Un testo teatrale vive solo sul palcoscenico. Non ho potuto vedere “Compagno Gramsci” alla prova dello spettacolo. Mi limito quindi, qui, a considerarlo come testimonianza su certo modo di fare teatro degli anni settanta: un modo importante per le implicazioni di scrittura che comporta, una scrittura che ha indubbiamente l’impronta dell’arte, con quel suo andamento di oratorio, tutta costruita sapientemente e anche, nel contempo, la validità del diretto aggancio politico; e importante dal punto di vista drammaturgico, per essere materiale offerto alla probante esperienza della scena.
Certo, un’operazione drammaturgica che prendesse avvio dal materiale costituito dalla vita di Antonio Gramsci era piena di pericoli. Pericoli formali, con quell’insidia della retorica, della celebrazione: Gramsci nell’empireo dei martiri, e il teatro di oggi che corre dietro al suo mito. Ma pericoli ben più gravi erano quelli della angolatura politica da dare al testo; la vita di Gramsci è storia patria, è vicenda ancora viva, è indubbiamente polemica. Navigare tra questo scogli è arduo, dunque: ma la bussola che Maricla Boggio e Franco Cuomo hanno tenuto in pugno è stata quella dell’equilibrio e dell’attualità, e il loro testo – mi pare – fa la cosa principale che da un testo politico del genere ci si poteva attendere, cioè porta il suo contributo, piccolo o grande che sia, alla causa dell’unità dei lavoratori. E’ un testo che va nella direzione giusta: Gramsci non come argomento o pretesto per la divisione, per il rivangare antiche e morte diatribe, per lo spaccamento in quattro del solito capello a fini diversionistici ( cosa nella quale sono espertissimi molti dei giovani d’oggi appartenenti ai vari gruppuscoli), ma come pietra miliare, come punto solido di partenza per la lunga strada che porta alla lotta comune, con chiarezza di idee ed evidenza di obbiettivi.
Il che non significa che manchi a questo Gramsci il suo lato umano e direi filosofico fondamentale, quello della problematicità. Ben lungi dall’essere agiografico e celebrativo, il testo di “Compagno Gramsci” mi pare annoveri tra i suoi meriti primi quello di presentare il suo eroe eponimo proprio come un antieroe, come uomo della discussione e della verifica, uomo del dubbio e della ricerca. Con in più, tuttavia, la determinazione della volontà, la cui molla è pur sempre l’anelito razionale alla rivoluzione ed alla emancipazione degli oppressi.
I ventisette quadri del testo hanno una loro chiara impronta didascalica, non minor pregio dell’opera, in questi tempi di oscuri pasticci gestual-fonici; didascalismo che s’accompagna e in un certo senso si può dire si riscatta con le evasioni fantastiche ( Gramsci “privato”) da una struttura ferreamente politica.
Credo di essere stato fra i primi ad aver letto “Compagno Gramsci” almeno un anno fa, così come ho sempre letto con sincera stima le fatiche teatrali di Franco Cuomo e di Maricla Boggio: mi è particolarmente caro, oggi che ho lasciato il teatro di prosa per quello di musica, testimoniare a questo testo e ai suoi autori la mia intatta solidarietà e la comune fiducia negli ideali politici, artistici e civili che l’hanno determinato.