La siringa ovvero la spada. Così nel mondo dei drogati c’è chi chiama la siringa. E questo modo di dire è stato preso in prestito dal regista-autore salentino, Salvatore Solida, per narrarci, trasposta sul palcoscenico, un’altra storia.
“Donne di spade”, questo il titolo della prossima commedia che, con la sua regìa, sarà rappresentata dal teatro-stabile del Salento. Una commedia che una volta tanto non esce dalla sua mente ma dall’inventiva di un’autrice di tutto rispetto, Maricla Boggio. Una commedia sulla droga; storie di donne che hanno cercato nella droga un sollievo alle loro pene finendo per rimanervi “legate”. Storia anche del dramma familiare originato da questa loro assuefazione alla droga.
Una commedia, un dramma, che si dipana in un bel po’ di monologhi. (...) Le prove sono già in fase avanzata e per motivi tecnici si stanno svolgendo in un quartiere romano dove il regista salentino si è visto concedere addirittura una chiesa non consacrata. (...) si avrà modo di rivedere sia la Paganini che la Corazzi. (...) Con loro dovrebbe esserci un’altra “stella” di talento del nostro teatro. Circola il nome di Lydia Alfonsi, certamente una simile presenza nel teatro salentino contribuirebbe ulteriormente a qualificarlo.
“Donna di spade”, lo spettacolo teatrale di Maricla Boggio ricostruito dal regista salentino Salvatore Solida, è approdato dopo aver toccato grandi e piccoli centri del Mezzogiorno d’Italia, a Casarano, con una rappresentazione nella palestra del Liceo classico “Aligheri”, alla quale hanno assistito docenti e allievi dell’Istituto. Il monologo-confessione che ha per protagoniste tre donne, è stato seguito con particolare attenzione dal pubblico giovanile che ha dimostrato di saper ben recepire il non facile discorso d’avanguardia portato avanti da regista e protagoniste. Liliana PAganini, nelle vesti della tossicodipendente che riesce a trovare la via per riabilitarsi e Cristina Fondi, la donna stroncata da un’overdose che dall’aldilà riferisce della sua angosciosa esistenza, sono le interpreti di “Donne di spade” ( con questo termine si vuole indicare la siringa) ed hanno saputo far vivere l’angosciosa vicenda legata alla droga a quanti hanno assistito allo spettacolo.
Così la terza protagonista, Anna Lelio, ha saputo brillantemente interpretare con periodare struggente il ruolo della “mamma eroina”: la povera donna di provincia, costretta a vivere il dramma familiare perché una sua figlia drogata è in camera di rianimazione.
Messina - Ci sono testi in cui la materia trattata supera, nel momento contingente, l’avvenimento teatrale. E’ questo senz’altro il caso di “Donne di spade” di Maricla Boggio in scena fino a domenica al Teatro Libero per la regìa di Walter Manfrè. Le “spade” in questione sono – nel gergo dei tossicodipendenti – le siringhe con cui si inietta l’eroina.
La rappresentazione consiste nella confessione-monologo di tre ragazze che raccontano come la droga sia entrata nelle loro vite, fino a dominarle e come ( solo per due di esse, perché la terza morirà di overdose) siano riuscite a sconfiggere la dipendenza.
Quando un argomento è di stretta attualità e quotidianamente viene trattato nelle cronache dei giornali, nelle rubriche televisive, in convegni e dibattiti che investono magistrati, forze dell’ordine, assistenti sociali, medici, sociologi, è difficile che possa essere cristallizzato in un atto artistico-culturale.
E, infatti, coerentemente, sia l’autrice che il regista considerano “Donne di spade” soprattutto un momento di impegno civile, portato in scena al precipuo scopo di suscitare un dibattito fra gli spettatori, nella convinzione che il delicato argomento droga necessiti comunque di un’informazione continua e di una vigilanza incessante, anche nei periodi in cui la tossicodipendenza sembra non fare più “notizia”.
Il dramma sociale della droga – trattato dalla Boggio in un altro suo lavoro, “Mamma eroina” – è inevitabilmente sfaccettato ed articolato. L’autrice estrapola solo tre delle infinite storie che potrebbero essere raccontate sull’argomento. Ne emerge uno spaccato metropolitano, generalmente alto-borghese in cui si arriva al primo “buco” per noia o indolenza, salvo il caso della ragazza destinata a morire che trova nell’eroina il modo per fuggire dalle sue delusioni politiche.
Walter Manfrè intreccia le tre storie in tre momenti: primo contatto, dipendenza quotidiana, epilogo. Nella scena, arredata solo con tre sedie, agiscono Maria Paola Vagelli, Maria Libera Ranaudo e Federica Paulillo: sono le tre attrici-testimoni.
Alla “prima” il dibattito ha visto la partecipazione della dottoressa Marisa Genovese e di Michele Bordi, un ex-tossicodipendente recuperato alla vita sociale.
Tre donne, tre vite, tre testimonianze, tre monologhi di tre tossicodipendenti sono le “Donne di spade” di Maricla Boggio, lì dove “spade” stta per siringhe, piccoli oggetti di plastica con stantuffo che inesorabilmente trafiggono le vene di quelle anime instabili dal cervello liquefatto.
Il testo della Boggio – scritto alcuni anni fa – trasuda sensibilità, raffinatezza, poesia anche: “La prima volta l’ho fatto in un giorno di primavera...” dirà all’inizio Maria Paola Vagelli. (...) le altre attrici Maria Libera Ranaudo e Federica Paulillo.
(...) la regia di Walter Manfrè, semplice e rigorosa, ha cercato di spezzettare, di circolarizzare le tre tristi storie, vivacizzandone così i ritmi di entrata e uscita su una scena nuda e nera e con i riflettori puntati sempre sui visi delle tre attrici, in piedi o sedute su tre sedie di vimini. Dopo lo spettacolo è seguito un dibattito cui hanno preso parte la dottoressa Marisa Genovese di una comunitù terapeutica messinese. Michele Bordi e lo stesso Manfrè, sull’opportunità di rappresentare il testo della Boggio nelle scuole medie e superiori.