Natuzza Evolo Premessa

Natuzza Evolo di Paravati, i fenomeni a lei connessi e l’universo culturale nel quale si inserisce sono tali da sollecitare un’approfondita riflessione.
Da parte nostra tale riflessione si va esplicando da vari decenni.
Di Natuzza e delle sue caratteristiche io, Luigi sentivo parlare sin dagli anni della mia infanzia, essendo il mio paese non distante da quello di Natuzza, che quindi rappresentava una figura estremamente familiare.
Nei primi anni settanta, in occasione di un Convegno internazionale di antropologia, tenni la prima relazione che sia stata scritta su di lei in una dimensione di studio e di interpretazione. Tale relazione, ulteriormente ampliata, andò, poi, a confluire in un volume dedicato da Mariano Meligrana e da me all’ideologia della morte nella società contadina del Sud. Nei primi anni ottanta incominciammo a pensare di realizzare un film-documentario che con la sua immediatezza visiva consentisse una conoscenza più articolata sia di Natuzza e di quanti a lei fanno riferimento, sia dei molteplici fenomeni che si manifestano attraverso la sua persona. Precedentemente avevamo già realizzato altri documentari di taglio antropologico, tra cui, in particolare, un filmato in due puntate per la Ricerca e Sperimentazione della RAI, dal titolo complessivo “L’assenza del presente”1.
Intendevamo filmare materiali organizzandoli in forme paradigmatiche sia attraverso lo svolgimento temporale che attraverso un’ampia tipologia sociale.
Il progetto incontrò in sede RAI numerose difficoltà, determinate essenzialmente da pregiudizi razionalistici, successivamente superati.
Data l’impostazione del lavoro, ritenemmo di procedere, anzitutto, a un’attenta ricognizione dei luoghi e delle persone comunque connesse ai fenomeni per elaborare, sulla scorta dei dati acquisiti, un piano di riprese organico al progetto. Utilizzare anche l’aspetto visivo richiedeva, infatti, un’attenzione alla capacità espressiva delle immagini atte a esemplificare adeguatamente il discorso. Eravamo consapevoli che il mezzo espressivo prescelto doveva rispettare una limitazione temporale, ma poteva invece contare sulla forza comunicativa delle immagini e dei suoni.
La ricerca sul terreno si era ampliata via via attraverso le testimonianze di persone che avevano avuto diretta esperienza dei diversi fenomeni. Le perplessità di qualcuna di loro vennero fugate dalla stessa Natuzza che le incoraggiò a parlare perché, anche se non ci aveva ancora incontrato, riteneva valido il nostro progetto.
A questo punto era indispensabile incontrare Natuzza. La raggiungemmo a casa sua e le esprimemmo le nostre intenzioni; dopo aver superato, nel corso del colloquio, alcune esitazioni a essere ripresa direttamente, Natuzza diede la sua adesione subordinando la sua partecipazione al consenso del marito, Pasquale Nicolace, che si mostrava invece contrario, preoccupato che la prevedibile dilatazione della conoscenza di questi fenomeni portata dal mezzo televisivo comportasse un’ulteriore fatica alla moglie, già provata dall’afflusso quotidiano di centinaia di fedeli. Queste comprensibili riserve di Pasquale furono però superate dopo un colloquio con noi, che anche a lui esplicitammo le modalità con le quali intendevamo accostarci a Natuzza e le ragioni del nostro lavoro.
Organizzammo allora una vera e propria sceneggiatura, articolata attraverso una rete nella quale ogni casella sviluppasse, pur nella libertà espressiva dell’intervistato, il tema previsto di questa variegata fenomenologia.
Nell’estate 1984 ritornammo con la troupe cinematografica della RAI per realizzare le riprese.
Il film venne proiettato in anteprima all’università della Calabria e subito dopo dalla RAItre nell’ambito della trasmissione Delta; successivamente, presentato in strutture universitarie e culturali suscitò interventi e dibattiti da parte di un ampio pubblico di diversa formazione, alcuni dei quali sono pubblicati in questo volume.
Natuzza ha continuato e continua tuttora a operare senza variazioni sostanziali nella fenomenologia. Soltanto la trance e l’emissione di voci di defunti non si verificano dopo i primi anni in cui se ne ebbe riscontro.
Messaggi di Gesù e della Madonna, colloqui di Natuzza con Loro, richieste da parte dei fedeli di aiuto per le più diverse occasioni, colloqui con defunti e trasmissioni di messaggi nella duplice direzione fluiscono ininterrottamente anche in questi anni, e ne riportiamo in appendice una sintetica documentazione.
Il corpus di tali messaggi richiederebbe un’approfondita analisi linguistica e antropologica. Qui riteniamo sufficiente segnalare come i colloqui di Natuzza con Gesù e la Madonna siano densi di tratti dedotti dalla quotidianità popolare nella quale Natuzza è immersa e si sviluppano con una frequenza di gran lunga superiore a quella riscontrabile in altri casi di comunicazione del Divino, prevalentemente dall’Alto verso il fedele e non in una dimensione dialogica.
Si riscontra così in questi dialoghi la presenza di quei tratti culturali specifici di un ambiente, fenomeno che, com’è noto, ha portato nell’analisi delle fiabe a individuare in esse, oltre che tratti universali, tratti peculiari dell’ambiente in cui esse vengono ripetute, cioè ecotipi.
Il linguaggio si svolge utilizzando termini e temi dell’ambiente popolare di Natuzza e anche la psicologia che emerge attraverso le parole di Gesù e della Madonna è marcata popolarmente.
Queste comunicazioni si svolgono in un’amosfera di profondo e avvolgente amore che segna modalità e termini di grande intensità espressiva.
Tale carica di amore, del resto, ha pervaso tutta la grande letteratura mistica, dal Cantico dei Cantici a Juan de la Cruz, Maria Maddalena dei Pazzi,Teresa di Lisieux e così via, modulandosi variamente a seconda della cultura delle diverse personalità.
Natuzza si presenta, da un lato come figura eccezionale, dal momento che attorno a lei e attraverso di lei si realizza una serie di fenomeni straordinari.; dall’altro nella concretezza delle sue giornate si è sempre comportata nel suo ruolo di moglie e di madre in maniera del tutto omogenea ai tratti caratterizzanti l’ambiente popolare nel quale è nata e ha vissuto.
Nel 1984 viene fondata l’Associazione Cuore Immacolato di Maria Suffragio delle Anime, poi Fondazione, che si impegna a realizzare una struttura di assistenza agli anziani, ai malati, ai bisognosi di cure.
Natuzza vive la funzione di questa struttura da lei voluta quale forma di concreta solidarietà ai bisognosi. E’ come se, potenziando il tema dell’assistenza, Natuzza avesse voluto attenuare i tratti straordinari della sua personalità, inserendosi, quasi alla pari, in una comunità oggetto di aiuto, pur mantenendo, ovviamente, la carica di richiamo da lei esercitata.
Sono presenti nel volume il testo del film; i dibattiti registrati durante alcune presentazioni di esso; due saggi antropologici sull’universo simbolico del sangue e sulla stessa Natuzza; una sintetica selezione di messaggi a lei comunicati da Gesù e dalla Madonna durante alcune Quaresime; qualche testimonianza scritta particolarmente significativa; alcuni dei numerosissimi articoli pubblicati su quotidiani e periodici. Viene riportato anche un testo teatrale, che io, Maricla, scrissi alcuni anni dopo la realizzazione del film, dove il personaggio di una veggente incontra i più diversi rappresentanti dell’articolata società attuale e a tutti quanti le si rivolgono offre un conforto pacificatore. Il testo teatrale prescinde dalla dimensione “miracolistica” proprio perché vuole suscitare una sorta di immedesimazione del pubblico più diversificato che si presenta alla Veggente, che parla attraverso l’Angelo; in esso l’Angelo diventa metafora di parola fondante.
Si tratta, come si vede, di materiali in parte eterogenei, per taglio, linguaggio e collocazione, ma accomunati tutti dalla costanza di tratti presentati in connessione con questa variegata fenomenologia. Tutto ciò, da un lato, potenzia il carattere di documentazione che il volume intende fornire; dall’altro, comporta inevitabilmente una qualche ripetitività.
In ogni comportamento di Natuzza ritroviamo un’estrema disponibilità all’ascolto, un incontrare l’altro nei modi e nei bisogni che le vengono via via richiesti e un voler assumere la sofferenza mitigandola ed esaltandone il valore salvifico. Questa capacità di ascolto sollecita l’altro a esprimersi, a dare sbocco al dolore narrandolo e affidandolo a una figura che si pone, con il suo corpo e la sua esistenza, come tramite fra il tempo, il mondo quotidiano, le sue cure e l’eterno,
Le persone che si rivolgono a lei delineano un universo segnato dal bisogno di rassicurazione, di attenuazione delle proprie paure e delle proprie sofferenze; di soluzione di problemi materiali che li angosciano, di senso da dare al proprio dolore.
Questa dimensione della rassicurazione, più che le manifestazioni straordinarie, costituisce l’elemento che può toccare ogni persona, a prescindere dalla sua appartenenza sociale e formazione culturale.
A questo universo di dolore Natuzza risponde attraverso la parola, che, divenendo segno di solidarietà profonda, di amore, sviluppa tutta la sua potenza terapeutica e salvifica.
Ancora una volta, dunque, il dolore e la parola. Appunto.


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