Maricla Boggio
UNA VITA STORTA

MARTA, giovane donna, sostituto procuratore della Repubblica
SABELLINA, la ragazza morta
LUCIA, la madre di Sabellina
ELISA, l’altra figlia, sorella di Sabellina
MAURO, il ragazzo di Sabellina
GIACOMO, lo spacciatore
ORLANDO, il poliziotto che suona la tromba

UNA STANZA SPOGLIA. UN LETTO SFATTO. LENZUOLA BIANCHE CHE PENDONO A TERRA,COME PER UN PESO TRASCINATO VIA DAL LETTO.
UN TAVOLO CON DEGLI OGGETTI PER "BUCARE": MARTA LI PRENDE IN MANO, AD UNO AD UNO; ESAMINA IL CUCCHIAINO, LA FIALA VUOTA DELL'ACQUA DISTILLATA, APRE LA BUSTINA BIANCA, SVUOTATA E RIACCARTOCCIATA.

FRA LE MANI TIENE LA SIRINGA DALL' AGO INNESTATO; CORRUCCIATA, E AL TEMPO STESSO AFFASCINATA DA QUELLA SIRINGA, DALL'AGO CHE TOCCA, PER APPROPRIARSI DELLA LORO REALTA'.

IL SUONO DI UNA TR0MBA COMINCIA A CRESCERE; CHI SUONA E' ORLANDO, IL POLIZIOTTO; SEDUTO DI LATO, TIENE D' OCCHIO MARTA.

CON UN COLPO DELL'AGO, MARTA SI SFIORA LA VENA DEL BRACCIO, PIEGA IL BRACCIO SULL'AGO, CHIUDE GLI OCCHI: L’IMMAGINE E' QUELLA DI UNA GIOVANE DROGATA. MARTA SI RISCUOTE, RIDISTENDE IL BRACCIO, CON CURA RIMETTE SUL TAVOLO AGO E SIRINGA.

SI AVVICINA AL LETTO, SFIORA LE LENZUOLA.

ORLANDO SMETTE DI SUONARE, OSSERVA LE AZIONI DI MARTA.

FRA LE PIEGHE DEL LENZUOLO, MARTA SCOPRE UH FOGLIETTO APPALLOTTOLATO; SPIEGA IL FOGLIETTO, VI LEGGE QUALCOSA; LO RIPIEGA, TORNA AL TAVOLO, VE LO PONE METTENDOCI DELLE CARTE SOPRA. PRENDE ALTRI FOGLI DAL TAVOLO: APPUNTI, CHE LEGGE FACENDO DELLE ANNOTAZIONI. AFFERRA UN QUADERNO, LO APRE QUA E LA'.

COMPARE SABELLINA: E' LA RAGAZZA MORTA; GLI ALTRI NON LA VEDONO, MENTRE LEI VEDE GLI ALTRI.

SABELLINA SI RIVOLGERA' A MARTA - COME POI AD ALTRI - COME SE ESSI LA VEDESSERO E POTESSERO DIALOGARE CON LEI. MA TUTTI CREDERANNO DI AVERE AVUTO DELLE SENSAZIONI PERSONALI, NON PENSERANNO DI ESSERE STATI SPINTI AD AGIRE DA SUGGERIMENTI DI LEI.

Sabellina si avvicina a Marta, poi raggiunge il letto e vi si siede.

SABELLINA
Come mai gli altri non avevano trovato il mio biglietto? Dovevi proprio arrivare tu?

Marta sta pensando la stessa cosa: come mai nessuno aveva trovato quel biglietto?

MARTA

(fa un cenno al poliziotto)

Com'è che non avevate trovato questo biglietto?

(gli mostra il foglietto)

ORLANDO

(si stringe nelle spalle)

C'era da portar via la ragazza ...

MARTA
Mi serve la madre. Telefonatele. Voglio vederla subito.

ORLANDO
Qui?

MARTA
Qui. E' nei miei poteri. Che venga appena possibile.

IL POLIZIOTTO ESCE. MARTA SFOGLIA IL QUADERNO. SI SOFFERMA A LEGGERE QUA E LA'. SABELLINA E' RIMASTA AD OSSERVARE DAL LETTO SFATTO . SI AVVICINA A MARTA, CHE ALZA GLI OCCHI COME SE QUALCOSA DELLA RAGAZZA LE PASSASSE NELLA MENTE, POI CHIUDE GLI OCCHI, TIRA UN SOSPIRO, LA TESTA ALL'INDIETRO. DI SLANCIO SABELLINA SIEDE SUL TAVOLO. AFFERRA LA SIRINGA, CON UN PICCOLO RISO LA AGITA NELL'ARIA, DAVANTI A SE'. POI RIPONE LA SIRINGA CON UNO SGUARDO TIMOROSO VERSO MARTA RIMASTA AD OCCHI CHIUSI. RIPONE LA SIRINGA, UN ATTIMO PRIMA CHE MARTA RIAPRA GLI OCCHI E GUARDI DAVANTI A SE', CIOE' DOVE SI TROVA SABELLINA.

SABELLINA
Io ho capito che non ero figlia di quella che credevo mia madre, quando avevo già qualche anno.

MARTA SEGUE LE PAROLE DI SABELLINA COME SE FOSSERO SUE DEDUZIONI, TRATTE DA UNA LETTURA PRECEDENTE, DEL DIARIO, IN CUI SI FOSSE INSERITA LA SUA IMMAGINAZlONE .
DAL TAVOLO SU CUI E’ SEDUTA, SABELLINA SI SPOSTERA' LIBERAMENTE NELLA STANZA. IL RACCONTO E' RIVOLTO A MARTA E AL PUBBLICO, MA SOPRATTUTTO E' UN "RACCONTARE" A SE STESSA, UN RIPENSARE ALLE SITUAZIONI CHE SI SONO RIASSUNTE POI IN QUELLA RIFLESSIONE CONCLUSIVA, SCRITTA NEL BIGLIETTO TROVATO DA MARTA.

SABELLINA
Me ne stavo in cortile, a giocare con gli animali, ed è arrivata quella signora che ogni tanto veniva e mi portava regali, poi mi abbracciava e se ne andava. Invece questa volta si ferma davanti a me e mi dice: "Sabellì, piglia la tua roba che partiamo”. lo non capivo. Per me non aveva significato sentir dire "partiamo". Ero sempre vissuta in mezzo ai campi, pensavo che il mondo fosse tutto lì.
C'erano dei bambini più grandi di me, che credevo i miei fratelli. Io ci giocavo, parlavo come loro, non come la signora di fuori, che adesso diceva: "Sabellì, partiamo"...

VOCI E BISBIGLI. RISATE INFANTILI MISTE A SUONI DI CAMPAGNA E VERSI DI ANIMALI. RICHIAMI DI UN GIOCO A NASCONDINO. SABELLINA E’ RITORNATA BAMBINA. RIDE AI RICHIAMI. LA SUA VOCE E I SUOI GESTI SONO INFANTILI.

SABELLINA BAMBINA
A son chì, stùpid! Non me vedè?... Int'el albero cavo... Dài... Rensln...
Pepina ... Gioanin... Son chì...

IL RICORDO SVANISCE. SABELLINA TORNA RAGAZZA

SABELLINA
Poi è arrivata mia madre, mi ha gridato:
"Vattene dentro!". Hanno cominciato a discutere tra loro. Si accaloravano, sembrava che nessuna delle due volesse cedere.
lo me ne stavo in cucina. Guardavo, dalla porta socchiusa. Mi stava venendo paura, cominciai a succhiarmi il dito, avevo bisogno di sfogare la mia inquietudine in qualche modo.
Dopo un po’, silenzio. Mia madre è rientrata, è salita di sopra, poi è tornata con una valigia, mi ha preso per mano a mi ha detto: "Vai con la signora. E' tua madre. Devi volerle bene. Ma ricordati, io continuo a volerti bene come se tu fossi la mia bambina”. La signora mi prese per mano e mi trascinò via. Tenevo la testa voltata indietro per continuare a vedere mia madre, con il mio dito in bocca.
Non capivo che cosa fosse quel senso tremendo di abbandono.
Ma ora lo so, ora so tante cose, ora so tutto.

MARTA RIPRENDE IN MANO IL DIARIO, VI SI SOFFERMA.

SABELLINA-
Sì. Anche sulla macchina, fino alla stazione.
Anche sul treno, anche nella casa bella e lucida con tanti scalini per arrivarci,
continuavo a vedere quel volto, dagli occhi fissi nei miei.
E quel gesto, lento, della mano a salutarmi, e il movimento leggero del mento,
verso l'alto, a dirmi "Vai", a rassicurarmi, nonostante il distacco,
che restava con me perché mi aveva cresciuta, e io non sarei cambiata, avevo preso
da lei. Poi, sono passati degli anni. lo ero diventata grande, andavo all'università.

MARTA-
Anch'io andavo all'università. Doveva essere più o meno lo stesso periodo.
Lei studiava legge, come me... Se ci fossimo conosciute a quel tempo,
forse le nostre vite potevano essere diverse.
Ma sarebbe stata lei come me, o io come lei?

SABELLINA-
Appena nata, mia madre mi aveva dato a balia perché non poteva tenermi.
Era stata operata alla schiena, si stancava subito, non aveva il latte.

MARTA -
Sua madre non l'aveva tenuta. E il padre? Com'era, il padre?

SABELLINA -
Mio padre era funzionario dello Stato. Lo mandavano sempre fuori.
Avevano già avuto una figlia, prima di me. Mia madre, quella bambina l'aveva rovinata.
Se la portava sempre in braccio, non sapeva dove lasciarla, la sua schiena si era piegata.
Insomma, non potrei condannarla, aveva dovuto mandarmi a balia,
pensava che in campagna sarei cresciuta meglio che in città.

MARTA -
Ma è così. Aveva ragione. Cercava di fare per il meglio.

SABELLINA -
Quando sono tornata, quella casa non1a sentivo come mia, ci avevo vissuto così poco...
E c'era quella mia sorella. Bella, dolce, studiosa.
Le volevo bene e anche lei me ne voleva.
Cercava di aiutarmi, intuiva le mie difficoltà.
Ma io avevo il mio orgoglio. E più lei era buona, più io volevo essere diversa da lei.
Sentivo la necessità di dimostrare che non avevo bisogno della mia famiglia,
e vivevo in un mondo che apparteneva a me soltanto.
Tante volte avrei desiderato di tornarmene in campagna:
ma loro rispondevano con il silenzio alla mia richiesta, come
se quell'infanzia lassù fosse un episodio da dimenticare.
Poi, ho saputo che "quella donna" era morta.
Una che veniva a fare le pu1izie, mi aveva portato
un filo d'oro e di coralli avvolto in un fazzo1etto.
"Per suo ricordo a te", mi aveva detto in fretta; d'improvviso
era entrata mia madre, l'aveva guardata sospettosa:
subito zitta, lei aveva ripreso a pulire.

LUCIA, LA MADRE DI SABELLINA, ENTRA AD ANDATURA CONCITATA, SEGUITA DALL'ALTRA FIGLIA, ELISA. DOPO DI LORO, IL POLIZIOTTO. LUCIA E' UNA DONNA DI MEZZA ETA', DIMESSA E TRISTE.
ELISA E' UNA RAGAZZA APPARENTEMENTE SICURA DI SE'.

POLIZIOTTO -

(dietro le due donne, sottovoce, a MARTA)

So-no la ma-dre e la so-re-1la...

MARTA -
Va bene. Rimani qui. Posso avere bisogno di te.

(alla MADRE)

Signora ... Sieda. Lei è la madre?

LUCIA -
Sì. Lo sa... lo sapeva...
Perché mi ha fatto venire in questa casa?...
E pensare che la mia bambina... la mia bambina ... è stato qui che... che...

ELISA - Mamma, stai calma.

(a MARTA)

Perché ci ha fatto venire?

MARTA -
Scusatemi. Devo capire se qualcuno è responsabile.
Forse voi sapevate chi frequentava.

ELISA -
Ma perché qui?

MARTA -
L'ambiente dove abitava può suggerire nuovi elementi di indagine...
Motivi, potrei dirvene tanti. Ma vorrei essere io, a farvi qualche domanda.

LUCIA -
Per me, può chiedere. Tanto, ormai...

ELISA -
Ormai, no. Può servire. Per altri, almeno.

(a MARTA)

Allora?

MARTA - Vorrei... anche se può sembrarvi crudele... vorrei che vi sforzaste
di dirmi com'era, Sabellina, con voi.

(alla MADRE)

Signora, sua figlia aveva un rapporto difficile, con lei...
Come se non le avesse perdonato qualcosa che era successo durante l'infanzia...

LUCIA -
Io ho sempre fatto tutto quello che ho potuto.

MARTA -
Di questo era convinta anche sua figlia.
Ma un conto è ragionare, un conto è sentire con il cuore.
Perché Sabellina non aveva confidenza con lei?
In passato, era avvenuto un fatto particolare, che l'aveva staccata da voi?

LUCIA -
L'avevamo portata in campagna.
E mi era sembrata la soluzione migliore:
io non stavo bene, dovevo operami alla schiena, latte
non ne avevo. Era così piccola! Forse non si sarebbe neppure accorta
di quel distacco - pensavo io -, i bambini delle cascina
la facevano giocare con loro, si sarebbe divertita più che in città,
la sorella andava già a scuola. Mentre a casa da noi, lei sarebbe stata
così sola, isolata. Invece ero poi io che mi sentivo triste,
per lei che non vedevo mai. E quando andavo a trovarla,
le portavo bambole, vestitini, dolci, ogni sorta di regali...
Quanti sacrifici mi costavano tutte quelle cose,
e poi c'erano anche i viaggi... la pensione...
Ma lo facevo con tanta gioia, speravo così
che non si dimenticasse di me...
Ci sarebbe stato tempo, dopo, di ritrovarsi,
rimettendo insieme la famiglia...
Almeno, così io mi illudevo.

ELISA (Assorta)-
Il segno si imprime, come nella cera,
e poi la cera si fa di pietra.

MARTA -
Che hai detto? "La cera si fa di pietra"?

ELISA -
Niente. Non ho detto niente.

SABELLINA -
Elisa. Adesso ti vedo. Dillo, come ti sentivi male, anche tu.

(accenna a MARTA)

E' buona, lei. Vuole sapere.

MARTA - Va bene. Niente.

(alla MADRE)

Ma il tempo di ritrovarsi, dopo, non c'è stato.

LUCIA
Io lo speravo. E anche mio marito, sì.
Ce la siamo riportata a casa appena abbiamo potuto.
Lei però non mi riconosceva.
Elisa la aiutava nei compiti... Le faceva ripetere le lezioni...

ELISA -
C'è qualche anno di differenza tra noi... C'era...
A quel tempo contava. Per me la scuola rappresentava un rifugio,
ci riversavo tutte le mie forze.

LUCIA -
Eri brava. Noi ci sentivamo orgogliosi.
Per questo, tante volte volevamo stare di più con te,
e ce lo impedivamo, tuo padre e io,
per non staccarti dai tuoi libri. Ci facevi soggezione,
ti piaceva studiare, era la tua ambizione, non era giusto privartene.

SABELLINA -
Ecco, le cose si fanno chiare. Ma è troppo tardi, ormai.

ELISA -
Voi avevate i vostri interessi! Cosa mi stai a dire “Non era giusto privartene"!
A voi faceva comodo, che io passassi le giornate sui libri! Certo,
alla fine ero una perla, parenti e amici vi invidiavano!
E così, voi vi sentivate orgogliosi!

LUCIA-
Hai scelto tu! Tu hai voluto! Avresti preferito
accompagnarmi in ospedale per le mia operazioni?
Assistermi nelle lunghe convalescenze che la malattia mi imponeva?
Eri una bambina, ti incoraggiavamo nello studio
per tenerti lontana dal dolore.

ELISA-

(a MARTA, in un impeto liberatorio)

lo mi chiudevo, capisce?, mi difendevo con quelle pagine scritte.
Erano il mio scudo, per non sentirmi sola; il mio linguaggio,
per comunicare, se qualcuno voleva capirmi.
Quando Sabellina è ritornata a casa,
io non avevo altra possibilità che quel1a, e gliel'ho offerta.

MARTA -
Che cosa facevate, insieme?

ELISA -
Io andavo già alle medie, lei cominciava le elementari.
Non sapeva quasi parlare, mescolava il dialetto all'italiano.
Certe volte stava ad ascoltarmi, in silenzio;
quando avevo finito, le chiedevo: "hai capito?".
Ma lei rimaneva zitta, poi nascondeva la testa sotto il braccio...

SABELLINA VIVE I MOMENTI DESCRITTI, RIPETE I GESTI DI UN TEMPO.

ELISA -
...nascondeva la testa sotto il braccio, come se
avesse voluto scappare e non poteva...
In campagna, sarebbe corsa via...
Tutta quell'attenzione la terrorizzava.
Invece di avvicinarsi a me,
si chiudeva nella sua diversità e mi rifiutava.

SABELLNA -
La cera si era fatta di pietra, anche per me.

MARTA -
Poi aveva cominciato a prendere gusto allo studio.

ELISA -
Doveva pur sopravvivere, si era impegnata con tutte le forze.
Ma quando lei era al liceo, io stavo già all'università.
Altri orari e amici, altri interessi. Altro modo di preparare gli esami.
Ognuna faceva per conto suo. Mia madre in quel periodo stava meglio.
In casa si era creata un'apparenza di equilibrio.
E qualche volta riuscivamo a mangiare tutti insieme.

LUCIA -
Non mi pareva vero, stavo meglio. Mio marito era sempre fuori, ma bene o male
alla fine della settimana si cercava di ritrovarci tutti quanti. Quanto desideravo
che arrivasse la domenica! Preparavo il pranzo con ogni cura.
Facevo la pasta con le mie mani, o l'arrosto nel vino, e il dolce con la crema gialla...
Ci pensavo per tutta la settimana, a quella festa...
Sceglievo la tovaglia, e i fiori... da mettere nel mezzo...

ELISA -
Sì! Preparavi ogni cosa! E non ti accorgevi, presa com’eri dai tuoi preparativi,
che alla domenica io avrei voluto andarmene un po' fuori,
dopo tutta una settimana chiusa in biblioteca.
Non ti accorgevi che papà sarebbe uscito volentieri in trattoria,
per incontrare qualcuno ed evitare
le tue lamentela e le nostre facce scure di sopportazione!
Così, appena mangiato, io ritornavo ai miei libri.
E Sabellina sgusciava via, forse studiava a casa di qualche compagno:
dove poteva andare, alla domenica, senza una lira in tasca?

SABELLINA -
Ormai frequentavo l’università. Per studiare,
mi rifugiavo da qualche compagno. La mia casa non era mai diventata”casa mia”.

(va accanto alla MADRE)

Povera mamma, mi accorgo adesso della tua buona volontà,
allora non la vedevo. Sovente le parole ingannano,
e i silenzi ti opprimono.

(a MARTA)

Lasciale andare! Non possono aiutarti. Loro,
hanno bisogno di chiarezza!

MARTA -
Quello che sapete di lei, è tutto qui?
La sua vita fuori: non sapere dirmi niente?

LUCIA -

(allarga le braccia in un gesto di impotenza)

Noi insistevamo che tornasse. Lei prometteva. Ma poi,
quelle poche volte che veniva, si fermava soltanto qualche ora e poi scappava via.
Piano piano, se n’è andata. Una sera non rientrava, telefonava che s’era fermata
da un’amica; passavano due giorni, faceva chiamare da un compagno che sarebbe venuta alla domenica.In quei pochi momenti in cui si faceva rivedere,
ci pareva più allegra: era sempre affannata, con la testa a mille pensieri.
Diceva che era molto impegnata, non spiegava perché.
Poco per volta ritornava da noi sempre meno...

MARTA -
Devo mettere insieme ogni informazione che mi verrà da chi la conosceva.
Voglio vedere tutti quelli che riuscirò a trovare.
Per ora vi ringrazio, voi potete andare.

SABELLINA -
Che cosa vuoi che sappiano, loro due, di me?
Hanno già il loro mistero, e la loro pensa. Inutile tormentarle.

SABELLINA SI ACCOSTA AL LETTO SFATTO, VI SI APPOGGIA. LA MADRE GUARDA VERSO DI LEI.

LUCIA -
Elisa, aiutami, mi sembra di svenire...

ELISA SORREGGE LA MADRE. SI AVVIANO VERSO L’USCITA.
LUCIA SI ACCORGE DEL LETTO SFATTO, VI SI AVVICINA D’IMPETO.
SI GETTA IN GINOCCHIO A TOCCARE LE LENZUOLA CHE MANTENGONO
ANCORA LA FORMA DEL CORPO DI SABELLINA.

LUCIA -
Ti ho fatto io, dentro di me. Perché è successo, allora?
E non capirsi. Non è giusto. Tutto questo, perché?

MARTA -
Non lo so. Anche quando non si arriva a situazioni così,
capirsi è difficile, forse impossibile...

LA MADRE PRENDE IL VISO DI MARTA FRA LE MANI.
LA GUARDA NEGLI OCCHI.

LUCIA -
Anche per te, che sembri così sicura, così limpida, anche per te, è difficile?
Con tua madre, certamente tu parli: oh! sei generosa e dolce, tu, puoi capire
che una madre vuol sapere di una figlia. Io, tua madre, la invidio.

MARTA -

( si ritrae dal contatto con LUCIA, vergognosa di non poterla assecondare)

Vorrei confidarmi, con mia madre... metterla a parte dei miei problemi...
Ma non lo faccio.
Ho paura che mi ascolti senza capire: lei che ha un modo diverso di vedere la vita.
Siamo due estranee, che vorrebbero volersi bene, ma non ci riescono.
Solo in qualche momento rinasce l’affetto, come quando ero bambina. “Ti ho preparato il dolce, vieni stasera a cena?...”. Il rischio di un confronto viene evitato, si accantona il discorso che potrebbe far riemergere un contrasto...
E io, lo stesso: “Mamma, ti ho portato queste rose ma scappo subito, ho una riunione...”. Dirsi le cose vere, guardandosi negli occhi, le cose che ci farebbero crescere,
non lo facciamo... C’è paura: questa, forse, è la causa, e la ragione.

LUCIA -
Anche tu, allora. E’ vero, io avevo paura, con lei. Di sbagliare.
Di essere
giudicata. E anche con te, figlia mia,

( si rivolge a ELISA)

ho timore di quel tuo sguardo che mi scruta senza pietà. Ti sembravo allegra
quando preparavo i pranzi, quando mettevo i fiori in tavola...
Sfuggivo, anch’io. Come lei, come tutti.

ELISA -
Ci sforzeremo di dirci qualcosa di più, mamma.

LUCIA - (a MARTA)
Eppure, avrei voluto avere una figlia come lei.

( le si protende timida)

MARTA -

(riceve l’abbraccio, anche lei contenuta)

Oh! non lo dica! Non conosciamo il segreto degli altri.
Invidiamo perché non sappiamo...

ELISA - Sù, mamma, vieni...

LE DUE DONNE ESCONO. SI AFFACCIA IL POLIZIOTTO.

POLIZIOTTO - ( a MARTA)
Glielo ha detto lei, di andare?

MARTA FA UN CENNO DI ASSENSO.

POLIZIOTTO -
Che devo fare?

MARTA - ( scrive su di un foglietto)
Vai a prendermi questo qui. L’avevo già fatto avvertire.

(gli porge il foglio)

Fa’ presto.

IL POLIZIOTTO ESCE. MARTA CAMMINA PER LA STANZA.
VICINO A SABELLINA, PARE AVVERTIRE UN CONTATTO,
COME SE IL FILO DI UN DISCORSO SI RICOLLEGASSE E PROSEGUISSE.
LE DUE RAGAZZE TALVOLTA SI MUOVERANNO ASSIEME, COME SE SI CONFIDASSERO. A TRATTI OGNUNA AGIRA’ AUTONOMAMENTE.
MARTA SFOGLIA IL DIARIO; RIVIVENDO QUANTO VI E’ SCRITTO, SABELLINA COMINCIA A PARLARE.

SABELLINA -
Andavo all’università. Avevo preso a fumare,
una sigaretta dopo l’altra. In quell’epoca mi ero messa in mente
di fare delle battaglie per cambiare la società.
La rassegnazione mi indispettiva. Mi pareva che persone
come la mia mamma di campagna meritassero una vita diversa.
Ma erano troppo umili, troppo rassegnate, per ottenere qualcosa.
Ero impaziente e disillusa. La violenza mi appariva come l’unica soluzione
per raggiungere la giustizia. Mi buttai in politica.
Quel gruppo di ragazzi con cui stavo, lo avevo sostituito alla mia famiglia.
I miei, li sentivo sempre più lontani, diversi da me. Avvertivo un senso
di acredine nei loro confronti. Mi avevano voluto su questa terra, e poi
mi avevano dato via per farmi star meglio: un figlio, quando lo fai, è per te,
non puoi cederlo come un pacco, diventerà di quelli a cui lo dai,
ti rimarrà estraneo per sempre. Così era successo a me. Ora,
nei discorsi appassionati del mio gruppo di lotta, mi pareva
di aver trovato uno scopo e un sollievo alla mia solitudine.
Si passavano nottate interminabili insieme, a studiare piani di azione.
C’era fumo e rumore in quelle riunioni. Non sapevamo che cosa fosse stanchezza né fame, non c’erano orari. Me ne ero andata da casa. Studiare, non davo quasi più esami:
era il sogno della rivolta ad affascinarmi. Mano a mano che il tempo passava,
ci ritrovavamo sempre più in pochi, ma ognuno di noi sentiva crescere le sue responsabilità nel gruppo. Si cominciò a trattare una linea di azione,
dei piani non più soltanto legati a una strategia astratta, da libro, ma con obbiettivi concreti. Dovevano essere delle prove - dicevano i capi - della nostra capacità di intervento. Una volta si svaligiò un negozio. Almeno, i giornali chiamarono così la nostra azione. Noi volevamo soltanto dimostrare che era necessario un prezzo “politico”
per prodotti di prima necessità. Prendemmo pacchi di pasta, lattine di olio, scatole di zucchero, bottiglie di pomodoro, e le portammo alla gente di una borgata. Questi però
erano sospettosi. Afferrarono i pacchi e li nascosero sotto i letti, dentro gli armadi.
Poi ci chiusero le porte in faccia. Non volevano concertare con noi nessun piano di azione.Volevano mangiare, non combattere. Soprattutto non volevano andare in galera
per qualche chilo di pasta. Ce ne andammo amareggiati. Qualcuno di noi capì
gli errori di quell’impostazione. Molti compagni se ne andarono. Accettarono
il posto fisso, diedero esami per dei concorsi, le ragazze si sposarono
e fecero le insegnanti o le casalinghe. Altri si buttarono più intensamente
per la strada della lotta violenta. Io ero incerta.
Non accettavo che si potesse essere nelle condizioni di uccidere.
Quando mi chiesero di usare, se ce ne fosse stato bisogno, quella pistola
che avevo imparato ad adoperare nelle esercitazioni che facevamo in montagna
fingendo di organizzare una gita, io non risposi subito.
“Che differenza c’è, in fondo - aveva detto qualcuno di loro - tra il prezzo proletario
e la spesa gratuita da una parte, e l’espropriazione di capitali frutto di plus valore di una banca?”.
C’era la differenza - pensavo io - che in un supermercato non ti spara nessuno se rubi
un sacchetto di mele; ti troverai tutt’al più a lottare per uscire se cercheranno di fermarti,
però armi non ne hai e tutto finisce lì. Ma se porti la pistola, è già come se tu
l’avessi usata. In banca, poi, si sa, ci sono le guardie che al primo allarme
ti puntano addosso il fucile. Non andai a quell’appuntamento; comunica la mia scelta;
non glielo dissi in faccia ma feci in modo di farglielo sapere, perché nessuno
pensasse poi che mi ero tirata indietro per vigliaccheria e li avevo traditi
all’ultimo momento. Due ne morirono. Gli altri riuscirono a scappare con il bottino.
Si cominciò a parlare di brigatisti.

MARTA - ( alza gli occhi dal diario)
Anch’io mi sono trovata in quelle situazioni. E sembrava impossibile scegliere:
posizioni opposte offrivano soluzioni egualmente accettabili sul piano della logica...
Almeno così pareva, a ognuno di noi, in quei momenti.
Solo un faticoso ragionare, e scelte a volte impopolari, mi portarono a decidere
in un modo anziché nell’altro. Anche questa strada che ho fatto, la mia, non è facile, né tutta chiara sempre... Sabellina, mia compagna sconosciuta,
non volevi distruggere ma non sapevi costruire. Ti sei trovata sola.

SABELLINA -
Mi sono ritrovata sola. I miei cercavano ancora di vedermi.
Volevano che andassi a casa almeno la domenica. Ma avrei dovuto fare qualcosa
che meritasse la loro ammirazione, per farmi rivedere. Non mi sentivo degna.
Avevano sbagliato nei miei confronti - per amore, ormai l’avevo capito -,
ma per riuscire a perdonare non è sufficiente capire. E io sentivo dolore e ira,
non capita, come oggi so che avrei dovuto.
Gli studi? Più che sui libri per i miei esami, avevo passato le giornate
sugli scritti dei nostri teorici. Adesso mi trovavo lontana dai miei compagni;
loro erano quasi alla laurea, io mi sentivo spaesata e vecchia. Vecchia,
a vent’anni e poco più. Passavo le ore a rigirarmi tra le mani quelle pagine,
che vedevo ormai retoriche e vuote, ridicole esortazioni ad azioni abbiette
e stupide ammantate di importanza. Vedevo qualche amico.
Ma il mio ragazzo era rimasto con il gruppo, e a me pareva di sporcarmi
ad andare con un altro. Poi l’avevo fatto, per sentirmi viva,
per cercare di provare dei sentimenti. Non c’era niente per cui avessi interesse,
ma dovevo guadagnare almeno dei soldi per continuare a vivere.
Aspettavo che qualcosa cambiasse, che ci fosse un barlume di gioia,
per un caso, magari; una luce, sì, una speranza.

ENTRA IL POLIZIOTTO ASSIEME A UN RAGAZZO: SEMPLICE, SENZA RICERCATEZZA MA CON UNA CERTA PROPRIETA’ NEL VESTIRE.

MAURO - ( a MARTA )
Non sapevo. Non immaginavo niente...

( fa un gesto disperato, nello sforzo di trovare le parole)

Lei... Noi... Dove l’hanno portata?

SABELLINA -
Mauro! Che cosa può importare?
Sentimi dentro di te. Abbiamo tanti ricordi insieme...

MAURO - ( a MARTA)
Abbiamo tanti ricordi insieme...

MARTA -
Mi dispiace di aver dovuto farla venire qui.
Ho trovato l’indirizzo su una agenda. E il nome, ripetuto,
con dei fiorellini intorno, in una specie di diario che lei teneva.
Ho pensato che forse...

MAURO -
Era la mia ragazza. Ci siamo conosciuti all’università.
Dio, quanti momenti! Stavamo sempre in gruppo, ma per me
era lei che contava, e me per lei. C’era anche il sesso, tra noi,
sì, insieme ci trovavamo bene. Ma erano tante, le cose che di legavano...
Queste sono riflessioni così personali... Io non so nemmeno chi è lei,
signora... Se posso essere utile, ma ormai... Io non la vedevo da molto tempo.

MARTA -
Tutto quell’amore, e poi più niente? Perché?

MAURO -
La politica è una brutta cosa. Ti illudi che sei tu a decidere delle tue azioni.

MARTA -
Ma sopra ogni cosa c’era il rapporto fra voi, lei ha detto.
Discutevate. Facevate l’amore. Eravate d’accordo su tutto... E allora?

MAURO -
Stava succedendo qualcosa che era più forte di noi. La lotta armata non è stata una nostra invenzione: ce la siamo trovata davanti, prendere o lasciare. Sabellina se ne è tornata indietro, ci sentiva dentro la morte. Ma io vedo il lato eroico di quei piani, il sacrificio e il cambiamento. Eravamo tanti, quasi tutti studenti, cercavamo uno scopo che desse un senso alle nostre vite condannate alla routine. Non volevamo diventare come i nostri genitori. Avevano imboccato strade troppo tortuose per raggiungere una reale giustizia sociale. La provocazione armata, un’ideologia che non lasciasse margini di incertezza all’azione, rischiare di persona: ecco quanto ci pareva necessario in quei tempi di attesa. Una volta stavo con un gruppo di compagni, in un agguato. Avevamo portato delle bottiglie molotov. A un segnale, dovevamo tirarle addosso ai poliziotti che tenevano prigionieri due dei nostri che avevano saccheggiato un negozio. Bastava un “via” e sarebbero partite. L’intenzione era di intimidire, ma potevamo anche colpire i poliziotti. Sabellina aveva preso parte a quella spesa proletaria, però era riuscita a scappare. La rabbia che provava per il fallimento della nostra azione non riusciva in lei a giustificare la nostra controffensiva; e si dibatteva tra il desiderio di vendetta e la sensazione che quella scelta portasse a conseguenze pericolose, che riguardavano la società intera, un modo profondamente diverso di vedere la vita, e noi due, che era come dire tutto.

MARTA -
Hai continuato per quella strada, tu?

MAURO -
E’ stata quella volta, che mi hanno preso. Non avevo armi addosso. La molotov l’avevo gettata in un cestino dell’immondizia. Mi era rimasto soltanto quel dannato passamontagna che ci serviva a coprirci la faccia, per non farci riconoscere.
Era tutto un gioco, per me e per molti altri come me, a quel tempo. Quella volta mi pestarono. Non protestai, erano esasperati. Dei compagni li trovarono con le molotov e finirono in prigione. Io ci rimasi qualche giorno. Si mosse mia madre, che era femminista e si dava del tu con dei magistrati. Perfino mio padre si tirò fuori dalla sua indifferenza; esibì la sua autorità, il modo di fare da uomo di potere. Mi lasciarono andare. Ma ho dovuto faticare anni, per farmi cancellare dal certificato penale quel sospetto di aggressione armata, quella frequentazione di individui che erano accusati di attentare alla sicurezza dello Stato. Doveva passare molto tempo perché capissi che quella non era la strada giusta. Allora, quell’episodio ci divise, a me e a Sabellina. Non ritrovammo più l’intesa che ci univa fino al giorno prima. Svanita, così, come una favola.

MARTA -
Per un disaccordo politico? Quell’abitudine di vita comune, quell’intimità, quella confidenza, tutto sfumato?

MAURO -
Quando stavamo insieme, ci sentivamo adulti e bambini. Passavamo le ore a discutere di politica. Immaginavamo strategie di lotta, tattiche di guerriglia. Ma a un certo punto, qualcosa scattava tra noi. La sua voce e la mia diventavano infantili; suoni dolci affioravano, riportandoci alla felicità dell’infanzia, e ci facevano sentire teneri, desiderosi di affetto l’uno verso l’altra. Restavamo così, bisbigliando appena parole inventate, suoni misti a baci. Spariva l’ombra del mondo, esistevamo noi soltanto.
La vita è strana, non avrei mai creduto che la nostra storia sarebbe finita.

MARTA -
E dopo, tu, non l’hai mai cercata?

MAURO -
La lotta politica continuava a impegnarmi al punto che io non sentivo il dolore di quel distacco. Ci incontravamo all’università, ma faceva male a tutti e due.Una volta l’ho quasi scontrata per la strada. Era dimagrita, più niente dei suoi bei colori, non più gli abiti vivaci che le conoscevo. Volevo trattenerla, per riprendere quel discorso tra noi che per me non si era mai interrotto. Ma è corsa via.

MARTA -
Non sai come viveva, dopo che vi eravate lasciati?

MAURO -
Notizie vaghe. Sensazioni. La cosa oggi mi ha colpito come una mazzata. Non riesco ancora a credere a quanto è successo.

MARTA -
Solo dopo, ci si rende conto.

MAURO -
Che posso fare, adesso?

MARTA -
Pensare a come l’hai conosciuta.

SABELLINA -
Sì, Mauro. Pensami, come allora.

( con voce infantile)

Vuoi giocare con me? Chiudi gli occhi e conta fino a dieci. Io mi nascondo, tu mi cerchi. Se mi trovi, io farò la penitenza. Un bacio, per castigo.
E poi a te, un bacio mio, per ricambiarti.

( sfiora MAURO con un bacio; lui si tocca la guancia, come se avesse avvertito un contatto)

MAURO -
Non posso far niente per cambiare quello che è avvenuto. Ma voglio sapere.
Se c’è bisogno di me, sa dove trovarmi.

MARTA -
Va bene.

( al Poliziotto)

Accompagnalo.

I DUE ESCONO. MARTA SFOGLIA IL DIARIO. IL POLIZIOTTO RITORNA.
RIPRENDE A SUONARE LA TROMBA, IN SORDINA.

MARTA -
Non arriverò a niente. Colpevoli, nessuno e tanti. I parenti. Gli amici. Gli amanti.
I compagni. La politica. L’ideologia. La società.
Alla fine ogni responsabilità ritorna a te. Io, come sono?

LEGGE UNA FRASE DAL DIARIO, CHE SABELLINA NEL CONTEMPO PRONUNCIA.

MARTA -
“... il mio ragazzo era rimasto con il gruppo, e a me pareva di sporcarmi ad andare con un altro... Poi l’ho fatto, per reagire, per cercare di provare dei sentimenti...”.

SABELLINA -

(riprende)

Uno di questi uomini che incontravo ogni tanto, mi dava un po’ di soldi. Non era che mi facessi pagare, per starci assieme. Ma lui trovava il modo di lasciare dei biglietti in un libro o sotto il portacenere, senza dirmi niente. Io me ne ero accorta, le prime volte, quando era andato via. Mi era sembrato un pensiero delicato, mi ero perfino commossa. Poi avevo cominciato a prenderci l’abitudine; quando stava da me, e magari era nel bagno, dopo l’amore, io cercavo dappertutto, finché trovavo i soldi. Li lasciavo dove lui li aveva messi; ma quando ritornava accanto a me e si vestiva per andarsene, io lo abbracciavo di slancio, gli volevo bene, mi pareva un padre che pensa a una figlia e non la vuole offendere. A poco a poco veniva più spesso delle prime volte; io ero contenta, stavo bene con lui, non pensavo al domani e l’avvenire mi pareva più roseo.
Poi, di colpo, soldi non ne ho trovati più.
Io non dicevo niente: non avevo parlato prima, non potevo farlo adesso. E lui lo stesso. Tutti e due sapevamo, ma tutti e due non parlavamo.
Stavo per essere io a chiedere perché avevo bisogno, bisogno veramente, non c’era più una lira in casa; le calze, l’ultimo paio, si erano smagliate e al posto della carta igienica avevo messo dei klinex. Ma lui, di ritorno dal bagno dove s’era fatto la doccia, tutto fresco e rilassato, mi dice: “Tu, sai cos’è una spada?”. Io non capivo, ho cominciato a succhiarmi il pollice, non sapevo se faceva sul serio o se scherzava. “Siediti qui, vicino a me - continua lui - così ti spiego”. E comincia a dirmi quant’è bello non avere più problemi, non pensare a come fare per trovare i soldi...Io tra me e me dicevo: “ Chissà dove vuole arrivare...”, e collegavo quei discorsi al fatto che di soldi lui non ne aveva più tirati fuori, ma era la prima volta quella sera che parlava chiaramente di denaro. Poi, come se fino a quel momento avesse girato intorno all’argomento che gli stava a cuore, mi butta lì che un modo c’era, facile e sicuro, per trovare molti soldi. Tira fuori una bustina e tanti altri oggetti; e comincia a fare dei preparativi, sul tavolino accanto al letto. Apre la bustina e una fiala con un liquido chiaro; accende una fiammella, sopra ci mette un cucchiaino; la polvere bianca, che stava dentro alla bustina, la scioglie dentro l’acqua; poi prende una siringa; tutto questo in silenzio. Io ero affascinata, non avevo mai visto niente di simile. Con la siringa in mano finalmente mi guarda, dritto dritto negli occhi, e poi dice: “Ecco, vedi, è una spada. E la spada ferisce, ma questa - e me la ficca nella vena del braccio - questa è una ferita dolce, vedrai come ti piace...”. Ho gridato, sono stata male. Poi mi sono calmata, a poco a poco sentivo un senso di benessere. O soprattutto, non m’importava più di niente. Quei problemi che mi facevano star male - trovare soldi, solitudine, noia, il fallimento, gli studi abbandonati, i contrasti in famiglia, i compagni perduti, la delusione politica - tutto, tutto era lontano, non esisteva più: non c’era! Un sogno buffo, che guardavo da fuori! Io non c’entravo, non era la mia vita. Io stavo bene. E mi addormentai.

VINTA DAL SUO STESSO RACCONTO, SABELLINA SI ADAGIA SUL LETTO.
MARTA SI AVVICINA, SI PREME LE MANI SUL VISO.

MARTA -
E poi? Voglio sapere! Cosa è successo, dopo?

SABELLINA -

( a MARTA dalla cui evocazione è spinta al racconto, mentre MARTA sfoglia il diario)

Era mattina quando mi svegliai. Lui era sparito. Non ricordavo quasi niente. Poi mi cadde lo sguardo sul lenzuolo. C’era un segno di sangue. Sul braccio, un punto rosso, al centro della vena. E per terra, la spada. Guardavo la siringa con ribrezzo e attrazione.
Si sapeva ancora così poco, della droga!... Lui tornò il giorno dopo. Disse che dovevo portare delle buste a certe persone, mi diede gli indirizzi. E dei soldi, per il lavoro. Non parlò molto. Non mi diede altre spade. Se ne andò senza fare l’amore. Io andavo in giro come un automa. Suonavo alle porte, aspettavo nei bar, telefonavo per segnalare che sarei stata all’angolo di una strada: tutto come dalle istruzioni che trovavo scritte insieme alle bustine da consegnare. E i soldi alla fine della giornata. Mangiare, dormire, andare, consegnare, e i soldi alla sera. Forse lui aveva più tempo, un giorno, oppure si voleva soltanto divertire: tornò con una spada; me la fece vedere agitandola in aria come un giocattolo in regalo, festoso, beffardo? Lo guardai sfidandolo: gli stesi il braccio. Ero di nuovo fatta e felice. Quel giorno fece l’amore con me. Il lavoro andava bene, e lui era sicuro di tenermi in pugno, sempre di più, molto di più di quanto non pensavo io.
Andò avanti così per molti mesi. Estate autunno inverno primavera. Una stagione dopo l’altra, l’anno intero. Io non me ne accorgevo. Una volta venne mia sorella: mi chiamò di sotto, non era mai salita fino a qui. Quella volta arrivò fino al cortile per chiamarmi, finché io non mi affacciai, insonnolita, stupita anche, per quell’insistenza. Si era laureata, voleva che andassi alla sua festa... Le gridai qualcosa, che dovevo partire, non lo so. Richiusi. Mi buttai sul letto, esausta. Per la prima volta, dopo molto tempo, ripensavo ai miei progetti del passato. Era cambiato tutto. E solo allora mi rendevo conto che tanti altri, come me, dimenticavano la loro vita senza accorgersi che il tempo passava, e tutto si perdeva per sempre, irrimediabilmente. Ripensai alle facce di quelli che incontravo, portando le bustine che aspettavano con ansia. Facce buie, spente, senza sguardo, senza pensieri tranne quello della droga. Persone di cui chiunque poteva fare quello che voleva, perché non erano più padroni di se stessi. Anch’io ero come loro. Peggio di loro. Perché li aiutavo a morire. Decisi di non fare più quel lavoro. E glielo dissi, a lui. Calma, senza scene, quel giorno quando venne con il solito pacco. Sorrise appena, senza insistere se ne andò via dicendo: “Come vuoi. Sai dove trovarmi”. Mi lasciò sopra il tavolo tre bustine e tre spade. “ Un regalo per te”, aggiunse poi, quando già era sulla porta, e scomparve.

L’ATTENZIONE DI MARTA E’ AL MASSIMO. IL SUONO DELLA TROMBA E’ TESO ALLO SPASIMO.

SABELLINA - Quel giorno uscii al sole. Non lo facevo da tempo, le mie ore appartenevano alla notte, quando si incontrano solo quelli che sai. La luce del mattino mi faceva male agli occhi. Arrivai fino all’università. Qualcuno che mi conosceva, mi lanciò un’cchiata strana, Ero dimagrita, i capelli mi ricadevano lisci e disordinati, avevo la pelle gialla e i denti guasti, ero diventata brutta: mi vidi in una vetrina, sembravo un’altra dalla Sabellina che conoscevo. Eppure ero quella: al collo portavo la collanina d’oro e di coralli, la toccai per essere sicura che quell’immagine e la mia persona erano la stessa cosa. Avrei voluto andare a cercare lavoro: traduzioni, non so, un posto in una galleria, ma con quell’aspetto non era neanche il caso di provare.
A casa mi feci una spada. Lui mi aveva insegnato, ma sola non l’avevo fatto mai. Fu facile e breve, mi stupii per l’esattezza con cui mi riuscì ogni cosa. Mi piacque perfino quel piccolo dolore del colpo dell’ago nella vena. Aspettai l’effetto, e finalmente scomparve la mia immagine imbruttita, e il disagio della giornata. Fu la stessa cosa per le due volte successive. E lo stesso anche dopo, quando la “roba” dovetti trovarmela da sola, perché le bustine erano finite, ma io non potevo farne ormai più a mano.
Avevo cominciato a sentire dei dolori quando l’effetto della dose cessava: ero assuefatta, entravo in crisi di astinenza se non mi facevo in tempo un’altra dose. Allora uscivo, di solito stava venendo scuro. Sbrigavo piccole commissioni a gente che avevo conosciuto quando gli portavo le dosi: messaggi, debiti da saldare... Qualcuno mi chiedeva se volevo rimanere con lui quella notte. Io accettavo, per non tornare a casa nella solitudine, magari mi regalavano qualche spada, chi voleva stare con me si “faceva” e “faceva” anche me. Ci si addormentava insieme, ma non c’era nessuna forma di amore, solo un aiuto come quando si è in guerra.
Un giorno che non trovavo proprio niente per “svoltare” e mi torcevo dai dolori e non riuscivo a trovare nessuno, mi sono strappata quella collanina e l’ho portata a uno che sapevo. Quello l’ha un po’ pesata nella mano, poi m’ha gettato davanti una bustina e ha chiuso la collana nel cassetto. C’era, lì dietro, un angolo di chiesa, con dei gradini riparati da un arcone, molti ci andavano a bucarsi. A terra ho trovato una siringa, era sporca di sangue ma serviva lo stesso. Così mi sono fatta quella spada, che già un altro aveva colpito.

MARTA HA RIPRESO IN MANO LA SIRINGA RIMASTA SUL TAVOLO. SEGUENDO LE PAROLE DI SABELLINA, NE RIFA’ I GESTI.
UN RUMORE DI CHIAVI ALL’ESTERNO. ENTRA UN UOMO DI MEZZA ETA’, ATTEGGIAMENTO SOSPETTOSO, SCOSTANTE. ABITI NON ELEGANTI, MA COSTOSI. IL POLIZIOTTO GLI SI PARA DAVANTI.

MARTA -
E lei, come è entrato?

POLIZIOTTO -
Come è entrato, lei?

GIACOMO - Ho la chiave.

( aggressivo)

Chi siete voi, piuttosto. Questa è casa mia, e mi chiedete come sono entrato?
Io vi denuncio...

MARTA -
Zitto. Fermo!

( al Poliziotto)

Perquisiscilo.

GIACOMO - Come vi permettete?

MARTA -
Questa non è casa sua.
Risulta intesta ad altre persone. Allora?

NELLE TASCHE DELL’UOMO, IL POLIZIOTTO TROVA TRE BUSTINE E TRE SIRINGHE. LE CONSEGNA A MARTA.

GIACOMO -
Insomma, è come se fosse casa mia. Ci sta una persona, con cui ho dei rapporti... Insomma, sì, la mia ragazza.

MARTA -
Sabellina?

GIACOMO -
Sì.

MARTA -
Potevate essere suo padre.

GIACOMO -
Cos’è, un processo? Non sono libero di scegliermi chi voglio?

MARTA -
Lei sta divagando. Perché non parliamo di queste buste?
E di queste siringhe.

GIACOMO -
Sono per mio uso personale. La legge lo consente.
Lo sapete!... “Modica quantità”.

MARTA -
Sono tre dosi. Se ve le fate tutte insieme, vi assicuro che non ve la cavate.

GIACOMO -
Eh! ma io viaggio!... Devo tenermi una piccola scorta, in caso di difficoltà...

MARTA -
Di questo parleremo dopo.

( al Poliziotto)

Tu stai qui, rimani mentre questo signore mi risponde.

GIACOMO -
Rispondere? A che cosa? Io non ho ancora capito che ci fate, in casa di Sabellina. Stavo venendo qui a trovarla. Per vedere se aveva bisogno di qualcosa. Da un po’ di tempo non si faceva viva... Molta gente chiede di lei... Era sempre così carina... Premurosa, con tutti...

MARTA -
Vuol dire che spacciava per lei? Andava dai clienti.

GIACOMO -
Erano amici! Solo amici, e volevano stare un po’ allegri...

MARTA -
Sabellina si era ribellata alle sue imposizioni!
E’ stato lei a costringerla a bucarsi! L’aveva resa dipendente della droga, la faceva spacciare! Sabellina voleva sfuggire ai suoi ricatti. Ma lei insisteva, la perseguitava con le sue offerte, aspettava il momento in cui era più debole e disperata.

GIACOMO -
Con quale diritto lei mi accusa? Se non mi conosce nemmeno!
Stia attenta, io la querelo per calunnia!

POLIZIOTTO -
Zitto tu! Che non sai con chi parli!

GIACOMO -
E ditemelo, allora, con chi parlo!

IL POLIZIOTTO FA SEGNO A MARTA PER SAPERE SE PUO’ PARLARE.
MARTA GLI FA UN CENNO AFFERMATIVO.

POLIZIOTTO -
La signora è... il Sostituto Procuratore della Repubblica!

( orgoglioso)

Io faccio parte della Polizia Giudiziaria e le dò una mano, nelle prime indagini!

GIACOMO - ( in un soffio)
Ah!

MARTA -
Soddisfatto?

GIACOMO -
Ma perché lei è qui?

MARTA -
Devo sapere chi frequentava...che cosa faceva...

GIACOMO -
E io, che c’entro?

MARTA -
L’ha detto lei, che era di casa. Era la sua ragazza.

GIACOMO -
Bè... mi vantavo un po’... La conoscevo appena.

SABELLINA -
Giacomo, non sei mai stato un genio: lascia stare, non discutere con lei, è troppo in gamba per te!

COME SE AVESSE AVVERTITO LA FRASE DI SABELLINA, CHE LUI, COME GLI ALTRI, NON VEDE E NON SENTE, GIACOMO TACE. POI CAMBIA ATTEGGIAMENTO, SI FA QUERULO.

GIACOMO -
Non se la prenderà proprio con me, adesso... Siamo tanti, a tirare avanti in questo modo... Pescate più in alto, voi della polizia, dove c’è chi si arricchisce, e comanda!

MARTA -
Controllerò se lei ha avuto qualche responsabilità nel caso. Per ora, rimane a nostra disposione.

GIACOMO -
Ma che è successo?

MARTA - ( eludendo la domanda, al Poliziotto)
Fallo portare da noi. Che ne prendano tutti i dati. Poi quando arriverò io, vedremo.

GIACOMO - ( preso dal panico)
Posso psiegare tutto. Ho un alibi perfetto. Qualunque giorno, qualunque ora, non ho niente da nascondere, io! E se occorre, posso fare dei nomi... Gente importante, che può garantire...

MARTA -
Basta! Canaglia! Hai distrutto dei ragazzi per farti un po’ di soldi! Non dire più niente o per te sarà peggio.

GIACOMO - ( servile)
Sì certo, signora... Scusi... Dicevo così per dire...
Sa, io sono molto impressionabile, era per tirarmi un po’ su... E poi, devo arrangiarmi anch’io... Sono in cassa integrazione... Qualche volta trovo dei lavoretti... per mantenere mia sorella malata... Non è facile, creda...

( sincero)

Beati voi che avete lo stipendio fisso, e non vi cambia niente, qualunque cosa succeda!

MENTRE IL POLIZIOTTO E LO SPACCIATORE STANNO PER USCIRE, ENTRANO LA MADRE E LA SORELLA DI SABELLINA, INSIEME A MAURO.
MAURO SI FERMA DI COLPO DAVANTI ALLO SPACCIATORE.

MAURO -
Ah! Io ti ho già visto.

GIACOMO - ( frettoloso)
Stavo andando via... Ho sbagliato casa...

MAURO -
No no! Io ti conosco.

( A MARTA)

Quando ho incontrato Sabellina e volevo che tornasse con me, lui le girava intorno, in quel bar! Lei aveva fretta, era nervosa... Io l’ho seguita dopo che è andata via, ho visto che la raggiungeva. E mi aveva urtato quel gesto da padrone, come lui l’aveva presa sottobraccio.

GIACOMO -
Ah, non capisco di che cosa parli.

( al Poliziotto)

Andiamo, allora! Non stavamo uscendo?

IL POLIZIOTTO CHIEDE A MARTA CON LO SGUARDO CHE COSA DEVE FARE.

MARTA -
Andate, adesso. Più tardi verrò io.

I DUE ESCONO. LA MADRE E LA SORELLA SI ACCASCIANO SFINITE.

MAURO - ( a MARTA )
Le ho trovate là, dove sta lei...

SABELLINA -
Mauro, no, è solo un’apparenza... Non c’è più niente di me, in quella cosa. Ci troveremo poi, di nuovo insieme, se insieme abbiamo fatto un pezzo di strada.

LUCIA -
Siamo tornati, perché a me pare impossibile che non abbia lasciato scritto niente, di quello che ha deciso, e perché lo ha fatto... Io non mi do pace, sì, anche per il modo. Potessi almeno rassegnarmi...

ELISA -
Io me la vedo ancora, su quel balcone...

( indica la finestra)

... che guarda giù. dove sto io, e mi risponde in fretta che non può venire alla mia festa...

( a MARTA)

... Sa, mi ero appena laureata, pensavo che poteva essere una buona occasione per farla tornare tra noi... Avrebbe ancora incontrato qualcuno dei compagni di studi, le amicizie di una volta...Ma lei, niente, ostinata, a dire no e no, che non poteva... che doveva partire... Non credevo a quelle scuse, ero tentata di arrivare su, di bussare fino a che non avesse aperto, per insistere... e vedere, anche, come viveva. Ma sarebbe stata una violenza, lei ne aveva sopportate già troppe, da tutti noi, non l’ho fatto.

MAURO -
E’ inutile ritornare sulle cose passate. Recriminazioni, ripensamenti, rimorsi.

( a MARTA )

Quell’uomo - lo sa? - io me lo ricordo bene. L’avevo già visto altre volte, andare in giro, nei bar intorno all’università. Cercava ragazzi a cui spacciare droga. Ma non avevo prove. Con me non ci aveva mai provato. Sentiva che lo sospettavo. Anche adesso, che prove abbiamo?

LUCIA -
Mia figlia. Chi me la restituisce? Da bambina non l’ho potuta avere. L’avevo perduta da ragazza. Speravo di riaverla quando era diventata donna. L’avrei aiutata, se avesse avuto dei bambini... La figlia mia, chi puà farmela tornare?

ELISA -
Mamma, ci sono anch’io. Comincio a capire tante cose...

MAURO -
Pensavo che presto o tardi l’avrei ritrovata. Tra noi non poteva essere finito. Era solo una pausa, che serviva a tutti e due. Adesso...

( piange con rabbia)

... adesso è troppo duro. Ho bisogno di sentire la sua voce.

SABELLINA -
Se ascolti dentro di te, Mauro, mi sentirai.

MARTA -
Ha lasciato degli appunti. Stavo leggendoli.

( alla Madre)

Signora, se vuole... Ma non so se le parole di sua figlia possono turbarla... addolorarla ancora di più.

LUCIA -
Qualunque cosa di lei. Non sono stata capace prima. Adesso, almeno.

MARTA - ( Tira fuori dei foglietti, le ultime pagine del diario, scomposte, spiegazzate)

Allora, queste sono le pagine che lei ha scritto...

MARTA LEGGE. DOPO LE PRIME RIGHE PRENDERA’ RILIEVO SABELLINA CHE LE DICE ANCHE LEI FINO A SOSTITUIRE LA VOCE DI MARTA.

MARTA - “ Non ricordo il passaggio del tempo. Le ore, i mesi...”.

SABELLINA - Non ricordo il passaggio del tempo. Le ore, i mesi, prima di “quel” giorno. Ricordo bene di essere arrivata alla sua casa perché ero certa che lei mi avrebbe aiutato. Era la donna che faceva i servizi dai miei, quella che tanti anni prima mi aveva portato la collanina, l’ultimo ricordo di mia madre. Sì, lei mi avrebbe aiutata, ne ero sicura. Mi fece entrare. nessun commento sul mio aspetto sciupato, sui vestiti sporchi, sul mio silenzio imbarazzato. Mi diede degli abiti puliti, mi preparò la vasca piena d’acqua tiepida, come aveva fatto tante volte quando ero bambina.
Mentre mangiavo, mi sistemava il letto, le lenzuola bianche ricamate, e una coperta calda, cose che avevo dimenticato. Poi tutto è successo come in sogno, O meglio, no, non è così. Certo non capivo la gravità di quello che facevo, ma ero io a muovermi, io a decidere; soltanto, ero sotto l’effetto della droga. Perché appena lei se ne era andata a dormire, nella stanza accanto, io mi ero fatta una spada, l’ultima che avevo. Ma quel senso di pace che sapevo, non arrivava. Era già un po’ di tempo che ogni volta aspettavo quella pace, che non veniva, la dose non bastava più. Lucida, ragionavo, sapevo che dovevo fare qualche cosa. Prendere i soldi di Mariuccia: “Tanto non mi denuncia. E vivo qualche giorno”. Vado piano in cucina, apro il cassetto, trovo un po’ di biglietti. Poi, nel bagno, la vera d’oro - era vedova - che lasciava sul lavabo quando andava a dormire, e la crocetta con la catenella. Nient’altro che servisse, in quella casa. Ero inquieta, cominciavo a star male, vedevo luci nell’oscurità, sentivo suoni e tutto era silenzio. Presi la mia sacchetta dove tenevo i documenti e poche altre cose, e la pistola - quella delle esercitazioni del gruppo, che mi portavo dietro se dormivo fuori, ma era scarica, poteva servire per intimidire; stavo mettendoci quella roba dentro, quando lei apre la porta e mi guarda con un’aria sconsolata: “Tu mi hai rubato? - mi diceva. Ma perché? Ti avrei dato ogni cosa, ma perché mi hai rubato, figlia mia?”. A me pareva che mi prendesse in giro, e quel tono dolce, di rimprovero, mi sembrava una beffa; forse prendeva tempo per chiamare qualcuno; in prigione io non ci volevo andare. Tiro fuori la pistola: sarebbe stata zitta, volevo solo spaventarla. Ma lei mi si butta sopra, aveva paura, gridava “cosa fai”; in quel momento dalla pistola è partito un colpo. Io credevo a un’allucinazione. Come i suoni che sentivo, forse quel colpo non c’era stato. Ma lei era lì, sul pavimento. E c’era un filo sottile di sangue che si allargava sulla sua camicia.
Riuscii a rivestirmi. Presi ogni cosa, intorpidita, incredula. Era ancora notte quando arrivai a casa. Mi concentrai tutta nel prendere sonno. Il giorno dopo, sulla sedia accanto al letto, ho subito visto la mia sacca. La svuoto con ansia, dentro c’erano i soldi, e l’anello, e la crocetta con la catenina, e la pistola. Uscii di casa. I soldi bastarono per una busta doppia. A casa scrissi un biglietto ai miei: di restituire l’anello e la crocetta ai figli della donna; di perdonare a me quello che avevo fatto, e che non avrei voluto, così come non avevo cercato quella vita, che invece a poco a poco mi era venuta fra le mani, storta; di ricordarmi con affetto a mia sorella, perché avrei voluto essere come lei e non c’ero riuscita, ma non era colpa di nessuno tranne che mia, e solo allora lo capivo.
Poi mi feci la spada. Desideravo ardentemente di sentire quel calore, quando comincia a scorrere la roba nelle vene. Non tolsi l’ago, perché il liquido fluisse fino alla fine. Mi addormentai così.

SABELLINA GUARDA IL PUBBLICO.

SABELLINA - Sì, sono morta.
Ma non giudicatemi, vi prego.
Perché a molti, a tutti, per bisogno di amore, può succedere di sbagliare.

MARTA - Ecco, ora sapete.

( tira fuori il bigliettino trovato fra le pieghe del lenzuolo)

L’ho trovato poco fa.

( porge il biglietto alla Madre)

Forse quello che c’è scritto potrà darvi un po’ di consolazione...

LUCIA PRENDE IL BIGLIETTO. FA PER LEGGERLO MA NON NE HA IL CORAGGIO. LO PORGE AD ELISA.

ELISA -
E’ indirizzato a noi. Dice... di restituire l’anello e la crocetta ai figli di Mariuccia... di perdonarla per quello che ha fatto... “ e che non avrei voluto, così come non ho voluto questa vita che invece mi è venuta fra le mani, storta”. Dice di ricordarla con affetto... a me... “perché avrei voluto essere come lei e non ci sono riuscita, ma non è stata colpa di nessuno tranne che mia, e soltanto adesso lo capisco”.

( alza gli occhi dal biglietto)

Non c’è altro.

LUCIA STENDE LA MANO PER AVERE IL BIGLIETTO DA ELISA, LO PRENDE E LO STRINGE A SE’.

MAURO -
E io? Non ha lasciato niente per me. Come se non fossi mai esistito...

SABELLINA IN UN ABBRACCIO LEGGERO LO SPINGE - MA MAURO PENSA DI AVERE AVUTO LUI QUEL PENSIERO, DI MUOVERSI VERSO IL TAVOLO DOVE C’E’ IL DIARIO, ACCANTO A MARTA - E GLI GUIDA LA MANO FINO AL QUADERNETTO.

( a MARTA, indicando il quaderno)

Posso prenderlo?

MARTA -
Sì.

( gli porge il quaderno; le mani di MARTA, di MAURO e di SABELLINA si toccano per un attimo, ma i due vivi non si accorgono dell’altra).

MAURO SFOGLIA IL DIARIO. SPUNTA FRA LE PAGINE UNA MARGHERITA CHE SEMBRA AVER CONSERVATO TUTTA LA SUA FRESCHEZZA.

MAURO -
Oh! la margherita! Era il suo fiore preferito!.. Tante volte gliene regalavo dei mazzi... ne prendeva una e la metteva fra le pagine di un libro... “Per ricordo di questo momento” diceva... e mi baciava... Chissà, anche questa margherita è un ricordo di uno di quei momenti... Dunque lei non mi aveva dimenticato.

LUCIA -
Mauro, noi non dimeticheremo lei. Ti avrei voluto come figlio... Se ci vedessimo, qualche volta...

I TRE SI AVVICINANO. MAURO SOSTIENE LA MADRE.

MARTA -
Andate. Non c’è più niente da fare, qui.

( al Poliziotto)

Anche noi. Ci aspettano in ufficio.

TUTTI ESCONO. SABELLINA FA UN GIRO INTORNO, CON UN PICCOLO SORRISO, E CORRE VIA LEGGERA.

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