“Ritratto di Sartre da giovane” è stato concepito da Maricla Boggio per una immagine meno ufficiale, mettendo in evidenza il legame tra pensiero pubblico e comportamenti privati. L’azione è stata ideata quale sviluppo metaforico di un’intera giornata in cui si vede Sartre assieme a Simone De Beauvoir ( la sua compagna di sempre) e a Sylvie, una giovane amica degli ultimi anni, incarnazione ideale delle tante ragazze che si sono succedute affettuosamente accanto a lui.
“La terrazza romana di un albergo del centro storico – anticipa Maricla Boggio – costituisce il luogo fisico di una immaginaria conversazione nella quale si avvicendano anche i momenti della colazione, del pranzo, del caffè, dei dirnks, delle pipate. Tante fasi che vedono la rievocazione dell’infanzia, delle prime confidenze, dei primi fremiti letterari, delle prime lotte politice, eccetera”.
Il testo della Boggio costruito su una luminosa giornata romana del filosofo francese. Successo alla Sala Umberto
Nell’immediato dopoguerra la mia generazione conobbe Jean Paul Sartre attraverso Juliette Greco: vivevo allora a Parigi e le pur fumose cantine in cui lei si esibiva offrivano una boccata d’ossigeno a chi aveva conosciuto per esperienza diretta le imbecillità e le crudeltà del fascismo e del conflitto appena terminato.
Dalle roche canzoni di quella spettrale ragazza fasciata di nero filtrava una insinuante voglia di incominciare un cammino diverso in cui riconsiderare tutto alla luce di una visione totalizzante che contemplasse disperazioni d’amore e di morte, coscienza laica del Nulla e insieme impegno politico, libertà sessuale e libertà sociale. La Greco venne definita “Musa dell’esistenzialismo”: etichetta piuttosto vaga che tuttavia “fece moda” proprio perchè quei sentimenti cantati da lei erano nell’aria e, nell’aria, ce li aveva infilati un professorino di nome jean-Paul Sartre. Adesso il culto di Sartre, perché fu un vero culto, tende a scomparire ma non c’è dubbio che egli sia stato un protagonista del pensiero europeo del secondo Novecento.
A questo punto, poiché al teatro dobbiamo andare a parare, la domanda è questa: è possibile far diventare personaggio di palcoscenico (insomma scriverci sopra una commedia) uno studioso la cui vita, priva di eventi romanzeschi o di imprese inquietanti, e tutta nei suoi libri? la risposta, quasi in chiave di scommessa, ci arriva da Maricla Boggio, autrice dei due atti di “Ritratto di Sartre da giovane”, rappresentato con chiaro successo alla Sala Umberto di Roma.
Del pensiero di Sartre, la Boggio è voluta andare alle fonti: non quelle scientifiche (o Almeno non soltanto quelle) ma proprio alle origini della formazione di una personalità che scopre se stessa dai casi della vita. La famiglia, la scuola il rapporto con la madre, le prime esperienze amorose con le compagne di liceo, le rivelazioni della sessualità e così via: certo, tutto questo diventerà “filosofia”, ma adesso dalla ribalta ci viene offerto un giovanotto curioso di capire, talvolta comicamente spaesato, limpidamente innocente, che fa avanti e indietro con l’uomo che sarà. Il testo infatti si articola nel corso di una luminosa giornata romana (Sartre, come si sa, viveva spesso a Roma) che è proiezione della sua intera vita, dal mattino alla morte: e in questa metaforica giornata, pausata dai riti dei pasti, il filosofo dialoga con Simone De Beauvoir che gli fu assidua compagna e con Sylvie, giovane amica degli ultimi anni che incarna la piccola folla delle donne con le quali egli ebbe contatti. i discorsi fra i tre hanno apparenza di chiacchiera quotidiana, di scambio brillante fra gente spregiudicata e colta ma questa parvenza salottiera da commedia illuminista diventa in realtà veicolo di considerazioni inquietanti, di citazioni, di riflessioni torbide. E confluiscono in un teatralissimo evento che astutamente intrappola lo spettatore nei meandri della filosofia. Con Maricla Boggio dividono il successo Julio Zuloeta per la limpida e affettuosa regia, Bruno Buonincontri per il chiaro impianto scenico da terrazza romana, ed Aurelio Gariazzo per la scelta delle musiche. Infine, a Piero Sammataro che ( bene assecondato da Rita Pensa come Simone e da Margherita Patti come Sylvie) disegna un eccellente ritratto del protagonista giocando tra stupori, ironie e virili tensioni. Tantissimi gli applausi.
Con Jean-Paul Sartre i conti non sono ancora chiusi, ci dice il filosofo Gianni Vattimo nella sua introduzione al lavoro di Maricla Boggio.
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Diciamo che oggi quei conti sono decisamente in rosso, forse come reazione a un periodo in cui l’attivo si era impennato in maniera drogata. Oggi Sartre non è più nella nomenclatura dei “maitres à penser”, dopo aver occupato a lungo uno dei posti di testa. E non è facile dire se si tratta di una riequilibratura equa, oppure della dimenticanza di un’epoca frettolosa.
Maricla Boggio ha attinto soprattutto a una delle opere di Sartre che presumibilmente resisteranno meglio all’usura del tempo. in “Les mots” sulle soglie della sessantina, lo scrittore tracciava un bilancio della propria esistenza pacato e penetrante come una autoanalisi. E così, immaginando un “flash-back” verso gli anni della formazione intellettuale e sentimentale scattato su una terra romana, l’autrice mescola riferimenti autobiografici, discussioni teoriche (soprattutto sul sentimento amoros) e brani tratti da opere teatrali e narrative come “Il diavolo e il buon Dio”, “La nausea” e “Il muro”, per abbozzare una variante dei joyciano “ritratto dell’artista da giovane”. (...) il “ritratto” della Boggio può essere visto come una foto d’epoca, estratta dall’album di famiglia di uno dei capofila dell’intellighènzia europea e presenta oggi, nel momento in cui si lamenta ( o si festeggia?) l’assenza di maestri.
Piero Sammataro è il filosofo dell’esistenzialismo in un testo di Maricla Boggio, con regìa di Julio Zuloeta
“Se la sofferenza è troppo forte, si affidi alla parola”, dice il drammaturgo Jean Genet attraverso uno dei suoi personaggi. E’ l’affermazione di una fiducia cieca nell’importanza determinante della comunicazione fra gli esseri umani, oltre il limite oggettivo dell’azione fisica.
La parola, per eccellenza quella teatrale, può essere vissuta quasi come esilio dal corpo, come veicolo impalpabile di un flusso sentimentale rarefatto, in un precario equilibrio di pensieri e di affetti, Maricla Boggio, nel suo “Ritratto di Sartre da giovane” sembra proprio aver voluto concentrare la figura e il pensiero del grande scrittore e filosofo in una parola pura, continua, scorrevole, incessante.
Ciò che alla fine lo spettacolo restituisce, non è una vicenda compiuta, più o meno estrapolata da probabili “mémoires”, non è il profilo biografico di un personaggio scomparso; né tantomeno la ricostruzione pedante di un periodo della storia culturale europea contemporanea, è piuttosto un insieme complesso di sottili emozione accavallate l’una sull’altra; una serie di impulsi e di private suggestioni. Insomma, una combinazioni di tanti piccoli effetti che non dettano le coordinate corporee di Sartre, ma suggeriscono tutt’al più qualche tratto illuminante del suo modo di essere e di sentire. (...) L’arco di tempo potrebbe apparire sin troppo strettamente definite, se non fosse che subito si amplifica,si sdoppia in un’azione scenica parallela, dove invece viene abbracciata l’intera esistenza dello scrittore francese, dall’infanzia alla morte.
Per far questo, l’autrice ha certo percorso, sia pure trasversalmente, tutta l’avventura umana, letteraria, teatrale, filosofica e naturalmente politica del protagonista. Ma la Boggio ha certamente seguito, poi, una sua linea di interpretazione, ha privilegiato una propria chiave di lettura, che le ha permesso di elaborare una pièce, appunto, e non di redigere una dettagliata biografia.
Della rappresentazione, allora, emergono fra l’altro il rapporto fra Sartre e la madre, quindi il suo confronto con le donne; viene messa in risalto la sua visione del mondo, ricostruita la definizione del suo processo creativo. Ma vengono accennati anche i suoi sogni, la debolezza, il suo modo di vivere l’amore, fino alla verità finale della malattia fisica e della morte. E da quel fitto brulichio di parole, quella che esce è l’immagine di Sartre volutamente più “infedele” alla fedeltà di un ricordo scontato. (...)
Ad aprirsi di sipario l’attrice che interpreta il personaggio di Simone de Bauvoir parla di un J. P. Sartre vecchio e malato, ma quando questo Sartre lo vedremo fisicamente in scena ci accorgeremo che, sotto il plaid che lo avvolge, è vitalisticamente giovane, ironico e aggressivo.
Un Sartre che in certo momenti è realmente giovane e che in altri diventa giovane attraverso i suoi ricordi.
Ricordi di infanzia e ricordi di amori e di donne che, così come sono raccontati, possono appartenere a tutti e che, invece, in lui trovano quella costruzione e sublimazione interna da cui nasce il letterato, il pensatore, forse il genio.
Con un abilissimo gioco di montaggio e di interviste, dichiarazioni, lettere, Maricla Boggio è riuscita a costruire a tutto tondo una credibile figura dell’Uomo Sartre che è quello che primeggia e il cui mondo interno viene tirato fuori da una sorta di chiacchierata – ma, spesso, diventa feroce interrogatorio – che gli fanno due donne: una, la fede Simone cui lo legò un lunghissimo sodalizio artistico ed affettivo, l’altra, la semplice Sylvie che raccoglie in sé tutte le altre creature femminili che passarono nella sua vita.
Alcuni momenti chiave – l’ambiguo rapporto con la madre, la prima esperienza sessuale - sono come ricostruiti dal vivo, così come lo sono alcuni brani cellebri della sua narrativa da “La nausea” a “Le mur”.
In questo gioco apparentemente leggero o quasi mondano, nella terrazza di un albergo romano – fantasiosamente ricostruita dallo scenografo Bruno Buonincontri – i tre personaggi si dicono ( ed è quanto avvince di più di questo testo) molte più cose di quanto appaia e nell’ostentato, programmato ateismo del “giovane” Sartre si apre più di una fenditura.
Anche se l’opera si conclude con l’atroce cronaca della morte dello scrittore, la speranza illumina la sua ultima affermazione quando dice che l’opera, perché possa essere riuscita, deve superare il pubblico attuale e rivolgersi anche ad un pubblico futuro. (...)
Il titolo va riferito, crediamo, a una certa giovinezza spirituale, perdurante nei tardi anni dello scrittore e filosofo francese; e, forse, alla possibilità (insinuata da Gianni Vattimo) di un ritorno d’interesse per il pensiero di Sartre, oggetto di una troppo drastica rimozione, prima e dopo la sua scomparsa.
(...) Diciamo pure che questo “Ritratto” tende a mostrare le strette connessioni fra l’esperienza di vita dell’autore, la sua riflessione filosofica, la sua creatività. Per altro verso, il dialogo a tre procede per temi, un tantino didatticamente: l’Amore, il Teatro, il Sesso, i Libri, il Problema Religioso, l’Impegno Politico, ecc.
Può stupire ( è quasi una scommessa) che proprio l’opera teatrale di Sartre sia la meno direttamente evocata, qui. Solo, all’avvìo, si apre uno scorcio sul Diavolo e il buon Dio”, per un’esemplificazione del discorso attorno a Eros e Thanatos. Ma le pagine più indicative ( e quelle che, alla prova della ribalta, manifestano la maggior forza) vengono dal romanzo “La nausea”, dal racconto “Il muro”, che rappresentano forse le fasi più alte di un Sartre narratore di idee, ma capace poi di calarle, queste idee, in personaggi di corposo spessore.
Un testo, quello composto dalla Boggio, che potrebbe piacere in Francia, dove un tal genere di teatro, conversativo e riflessivo ha fortuna. (...)
Alla “prima” si è registrato un bel successo, e la platea era discretamente affollata, ( cosa non frequentissima, alla Sala Umberto).