SINTESI
Nel titolo la metafora che sembra strutturare il testo. La vita "doppiata" non solo dallo specchio che ne produce l'arte cine-teatrale, ma da quell'ulteriore filtro che, nel caso di un film in lingua straniera fornisce la voce di un doppiatore alla "maschera" del divo sullo schermo. Ma il "doppiaggio" è anche accomodamento di vita.. Dei quattro personaggi, soloTony, è estraneo a questa situazione, nato in America da discendenti di emigrati italiani). Gli altri tre, compagni a suo tempo dell'Accademia di Arte Drammatica, sono tutti transfughi. Amy è andata in America, dove ha sposato il produttore Tony ed è diventata una "star" del cinema. Guido ha scelto i guadagni del doppiaggio per sostenere il suo ménage di borghese, sposato con due figli. Lia, la più dotata come attrice si è accomodata a fare la massaia, moglie di Guido. Le due coppie si invertono: Tony ama Lia, Guido ama Amy, il "doppiaggio" si produce anche nel privato. E l'amore del tempo degli studi in Accademia sembra recuperato fra Guido ed Amy, ma sarà solo una suggestione pubblicitaria orchestrata dal produttore Tony per lanciare il prossimo film, nel quale Guido tornerà a fare l'attore.
Lia invece, benché sollecitata da Tony, ribadisce la sua scelta del "sacrificio" familiare, perdendo anche Guido che si trasferisce in America. Resta con il pensiero che, "alla fine", egli ritornerà "alla sua famiglia". Sintetizzato in tal modo il "plot", e dato conto della pervasiva azione della metafora del titolo, non si è ancora dichiarato però quale sia il "tema" sotteso all'opera increspata, sotto una superficie da telenovela, da profonde inquietudini. Guido, Amy e Lia non riescono ad esercitare, come italiani, la loro professione creativa. Amy riesce a recitare in quanto si "è buttata" nella potente industria del cinema americano pur pagando con cinismo lo scotto di un matrimonio strumentale. Guido, come doppiatore, è uno schiavo della medesima industria e Lia è schiava del ménage con Guido, sempre assente per i turni asfissianti del doppiaggio. Infine, Guido segue Amy nel "tuffo" americano, e Lia resta sola, con figli che presto la lasceranno, desolata testimone di una via forse ormai impercorribile, di uno scacco doloroso e forse definitivo. Il racconto diventa, da parte di un'autrice che all'Accademia d'Arte Drammatica ha dedicato gran parte della sua vita, una testimonianza inquieta dell'avanzante alienazione degli artisti italiani dello spettacolo. La cultura dello spettacolo, assoggettata alle logiche del capitale, assoggetta chi vi è coinvolto. Salvare la propria cultura (e la propria identità) nella rinuncia, in nome della "famiglia", ad una vita artistica che aliena? Aspettando che il ciclo in cui Guido è entrato con il doppiaggio, esaurendosi, lo restituisca alle sue "basi"? Se è così, ci coinvolge ben al di là di un caso privato.
Se si volesse dare una definizione di quest'ultimo lavoro di Maricla Boggio, "Doppiaggio", si potrebbe dire che esso si costituisce come una "Ricerca della parola perduta", non meno faticosa della celeberrima "Recherche", fatte salve, ovviamente, le innumerevoli differenze.
Anche qui una vicenda che ruota attorno alla memoria, fonte di sofferenza, rimpianto, calore; vicenda che si dispiega nel nostro tempo, denso di particolare frettolosità, di irredimibile angoscia.
Avviene così che una società sommersa dal rumore divenga irrimediabilmente afasica, nella quale si emettono continuamente suoni, ma non si parla, che sempre più sfuma, nella sbrigatività che caratterizza la nostra vita associata, la stessa possibilità di dialogo. la parola-chiacchiera ha schiacciato la parola-strumento di verità, cui tendere come conquista, non possesso definitivo da ostentare con arroganza e sazio compiacimento.
E' paradossale che Guido che dà la voce ai personaggi dei films non abbia più la propria voce, non trovi più spazio per le proprie parole, per la propria esistenza, assoggettata via via al ricatto del denaro da guadagnare a ogni costo, all'ingranaggio degli impegni che può stritolare chi si trovi, magari con insondate complicità, irretito in esso.
Il successo come meta indiscutibile; la notorietà come segnale e garanzia di vittoria nella feroce competizione del lavoro; la propria personalità, i legami, gli affetti miscelati e organizzati secondo tecniche promozionali e pubblicitarie, un'esistenza vissuta secondo copione e non secondo l'ineludibile unicità della propria concreta umanità costutiscono i tratti che Maricla Boggio ha utilizzato, con piena padronanza drammaturgica, per restituirci una vicenda emblematica del nostro tempo.
Guido, Amalia (doverosamente mutata in Amy), Tony, in parte la stessa Lia (già Ersilia) partecipano, pur con modalità e coinvolgimento differenziati, a questa gigantesca reificazione, che trasforma in "vita recitata" la stessa vita vissuta dai protagonisti, sempre più personaggi correlativamente al loro essere sempre meno persone.
Universo fittizio, come se i personaggi fossero usciti da uno schermo per invadere la scena della vita reale, non diversamente dal protagonista de "La rosa purpurea del Cairo", che sconta fuori dello schermo la sua radicale inadeguatezza. Se questo protagonista era uscito dallo schermo verso la vita, i personaggi di "Doppiaggio" escono dalla vita per andare nello schermo; fuggono dalla spigolosa concretezza del vivere nella dimensione patinata dello spettacolo, che tutto fagocita e assimila nella sua insaziata ingordigia.
Spazio residuale perché la fatica del vivere riprenda, l'esistenza di Lia, divenuta sgombra dall'egoismo e dall'affetto predatorio di Guido, nel suo riaccostarsi, con sofferta maturità, a un teatro che le restituisca e ci restituisca la leggerezza del "Gabbiano", la propria irrinunciabile verità, che è verità della poesia, del sogno, della libertà della fantasia creatrice ("Io sono un gabbiano..."), che nessun progetto mercantilistico potrà annullare.
Ancora una volta paradossalmente - ma fino a che punto si tratta di un paradosso? - chi sembrava sconfitta dalla vita è l'unica a uscire dalla vicenda in qualche modo vittoriosa, forte di una soggettività consapevolmente riassunta, anche perchè mai smarrita o barattata. Lia può così tornare a recitare; può avere pluralità di voci, perché non è stata mai afasica o meccanica ripetitrice di stereotipie verbali.
E' giusto, quindi, che attraverso Lia si inizi, in questo testo suggestivo e intenso, a celebrare sommessamente la "parola ritrovata", esatto contrario della parola perduta da tutti gli altri.
Nel titolo stesso la metafora che sembra strutturare il testo. La vita "doppiata" non solo dallo specchio che ne produce l'arte cine-teatrale, ma da quell'ulteriore filtro che, nel caso di un film in lingua straniera (e l'Italia importa l'85% del suo consumo) fornisce la voce di un doppiatore alla "maschera" del divo sullo schermo.
Ma il "doppiaggio" è anche un accomodamento di vita: le condizioni della professione "dal vivo" - in un paese che importa quasi tutto ciò che consuma - sono troppo precarie per chi vuole una vita provata con qualche comodità borghese.
Dei quattro personaggi della storia uno solo, Tony, è estraneo a questa situazione, essendo nato in America (benché da discendenti di emigrati italiani). Gli altri tre, coetanei e compagni a suo tempo dell'Accademia di Arte Drammatica, sono tutti transfughi. Amy è andata in America, dove ha sposato il produttore Tony ed è diventata una "star" del sistema cinematografico americano (ma in italiano si doppia ancora da sola). Guido ha scelto l'anonimato (e i guadagni) del doppiaggio per sostenere il suo menage di borghese, sposato con due figli. Lia, che - si fa intendere chiaramente - è la più dotata dei tre come attrice, si è accomodata a fare la massaia, moglie di Guido il doppiatore, sublimando il dispiacere della rinuncia artistica con una severa concezione del sacrificio coniugale.
Le due coppie si scindono e si invertono: Tony ama Lia, Guido ama Amy, il "doppiaggio" si produce anche nel privato. E l'amore del tempo degli studi in Accademia sembra recuperato fra Guido ed Amy, ma sarà solo una suggestione pubblicitaria orchestrata dal produttore Tony per lanciare il prossimo film, nel quale Guido tornerà a fare l'attore.
Lia invece, benché sollecitata da Tony, ribadisce la sua scelta del "sacrificio" familiare, perdendo anche Guido che si trasferisce in America. Resta con il pensiero che, "alla fine", egli ritornerà "alla sua famiglia".
Sintetizzato in tal modo il "plot", e dato conto della pervasiva azione della metafora del titolo, non si è ancora dichiarato però quale sia il "tema" sotteso a quest'opera che è increspata, sotto una superficie da telenovela, da profonde inquietudini.
Guido, Amy e Lia non riescono ad esercitare, come italiani, la loro professione creativa. Amy riesce a recitare in quanto si "è buttata" nella ben più ricca e potente industria dello spettacolo americano pur pagando con cinismo lo scotto di un matrimonio strumentale con Tony. Guido, come doppiatore, è uno schiavo della medesima industria e Lia, la migliore dei tre in Accademia, è schiava di un menage assai pesante con Guido, sempre assente per i turni asfissianti del doppiaggio.
Infine, Guido segue Amy nel "tuffo" americano, e Lia resta sola, con figli che presto la lasceranno anch'essi, come una muta e desolata testimone di una via non percorsa e forse ormai impercorribile, di uno scacco doloroso e forse definitivo. L'immagine della casa di campagna dei nonni di Tony, emigrati in America negli anni Venti, e rimasta da allora abbandonata, è l'analogon di Lia abbandonata. Lia che, messo per gioco un abito trovato in un armadio della casa abbandonata, diventa agli occhi di Tony un fantasma dell'Italia da cui proviene il suo ceppo, ma in cui non vivrà più… e non vivrà più la sua cultura.
Il racconto diventa così, da parte di un'autrice che all'Accademia d'Arte Drammatica ha dedicato gran parte della sua vita, una testimonianza inquieta dell'avanzante alienazione degli artisti italiani dello spettacolo, attraverso gli occhi di Lia - nome di battesimo Ersilia (il ruolo protagonista del pirandelliano Vestire gli ignudi) - che compie un viaggio iniziatico, stanata dal produttore Tony e dalla compagna Amy che si impadroniscono di Guido e tentano anche lei.
C'è da domandarsi quale sia il senso della sua "resistenza". La cultura dello spettacolo, assoggettata alle logiche del capitale, assoggetta chi vi si dedica. Salvare la propria cultura (e la propria identità) nella rinuncia, in nome della "famiglia", ad una vita artistica che aliena? Aspettando che il ciclo in cui Guido è entrato con il doppiaggio, esaurendosi, lo restituisca alle sue "basi"?
Sì, penso che sia questo. E, se è così, ci coinvolge ben al di là di un caso privato.
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