La scena - una terrazza alta nel centro di Roma. Anni ‘70. Intorno si intravedono vari monumenti un panorama ideale della Roma che Sartre amava. Sulla terrazza una poltrona di vimini voltata di schiena un divanetto; una sedia; un tavolino; arredi vari da terrazza-giardino. Un paravento, di lato, che all’occorrenza diventa semitrasparente. Un tavolino, con dei fogli scritti e dei libri.
ATTO I
Nella semioscurità di un’alba di prima mattina, una luce appena radente tocca la poltrona di vimini voltata, su cui siede Sartre; accanto a lui, inginocchiata e come accovacciata, Sylvie; Simone è davanti, illuminata.
SIMONE Molti anni prima che Sartre morisse, il suo corpo cominciò a cedere alla vecchiaia. Un’estate gli venne un terribile dolore alla lingua, non poteva né parlare né mangiare, senza soffrire. Aveva anche dei fastidi a una gamba, e camminava con fatica, Gli dissi: “E’ proprio un brutto anno: avete sempre avuto dei disturbi”.
VOCE DI SARTRE (Dalla poltrona voltata) Oh, non importa. Quando si è vecchi, non ha più importanza.
SIMONE Come sarebbe a dire?
VOCE DI SARTRE Si sa che non durerà a lungo.
SIMONE Volete dire, perché si è vicini a
VOCE DI SARTRE Si. E’ normale che si sprofondi a poco a poco. Da giovani e diverso.
SIMONE Il suo tono mi sconvolse, sembrava già sull’altra sponda della vita. Era diventato indifferente a molte cose, si disinteressava della sua stessa sorte. Se non era triste spesso era perlomeno assente. Diventava di nuovo allegro, quando facevamo le nostre interminabili discussioni con Sylvie.
La luce invade la terrazza come quando al mattino il sole compare sfondando le nuvole in un inizio di autunno. Sylvie si rialza con il vassoio della colazione fra le mani, e lo appoggia sul tavolino, da dove poi ognuno si servirà. Sartre compare, facendo girare la poltrona di vimini fino a trovarsi di fronte al pubblico.
SARTRE Tutto quello che vale per me, in amore, vale per gli altri: mentre io tento di liberarmi dell’influenza di altri, l’altro tenta di liberarsi dalla mia.
SYLVIA (Cercando di capire) Allora mentre io tento di soggiogare l’altro …
SIMONE (Logica) …l’altro tenta di soggiogarmi.
SARTRE E non si tratta di relazioni unilaterali, fate bene attenzione, ma di ‘conflitti’: il conflitto e il senso originano dell’essere per altri’.
SIMONE (Appassionandosi) D’accordo ma perché l’amante vuoi essere amato? Se l’amore fosse puro desiderio di possesso fisico, nella maggior parte dei casi potrebbe essere facilmente soddisfatto.
SYLVIE E’ chiaro quindi che l’amore vuole imprigionare la coscienza.
SIMONE Ma perché lo vuole? E come?
SARTRE Perché e il fatto di appropriarsi di un altro che mi fa esistere. Quindi, è della liberta in quanto tale che voglio impadronirmi.
SIMONE (Protestando) Ma chi vuol essere amato non desidera asservire l’amato. Non vuole possedere un automa si sentirebbe sminuito umiliato se vedesse la passione dell’amata come il risultato di un determinismo psicologico.
SARTRE Certo: l’amante si ritroverebbe solo, se l’amata fosse trasformata in automa, L’amante non desidera possedere l’amata come si possiede una cosa, pretende un tipo speciale di possesso vuole possedere una liberta come libertà.
SYLVIE Ma d’altra parte - io credo - questo amante non può essere soddisfatto di quella forma di liberta che e l’impegno libero e volontario. Chi si accontenterebbe di un amore che si da soltanto come pura fedeltà all’impegno preso? Chi accetterebbe di sentirsi dire: “Ti amo perché mi sono liberamente impegnata ad amarti, e perché non voglio contraddirmi: ti amo per fedeltà a me stessa”?
SARTRE (Compiaciuto) Infatti l’amante chiede il giuramento e nello stesso tempo si irrita del giuramento. Vuoi essere amato - per così dire - da una liberta e pretende che questa liberta come libertà non sia più libera.
SIMONE (Conseguente) E questo, ad ogni momento non solo all’inizio dell’avventura ma ad ogni momento …
SARTRE (Insistendo sul significato) … e nello stesso tempo l’amante esige che questa libertà si imprigioni da se che ritorni su se stessa - come nella follia, come nel sogno - per volere la sua prigionia.
SYLVIE (Cercando di tener dietro al ragionamento dei due) Allora questa prigionia deve essere rinuncia libera e nello stesso tempo rinuncia incatenata nelle nostre mani.
SARTRE Per quanto lo riguarda, d’altra parte, i amante non pretende di essere la causa di questa modificazione radicale della libertà vuole esserne invece l’occasione unica e privilegiata!
SIMONE (Logica) Perché nell’amore l’amante vuole essere tutto il mondo per l’amata.
SARTRE (Conclusivo) Vuole essere scelto come fine, ma come fine già scelto. SIMONE Psicologicamente la libera decisione di amare l’amante che l’amata ha preso in un tempo precedente deve insinuassi, come movente direi magico - dall‘“interno” del suo libero impegno presente.
SARTRE (Guarda compiaciuto le sue interlocutrici) Si, è così. Sembra una contraddizione eppure non può che essere così. Ma se andiamo avanti in questo genere di ragionamento troviamo conseguenze ancor più curiose.
SYLVIE Continuate, ve ne prego.
SARTRE Voler essere amato, è come costringere l’altro a ricrearvi continuamente; è volere insieme che la libertà fondi il fatto e che il fatto abbia una superiorità sulla libertà.
SIMONE Se questo risultato potesse essere raggiunto la conseguenza sarebbe che io sarei al sicuro nella coscienza dell’altro.
SARTRE Al sicuro, sì: perché se l’altro mi ama, io divento l’“insuperabile”, il che significa che devo essere il fine assoluto.
SIMONE (Continuando il ragionamento) Eppoi, come limite assoluto di libertà sono protetto da ogni eventuale diminuzione, sono il valore assoluto.
SYLVIE (Che non capisce più niente) Ma allora che cosa significa voler essere amato?
SARTRE Volersi porre al di là di ogni sistema di valori posti da altri come il fondamento oggettivo di tutti i valori.
SIMONE E’ vero (cerca degli esempi) Questa esigenza costituisce il tema comune delle conversazioni tra amanti delle volte l’amata vuole identificarsi con una morale ascetica di superamento di sé, e vuole incarnare il limite ideale di questo superamento …
SYLVIE (Cercando esempi anche lei) Oppure … l’amante esige che l’amata gli sacrifichi la morale tradizionale, e si tormenta, perché vuol sapere se l’amata tradirebbe i suoi amici per lui... “ruberebbe per lui”.. “ucciderebbe per lui” …
SARTRE Tutto questo deriva dal fatto che “io” devo essere la condizione del sorgere del mondo devo essere colui la cui funzione è di far esistere gli alberi e l’acqua …le città … i campi … e gli altri uomini, per poi donarli al partner, che li dispone in “mondo”.
SYLVIE Invece di essere una creatura che si stacca dallo sfondo del mondo, io, come essere amato, sono l’oggetto-sfondo dal quale il mondo si stacca.
SARTRE Così sono al sicuro lo sguardo degli altri non ferma più il mio essere in “ciò che sono” semplicemente: nell’intuizione amorosa che esigo, devo essere dato come una totalità assoluta, in funzione della quale tutti gli esseri devono essere intesi.
SIMONE (Accalorandosi) Non dimentichiamo però che l’amante esige “prima di tutto” la libertà dell’amata. In questo senso, sedevo essere amato dall’altro, devo essere scelto liberamente come amato.
SYLVIE Ma la scelta non deve essere relativa e contingente: l’amante si unta e si sento sminuito quando pensa che l’amata l’ha scelto “fra altri”. “Allora, se non fossi venuto in questa città, se non avessi frequentato quel tale, tu non mi avresti conosciuto, e non mi avresti amato?”.
SARTRE (Ride) Infatti, questo pensiero affligge l’amante. Il suo amore diventa amore fra altri, limitato dalle azioni sue e dell’amata, e dalla contingenza degli incontri.
SYLVIE Ciò che l’amante esige, è che l’amata abbia fatto di lui una scelta assoluta.
SARTRE (Conseguente) La mia esistenza si verifica, in quanto è chiamata.
SIMONE Allora, se è un’esistenza “chiamata”, non ci sentiamo più inutili, “di troppo”, nel mondo; sentiamo che questa esistenza è voluta nei minimi particolari da una libertà assoluta che essa condiziona nello stesso tempo e che siamo proprio noi a volere con la nostra libertà.
SARTRE (Conclusivo) E’ questo il fondo della gioia d’amore, quando esiste: sentirci giustificati di esistere…
SYLVIE Questo in teoria nel vostro saggio filosofico. “L’essere e il nulla” che avete cominciato a scrivere proprio quel giorno in cui faceste insieme a noi una delle vostre rare passeggiate in montagna …
SARTRE (Sorride compiaciuto) E’ vero Ero arrivato sulla vetta prima di voi, e cominciai a scarabocchiare sul mio taccuino. La cosa cominciò così.
SYLVIE Ma nei vostri drammi come nella vita gli amori vanno anche diversamente. Il comportamento di Caterina per Goetz, ne “Il diavolo e il buon Dio”, non so se sapreste giustificarmelo …
SARTRE Anche in quelle scene, pero misteriosamente si sprigionai ano gioie d’amore. E la ricerca di una giustificazione ad esistere …
Sylvie gli si para davanti ridendo, a sfida Simone assiste come spettatrice.
SARTRE - GOETZ (Spinge Caterina sul divanetto) Sul letto!
SYLVIE - CATERINA No!
SARTRE - GOETZ Vieni ti dico. Voglio fare l’amore.
SYLVIE - CATERINA Non ti ho mai visto così eccitato. (Sartre la prende per le spalle) Che hai?
SARTRE - GOETZ L’angoscia spinge all’amore.
SYLVIE - CATERINA Hai l’angoscia?
SARTRE - GOETZ (Va a sedere sul divanetto) Su! Vieni qua!
SYLVTE - CATERINA (Gli si avvicina, lo spinge via e si siede al suo posto) Eccomi qua, sono tua. Ma prima dimmi che ne sarà di me.
SARTRE - GOETZ Che ne so io! Quel che vorrai tu.
SYLVIE - CATERINA E tu che farai?
SARTRE - GOETZ Un altro ingaggio. Qualche altro Arcivescovo.
SYLVIE - CATERINA Portami con te! Ci saranno le volte che avrai bisogno di una donna; quando verrà il plenilunio e dovrai prendere una città, e avrai l’angoscia e ti sentirai in fregola!
SARTRE - GOETZ Una donna vale l’altra. I miei uomini me ne portano a dozzine.
SYLVIE - CATERINA E io non voglio! Possono essere venti donne, cento, se lo desideri... Tutte le donne. Prendimi in sella!, non peso, il tuo cavallo non si accorgerà di me, voglio essere il tuo bordello! (Gli si stringe contro)
SARTRE - GOETZ Che ti prende? (La guarda, repentino) Vai via. Mi vergogno per te. (La respinge)
SYLVIE - CATERINA (Grida) Non ti amo! Telo giuro! E se ti amassi non lo sapresti mai! Che t’importa che una ti ami se non telo dice?
SARTRE - GOETZ Che me ne importa di essere amato? Se mi ami, sei tu che godi! Vattene, porca! Non voglio che si approfitti di me!
SYLVIE - CATERINA Goetz! Goetz! Non mandarmi via! Sono sola al mondo!
Simone applaude. Sartre torna a sedere. Sylvie raccoglie sul vassoio i resti della colazione ed esce.
SARTRE Avevo undici dodici anni quando scrissi una prima piccola stesura di un “Goetz von Berlichingen”; già da allora mi piaceva quell’eroe violento che faceva regnare il terrore, ma nello stesso tempo aspirava al bene...
SIMONE Parliamo del vostro modo di scrivere per il teatro.
SARTRE Prima lavoro su un soggetto, poi lo metto da parte. Trovo frasi e battute e le annoto. La cosa assume una forma più o meno complessa e in seguito la semplifico. Ho lavorato così per “Il diavolo e il buon Dio”. Ricordo tutto quello che ho inventato, e tutto quello che ho poi tralasciato, per arrivare a...
SIMONE Alla versione definitiva?
SARTRE Sì, quel punto non incontro grandi difficoltà di scrittura: è mia conversazione tra persone che si buttano in faccia tutto quello che hanno da dirsi.
SIMONE Che cosa vi da maggior soddisfazione vedere la commedia in scena pensando che è buona, oppure che è molto ben allestita, o essere contento perché ha successo?
SARTRE Bè, è una situazione diversa dalla letteratura un libro è morto è un oggetto, lì, sul tavolo; non c’è solidarietà con lui. Con un lavoro teatrale è differente: si vive, si continua a lavorare ma tu sai che tutte le sere c e un posto in cui tua commedia continua ad essere rappresentata.
SIMONE Qual è il ostro rapporto con il teatro oggi?
SARTRE Non scrivo più commedie, è finita.
SIMONE Perché?
SARTRE C’è un’età in cui ci si distacca dal teatro. In una commedia succede sempre qualcosa di urgente. Ci sono personaggi che arrivano, dicono “Buongiorno come va?”, e si sa che entro due o tre scene saranno intrappolati in una questione urgente, dalla quale con ogni probabilità usciranno malissimo: è una cosa che nella vita capita di rado. Invece non si può scrivere una commedia senza che sia urgenza. E la ritrovate in voi, questa urgenza, perché sarà quella degli spettatori, che chiederanno se Göetz morirà, se sposerà Hilda o Caterina...Così, quand’è rappresentato, il teatro che si scrivevi mette in una sorta di urgenza quotidiana. E io, sono vecchio.
SIMONE (Provocatoriamente, affettuosamente) E invece dovreste pensare “In fondo, non ho più molto tempo da vivere. Bisogna che dica in fretta le ultime cose che ho da dire”.
SARTRE Avete ragione. Ma per ora, non ho niente da dire in teatro.
SIMONE E allora parliamo d’altro. I vostri rapporti con le donne.
SARTRE Oh!, a sei o sette anni avevo già delle fidanzate. Ad Arcachon ho amato molto una ragazzina che è morta l’anno dopo, era tisica. In quell’epoca mi avevano fotografato con una paletta in mano su una barchetta di legno dipinto mio nonno aveva questa mania di farmi fotografare in varie pose e situazioni. Io facevo delle moine a quella bambina e lei rideva beata… Le avevo scritto anche dei versi, li mandai per lettera a mio nonno - stavo in campagna in quel periodo -; erano dei versi impossibili senza ritmo la bambina se ne impipava ma stava sentirli e rideva. Io mi sedevo a fianco della sua poltrona a rotelle, lei rimaneva sdraiata, era debole, e io declamavo …
SIMONE E fino a che età avete continuato a frequentare le ragazzine?
SARTRE Ho smesso di frequentarle verso gli otto anni. Dopo quell’età la cosa cominciava ad assumere un aspetto ambiguo agli occhi dei genitori... Succedevano piccoli drammi... Sospetti sul comportamento... lo ero un maschietto... forse la ragione era questa.
SIMONE E quando siete stato più grande? Quando avevate dieci-dodici anni?
SARTRE Andavo al liceo vedevo soltanto le amiche di mia madre e ragazzine pochissime… A quell’epoca provavo un sentimento di natura abbastanza sessuale anche per mia madre. A quattordici anni ho avuto una mastoidite, sono stato operato e ho dovuto rimanere per tre settimane in ospedale. Mi madre si è fatta sistemare un letto vicino a me perpendicolare al mio. Alla sera quando mi addormentavo, lei si spogliava ed io la vedevo quasi nuda. Restavo sveglio, socchiudevo gli occhi, per vedere, attraverso le ciglia... e la contemplavo spogliata. Sylvie gli si avvicina.
SYLVIE - ANNEMARIE (Carezzevole) Il mio piccolo caro sarà così buono, così ragionevole, che si lascerà mettere le goccine nel naso senza fare storie.... (Lo coccola, poi si allontana verso il paravento immedesimandosi nella madre. Con gesti lenti si pettina i capelli, sussurrando una ninnananna)
SARTRE Se fosse vissuto, mio padre si sarebbe steso lungo sopra di me e mi avrebbe schiacciato. Per fortuna è morto prematuramente: fu un male o un bene? Non lo so ma sottoscrivo volentieri il verdetto di un eminente psicanalista: io non ho un Super-io (Spia Sylvie che continua a canticchiare pettinandosi) Mia madre per conto mio la prenderei piuttosto per una sorella maggiore … Questa vergine in residenza sorvegliata sottomessa a tutti me ne accorgo - e qui per servirmi. Le voglio bene: ma come potrei rispettarla se nessuno la rispetta? Nella mia camera hanno messo un letto da giovinetta. La giovinetta dorme da sola e si sveglia cautamente: io dormo ancora quando lei corre al bagno per le abluzioni; ritorna completamente vestita: in che nodo sarei nato da lei? Mi racconta le sue disgrazie e io l’ascolto con compassione più in là la sposerò per proteggerla … Sylvie - Annemarie torna accanto a Sartre.
SYLVIE - ANNEMARIE (Ridendo, con aria complice) Ti ricordi l’altro giorno, quando siamo entrati nel negozio della guantaia?
SARTRE (Stando al gioco) E tu le hai chiesto se aveva dei guanti di camoscio verde...
SYLVIE - ANNEMARIE E lei si affannava a cercare nelle scatole per trovare quei guanti verdi...
SARTRE E noi giù a ridere, perché era solo per farle uno scherzo che tu le avevi chiesto quel genere di guanti...
SYLVIE - ANNEMARIE (Ride ancor più infantilmente) Oh, non potevo neppure guardasti, tanto mi veniva da ridere. A un certo punto non riuscivo proprio più a trattenermi! (Si allontana ridendo verso il fondo)
SARTRE Era sempre così fra noi. Come due coetanei, combinavamo scherzi, c’era una sorta di connivenza... Lei era la mia compagna di giochi... Non sapevo ancora leggere ma mio nonno mi regalo due libri di racconti per l’infanzia. (Sylvie Annemarie torna accanto a lui offrendogli due libri) Presi i volumetti li annusai…, li palpai, li aprii facendoli crocchiare… Tentai di trattarli come bambole... Li cullai, li baciai...non ebbi successo. Quasi alle lacrime, finii col posarli sulle ginocchia di mia madre.
SYLVIE - ANNEMARIE Che vuoi che ti legga, caro? Le “Fate”?
SARTRE Incredulo domandai: Le Fate, ma son là dentro?” Mia madre prese un libro, lo aprì, si chinò, abbassò le palpebre, sembrava addormentata…
SYLVIE ANNEMARIE (Comincia a leggere. La sua lettura rimane di sottofondo mentre parla Sartre) “C’era una volta un povero boscaiolo che abitava in una casetta in mezzo alla foresta...”
SARTRE Da quel volto di statua usciva una voce gessosa Persi la testa chi che raccontava che cosa?, e a chi? Mia madre si era fatta assente: non un sorriso, non un segno di connivenza, ero in esilio...
SYLVIE - ANNEMARIE “Ogni giorno la moglie del boscaiolo preparava da mangiare per tutta la famiglia, che era composta, oltre che da lei e dal marito, da un nugolo di figli...”
SARTRE Non riconoscevo il modo di parlare di mia madre … Dove prendeva quella sicurezza?
SYLVIE - ANNEMARIE “L’ultima della nidiata era una fanciulla di rara bellezza, delicata nei lineamenti, con gli occhi azzurri mentre quelli dei fratelli erano scuri, e dai lunghissimi capelli d’oro, inanellati e splendenti sotto il sole …”
SARTRE Era il libro a parlare! Ne uscivan fuori frasi che mi facevano paura: erano autentici millepiedi … gorgogliavano di sillabe e di lettere … distendevano i dittonghi ... facevano vibrare le doppie consonanti... Melodiose, nasali, intervallate di pause e di sospiri ricche di parole sconosciute esse si incantavano di se stesse e dei loro meandri senza preoccuparsi di me …
SYLVJE - ANNEMARIE “Un giorno si presento alla porta della casetta una vecchina dall’aspetto miserabile: implorava un pezzo di pane! La bella fanciullina dai capelli radiosi si impietosì a quella vista, e con un meraviglioso sorriso offrì alla vecchina la merenda, una bella fetta di torta e tre rosse pesche mature... Ma la vecchina era una Fata potente e generosa, e subito si trasformò in una bellissima creatura dalle vesti sontuose, toccò la bionda fanciulla con la bacchetta magica e le disse: “Sei stata buona e avrai nella vita tutto quello che vorrai”. Poi sparì e la fanciulla rimase estatica a guardare l’aria con la sensazione di aver fatto un sogno (Continuando a leggere come una sonnambula, si allontana fino ad uscire dalla scena)
SARTRE Annemarie con quella voce monotona pareva un’altra, e aveva l’aspetto di una cieca... Quando smise di leggere, io le ripresi in fretta in libri e me li portai via sotto il braccio, senza neanche dire grazie. Geloso di mia madre, decisi di soffiano la parte: chiuso in uno sgabuzzino, facevo finta di leggere: seguivo con gli occhi le righe nere senza saltarne una, e mi raccontavo ad alta voce una storia facendo attenzione a pronunciare tutte le sillabe Mi sorpresero Ci furono esclamazioni di meraviglia… e decisero che era venuto il momento di insegnarmi l’alfabeto. Mi lasciarono vagabondare fra i libri e diedi l’assalto all’umano sapere. E’ stato questo a formarmi.
SIMONE Quand’è che siete andato a letto per la prima volta con una donna?
SARTRE Ero al liceo Louis-Le-Grand. E’ stato con una donna che veniva da Thiviers la moglie di un medico. Un giorno non so perché venne a prendermi al liceo.
Sylvie si avvicina a Sartre
SYLVIE SIGNORA (Prendendo in giro Sartre) E così dormite in collegio?
SARTRE (Con tono imbarazzato) I miei non abitano qui … Se voglio frequentare il liceo, devo stare in collegio …
SYLVIE - SIGNORA E’ un vero peccato. Ma non uscite mai?
SARTRE Il giovedì e la domenica, al pomeriggio.
SYLVIE - SIGNORA Oggi è venerdì, vi aspetto dalla signora Chadel domenica alle due. (Si ritrae)
SARTRE Accettai, senza capire bene. La signora Chadel era la madre di un nostro compagno, ed era amica di quella donna.
SIMONE E poi che cosa accadde? Andaste all’appuntamento, quella domenica?
SARTRE Ci andai. (Sylvie gli si avvicina lo sfiora con una carezza che dal viso lo percorre lungo il corpo) Compresi che desiderava avere rapporti fisici con me.
SIMONE L’avevate frequentata molto?
SARTRE Ma no! Rimasi estremamente sorpreso nel vederla arrivare al liceo; non vi so spiegare che cosa le passò per la testa. Comunque andai all’appuntamento, e lei mi fece capire che potevamo andare a letto insieme.
SIMONE Quanti anni aveva?
SARTRE Trenta E io ne avevo diciotto. Andai con lei senza troppo-entusiasmo, perché non era molto bella. Però non era male; un po’ alla volta me la cavai, lei sembrò contenta. (La signora Io bacia sulla bocca e si allontana salutandolo con la mano, fino ad uscire di scena)
SIMONE Ritornò?
SARTRE Mai più.
SIMONE (Canzonandolo) Porse allora non era rimasta così contenta. Non vi diede un altro appuntamento?
SARTRE No. Doveva ripartire il giorno dopo. Era venuta a prendermi al liceo perché si era messa in mente di farei amore con me. Non ho mai più saputo niente di lei.
SIMONE Ci sono state altre storie con ragazze, in quegli anni dei liceo?
SARTRE Mi incontravo con dei compagni dell’Henry Quatre, al Luxembourg, quando uscivo il giovedì. Loro si vedevano con delle ragazze del quartiere Saint-Michel, in particolare con la figlia del bidello dell’Henry Quatre. Uscivamo con loro, le palpavamo un po’; poi quasi tutte ci davano un appuntamento in qualche camera e noi ci andavamo a letto; mi ricordo una ragazza con cui ebbi un incontro, era carina, doveva avere un diciotto anni, si faceva portare a letto facilmente.
SIMONE Avete avuto una relazione con lei?
SARTRE Ci andai una volta sola. Era gentile con me, tanto dopo come prima, quindi non l’avevo delusa, si vede che non cercava niente di diverso da quello che le davo, e le piaceva così. Per tutti succedeva in questo modo.
SIMONE Perché la cosa non andava mai più avanti, sia per voi che per i vostri compagni?
SARTRE Mah!, per quelle ragazze nutrivamo una specie dì disprezzo...
SIMONE Perché?
SARTRE Pensavamo che una ragazza non dovesse darsi a quel modo.
SIMONE Bene! Allora avevate una morale sessuale! E’ divertente, però!
SARTRE Voglio dire che confrontavamo le figlie delle amiche delle nostre madri con le ragazze che frequentavamo, e naturalmente le giovanette borghesi erano vergini. Se avevamo un vago flirt con una di loro, non andavamo al di là di un bacio sulla bocca, se pure ci arrivavamo. Con le altre invece, se capitava, si poteva andare a letto.
SIMONE Vi pareva disdicevole, da qui bravo borghese che eravate?
SARTRE Sì. Non proprio disdicevole, ma...
SIMONE Eravate contento di approfittarne e nello stesso tempo pensavate: “Non si sposa la propria amante”. Anche se l’idea del matrimonio era molto lontana da voi, pensavate che una ragazza avrebbe dovuto comportarsi così.
SARTRE Sì, era un po’ così.
SIMONE Quando avete abbandonato la sciocca idea che le ragazze che fanno l’amore liberamente siano più o meno delle puttane?
SARTRE Oh bè, molto presto. Dopo essere andato a letto con qualche donna per un po’, non ho più preso la cosa in quel modo. E’ successo soltanto al liceo.
SIMONE Eravate ancora molto segnato dall’educazione borghese. Queste erano considerate piccole faccende puramente sessuali.
SARTRE Poi c’è stato il rapporto con Camille, che divenne la mia fidanzata...
SIMONE Oh, tutta questa faccenda la conosco bene, e anche i rapporti con le studentesse della Sorbona. E poi c’è stata la nostra storia, che è una cosa un po’ diversa.
SARTRE Sì.
SIMONE Non bisogna però perdere di vista l’esistenza di questa nostra storia, per capire i vostri rapporti con le altre donne. Quando ci siamo conosciuti, mi avete subito detto di essere poligamo. Mi avete detto che non avevate t’intenzione di limitarvi ad una sola donna, ad una sola storia. Adesso allora vorrei sapere, in queste storie, che cosa vi ha attratto in particolare delle donne?
SARTRE Qualsiasi cosa!
SIMONE Come sarebbe a dire?
SARTRE Le qualità che potevo chiedere alle donne, le qualità più serie, secondo me voi le avevate. Di conseguenza le altre donne ne erano esentate; potevano per esempio essere soltanto belle. Voi avete rappresentato molto di più di quanto io volessi dare alle donne, le altre hanno avuto dimeno, e di conseguenza hanno impegnato una parte minore di se stesse.
SIMONE Ci sono state donne che visi sono buttate tra le braccia e voi le avete respinte Perché ne sceglievate certe e non altre?
SARTRE Avevo fatto parecchi sogni, sogni il amore E questi sogni mi avevano fornito una specie di modello era una bionda qualche volta ho incontrato nel invita una donna che le somigliava mai pero storie importanti. Ma quell’immagine, io l’ho ancora in mente: vestiva un abito da ragazzina … (Mentre Sylvie descrive intorno dei giri come una ragazzina che segue il cerchio) Io ero un po’ più grande di lei, e giocavamo al cerchio vicino al laghetto del Luxembourg …
SIMONE E’ una storia vera o un vostro sogno?
SARTRE No... è quello che sognavo.
SIMONE (Ride) Ah’ sognavate amori infantili insomma!
SARTRE No: quegli amori infantili rappresentavano l’amore. Solo che io avevo i calzoni corti dei era vestita quasi come una bambina. Io avevo già vent’anni, ma in forma simbolica sognavo di giocare al cerchio con una bimbetta. Forse perché il cerchio e la bacchetta rappresentavano un simbolo tipico...
Sylvie si allontana.
SIMONE Ma che cosa vi interessava soprattutto, nei vostri rapporti con le donne?
SARTRE In fondo mi piaceva ritemprare la mia intelligenza immergendola in una sensibilità. Sì, certo, i rapporti sessuali conio donne erano d’obbligo, perché le relazioni tipiche li presuppongono...
SIMONE Quindi finivate sempre per averne...
SARTRE io pero non vi attribuivo grande importanza. Per dirla tutta mi interessavano meno delle carezze: ero più un masturbatore di donne che un attivista del coito!
SIMONE Il dato sessuale tradizionale è “andare a letto”: voi non partivate da questo.
SARTRE Per me il rapporto fondamentale e affettivo implicava che io abbracciassi un corpo, lo accarezzassi, lo percorressi con le labbra. L’atto sessuale invece io lo compivo; lo compivo anche spesso, ma con una certa indifferenza.
SIMONE Questa indifferenza, più che alle donne si riferisce ad un certo tipo di rapporto con il vostro corpo... Perché avete sempre avuto questa freddezza sessuale, pur amando moltissimo le donne? A coinvolgervi non è mai stato il desiderio puramente istintivo...
SARTRE Mai.
SIMONE Era piuttosto il “romantico”...
SARTRE Sì. Un romantico indispensabile. Quasi che l’uomo, dopo essersi dato da fare per eliminare parte della sua sensibilità e sviluppare l’intelligenza, sia stato indotto a rivendicare la sensibilità della donna: a possedere cioè donne sensibili, per fare della propria sensibilità una sensibilità femminile.
SIMONE Volete dire che, senza una donna, provavate un senso di incompiutezza?
SARTRE Si. Per me una vita normale implicava un rapporto costante con la donna un uomo si definiva sia per quello che faceva e che era, sia per ciò che diventava attraverso la donna che stava con lui.
SIMONE Questo vi succedeva con le donne con cui avevano dei rapporti?
SARTRE Con le donne con cui ho avuto una relazione io vivevo all’interno una storia di un mondo ma quello che mi impediva di vivere “nel mondo” eravate voi.
SIMONE (Con vivacità) Come sarebbe a dire?
SARTRE Il mondo, lo vivevo con voi … (Appare Sylvie Lo prende per mano. Entrambi passano rapidamente davanti a Simeone, andando a finire dietro paravento che lascerà intravedere come ombre cinesi le azioni che Sartre andrà via via descrivendo) Mio bel Castoro, sono salito con questa bellissima ragazza nella mia stanza per prendere un vestito da far pulire a secco (ipocrita d’un ometto, dirà il buon Castoro Buon Castoro ero puro, lo giuro) e allora. ‘Ti sono stata fedele a modo mio’. Così, perché è capitato, perché doveva essere così. L’ho baciata sulla guancia lei mi ha baciato sulla bocca. Le ho tolto la camicetta lei si è tolta la sottana e le mutandine. Sono andato a letto con lei. Mi ha detto che mi amava e io non ci ho creduto affatto. Le ho detto che l’amavo molto lei ci ha creduto. Mi ha detto ‘Ho provato quasi piacere’. L’ho riconsegnata ne le mani di suo marito e ho preso il treno. In treno ho letto un libro sulla teoria tedesca del Valore, scemo ma con qualche informazione. (Torna verso Simon fino a sedersi accanto a lei, le prende la mano). Ecco tutto dolce castorino mio. Ho trovato un mucchio di lettere vostre a Parigi. Date l’impressione di essere così felice che mi sono intenerito fino alle lacrime. Amo tanto le vostre piccole attività di persona sola voi che passeggiate, leggete e bevete a volte il vostro quarticello di vino... Vi amo. Ho grande (retta di rivedervi. Ma non ho affatto dimenticato la vostra cara (accetta. Sarete ingrassata un poco?
SIMONE Credo di capire: con le altre donne, vivevate in mondi che erano all’interno di quel mondo, che vivevate con me…
SARTRE Mondi all’interno di quel mondo, è così: era questo a costituire l’inferiorità di quei rapporti. Era una strada sbarrata in partenza.
SIMONE Perché esistevano i nostri rapporti.
SARTRE Sì.
SIMONE Una delle vostre aspirazioni era di rivelare la verità: rivelare agli altri la verità del mondo.
SARTRE Sì, ci sono arrivato lentamente. Non all’inizio. Però, fin dall’inizio, l’idea era presente. Mi occorreva un soggetto: per me, era il mondo: quello che avevo da dire, era il mondo. Come tutti gli scrittori, del resto, credo. Uno scrittore ha un solo soggetto, ed è il mondo.
SIMONE Sì, ma certi arrivano al mondo passando attraverso se stessi, parlano delle loro esperienze.
SARTRE Io non scrivevo su me stesso non so perché. Non mie mai venuto in mente di scrivere sudi me di raccontare una storta che mi fosse capitata. Però si trattava comunque di me. Ma il fine dei miei racconti non tra quello di rappresentarmi.
SIMONE Era il mondo ad essere colto attraverso di voi.
SARTRE Senz’altro il soggetto de La nausea e prima di tutto, il mondo.
SIMONE Una rivelazione del mondo e soprattutto di quella dimensione del contingente cui tenevate tanto.
Sartre si alza e viene avanti La scena intorno a lui e buia Simone assiste.
SARTRE - ROQUENTIN L’essenziale e la contingenza. Esistere è “essere lì”, semplicemente; gli esistenti appaiono, si lasciano “incontrare”, ma non li si può mai “dedurre”. Qualcuno l’ha capito, e ha cercato di sormontare questa contingenza inventando un essere necessario e causa di sé. Ma non c’è nessun essere necessario che può spiegare l’esistenza, la contingenza non è una falsa sembianza, un’apparenza che si può dissipare è l’assoluto e per conseguenza, la perfetta gratuità. Tutto è gratuito: questo giardino, questa città, io stesso. E quando vi capita di rendervene conto vi si rivolta lo stomaco e tutto si mette a fluttuare. Ecco la Nausea. L’esistenza non è qualcosa che si lasci pensare da lontano: bisogna che v’invada bruscamente, che si fermi su di voi che vi pesi greve sullo stomaco come una grossa bestia immobile - altrimenti non c’e assolutamente più nulla. L’esistenza è un pieno che l’uomo non può abbandonare. Che io l’abbia sognata quell’enorme presenza? Era lì, posata sul giardino, precipitata negli alberi, mollissima, impiastricciando tutto, densissima, una mostarda. Ed io c’ero dentro, io, con tutto il giardino? Avevo paura, ma ero soprattutto arrabbiato trovavo che era una cosa rosi stupida, così fuori posto, e l’odiavo, quell’ignobile marmellata. Quanta ce n’era! Arrivava fino al cielo, e invadeva tutto, tutto riempiva col suo abbraccio gelatinoso e ne vedevo in quantità sempre più grande ben oltre i confini del giardino, oltre le case, oltre Bouville… Non ero sorpreso sapevo che era il Mondo, il Mondo nudo e crudo che si mostrava d’un tratto; e soffocavo di rabbia contro questo grosso essere assurdo. Non ci si poteva nemmeno domandare da dove uscisse fuori tutto questo ne come mai esisteva un mondo in vece che niente. Non aveva senso, il mondo era presente dappertutto, davanti, dietro Non c’era stato niente prima di esso. Niente. Non c’era stato un momento in cui esso avrebbe potuto non esistere. Era appunto questo che m’irritava senza dubbio non c’era “alcuna ragione perché questa larva strisciante esistesse”. “Ma non era possibile che non esistesse”. Era impensabile per immaginare il nulla occorreva trovarcisi già in pieno mondo da vivo con gli occhi spalancati, il nulla era solo un’idea nella mia testa, un’idea esistente fluttuanti, in quella immensità quel nulla non era venuto prima dell’esistenza, era un esistenza come un’altra e apparsa dopo molte altre. Ho gridato “che porcheria! che porcheria!” e mi sono scrollato, per sbarazzarmi di questa porcheria appiccicosa; ma questa teneva duro, e ce n’era tanta, tonnellate e tonnellate d’esistenza, indefinitamente soffocavo nel fondo di quest’immensa noia. E poi d’un tratto, il giardino s’è svuotato come per un gran buco, il mondo è sparito allo stesso modo come era venuto oppure mi sono risvegliato - in ogni caso non l’ho visto più intorno a me rimaneva della terra gialla dalla quale uscivano dei rami morti drizzati in aria. Mi sono alzato, sono uscito. Arrivato alla cancellata, mi son voltato. Allora il giardino m ha sorriso. Mi sono appoggiato alla cancellata ed ho guardato a lungo. Il sorriso degli alberi, del gruppo di allori, ciò voleva dire qualche cosa: era questo il vero segreto dell’esistenza. (Torna a sedere accanto Simone mentre la scena si rischiara)
SIMONE Vi riuscì di scriverlo a trent’anni.
SARTRE “La nausea” fu un bel colpo, non lo nego. Per me scrivere fu per molto tempo un chiedere alla Morte, alla Religione informa mascherata, di strappare la mia vita al caso. Confusi le cose con i loro nomi: è aver fede; avevo le traveggole finché le ebbi mi ritenni fuori pericolo. Poi a trent’anni mi riuscì questo bel colpo di scrivere ne “La nausea” - davvero sinceramente, voi lo sapete – l’esistenza ingiustificata. “Ero” Roquentin; mostravo in lui senza condiscendenza la trama della mia vita nello stesso tempo, ero “io”, l’eletto, annalista degli inferi, microscopio di vetro e d’acciaio curvo sui miei sciroppi protoplasmatici.
SIMONE Più tardi esponeste allegramente che l’uomo è impossibile.
SARTRE Impossibile io stesso differivo dagli altri solo per il mandato che avevo di manifestare questa impossibilità che di colpo, si trasfigurava, diventava la mia più intima possibilità, l’oggetto della mia missione il trampolino della mia gloria.
SIMONE Dubitavate di tutto. Rimettevate su con una mano ciò che distruggevate con l’altra e consideravate l’inquietudine come la garanzia della vostra sicurezza: eravate felice.
SARTRE Oggi sono cambiato. L’illusione del passato è in briciole. Martirio salvezza, immortalità, tutto si deteriora, l’edificio cade in rovina … (ironico) Ho acchiappato lo Spirito Santo nelle cantine e l’ho scacciato; l’ateismo e un’impresa crudele e di lungo respiro: io credo di averlo condotto in porto. Ci vedo chiaro ormai sono disingannato; da molti anni sono un uomo che si sveglia guardato da una lunga amara follia e non posso ricordare i miei vecchi errori senza riderne Ho smesso di investire ma non mi sono spretato: scrivo sempre Che cosa c’è da fare di diverso?
Entra Sylvie con un libro aperto nel quale leggera restando di lato rispetto alla scena che verrà realizzandosi recitata dagli altri due.
SYLVIE – “Anny è venuta ad aprirmi con un lungo vestito nero. Naturalmente non mi tende la mano, non mi dice buongiorno. Ho continuato a tenere la mari destra nella tasca del soprabito … (Simone e Sartre sono uno di fronte all’altro). In tono bisbetico e spicciativo, per sbarazzarsi delle formalità, dice..”.
SIMONE - ANNY “Entra, siediti dove ti pare, salvo nella poltrona vicino alla finestra”.
SYLVIE (Accanto a Sartre) “E’ lei, è proprio lei. Lascia pendere le braccia, il viso scontroso che in passato le dava l’aria di una ragazzetta nell’età ingrata. Ma non sembra più una ragazzetta. E’ grassa ha un petto voluminoso”. (Sylvie smetterà gradualmente di leggere le didascalie. I personaggi vanno prendendo vita e non hanno più bisogno delle descrizioni legate alle didascalie. Sono teatro).
SIMONE - ANNY “Non so se andarmi a sedere sul letto”...
SYLVIE “Il suo portamento non è più lo stesso di un tempo... Si sposta con una pesantezza maestosa e non senza grazia. E tuttavia, nonostante tutto, è proprio lei, è Anny...” (Simone scoppia a ridere)
SARTRE - ROQUENTIN “Perché ridi?”
SYLVIE “Anny non risponde subito, come il suo solito e assume un’aria di provocazione” (Si allontana lentamente)
SARTRE - ROQUENTIN “Di’, perché?”
SIMONE - ANNY “E’ per via di questo largo sorriso che hai inalberato da quando sei entrato. Hai l’aria di un padre che ha maritato la figlia. Avanti, non restare in piedi. Posa il soprabito e siedi. Sì, lì, se vuoi.” (Ride)
SARTRE - ROQUENTIN (Nel pensiero) “Riconosco benissimo questa piccola risata molto acuta e un po’ nasale”.
SIMONE - ANNY Bè, non sei cambiato. Che cosa cerchi con quest’aria afflitta?”
SARTRE - ROQUENTIN “Stavo solo pensando che questa camera non ha l’aria di essere abitata da te”.
SIMONE - ANNY “Ah sì?”
SYLVIE “Adesso è seduta sul letto”.
SARTRE - ROQUENTIN (Nel pensiero) “Continua a guardarmi, con aria calma, alzando un poco le sopracciglia. Dunque, non ha niente da dirmi? Perché m ha fatto venire? Questo silenzio è insopportabile. (A Simone) Sono contento di vederti. (Nel pensiero) Lo sapevo che il primo quarto d’ora sarebbe stato penoso. Una volta con lei non riuscivo mai a trovare le parole che si aspettava … Ma che cosa vuole, ora? Non posso indovinano...”
SIMONE - ANNY “Dunque non sei cambiato per niente? Sempre così sciocco? Sei un paracarro. Un paracarro al margine di una strada. Ecco perché ho tanto bisogno di te”.
SARTRE - ROQUENTIN “Bisogno di me? Hai avuto bisogno di me durante questi quattro anni che non t’ho vista? Bè, sei proprio stata discreta... (Nel pensiero) Mi sento sulla bocca un sorriso falsissimo e mi trovo a disagio”.
SIMONE- ANNY “Come sei sciocco! Non ho affatto bisogno di vederti, se è questo che vuoi dire. Lo sai, non hai niente di particolarmente gradevole da guardare. Io ho bisogno che tu esista, che non cambi. Sei come quel metro di platino che si conserva non so dove, a Parigi o nei dintorni. Non credo che nessuno abbia mai voglia di vederlo”.
SARTRE - ROQUENTIN “E’ qui che ti sbagli”.
SIMONE - ANNY “Insomma, poco importa, io no di certo. Però sono contenta di sapere che esiste, che misura esattamente la decimilionesima parte del quarto del meridiano terrestre. Ci penso ogni volta che si prendono le misure di un appartamento e che mi vendono della stoffa al metro”.
SARTRE - ROQUENTIN “Ah si?”
SIMONE - ANNY “Puoi ringraziarmi se ricordo ogni volta la tua faccia”.
SARTRE - ROQUENTIN (Nel pensiero) “Eccoci tornati a quelle discussioni alessandrine che bisognava sostenere in altri tempi, quando avevo in cuore voglie semplici e volgari, come di dirle che l’amavo, e desideravo prenderla fra le braccia”.
SIMONE - ANNY “Ho pensato a te molto più spesso che al metro di platino. Non c’è stato giorno in cui non abbia pensato a te, E mi ricordavo anche ogni particolare del tuo aspetto. (Si alza e va a posare le mani sulle spalle di lui) Osa dire che tu ti ricordavi la mia faccia, tu che ti lamenti”.
SARTRE - ROQUENTIN “Questa e malignità. Sai benissimo che io ho cattiva memoria”.
SIMONE - ANNY “Turni avevi completamente dimenticata. Mi avresti riconosciuta per strada?”
SARTRE - ROQUENTIN “Naturalmente Non si tratta di questo”.
SIMONE - ANNY “Vedi, sono ingrossata, invecchiata... Bisogna che mi curi”.
SARTRE-ROQUENTIN (Nel pensiero) “Si. E che aria stanca ha! Mentre sto per rispondere, si rimette subito a parlare lei”.
SIMONE - ANNY “Ho recitato, a Londra”.
SARTRE - ROQUENTIN “Con Candler?”
SIMONE - ANNY “Ma no, non con Candler. Sei sempre lo stesso! Ti eri cacciato in testa che avrei fatto teatro con Candler.
Quante volte devo dirti che Candler è un direttore d’orchestra? No, in un teatrino a Soho Square. Abbiamo dato l’“Imperatore Jones”, dei lavori di Sean O’ Casey, di Synge, e “Britannicus”...
SARTRE - ROQUENTIN “Britannicus?”
SIMONE- ANNY “Ma si, “Britannicus”! Per questo me ne sono andata. Avevo dato io l’idea di metter su “Britannicus”, e hanno voluto farmi fare la parte di Giulia”.
SARTRE - ROQUENTIN “Ah sì?”
SIMONE - ANNY “E io non potevo fare altro che la parte di Agrippina”.
SARTRE - ROQIJENTIN “E adesso che fai? (Nel pensiero) Ho fatto male a chiederglielo, la vita si ritira completamente dal suo viso, Pero risponde subito”.
SIMONE - ANNY “Non recito più. Viaggio. C’e un tale che mi mantiene. Oh! non guardarmi con tanta preoccupazione, non è una cosa tragica. Ti ho sempre detto che mi sarebbe stato indifferente farmi mantenere. D’altra parte è vecchio, non è un tipo che dà fastidio”.
SARTRE - ROQUENTIN “Un inglese?”
SIMONE - ANNY “Ma che cosa t’importa? Non dobbiamo parlare di quel tipo. Non ha nessuna importanza, né per te ne per me. Vuoi il tè?” (Va dietro il paravento)
SARTRE - ROQUENTIN “Anny entra nello spogliatoio. La sento andare e venire, muovere casseruole e parlare da sola; un mormorio acuto e incomprensibile”.
VOCE DI ANNY “Ora devi parlarmi dite”.
SARTRE - ROQUENTIN (Nel pensiero) “Questo mm ricorda che lei faceva delle domande che mi imbarazzavano molto, perché ci sentivo un interesse sincero insieme al desiderio di farla finita al pro presto. In ogni caso adesso vuole qual che cosa da me. Per ora non sono che dei preliminari: ci si sbarazza di ciò che potrebbe essere d’impaccio. Ora devi parlarmi di te etra poco parlerà di sé. Di colpo, non ho più nessuna voglia di raccontarle niente. A che scopo? La Nausea. La paura. L’esistenza. E’ meglio che tenga per me tutto questo.
SIMONE ANNY (Rientra) “Io mi … mi sopravvivo”.
SARTRE -ROQUENTIN (Nel pensiero) “Prenderla tra le braccia a che scopo? Non posso niente per lei. E’ sola come me”.
SIMONE - ANNY Che stai borbottando?
SARTRE - ROQUENTIN “Niente Pensavo soltanto a qualcosa”.
SIMONE - ANNY “Oh! Il personaggio misterioso! Ebbene, parla o sta zitto, ma deciditi”.
SARTRE - ROQUENTIN (Nel pensiero) “Restiamo in silenzio. Ho la penosa impressione che non abbiamo più niente da dirci. Ancora ieri avevo tante domande da farle dove era stata che cosa aveva fatto chi aveva incontrato. Anny stadi fronte a me non ci vedevamo da quattro anni e non abbiamo più mente da dirci”.
SIMONE - ANNY (Vivacemente) “Adesso bisogna che tu te ne vada. Aspetto qualcuno”.
SARTRE - ROQUENTIN “Aspetti …?”
SIMONE - ANNY “No, aspetto un tedesco, un pittore (Ride). Ecco, questo è uno che non è come noi. Non ancora. Agisce, lui, si prodiga”.
SARTRE - ROQUENTIN “Quando ti rivedo?”
SIMONE - ANNY “Non so, parto domani per Londra. E credo che dopo andrò in Egitto, può darsi che ripassi da Parigi l’inverno prossimo, ti scriverò”.
SARTRE - ROQUENTIN “Domani sono libero tutto il giorno”.
SIMONE - ANNY “Sì, ma io ho molto da fare. Non posso vederti. Ti scriverò dall’Egitto”.
SARTRE - ROQUENTIN (Nel pensiero) “In fondo so benissimo che non mi scriverà. Magari è l’ultima volta che la vedo. Non sono soltanto costernato di lasciarla; ho un’orribile paura di tornare alla mia solitudine”.
SIMONE - ANNY (Si avvicina a lui e lo bacia sulle labbra) “No. Non m’interessa più. Non si ricomincia. E poi, d’altra parte, per quello che se ne può fare, della gente, il primo venuto, un po’ bel ragazzo, vale quanto te”.
SARTRE - ROQUENTIN “Allora devo proprio lasciarti dopo averti ritrovata”.
SIMONE - ANNY No. Non mi hai ritrovata. (Ride, liberandosi delle braccia di lui) Poveretto. Non ha fortuna. Per la prima volta che fa bene la sua parte nessuno gliene è riconoscente. Su, vattene!”
Sartre e Simone tornano a sedersi. La terrazza e ormai in piena luce meridiana. Entra Sylvie con un vassoio colmo dei cibi e delle bevande per il pranzo. Mentre parlano, i tre mangeranno noccioline, mandorle, e berranno aperitivi.
SYLVIE (Disponendo i cibi sul tavolino) E pensare che avevate paura che ve lo rifiutassero, “La nausea”!...
SIMONE Eppure Io consideravate un’opera. Pensavate di essere un genio che non aveva trovato ancora il modo per farsi riconoscere.
SARTRE Molti buoni libri sono stati rifiutati nella storia della letteratura. (Ride) E’ vero, pensavo a me come a un genio, ma mi dicevo chela cosa si sarebbe scoperta in futuro.
SYLVIE Per voi, “La nausea” era un capolavoro?
SARTRE Non “è un capolavoro”, ma “è un genio che lo ha prodotto”.
SIMONE Voi distinguete il genio dall’intelligenza. Non vi considerate particolarmente intelligente, ma avete come l’idea di una missione.
SIMONE Una volta ho trovato molto giusta una cosa che mi avevate detto: “In fondo, l’intelligenza è una necessità, di non fermarsi e di andare avanti, sempre più avanti...”
SARTRE Sì, adesso non lo direi in questi termini. Ora penso che posso avere un po’ più di talento di un altro, ma che questi sono soltanto fenomeni alla cui origine si pone un’intelligenza uguale a quella dei miei simili, o una sensibilità uguale alla loro. Non penso che in me vi sia una qualsiasi superiorità, la mia superiorità sonò i miei libri, nella misura in cui sono buoni, ma anche l’altro ha la propria superiorità: può essere il cartoccio di caldarroste che vende d’inverno sulla porta di un caffè; ciascuno ha la propria superiorità, io ho scelto quella di scrivere.
SYLVIE La mia superiorità oggi è di prepararvi un buon pranzo. Con dei cibi che vi piacciano, e non è facile!
SARTRE E’ vero. Sono poche le cose che mangio volentieri.
SYLVIE I pomodori, quando ci siete voi, tanto vale non farveli neanche vedere!
SARTRE E’ strano, praticamente non li ho mai mangiati. (Ride) Non che li trovi particolarmente cattivi, ma non mi piacciono poi tanto, così ho deciso di non mangiarne; e in genere, chi mi sta vicino, rispetta la mia decisione.
SIMONE Da che cosa deriva una simile avversione?
SARTRE Dovrei saperlo, perché ritengo che ogni cibo sia un simbolo. Da un lato, si tratta di cibo, e in questo senso non è simbolico: nutre, è commestibile, Il suo sapore e il suo aspetto esterno sollecitano però delle immagini e simboleggiano un oggetto. Tale oggetto varia a seconda del cibo, ma è simboleggiato dal cibo stesso.
SYLVIE Quali sono, a parte i pomodori, i cibi che vi ripugnano di più? Almeno, seme ne farete un elenco, non rischierò di farvi preparare un vassoio carico di cose sgradevoli.
SIMONE (Sorride) Anche se ormai, Sylvie, fai così parte della nostra compagnia, che i gusti di Sartre li conosci come me.
SARTRE I crostacei, le ostriche, i molluschi, questi lo sapete che proprio non li posso soffrire.
SYLVIE Che cos’è che vi disgusta tanto in queste bestioline così saporita?
SARTRE Ah!, posso fare soltanto delle ipotesi. Per i crostacei, penso che si tratti della loro somiglianza con gli insetti che hanno un livello di esistenza e una coscienza problematica che mi turba. E soprattutto ci appaiono nella vita quotidiana come se fossimo assenti o quasi dal nostro universo il che li mette fuori gioco SYLVIE Non riguarda il sapore allora la vostra avversione nei confronti de, crostacei!
SARTRE La sensazione è un’altra: se mangio un crostaceo, mangio una cosa che appartiene ad un altro mondo: quella carne bianca non è fatta per noi, la rubiamo ad un altro universo!
SIMONE (Ridendo) Anche quando mangiate dei vegetali li rubate a un altro universo!
SARTRE Ed infatti non mi piacciano molto neppure i vegetali!
SYLVIE Secondo me voi sentite che nei vegetali non esiste coscienza Quel che vi turba negli insetti e che appartengono ad un altro universo ma al tempo stesso sono animati da una coscienza.
SARTRE E il vegetale, stando a tutte le apparenze, non ne ha. La cottura di un vegetale e la trasformazione di un certo oggetto privo di coscienza in un altro oggetto altrettanto privo di coscienza, e la cottura a costituire la presa di possesso da parte del mondo umano!
SYLVIE (Ridendo) Non ci avevo mai pensato un vegetale cessa di essere quello che è e diventa un passato o un’insalata cotta, se è cotto: è il fatto di essere crudo a tenerlo lontano da noi.
SIMONE I molluschi, però, non somigliano agli insetti come i crostacei. Come mai, allora, non vi piacciono?
SARTRE E’ un cibo nascosto dentro un oggetto, e bisogna estirparlo da lì. E’ soprattutto quest’idea di cavar fuori, che mi disgusta: il fatto che la carne dell’animale sia tanto protetta dalla conchiglia, che è necessario servirsi di appositi strumenti per estrarla, anziché staccarla integralmente. E’ dunque una cosa che ha attinenza con il mondo minerale: un vero e proprio dono di una pietra, cioè della conchiglia, che ti regala quella poca carne racchiusa nel suo interno.
SYLVIE Non c’è per caso qualcosa che vi disgusta nella qualità stessa della carne?
SARTRE C’è stato un periodo in cui mangiavo volentieri una bella bistecca, un filetto, oppure un cosciotto. Poi ho smesso, queste cose mi ricordavano troppo che stavo mangiando delle parti di un animale.
SYLVIE Che cos’è, allora che vi piace veramente?
SARTRE (Mangiucchia delle mandorle salate) Le cose che sono elaborate dall’uomo, che si trasformano per il suo intervento: quei cibi in cui l’aspetto, la composizione e il sapore stesso sono stati voluti e pensati dall’uomo. Il sapore di un frutto, per esempio, è casuale: Il frutto cresce su un albero, o a terra fra l’erba; non è fatto da me. non dipende da me, sono stato io a decidere di farne un cibo. Un dolce invece e creato da un pasticciere, dentro un forno con una sua forma decisa da lui dunque e un oggetto interamente umano.
SYLVIE In altre parole, per voi la frutta è troppo naturale!
SARTRE (Continuando a piluccare delle mandorle) Si bisogna che il cibo per me sia prodotto da un lavoro umano. Il pane e così, ho sempre pensato che il pane costituisse veramente un rapporto con gli uomini. E la carne quando l’uomo la usa per farne cose completamente nuove allora si mi piace. Un sanguinaccio un salsicciotto un salame. Il sangue viene raccolto e poi trattato in un certo modo la cottura viene fatta secondo una procedura ben definita inventata da gli uomini Per me il salame non e più carne, con le sue tacche bianche di grasso e la sua carne rosa a tondini e un altra cosa …
SIMONE Ne avete sempre un po’ abusato di questa vostra predilezione per il salame e sapete che non vi fa per niente bene
SYLVIE Comunque siete schierato decisamente dalla parte del cotto contro il crudo.
SARTRE Si in modo assoluto.
SIMONE (Canzonandolo) Poi pero fate degli strappi a questa affermazione: mangiate mandorle e noci anche se vi fanno male alla lingua sono ben crude eppure vi piacciono anche adesso state divorandole ne andate matto. E l’ananas? Vi piace alla follia!
SARTRE Da bambino conoscevo l’ananas in scatola, mi ero abituato a quel gusto avevo sempre creduto che fosse cotto! Quando l’ho mangiato per la prima volta fresco, in Sudamerica, ho avuto l’impressione che fosse un grosso oggetto cotto.
SIMONE Avete qualche altra cosa da dire a proposito del cibo?
SARTRE No, non mi pare.
SYLVIE E allora, mangiamo, sennò si raffredda ogni cosa. Avete la fortuna di trovarvi di fronte a un pranzo tutto quanto praticamente cotto: minestra di legumi... roast-beef con patatine arrosto... gateau di cioccolata...
SARTRE Comincerei da quello, secondo le mie teorie sull’intervento dell’uomo, ma non voglio farvi arrabbiare.
Tutti e tre si mettono a mangiare.
Fine del primo atto.
ATTO II
Luce pomeridiana sulla terrazza. Il tavolino è stato liberato dal vassoio del pranzo. Fogli manoscritti e dattiloscritti sparsi sulla superficie del tavolo. Libri. Taccuini di appunti. Sdraiato a terra, con un fiammifero acceso in ma no, Sartre contempla il tappeto di paglia di cocco attratto a dargli fuoco. Entra Sylvie con i caffè.
SYLVIE Ma che cosa state facendo?
SARTRE (Ha un sobbalzo e si rialza, spegnendo i1 fiammifero) Cercavo di rivivere una sensazione di tanti anni fa da bambino abitavo a casa dei nonni con mia madre. E un giorno diedi fuoco al tappeto del salotto.
SYLVIE Un gioco immagino. O volevate davvero provocare un incendio?
SARTRE Stavo divertendomi con dei fiammiferi e a un tratto il tappeto prese fuoco. Ma c’è un motivo particolare che mi fa ricordare quella circostanza. E’ che.. stavo truccando il misfatto, per non farmi sgridare dai miei, quando, all’improvviso, Dio mi vide...
SYLVIE Dio?... Vi vide?...
SARTRE Sentii il suo sguardo all’interno della mia testa e sulle mani. Cercai una scappatoia nel bagno ma mi sentivo orribilmente visibile, un bersaglio vivente era inutile tentare di nascondersi.
Entra Simone con una bottiglia di whisky e dei bicchieri e appoggia ogni cosa sul tavolino.
SIMONE Ah, conosco questa storia; ricordo anch’io qualcosa di simile, nella mia infanzia.
SYLVIE Io invece non so come andò a finire. (Offre i caffè, ognuno prende la sua tazzina).
SARTRE Mi salvo la rabbia. Divenni furibondo contro una indiscrezione così grossolana. Bestemmiai, mormorai come mio nonno: “Perdio! Perdio! Perdio!” non mi guardò mai più. Oggi quando melo nominano parlo come un vecchio donnaiolo che senza rimpianti si rivolge ad un’antica fiamma incontrata per caso dicendole: “Cinquant’anni fa, senza quel malinteso, senza quell’errore, quell’incidente che ci separò, avrebbe potuto esserci qualcosa tra noi”.
SIMONE Io ero pio grande quando decisi di confrontarmi con Dio. Una notte gli intimai di dichiararsi, se esisteva. Restò muto, e mai più gli rivolsi la parola.
SARTRE Che impressione vi fece?
SIMONE in fondo ero molto contenta che non esistesse. Avrei trovato odioso che la partita che stava svolgendosi qui da noi, avesse già la conclusione nella eternità.
SARTRE Ma non si ha mai una vita che si conclude come si è iniziata come un punto terminale. Certo tra quello che ero all’inizio e quello che sono diventato, non si è manifestata una grande differenza; c’è stata una certa continuità. Ho avuto la possibilità di mettermi al servizio di certe idee e di aiutarlo a diffondersi ho fatto quello che volevo, cioè ho scritto, e questa e stata la cosa più importante della mia vita; quello a cui ambivo tra i sette e gli otto anni, l’ho ottenuto. Quando morirò non dico come altri. Ah se dovessi rivivere la mia vita la rivivrei in modo diverso ho fallito!”
SIMONE A parte i vostri giochi infantili, con Dio che spiava l’incendio del tappeto non siete mai stato sfiorato dall’idea della sopravvivenza dell’anima di un principio spirituale?
SARTRE Mi sembra di sì … ma più che altro per un fatto pressoché naturale; per le strutture stesse della coscienza, faticavo ad immaginare un momento in cui non ci sarei più stato.
SIMONE Anche per me e così non posso immaginare un momento in cui la coscienza non esisterà più si può immaginare un universo in cui non ci sarà più il corpo, ma il fatto stesso di immaginare implica la coscienza non soltanto al presente ma al futuro.
SARTRE Delle volte ho immaginato il mio funerale. Ma allora, ero io che immaginavo il mio funerale: ero nascosto all’angolo della strada e lo vedevo passare! (Ride) In realtà ho sempre pensato, da ateo, che non ci fosse nulla dopo la morte, se non la fama, che vedevo come una specie di sopravvivenza.
Sylvie mette le tazzine sul vassoio ed esce.
SIMONE Su che cosa contate di più per sopravvivere - nella misura in cui pensate di sopravvivere sulla letteratura o sulla filosofia? Preferite che la gente ami la vostra letteratura o la vostra filosofia, o volete che le ami entrambe?
SARTRE E’ naturale che risponda che le ami tutte e due” (Si serve un whisky) Ma esiste una gerarchia e io spero di ottenere l’immortalità attraverso la letteratura … (Ridacchia) Da bambino tenevo conciliaboli con lo Spirito Santo “Tu scriverai”, mi diceva lui. Io mi torcevo le mani: “Ma che cosa ho dunque, Signore, per che voi mi abbiate scelto?”. “Niente di speciale” – “Allora perché me?”. - “Senza una ragione” – “Ho almeno una certa facilità nello scrivere?” – “Per niente” – “Signore poiché sono così nullo come potrei fare un libro?” – “Applicandoti” – “Chiunque allora può scrivere?” – “Chiunque, ma sei tu quello che ho scelto” (Beve meditando, ridacchia) Questo stratagemma era veramente comodo mi permetteva di proclamare la mia insignificanza e simultaneamente di venerare in me l’autore di capolavori in anni successivi… E mia madre, non perdeva occasione per dipingere le mie gioie future…
Appare Sylvie nel personaggio di Annemarie, la giovane madre di Sartre Simone rimane in penombra
SYLVIE - ANNEMARIE (Alle spalle di Sartre, mentre lo accarezza) Il mio bambino diventerà professore! Giovane giovane, un prodigio! Lo manderanno in un liceo di una cittadina di provincia… E il suo visino bianco incanterà una garbata vecchia signora. Nella sua grande casa lei gli affitterà una bellissima camera profumata di lavanda. Nel suo letto lei metterà biancheria di tela ricamata con le cifre di famiglia. E il mio bambino diventato professore andrà ad insegna re al liceo... I suoi allievi saranno affascinati dal suo modo di parlare… Finite le lezioni, il mio bambino tornerà alla sua bella camera e si metterà a scrivere… a scrivere… a scrivere... Tutti dormono, nella notte silenziosa... La padrona di casa... Gli studenti... Gli abitanti della piccola città. Il mondo intero dorme... Ma il mio bambino continua a scrivere... perché il suo compito è quello di creare capolavori per l’umanità...
SARTRE (Rimane silenzioso mentre l’immagine di Annemarie scompare nell’ombra) Che solitudine: duemiliardi di uomini stesi nel sonno, e io, al di sopra di loro, vendetta solitaria!
SIMONE “Io sono ciò che dico”, l’ha detto Heidegger, ma in fondo, lo dite anche voi.
SARTRE Esprimersi fa parte della possibilità di essere questo o quello per altri. SIMONE L’altro è necessario: è lui che dà al linguaggio il suo senso.
SARTRE E al tempo stesso l’espressione è un furto di pensiero; diventa per l’altro la proprietà di un oggetto magico.
SIMONE Ma io conosco il mio linguaggio più di quanto non conosca il mio corpo per l’altro- non posso sentirmi parlare né vedermi sorridere...
Entra Sylvie con pipa, tabacco, portacenere, e tutti i piccoli oggetti necessari alla pulitura della pipa. Porge ogni cosa a Sartre.
SYLVIE Il problema del linguaggio e analogo al problema dei corpi; le descrizioni che valevano in quel caso, valgono anche per questo: dall’amore alle parole, e dalle parole all’amore!
SARTRE (Armeggiando con gusto a caricare la pipa e ad accenderla) Di questo passo ci addentriamo di nuovo in una discussione filosofica...
SIMONE Ponete le basi del problema, e noi vi seguiremo nei ragionamenti.
SARTRE Allora, se l’amore ha per ideale l’appropriazione dell’altro in quanto soggettività che guarda, questo ideale può essere progettato solo dopo il mio incontro con altri-soggetto, non con altri-oggetto!
SIMONE L’amore quindi può nascere nell’amato solo dalla sensazione della sua alienazione e dalla sua fuga verso l’altro...
SYLVIE Ma d’altra parte, l’amato non si trasformerà in amante se non progetta di essere amato...
SARTRE Cioè se ciò che vuole conquistare non è un corpo, maia soggettività dell’altro in quanto tale: il solo mezzo che egli possa concepire per realizzare questa appropriazione, è di farsi amare!
SIMONE (Trionfante) Così appare chiaro che amare è, nella sua essenza, il progetto di farsi amare!...
SARTRE (Soddisfatto traendo larghi cerchi di fumo dalla pipa) Proprio così: amare non è altro che il progetto di farsi amare! Di qui una nuova contraddizione e un nuovo conflitto!
SIMONE Cioè?
SARTRE Ciascun amante è del tutto prigioniero dell’altro in quanto vuole far si amare lui ad esclusione di qualsiasi altro; ma nello steso tempo, entrambi esigono reciprocamente un amore che non si riduce affatto al “progetto-di-essere-amato”.
SYLVIE Che cosa esige invece l’amante?
SARTRE Ma chiaro: che l’altro, senza cercare originariamente di farsi amare, abbia un’intuizione, insieme contemplativa e affettiva, dell’amato come il limite oggettivo della sua liberta, come il fondamento ineluttabile e scelto della sua trascendenza, come la totalità di essere e il valore supremo.
SIMONE (Soprappensiero, mentre Sylvie raccoglie il portacenere ed esce) Un giorno mi proponeste: “Tacciamo un contratto per due anni”. Tutti e due per quel periodo potevamo restare a Parigi. Poi, ognuno avrebbe potuto chiedere di insegnare all’estero... Saremmo rimasti separati per un certo periodo di tempo, e ci saremmo ritrovati dopo due o tre anni da qualche parte del mondo, ad Atene per esempio, per riprendere una vita più o meno in comune per un altro periodo. Mai saremmo divenuti estranei l’uno all’altro; mai l’uno avrebbe fatto vanamente appello all’altro, e niente avrebbe prevalso su questa alleanza; ma bisognava che essa non degenerasse mai né in costrizione né in abitudine: dovevamo ad ogni costo evitare che marcisse… In seguito rivedemmo il nostro patto, la nostra intesa era diventata più stretta ed esigente che al principio; poteva adattarsi a brevi separazioni, ma non a vaste scappate solitarie...
Entra Sylvie come Mattine Bourdin Simone rimane in ombra a rivivere l’episodio, descrittole in lettere da Sartre. Martine bacia Sartre con passione.
SYLVIE-MARTINE Mia zia mi ha sgridato perché vi frequento. Le ho detto che mi aiutate per il diploma, ma lei insiste che non devo fidarmi di voi. “Vive coniugalmente con Simone de Beauvoir - mi ha detto - e nessuna donna gli resiste”.
SARTRE Ti comporti come una canaglia, piccola Bourdin. In fondo, sei tu a provocare gli uomini dicendo: “Fatemi andare avanti, signore!”
SYLVIE - MARTINE E’ vero, è vero... Ma voi mi piacete. E’ diverso con voi. SARTRE (Prende una mano di Martine e gliela tiene stretta durante il discorso successivo, in forma di lettera inviata a Simone, il “Castoro”) “E allora, mio bel Castoro, amore mio delizioso, le ho detto: Tu mi piaci. Hai scatenato la mia brutalità, il che è raro perché ho il sangue piuttosto povero. Non posso farti false promesse. Sei arrivata nella mia vita come un cane tra i birilli. Ho voluto prenderti senza avere dite il minimo bisogno, il che è molto più lusinghiero. Ho da regalarti tre giorni, prendiamoceli e proviamo a farne qualcosa di bello... Ignobile discorsetto ma con abilità da Tucidide, che ha fatto meraviglie. Un stante più tardi era tra le mie braccia e siamo rientrati, baciandoci, lei silenziosa e tutta dedita, con un sorriso incantato, e io cercando ogni tanto, per abitudine, di dire qualcosa. Ho l’impressione che avesse voglia di chiedermi di salire da lei, ma ho rifiutato di accorgermene, perché non voglio andarci a letto…”
SIMONE Me ne avete scritto a lungo, e più volte. La storia non è finita quella sera.
SARTRE “Le ho parlato di voi, e anche di Tania, una storia che avevo iniziato poco prima, e che voi conoscevate... Le ho detto che certo ero innamorato di lei, ma che nella mia vita, per lei non c’era posto. Stava a sentirmi col cuore stretto, e ogni tanto interveniva...”
SYLVIE MARTINE (Lo bacia) “Sapevo già tutto, non c’è bisogno di sottolineare...”
SARTRE “Ma io sono andato fino in fondo... (A Sylvie - Martine) Ti pare che mi sia comportato come un maiale?”
SYLVIE MARTINE “No. Sapevamo tutti e due che l’altro era impegnato (Maliziosa) Non baciarmi, quello si che sarebbe stato da mascalzone!”
SIMONE (Mentre Sartre e Sylvie - Martine si baciano con passione, Simon e sussurra il proseguimento della lettera inviatale da Sartre) “Amore mio, mio bel Castoro … è questo il nome che mi avete sempre dato - non avrà molto tempo per dirvi tutte le dolcezze che penso di voi se voglio raccontarvi il seguito di questa storia. Sappiate intanto che vi amo moltissimo …”
SARTRE (Proseguendo la lettera) “Vi amo moltissimo Ma sentite quello che capito con la piccola Bourdin: dunque lei si era messa a tenermi il broncio con il pretesto che io le avevo detto di essere innamorato di lei. Ci siamo rivisti la sera dopo, ed io l’ho trattata molto male. A questo punto, lei mi è caduta fra le braccia e mi ha incitato a portarla da me. Cosa che ho fatto. Ci siamo strapazzati senza una sola parola, il che rende più facile il resoconto di questa notte: salvo il coito, ho fatto tutto. A letto, è una delizia, ha delle natiche a goccia d’acqua, solide ma più pesanti, più sviluppate in basso che in alto bellissime gambe un ventre muscoloso e assolutamente piatto, non un’ombra di seno e, nell’insieme, un corpo morbido e delizioso.,. Una lingua come uno zufolo, che si snoda all’infinito e ti carezza le tonsille, una bocca piacevole come quella di Gegè. Nel complesso, sono contento da far paura … Ha voluto dormire tra le mie braccia, così non ho chiuso occhio. Al mattino mi ha guardato con aria franca...”
SYLVIE -MARTINE (Abbracciandolo) “Non sono gelosa di Tania, io, per me, non accetterei mai quello che tu le dai. Sono gelosa di Simone de Beauvoir”.
SARTRE (A Simone) “Il che è ispirato a un sentimento giusto, secondo me. Come vedete, ai suoi occhi non avete affatto l’aria stupida o quella d’una vecchia strada battuta”.
SYLVIE - MARTINE (Seria, improvvisamente triste) “Da sempre vorrei essere con un uomo come siete voi con Simone de Beauvoir. Lo trovo straordinario”.
SARTRE (A Simone) “Amore mio, trovo la vostra lettera e vi amo. State tranquilla, ci saranno tante piccole emozioni da parte mia quante da parte vostra; si sovrapporranno le une alle altre, e noi ci ameremo tantissimo e molto appassionatamente. Ho una voglia furente di rivedervi, piccola bella, e di parlare con voi di tutt’altro e di coprire di piccoli baci la vostra cara faccetta nera da regina di Saba. Stamani dopo tre giorni e tre notti ho accompagnato al treno la piccola Martine. Me ne resta un ricordo un poco amaro per il fatto che nella mia vita non ci sia assolutamente posto per lei, Il triste è che si è messa ad amarmi con passione e ha voluto regalarmi la sua verginità. Non so bene se l’ho presa o no. In questa materia è consigliabile il dubbio; in ogni caso, mi è parso un lavoro profondamente difficile e sgradevole. Voi direte che queste sono imprudenze. Ma no. E’ tutto a posto, lei è partita allegra e senza nessuna speranza. Mio bel Castoro, vi amo veramente molto. Lontano da voi passo erette assurde, davvero contingenti. Mi piacerebbe tanto vedervi mia piccola ostinata e raccontarvi le mie storielle e tenervi la manina. Siete il mio amore caro esserino. Lontano da voi misuro il niente della carne e non mi diverto molto. Vi abbraccio con tutte le mie forze …”
SIMONE Nessun dolore poteva venirmi da voi a meno che non moriste prima di me.
SARTRE E non vi scrivevo soltanto “quelle” lettere.
SIMONE Se la vostra sincerità si fosse limitata al campo del sesso, non avrebbe creato un’intima comprensione tra noi, si poteva al massimo fornirvi un tranquillo alibi. (Si isola nel ricordo) E anch’io … anch’io provavo le mie emozioni come voi le chiamavate. Avevo già più di quarant’anni un’età in cui mi senti vo relegata nel regno delle ombre per un certo tipo di amore, ma anche se con il corpo lo accettavo la mia fantasia era ben lontana dai rassegnarsi a questa realtà. Quando mi si offrì l’occasione di rinascere ancora una volta, fui pronta ad afferrarla. Era la fine di luglio. Dovevo partire in macchina per Milano dove Sartre mi avrebbe raggiunta in treno avremmo proseguito insieme e viaggiato per due mesi attraverso l’Italia. Degli amici una sera mi invitarono a pranzo, e tra gli ospiti era anche Lanzmann. La serata si protrasse fino a tardi bevemmo. Al mattino squillò il telefono: “Vorrei portarla al cinema”, mi disse Lanzmann. “Al cinema? A vedere?” - Non ha importanza. “Esitai: avevo un mucchio di cose da fare ma sapevo che non dovevo rifiutare. Prendemmo un appuntamento. Con mia grande sorpresa, quando riattaccai il ricevitore, scoppiai a piangere. Cinque giorni dopo lasciai Parigi; dritto sul bordo del marciapiede, Lanzmann agitava la mano mentre la macchina si metteva in moto. Era successo qualcosa; qualcosa ne ero certa, cominciava. Avevo ritrovato un corpo. Turbata dall’emozione dell’addio, uscendo di città mi perdetti in periferia, poi imboccai la Nazionale felice di avere davanti a me quel lungo nastro di chilometri per ricordare e fantasticare...
SARTRE Molta gente ha criticato i rapporti che abbiamo costruito tra noi.
SIMONE Non potevano tener conto della particolarità che spiega e giustifica quei rapporti: i segni gemelli sulla nostra fronte. La fraternità che legava le nostre vite rendeva superflui e irrisori tutti i legami che avremmo potuto fabbricarci.
SARTRE A che scopo, per esempio, abitare sotto uno stesso tetto, quando il mondo era nostra proprietà comune?
SIMONE E le distanze, mai avrebbero potuto separarci.
SARTRE Tutto questo accadeva perché un solo fine ci animava: abbracciare tutto, e dar conto di tutto.
SIMONE Questo fine ci imponeva di seguire a volte strade diverse, ma non ci impediva di scambiarci ogni nostra scoperta.
SARTRE Nel momento stesso in cui ci separavamo, le nostre volontà si confondevano...
SIMONE L’essenziale era scrivere libri di cui essere soddisfatti.
SARTRE Ma al di là dei libri, siete stata voi l’unica cosa che ha contato nella mia vita; del resto, non contate “nella” mia vita: voi siete tutt’uno con la mia vita, mio bel Castoro...
SIMONE (Canzonandolo) Quando vi ho conosciuto, da giovanissimo, vivevate in funzione della posterità...
SARTRE Quando si fa della letteratura impegnata, ci si preoccupa di problemi che dopo vent’anni non avranno più senso, perché riguardano la società di quel momento. Il fine è raggiunto quando si riesce a convincere la gente ad agire secondo il proprio punto di vista. Quando la questione è risolta ed è passato del tempo, si guarda all’oggetto letterario nel suo valore assoluto, come se lo scrittore l’avesse scritto gratuitamente e non su un fatto sociale preciso… Io volevo influire sulla realtà con la mia letteratura come se si trattasse di un azione politici ma speravo che miei scritti rimanessero validi per i lettori del futuro. La luce si concentra su Sartre.
La voce di Sylvie ne riporta il pensiero. Sartre e Ibbieta il partigiano spagnolo de “Il muro”.
VOCEDI SYLVIE “La mia vita era davanti a me, chiusa, sigillata come una borsa, eppure tutto ciò che vi era dentro era incompiuto. Un istante cercai di giudicarla. Avrei voluto potermi dire: è una bella vita. Ma non si poteva formulare un giudizio su di essa, era un abbozzo; avevo passato il mio tempo a rilasciar cambiali per l’eternità, non avevo capito niente …”
SARTRE IBBIETA “Nello stato in cui mi trovavo, se fossero venuti ad annunciarmi che potevo tornarmene tranquillamente a casa mia, che mi avevano graziato la cosa mi avrebbe lasciato indifferente. Qualche ora o qualche anno d’attesa à assolutamente la stessa cosa, una volta che si è perduta l’occasione di essere eterni”.
Sylvie si avvicina a Ibbieta.
SYL VIE - FALANGISTA Ti chiami Ibbieta?
SARTRE IBBIETA Si.
SYLVIE - FALANGISTA Dov’è Ramon Gris?
SARTRE-IBIBIETA Non lo so.
SYLVIE - FALANGISTA Avvicinati.
SARTRE-IBBIETA (Si avvicina a Sylvie, che gli prende un braccio, mentre lui guarda fissamente davanti a se) “Non era per farmi male, era una messa in scena: voleva dominarmi E trovava anche necessario mandarmi il suo alito putrido in faccia. Restammo per un momento così a me veniva piuttosto voglia di ridere. Ci vuol altro per intimidire un uomo in procinto di morire non attaccava. Quello mi respinse violentemente e si sedette di nuovo”.
SYLVIE FALANGISTA E’ la tua vita contro la sua. Ti lasciamo sali a la vita se a dici dov’è (Sartre tace) Allora? Capito?
SARTRE-IBBIETA Non so dov’è Gris. Credevo fosse a Madrid.
SYLVIE-FALANGISTA Avete un un quarto d’ora per riflettere. Se continuate a negare, sarete fucilato all’istante. (Si ritira)
SARTRE-IBBIETA “Ci sapevano fare: avevo passato la notte in attesa. Dopo mi avevano fatto aspettare ancora un’ora nella cantina mentre fucilavano Toni e Juan; dovevano aver preparato il loro piano fin dal giorno prima. Avevano pensato che i nervi a lungo andare si spossano, e così speravano di avermi. Si sbagliavano di grosso. Mi misi a riflettere. Certo che sapevo dov’era Gris; stava nascosto dai suoi cugini. Non avrei rivelato il suo nascondiglio a meno che non mi avessero torturato ma pareva non pensassero a farlo. Tutto questo era già stabilito e non in interessava per niente. Soltanto avrei voluto capire i motivi del mio comportamento. Preferivo crepare piuttosto che denunciare Gris. Perché? La mia amicizia per lui era morta un po’ prima dell’alba come il mio amore per Concha e il mio desiderio di vivere. Continuavo a stimarlo, era un eroe. Ma non era per questa ragione che accettavo di morire al suo posto; la sua vita non aveva più valore della mia; nessuna vita aveva valore. Avrebbero messo un uomo al muro e gli avrebbero sparato addosso finché non fosse crepato: io o Gris o un altro era lo stesso. Sapevo bene che lui era più utile di me alla causa spagnola, ma me ne fregavo della Spagna e dell’anarchia: niente aveva più importanza. Eppure ero piuttosto comico: era ostinazione. Pensai: Come si può essere testardi! … E mi sentii vincere da una strana allegria. Tornarono da me. Un topo ci passò tra i piedi e questo mi divertì”. (A Sylvie) Avete visto il topo? “Non mi rispose. Era scuro, si prendeva sul serio. Io avevo voglia di ridere ma mi trattenevo perché se cominciavo, avevo paura di no poter più smettere”.
SYL VIE - FALANGISTA Ebbene hai riflettuto?
SARTRE IBBIETA Li guardavo con curiosità come insetti di una specie rarissima. - So dov’è. Sta nascosto nel cimitero. In un sepolcro o nella capanna dei becchini. “Era per far loro uno scherzo. Volevo vederli alzarsi, affibbiarsi i cinturoni e mettersi a dare ordini con aria affaccendata”.
SYLVIE - FALANGISTA Andiamoci. Tu se hai detto la verità, non ho che una parola. Ma se ci hai preso in giro, la pagherai cara (Si ritira)
SARTRE IBBIETA “Uscirono con fracasso e io attesi pacificamente sotto la scorta dei falangisti. Di tanto in tanto sorridevo perché pensavo alla faccia che avrebbero fatta. Meli immaginavo che sollevavano le pietre tombali e aprivano ad una ad una le porte dei sepolcri. Tutto questo era di una comicità irresistibile.
SYLVIE - FALANGISTA (Si avvicina a Sartre) Alla fine delle operazioni militari, un tribunale regolare deciderà della tua sorte.
SARTRE - IBBIETA “Credetti di non aver capito” - Allora non mi … non mi fucileranno?
SYLVIE - FALANCISTA Non adesso in ogni caso. Più tardi, la cosa non miri guarda più.
SARTRE-IBBIETA “Continuavo a non capire” - Ma perché? (Sylvie si ritira) “Alzò le spalle senza rispondermi. Nel cortile c’erano un centinaio di prigionieri, donne, bambini, qualche vecchio. A mezzogiorno ci fecero mangiare al refettorio. Non sapevo neppure più dov’ero...”
SIMONE-PARTIGIANO Ne hai della fortuna! Non pensavo di rivederti vivo.
SARTRE -IBBIETA Mi avevano condannato a morte, e poi hanno cambiato idea. Non so perché.
SIMONE - PARTIGIANO Hanno preso Gris.
SARTRE IBBIETA Mi misi a tremare - Quando’
SIMONE - PARTIGIANO Stamattina. E’ stato un coglione. Ha lasciato la casa del cugino martedì perché aveva avuto a che dire. Non mancavano le persone che l’avrebbero nascosto, ma non voleva dover più niente a nessuno. Ha detto: “Mi sarei nascosto da Ibbieta, ma l’hanno preso, e andrò a nascondermi al cimitero”.
SARTRE -IBBIETA Al cimitero? “‘Tutto si mise a girare e mi ritrovai seduto a terra: ridevo così forte che mi vennero le lacrime agli occhi”.
Un Silenzio
SIMONE (a Sartre) La guerra di Spagna vi aveva molto colpito.
SARTRE Anche voi: eravamo estremisti, ma non facevamo niente.
SIMONE Voi non eravate nessuno, allora; il vostro nome non aveva alcun peso; non volevate far parte di nessun partito e non avevate ancora pubblicato “La nausea”, dunque non eravate nessuno. Tutto quello che potevate fare, allora, era scrivere su quegli avvenimenti: nel “Muro” lo avete fatto.
SARTRE Le pretese degli intellettuali impegnati, a quel tempo, ci facevano ridere. Nonostante questo, seguivamo gli eventi con enorme interesse.
SIMONE Con gli amici parlavamo sovente di politica; voi non eravate proprio il tipo che sta chiuso nella sua torre ci avorio per voi quelle cose contavano.
SARTRE Contano moltissimo, sono la vita quotidiana, quello che succede ogni giorno.
SIMONE Poi ci fu la rivelazione della lotta di classe … i vostri contrasti con i comunisti…. La fondazione del movimento…
SARTRE “Socialismo e Libertà” ... pensavo ad un socialismo nel quale sarebbe esistita la libertà.
SIMONE Le vostre opere rimanevano comunque la cosa più importante.
SARTRE Lo pensavo, l’ho sempre pensato. Ma adesso, le cose più importanti... sono tutto... Vivere, Fumare. La bellezza di questo autunno dorato.
SIMONE Credete... di aver commesso degli errori?
SARTRE (Dopo un silenzio) Non essermi impegnato veramente con forza, a fianco di certe persone, quando avevo l’età per farlo.
SIMONE Il Sartre di oggi è lo stesso di quando avevate vent’anni: nelle diverse stagioni della vita, quali rapporti avete avuto con la vostra età?
SARTRE Nessuno. A qualsiasi età.
SIMONE Da bambino, sapevate di essere pure un bambino?
SARTRE Si ma finche c e stato un avvenire l’età era la stessa
SIMONE Da giovane uscivate con dei compagni della vostra stessa età, eppoi avevate rapporti con persone di quaranta o cinquant’anni, che appartenevano ad un’altra generazione...
SARTRE Sì, ma non pensavo che sarei mai diventato uno di loro.
SIMONE Però non avete mai neppure provato la sensazione... “sono giovane”! SARTRE Era una sensazione latente... Poi, a partire dai sessantacinque-sessantasei anni, non esiste pia un avvenire. Certo, i cinque anni successivi, l’avvenire immediato... Ma ormai, avevo detto tutto quello che avevo da dire. Mio nonno, a ottantacinque anni, era finito: non si capiva perché continuasse a vivere. A volte pensavo che non avrei voluto una vecchiaia del genere; altre volte invece pensavo che bisognava essere modesti, vivere fino in fondo la propria età e sparire quando era scritto...
SIMONE Ma adesso, ci sono momenti cui vivete il presente veramente per se stesso? Come una specie di contemplazione, di godimento... non soltanto come un progetto, una pratica di vita, un lavoro?
SARTRE Sì, cene sono. Al mattino quando mi sveglio e voi non ci siete ancora, e vengo a sedermi sulla poltrona in terrazza, e guardo il cielo. Vivo un momento di perfetta letizia, e sono soltanto questo, una persona che guarda il cielo del mattino.
SIMONE Da giovane, sacrificavate qualsiasi cosa all’opera d’arte. Non c’era in questo, come una specie di credenza in Dio?
SARTRE (Sorride, pensoso) Si, c’e stato un tempo in cui l’opera d’arte mi pareva simile all’immortalità cristiana; creavo un’opera d’arte e Dio la guardava, al di la di qualsiasi pubblico di uomini: e questo che è scomparso, anche se sono sempre convinto che l’opera, perché possa considerarsi riuscita, deve superare il pubblico attuale e rivolgersi anche ad un pubblico futuro.
SIMONE Il fatto di non credere in Dio vi ha dato qualche vantaggio?
SARTRE (Riflette) Ha garantito, ha purificato la mia libertà. (Con calore) Oggi questa liberta non è fatta per dure a Dio ciò che lui mi chiede, ma per inventare me stesso e dare a me stesso ciò che io mi chiedo. E poi, i miei rapporti con gli altri sono diretti: non ho bisogno di Dio per amare il mio prossimo. Voi ed io abbiamo vissuto senza preoccuparci di questo problema. Non credo che abbiamo dedicato molte conversazioni all’argomento.
SIMONE No, mai,
SARTRE E tuttavia abbiamo vissuto... Abbiamo l’impressione di esserci interessati al nostro mondo, di aver cercato di capirlo...
SYLVIE (Entra con un plaid, lo mette sulle ginocchia di Sartre) Si sta facendo fresco...
SIMONE E’ sera ormai. Guardate, c’e la luna.
SARTRE Da bambino avevo un po’ paura della notte, e la luna mi rassicurava; quando uscivo in giardino e c’era la luna sulla mia testa, ero felice, non poteva succedermi niente...
Mentre sta finendo di parlare, Sartre gira lentamente la poltrona, dando le spalle al pubblico, fino a restare completamente coperto dallo schienale. Sylvie ‘e inginocchiata accanto a lui, sistemandogli il plaid Simone rimane sola in scena. L’oscurità è scesa fino a farsi buio intorno a lei. Appena un raggio sfiora la poltrona.
SIMONE Questa morte comune a tutti quanti, ciascuno l’affronta da solo. Dalla parte della vita, si può morire Insieme; ma morire, è scivolare fuori dal mondo, in un luogo dove la parola “insieme” non ha più senso. La cosa che più desideravo al mondo era di morire con chi amavo, ma,pur coricati ad avere contro cadavere, non sarebbe che un’illusione: tra nulla e nulla non c è legame.
SYLVIE (Si rialza, con il plaid tra le manie lo porge a Simone) E’ finita.
(Torna a inginocchiarsi accano alla poltrona)
SIMONE (Tiene il plaid stretto tra le mani) Con gli occhi chiusi, mi ha stretto il polso eroi ha detto: “Mio piccolo Castoro, vi amo molto”. Poi mi ha offerto la bocca, e io l’ho baciato sulle labbra e sulla guancia. Si è riaddormentato. Queste parole, questi gesti, insoliti in lui, si iscrivevano nella prospettiva della morte.
SYLVIE E’ finita... (Raccoglie i fogli dal tavolino. Tra le sue braccia paiono palpitare, leggeri, come ali di uccelli impazienti di librarsi)
SIMONE Aveva l’aspetto di sempre, ma non respirava più. A un certo punto, chiesi di essere lasciata sola con Sartre, e volli sdraiarmi accanto a lui sotto il lenzuolo. Un’infermiera mi bloccò: “No, attenzione… la cancrena!”. Fu allora che compresi la vera natura delle sue piaghe. Mi sdraiai sul lenzuolo e dormii un poco. Alle cinque vennero gli infermieri. Avvolsero il corpo di Sartre in un lenzuolo e in una specie di sacco, e lo portarono via. (A Sylvie) Tu gli avevi comprato degli abiti per andare all’Opéra; gli misero quelli quando lo esposero nell’aula dell’ospedale, quegli abiti erano gli unici che si trovassero a casa mia, tu non avevi voluto salire da lui per cercarne degli altri: appariva calmo, come tutti i morti, e, come la maggior parte di essi, privo di espressione. Al funerale, c’era una folla immensa che aspettava al cimitero di Montparnasse, circa cinquantamila persone, quasi tutte giovani. Io non vedevo niente. Mi dicevo che era esattamente il funerale che Sartre desiderava, e che lui non lo avrebbe saputo... Giorni dopo avvenne la cremazione, come lui aveva voluto, ma io ero troppo sfinita per andare. Le ceneri di Sartre furono riportate al cimitero di Montparnasse; tutti i giorni, mani ignote depongono sulla sua tomba piccoli mazzi di fiori freschi.
Ci separa la sua morte. La mia morte non ci riunirà. E’ così. Ed è già bello che le nostre due vite abbiano potuto tanto a lungo procedere all’unisono. (Sylvie lascia andare i fogli che volteggiano nell’aria fino a raggiungere il pubblico).