MARISA: Lui era carpentiere, però vendeva stoffe in giro nei mercati. Ci siamo conosciuti così. Io ero andata in ufficio, vicino via della Conciliazione, e cercavo la fermata dell’autobus. Arrivo, e c’era un cerchio di persone; non so, così, come attirata da una cosa inspiegabile, da tanti che ce n’erano mi sono rivolta proprio a lui:
-“Scusi, che sa la fermata del sessantaquattro?”
Allora lui mi ha detto:
-“Sì sì ce l’accompagno io: E’ qui dietro, ma è un poco complicato”.
Insomma m’ha accompagnato alla fermata dell’autobus, poi ha insistito per offrirmi un caffè: non mi pareva una cosa sconveniente, mi è sembrato naturale accettare. Poi ha preso l’autobus insieme a me…
-“E gli amici non l’aspettano?”
-“Nonnò, stanno a chiacchierare tutti quanti, manco s’accorgono se ci sono o non ci sono”.
-“Ma lei che mestiere fa?”
-“Vendo stoffe in giro, nei mercati. Veramente sarei carpentiere, ma adesso mi arrangio così. E lei che fa?”
-“Vado in un ufficio, qui vicino, a via, della Conciliazione”.
-“Dattilografa?”
-“Beh, veramente no”.
-“Segretaria?”
-“Aho!, se vede dalle mani il lavoro mio: faccio le pulizie”.
-Mbè? che c’è da vergognarse?! I miei vendono le erbe su un banchetto al mercato…”.
Io mi sono rincuorata. Dico: “ Bah, allora anch’io posso parlare di me che sono sempre stata povera, posso parlare della mia famiglia. A dieci anni io guardavo gli altri più piccoli di me, che erano cinque. Mamma era via, a fare la balia ai figli dei signori. Io facevo tutti i giorni il giro dei ricchi del paese per chiedere una fetta di pane bianco per preparare il pancotto alla bambina più piccola. Loro erano troppo su per negarmi questa fetta di pane, ma me la davano in modo che mi umiliava: me la facevano pesare come un’elemosina… Anche se ero una bambina, maledivo quella situazione. La maledivo perché ciavevo questa fetta di pane in mano, avrei voluto addentarla perché avevo fame anch’io, e non potevo perché dovevo fare ‘sto pancotto!
-“Ecco! Siamo arrivati”.
-“Abiti qui?”.
-“Più lontano di così! Siamo in campagna ormai”.
-“Domani se vuoi ti vengo a prendere”.
-“Per fare che?”.
-“Ti accompagno al lavoro…”.
-“Beh, tanto per gradire…”.
Il giorno dopo l’ho trovato lì davanti. Confesso che m’ha fatto piacere; mi sono subito innamorata di lui. Per me era un uomo bellissimo! Poi era più vecchio di me e mi pareva di aver trovato un po’ il padre: ciaveva i suoi trentadue anni e io ne avevo diciotto.
Dopo un anno che eravamo sposati è venuto il primo figlio. Ma mio marito s’è fatto un’altra donna: si era addirittura stabilito in casa di questa. E non c’era niente da fare. Così siamo rimasti io e il bambino. Ho fatto venire mia madre: lei guardava il pupo, io andavo a lavorare.
Dopo cinque anni che ero divisa da mio marito ho conosciuto un altro. Ho scoperto che in fondo si può voler bene anche a un’altra persona, anche se prima pensavo che potevo voler bene soltanto a mio marito.
Era un ragazzo: aveva tre anni meno di me: ma poi non era maturo per niente anche se si occupava di politica. Proprio per una cosa di politica ci siamo conosciuti. Dunque è successo così: C’è stata l’occasione della casa, che è stata la prima volta che mi sono accorta di non aver vissuto per niente fino a quel momento: vissuto con una coscienza, voglio dire.
Un giorno mi vedo arrivare un ragazzo che bussa alla porta e mi presenta un volantino.
-“Tiè! Vieni oggi alla manifestazione?”.
-“De che?”.
-“Della casa, no! Per ottenere la casa. La vuoi una casa vera o no?”.
-“Si che la voglio!”.
-“Allora vieni. Alle sei, a piazza, San Giovanni”.
-“Ma che c’è scritto qui? Che è?”.
-“Compagni, se saremo uniti otterremo la casa. Venite tutti alla grande manifestazione in piazza, oggi alle sei: allora ci vieni sì o no?”.
-“Ci vengo sì, ci vengo!”.
Era il primo volantino che vedevo nella mia vita. Questo fatto della lotta insieme l’avevo capito poco per volta. Lottare non significa lottare con violenza. Lottare significa rivendicare i propri diritti. Davanti a questo volantino, lì per lì io rimango perplessa. Dico: “Ma questo dice da vero o dice per scherzo?”. Perché io non è che ce credevo molto a ‘sta lotta. Dice: “Lottiamo per ottenere la caso dallo stato”. Ma per me lo Stato era lo Stato, la polizia era la polizia, guai a chi li toccava, ma per l’amordiddio, ma scherzi?! Con la mia ignoranza non capivo che sono toccabili eccome!, non nel senso de sfotte ma proprio per dije in faccia le cose come stanno. Insomma, me metto a frequentare queste riunioni, queste assemblee, anche perché c’era ‘sto ragazzo dei volantini che me piaceva. Siamo andati a vivere assieme. Dove stavamo non era proprio una baracca, ma non c’erano servizi igienici: pagavamo venticinquemila lire al mese, le persiane se n’andavano a pezzi, c’erano macchie d’umidità dappertutto, ma noi stavamo bene insieme, non ce ne accorgevamo nemmeno.
Intanto la questione della casa aveva messo tutti in movimento. Con la gente se ne parlava sempre. Si andava a fare la spesa, se ne parlava: ci si incontrava sull’autobus, se ne parlava…Diventava una cosa di tutti assieme.
La casa è arrivata veramente. Ci hanno assegnato un alloggio a tutti. Dalla borgata di Pratorotondo siamo andati a finire alla Magliana, alla case comunali. Era tutta un’altra zona, abbiamo dovuto lasciare i nostri lavori, gli amici… ma almeno non abitavamo più nelle baracche.
La casa, invece di unirci, a me e al mio ragazzo, ci ha divisi. Lui e rimasto a Pratorotondo, io sono andata alla Magliana col bambino. Litigavamo sempre: la politica non l’aveva maturato, era diventata per lui un modo per fare carriera, quello che contava soprattutto era l’interesse suo. Così avevamo deciso di stare lontani per un po’ di tempo, per vedere se c’importava di stare assieme o era meglio dividersi.
Io mi sono messa nel comitato di quartiere, ho seguito sempre più le riunioni, le assemblee. Allora ho cominciato veramente a sentire i problemi sociali. Prima credevo che fossero una cosa che interessava alle persone che stanno in alto, che hanno da difendere le loro ricchezze, invece no, tutto sbagliato, sono proprio queste cose che interessano a noi, gente povera e sfruttata. Dopo tante riunioni ho capito finalmente perché sono una persona oppressa e così mi sono vergognata di essermi vergognata della mia condizione quando credevo che le persone migliori sono le persone più ricche, come mi aveva insegnato mia madre, poveretta, ignorante come me.
Il ragazzo mio intanto continuava a farsi vedere, non stava ai patti.
-“Ma questa è una situazione che non può durare! Una volta ti incontro sotto casa, un’altra ti incontro dove lavoro. O ci rimettiamo insieme oppure facciamo la prova, ma allora facciamola veramente”.
-“Mi ero abituato a dormire con te. Sai che mi sveglio abbracciato al cuscino come uno scemo!...”.
Era una cosa che non andava né avanti né indietro. Mi faceva anche ridere. Certe volte mi spiava, ma non si avvicinava. Scappava via e rideva.
Poi è successo che io telefono alla sorella di lui per farle gli auguri, che si doveva sposare.
-“Te sposi eh?”
-“Noo, che credevi… abbiamo rimandato”.
-“Un’altra volta? Attenta che quello si stanca!”.
-“Non ti preoccupare. E’ solo per soldi. Ci mancano ancora troppe cose. Ci sposiamo ad aprile”.
-“Si nun te sbrighi, può darsi che me sposi prima io!”.
L’avevo detto per scherzo, ma lei, tale e quale, l’ha riferito a suo fratello. La mattina alle sei lui s’è presentato da me.
-“Ma che fai? Te sposi?!.
-“Io me sposo? Ma che sei matto?
-“Massì, che l’hai detto a mia sorella. E con chi te sposi? Adesso me lo presenti! Me lo fai conoscere! Ma come? E’ poco tempo che ci siamo lasciati, e tu te sposi?”
-“Noo! Lho detto a tua sorella mentre je telefonavo…”
-“Appunto. E allora se te sposi vuol dire che quello là lo conoscevi già quando stavi con me!”.
Poi ha cominciato a sentirsi male… a sbiancarse…
-“Oddìo me sento male me viene lo svenimento me manca er core me cala un velo davanti l’occhi… Oddìo reggime reggime che vado giù!... “.
Io a quel punto mi sono intenerita; certo non era una persona estranea, eravamo stati insieme cinque anni. Non sapevo nemmeno io che fargli per tenerlo su… un cognac… un caffè… Poi ha avuto una reazione di pianto: je faceva rabbia che io avevo capito che lui a me ce teneva. Fatto sta che se semo trovati lì, soli, che intanto mio figlio era andato a scuola… Insomma, siamo stati insieme. Così per quell’unica volta da quando ci eravamo lasciati, sono rimasta incinta. Lui voleva che abortissi, ma io non ero d’accordo. Dice:
-“Eh!.. ma abortisci al primo mese, non succede niente!”.
-“Non è vero! Uno o abortisce e dice ho abortito oppure non abortisce per niente!”.
-“Guarda che sto figlio nun lo mantengo!... Eppoi, chissà se è mio… E la gente che dice quando sa che aspetti un fijo e nun sei sposata? Eh?”.
I poveri l’aborto lo pagano con il carcere; i poveri lo pagano con la morte. I ricchi invece possono farlo comodamente senza rischi. La legge è ingiusta perché colpisce solo i poveri , quindi va cambiata, va tolta. Ma per me era una questione di coscienza, e così mi sono presa le mie responsabilità. Dopo mi sono spaventata di quello che poteva pensare la gente, avevo paura che potessero criticarmi. Su di lui non ho proprio contato più: ho capito che nemmeno un figlio l’avrebbe cambiato. Così mi sono rimboccata le maniche, ho cominciato a dirlo a tutti, ho preso coraggio. I compagni del comitato di quartiere mi hanno detto:
-“Non ti preoccupare!”.
-“Ti saremo vicini!”.
-“Lo ameremo tutti questo bambino!”.
-“Ti aiuteremo noi!
-“Non avrà solo una mamma e un fratello: questo bambino avrà tutti quanti noi!...”.
Mio figlio invece quando gliel’ho detto mi fa:
-“A mà so affari tua! Mò farai un figlio matto!”.
Matto, certo: com’era matto il padre, adesso andava dicendo che l’avevo rovinato, che avevo rovinato la sua esistenza, la sua coscienza, il suo futuro, che lui aveva altri scopi nella vita, che insomma lui aveva un’altra ragazza, una fidanzata:
-“Sì, me sò fatto ’na fidanzata”
-“I miei complimenti, sinceramente!”.
-“Se po’ voler bene a due persone consecutive…”.
-“Ma sei così espansivo de calore! Credevo che fossi un po’ più raccolto de sentimenti!...”.
-“Ma io de sentimento ce n’ho tanto! E lei è ‘na bambina, indifesa, innocente… Ha bisogno di me. Si ce penso, me sento male, me manca er respiro, me batte er core irregolare…”.
Allora comincia una cosa strana tra noi. Lui viene a prendermi sul lavoro, me porta a casa, se confida con me…Me racconta der padre, der fratello,della sorella. Me racconta pure de ‘sta ragazza, de questa nuova fidanzata:
-“Che delusione! Ma ‘na delusione che me so sentito svenì. Io credevo che questa era diversa”.
-“Diversa da chi?.
-“Ma dalle altre no? Tutte uguali le donne. ‘Na santa me pareva, nun voleva nemmeno che la toccavo. Invece aveva avuto du’ ommeni prima de me!”.
-“Forse aveva paura de dittelo!”.
-”Ma se l’ho sempre trattata come ‘na Madonna! Nun facevo all’amore con lei per rispetto alla sua innocenza!...”.
-“Ah !Perciò volevi farlo con me!”
-“Ma tu sei ‘na persona superiore! Sei ‘na donna che dà tranquillità…un essere intelligente…con cui si può anche stare a parlare….”.
Io per lui ero diventata una sorella maggiore, ero diventata una grande amica a cui confidare tutti i suoi affliggimenti. E non si parlava più della nostra situazione; si parlava della sua…
-“E con chi ne devo parlare se non con te!? Solo tu me capisci!...”
Mi dava lo zuccherino. Ma quando stava per nascere il bambino, si è fatto trasferire fuori Roma. Il bimbo è nato male, quasi al decimo mese, forse non voleva venire fuori sapendo tutte le disgrazie del mondo. Era piccolo piccolo e calava ogni giorno… L’ho lasciato all’ospedale per un mese: lo tenevano nell’incubatrice. Intanto io avevo ripreso a lavorare. Tre volte al giorno je portavo il latte mio che era l’unica cosa che prendeva. Ma il bambino deperiva: aveva l’ittero fisiologico, non respirava bene. Insomma, in quella circostanza ho fatto una cosa che mi sono meravigliata io stessa e che non avrei mai fatto. Sono andata alla Madonna del Divino Amore e le ho detto:
-“Compagna Madonna, faccio un voto. Tu lo sai, sono stata operata da poco, il bambino mi ha lasciato una ferita. Ma se tu lo salvi questo bambino, io faccio tutta la strada, a piedi, da Roma a qui!”.
Avevo preso talmente a credere a questo voto, che ancora adesso non saprei dire se è vero o non è vero, però io questo voto l’ho sentito. Mi sono unita a un gruppo e l’ho fatta a piedi tutta, quella strada: di notte, perché durante la giornata dovevo andare all’ospedale a togliermi il latte per darlo al bambino. Ha fatto un mese di agonia ‘sto ragazzino: era diventato piccolissimo, un morticello: aveva un collo secco secco, tutto aggrinzito, proprio una cosa da non potersi vedere…Quando andavo all’ospedale, davanti al vetro, che me lo portavano, io chiudevo gli occhi per nun vede’ gli altri ragazzini. Poi arriva lui… Niente! Era il più bello di tutti! Era figlio mio, era così come m’era venuto!... Poi ha cominciato a mettere un po’ di ciccetta, a diventare due chili, poi due chili e cento…. Contavo i grammi, tutti i giorni domandavo quanto sarà cresciuto?, cinque grammi? dieci grammi?... Il bambino si cominciava a formare. Dopo due mesi che era nato, torna lui da fuori Roma. Dice che era venuto a conoscere il bambino.
-“Si sono venuto a conoscere il bambino”.
-“Eccolo il bambino”.
-“A carino, me somiglia pure! E come sta? Sta bene?”.
-“Sissì sta bene. E’ sempre stato bene”.
-“Ah meno male, perché io me so precipitato”.
-Assì, dalla stazione alla sala parto?!”.
-“Beh nun comincia’ a sfotte’ che io ciò dei problemi seri”.
-“E sarebbe?”.
-“Problemi organizzativi… problemi politici. Eppoi io sono fuori, lo sapevi no?”. Beh io mica potevo sempre sta’ solo… a fartela breve, ho conosciuto ‘na donna, ma talmente in gamba, talmente in gamba!...”.
-“E la fidanzata?.
-“Noo! Che fidanzata! Quella m’aveva ingannato, l’ho piantata. Ma senti, te dicevo de ‘sta perla: bella, lavoratrice, coscienziosa. Pensa a che punto: dunque io ‘na sera tra ‘na cosa e l’altra je racconto de te e der pupo… Sai cosa m’ha detto lei?”.
-“Che t’ha detto lei?”.
-“M’ha detto “Corri! Corri subito dal bambino! Vai a trovare tuo figlio!” Ed eccomi qua!”
-“Eppoi?”.
-“Che altro ce deve esse?”.
-“Ah niente, ero io che credevo”.
-“Una cosa ce sarebbe…”.
-“Cioè?”.
-“Ecco, io ho pensato ho pensato, me so’ fatto veni’ proprio er mal de testa a pensà a ‘sto ragazzino, a quello che potevo fa’ per lui e m’è venuta in mente ‘na cosa bellissima…”
-“Sarebbe?”.
-“E se je dessi er nome? Eh? Che ne dici? Nun è ‘na bella idea? Di’ di’ che ne pensi, senza complimenti!”.
-“Scusa, perché tu pensi che il bambino nun ce l’ha il nome? Ecchè er nome mio nun è nome? Semmai di un padre avrebbe bisogno, ma di padri chi ne ha visti in giro? Sono rarissimi, eppoi nun s’inventano così da un momento all’altro…”.
-“Lui è rimasto pensieroso. E quando prende quell’atteggiamento lì, è capace che je succede tutto…
.”Oddìo me sento male ciò la gastrite il fegato la testa me scoppia mo’ svengo casco me moro…”.
Che devo fare? Se lui non si prende le sue responsabilità, mica lo posso cambia’ io. Ma sto fijo me lo cresco e je lascio er nome mio!