
A dirti padre ai miseri insegnava.
Altri accordi.
Medea esce dal personaggio per un attimo.
MEDEA — Sì, questi erano i versi …
E il padre, sempre al centro
di ogni sentimento …
La madre a lato
ad osservare
e a soffrire tacendo …
Riprende a recitare i versi antichi. Nuovi accordi.
Ah! su quel cor voi l’innocente capo
Posaste allor che il sonno
Vi chiuse i lumi … O figli quel sonno
Più non avrete!... Nella mesta casa
Non più lieto tumulto!.., ah! niuno al padre,
Dolce cara una volta, or corre intorno,
E chiede i primi amplessi al suo ritorno.
Perfido, in te non veggo
Un segno di dolor, né di pietade
Dal labbro immoto una parola intesi …
Medea vorrebbe sbarazzarsi dell’abbigliamento settecentesco. Inizia a liberarsi dell’abito con un moto di impazienza.
Nuovi accordi, come per incitarla a proseguire in quei versi che paiono recitativi. Medea si sforza di proseguire.
Per un attimo di nuovo fuori del personaggio.
MEDEA - No.
Non è il ricordo tenero di lui.
Non è il ricordo dei figli
la dolcezza di una vita in comune
Semmai è l’odio ... ecco ... ecco ... Così …
Accordi musicali. Di nuovo i versi.
Medea è presa nel vortice interpretativo.
MEDEA — ... La mia crudele angoscia
Sdegna conforti, e compagnia non vuole …
Scorrete inulte e sole,
Lacrime di Medea ... Che! Piango!... è certa
Or la nostra sciagura, e non rimane
Che la vendetta all’odio mio tranquillo …
Osa; quel cor ferisci
Che mover non potesti ... Oh vil, tu tremi!
Oh! l’ami ancora? ... Ah no! svenarmi io deggio
Pria l’adultera infame; a lui mostrarsi
Del sangue suo fumante ... e poi ... L’iniquo
Spirar non la vedria ... Vo’ che ne miri
(Piangerai su Creusa!) i moti estremi,
Che sia l’ultimo addio per quell’infido
Fra mille angosce un disperato grido
Medea si libera definitivamente della veste settecentesca.
MEDEA - Ma perché?
Non sarebbe tragico. Soltanto
meschino, lo non potrei, no, non potrei
uccidere qualcuno, per vendetta.
Nè lei, né lui, né i figli …
Ma di questo marito ... sì ... di lui
vorrei capire la trasformazione
Perché prima mi amava ... e poi si è scelto un’altra.
Medea si accascia sul lettino, raccogliendosi in sé per interrogare la memoria. Le parole incalzano come un flusso di coscienza.
MEDEA — Ci sono stati lunghi anni in cui io l’ho elogiato e I no ammirato.
Allora c’era un accordo totale e profondissimo.
lo gli riconoscevo molti meriti, lui viveva di questo.
Ma la vita scorreva al di fuori della nostra isola felice, la realtà era ben altra.
Gli avevo fatto un comodo nido intorno, la mia voce era dolce e lui solo quella sentiva, le mie mani morbide, e lui ne aveva solo carezze.
Quando non ho voluto più, perché non ho potuto più lui è caduto.
Come se avesse battuto la testa contro le pietre.
Si è stupito guardandosi intorno di scoprire un paesaggio niente affatto confortante.
Ma perché l’avevo fatto?
Potevo continuare, l’illusione è sconfinata.
Volevo vedere se anche lui era capace di crescere. Di trovarsi la sua libertà, come io mi stavo cercando la mia.
Non era più possibile fingere. Ma lui questa libertà non riusciva a trovarsela all’esterno, nel lavoro, negli interessi e nel confronto con gli altri.
Così cerco di trovare un capro espiatorio.
Chi poteva essere? Chi gli stava più vicino, chi gli era sempre stato accanto offrendogli sicurezza.
Chi questa sicurezza gli aveva tolto, e a lui era sembrato un tradimento.
Scoprì in me la moglie. Il legame. Quello su cui credeva di avere il diritto di appoggiarsi, e invece lo aveva lasciato vacillante e solo.
Mi odiò. Poi cercò te. Un’altra donna capace di rinnovargli le illusioni …
E con te allora ha stabilito di recitare il ruolo del marito con la moglie oppressiva, noiosa, delirante.
Una di quelle mogli che non servono più, perché sono nevrotiche.
Che si sopportano in casa perché sennò chissà che cosa combinerebbero, e invece ci sono i figli da salvaguardare.
I figli che patirebbero la separazione.
I figli che devono sentire intorno a loro la mamma ed il papà …
E invece non è vero. Pare che ai figli faccia tanto bene avere i genitori separati. Una vita priva di ossessioni. Nessun litigio in casa. Volti sereni. Padre e madre a gara per stare insieme a loro, a turno.
Ma lui questo non lo voleva, lo gli ero necessaria.
Sessualmente, voglio dire.
Si era abituato a me.
Non ne poteva fare a meno.
Neppure se aveva un’altra donna.
Medea si rivolge alla rivale come se fosse presente.
Sì, stava con te, ma poi ritornava a fare l’amore con me.
Saperlo mi faceva male, ma nello stesso tempo era come una rivalsa,
Fin da ragazzi noi abbiamo fatto l’amore con un’intimità perfetta.
Qualche volta, allora …
Medea si rivolge al marito come se fosse presente.
… tu mi dicevi: “Se mai litigheremo nella vita, anche quando saremo separati, non
smetteremo di fare l’amore io e te”...
Io ridevo, mi pareva che non ci saremmo mai lasciati, non credevo possibile che altri corpi avrebbero potuto congiungersi ai nostri, creando altre perfette unità che non fossero io e te insieme …
Eppure tu hai fatto questo, e te ne sei vantato come di una cosa audace, di un gesto da maschio.
Come scossa da brividi, Medea si agita sul lettino e via via si trasforma.
Si libera degli abiti, rimane in un succinto costume che sa di beluino e di zingaresco.
Un manto di pellicce e velluti legati addosso gettato dall’alto.
MEDEA — Je ne l’entends plus. J’écoute ma haine …
O douceur! O force perdue! ... Qu’avait-il fait
de moi avec ses grandes mains chaudes?
Sì,che cosa aveva fatto di me, Giasone, con le sue mani calde? Era stato sufficiente che ne avesse posata una su di me, ed ero diventata cosa sua. Dieci anni sono passati e la mano di Giasone mi abbandona. E io ritrovo me stessa: ho sognato? sono io, sono Medea! Non è più quella donna attaccata all’odore di un uomo, quella cagna accucciata che aspetta.
Che vergogna, che vergogna!
Mi bruciano le guance al ricordo!...
lo aspettavo tutto il giorno, le gambe aperte ... amputata ... umilmente, quel pezzo di me che lui poteva dare e riprendere, quella profondità del mio ventre, che era sua … Dovevo ubbidirgli, dovevo sorridergli e agghindarmi per piacergli perché lui mi lasciava ogni mattino portandosi via me …
Ed ero così felice che lui tornasse la sera a restituirmi a me stessa …
Ho fatto tutto quello che voleva, avrei fatto di più …
E’ una febbre dei sensi che ha invaso questa Medea ormai moderna e contrastata.
MEDEA — Amputata! ... Perché sono stata creata amputata?
Perché sono nata donna? Perché questi seni, questa fragilità, questa piaga aperta nel mio corpo? Non sarebbe stato bello il ragazzo Medeo? Non sarebbe stato forte? Il corpo duro come la pietra, fatto per prendere e poi andarsene via, sicuro, intatto, integro, lui!
Ah! Avrebbe potuto venire, allora, Giasone, con le sue grandi mani formidabili. Avrebbe potuto cercare di posarle su di me!
Un coltello ciascuno, nella mano, sì!
e il più forte uccide l’altro e se ne va, libero.
Non quella lotta in cui non desideravo altro che di essere vinta, quella ferita che io stessa imploravo.
Donna! Donna!
Cagna!
Carne fatta di un po’ di polvere
e di una costola d’uomo!
Brandello d’uomo!
Puttana!
E’ dapprima un sussurro lontano. Suoni della natura. Tuoni e piogge... Lamenti e scampanii. Poi diventa una voce intelligibile. Una voce d’uomo, riflessiva e dolorosa.
VOCE Dl UOMO — Ascoltami ... Ti ho amato, Medea, come
un uomo ama una donna, all’inizio …
Ti ho dato di più che un amore di uomo,
e forse tu non l’hai saputo …
Mi sono perduto in te come un ragazzino
nella donna che l’ha messo al mondo.
Per molto témpo tu sei stata il mio paese …
la mia luce ... tu sei stata l’aria che
respiravo ... l’acqua che si deve bere per
vivere e il pane di tutti i giorni.
Tu eri per me un compagno di lotta,
non c’erano differenze tra noi
dal mattino alla sera quello che contava
era battersi contro il nemico, e tu
eri un soldato guerrigliero come me …
e c’era tra noi soltanto una differenza
di forze, ma non di tenacia, e lo spirito
e gli scopi erano gli stessi ...
Poi una sera, una sera che assomigliava a
tutte le altre, tu ti sei addormentata
con la testa sulla mia spalla ... hai ceduto al sonno
come una bambina, mentre gli altri continuavano
a discutere delle azioni del giorno dopo …
E io ti ho presa tra le braccia, delicatamente,
senza svegliarti ... e ti ho portato sul letto …
Ti ho guardata dormire, tutta la notte,
e non ti ho desiderata, ti sono rimasto vicino,
a vegliarti come un compagno …
Medea è assorta. Presa dal ricordo. Riportata indietro nel tempo.
MEDEA — Ma poi abbiamo scoperto i nostri corpi …
E di giorno combattevamo fianco a fianco,
ma la sera ci spogliavamo, ed eravamo stupiti
di riconoscerci uomo e donna
sotto le nostre divise identiche.
Ed eravamo stupiti di amarci …
Poi la guerra è finita,
e gli uomini hanno ripreso a fare gli uomini,
e le donne hanno ripreso a fare le donne.
E non è più stato bello come allora
fare l’amore tra noi.
Per te era diventato un’abitudine
e per me un ruolo.
Mi guadagnavo il pane facendo l’amore con te
un lavoro come un altro …
e altri lavori tu non mi lasciavi fare …
finché io non ho reagito …
La Medea del ricordo poco per volta si è fusa nell’immagine attuale di questa Medea da psicanalisi. La donna del presente riemerge, scuotendosi dal mantello e riallacciandosi la sua vesticciola.
MEDEA — E adesso che fare?
Io ho voluto la mia libertà, me la sono anche
conquistata.
Tu hai preferito continuare ad esistere
nell’illusione di qualcuno che crede in te.
Tu non ti sei cercato, con pazienza e disagio,
come io mi sono cercata dentro di me,
nelle mie stesse contraddizioni, come ogni donna
oggi
si cerca
scrutandosi senza pudori
vedendosi riflessa nelle sofferenze
e negli sbagli delle altre
fino ad accettare
ancora per amore non di parte
il dialogo con quel suo uomo
che l’ha distrutta come persona
ma che lei sa di dover salvare
e di amare ancora e sempre.
Medea medita, soprappensiero.
Adesso tu t’innamori di un’altra.
E io dovrei subito odiare?
Te, lei, i nostri figli perché sono anche figli tuoi …
che noiosa riproduzione di tutti gli errori del mondo …
No, lei, povera ragazza, così generosa da rischiare se stessa,
non posso odiarla, quindi non posso ucciderla ... Gelosa, forse …
un poco ... per istinto ... ma poi
che si faccia
anche lei
il suo bagaglio di dolorose esperienze...
vorrei sbagliare …
almeno lei fosse felice ...
come una volta si diceva …
E lui? Dovrei farmi amare per timore?
Medea ride. E sul punto di andarsene. Si ferma colpita da un pensiero.
MEDEA — Ah! figli!
Qualcuno crede che dovrei
forse ucciderli!?
Eh! già, la vendetta di Medea,
l’odio per tutto quanto le ricorda
il passato amore con Giasone..
il rifiuto a riprodurre la specie …
una ribellione alla natura, all’umano e al divino …
Prende un lembo del vestito, lo scosta.
Sotto, sulla carne rimasta nuda, si fa un graffio, un lungo segno rosso di rossetto che pare una ferita.
Ecco, uccidendoli farei questo:
una ferita in me stessa. Morirei un poco anch’io.
Cancella la ferita.
Niente, non farò niente.
I figli esistono e staranno con me.
Tanto finora i padri non sanno
fare i padri.
Passato l’entusiasmo,
i figli li dimenticano fino a che non son grandi,
e magari diranno “come somiglia a me!”
Padre o non padre, i ragazzi ci sono.
Quindi padre o non padre
non è il caso che muoiano.
Intorno a Medea ci sono tutti gli abiti, i mantelli e le acconciature che via via hanno dato vita alle diverse facce di Medea.
Medea attuale si fa strada fra tutte quelle cose ormai prive di vita, soltanto stracci e oggetti consunti. Vi dà un calcio dentro.
Addio ricordi ingombranti.
Il mito me lo porto dentro.
Non è facile.
Ma chissà.
Quello che vale è continuare ad amare.
Esce.
Riprende ad alto volume il canto della Callas.
CANTO — Del fiero duol che il cor mi frange
nulla mai vincerà l’orror!
O figli miei, o figli miei,
io v’amo tanto! Miei tesor!
E pensai di passarvi il cor …