Non si sono inventate le parole…

Maddalena, ragazza di paese che insegue a Parigi miraggi di bellezza e di successo, riflette, ascoltando gli altri, i tratti essenziali della loro vita: “la mia disperazione è solamente una delle tante”; Corinna, dolente figura di madre,esclama chiedendo alla figlia pietà per il padre: “La soffereenza annulla l’ingiustizia, il dolore accomuna… Pietà per lui”.
L’universo evocato, con intensa carica di suggestione, da Maricla Boggio oscilla tra disperazione e pietà, tra un irridemibile dolore e una commossa solidarietà tra sofferenti.
Mercè la libagione di sangue le larve potevano comunicare con i viventi nella Nekya omerica; è il sangue portatore di devastazione e di morte che lega i destini di queste nuove larve che la LaicarRappresentazione ci restituisce dense di struggente nostalgia per una vita drammaticamente interrotta, voci cui la morte ha comunque lasciato possibilità di discorso. Si dispiegano così sofferte rievocazioni della propria, esistenza, insiem magmatico di dolori, amori, solitudini, tenerezze, crudeltà, e viene in qualche modo colto, nel suo nocciolo di verità spesso indicibile, quel “segreto che ciascuno può nascondere in sé” richiamato dalle parole della Madre.
Il sangue, signum vitae e signum mortis, riafferma così la sua ineludibile potenza, la sua centralità negli universi simbolici, si tratti della cultura classica, delle culture folkloriche, della cultura intellettuale contemporanea. Anche nei confronti dell’aids, del suo potere mortifero, della sua minacciosità, gli atteggiamenti risentono dei valori simbolici accumulatisi nei secoli sul tema del sague, come è confermato da una ricerca interdisciplinare su tale tema, da me diretta, i cui risultati sono stati pubblicati.
“Non si sono inventate le parole/ per questo genere di cose, soltanto/ sguardi o un sorriso non troppo marcato,/ potrebbe sembrare una beffa, la mano/ può fare una carezza lieve lieve,/ mentre ti accosti ad aiutare il medico…/ Così soltanto puoi tentare un aiuto/ che non provochi l’ira, se è una pietà che costa poco/ a chi lo fa e non soffre come loro”. Consapevolezza della facilità di una pietà che può calare dall’esterno e dall’alto da parte di chi non è organico a questo universo disperato.
Non si sono inventate le parole, non solo per parlare agli ammalati di aids, ma forse anche per parlare efficacemente di aids, sottraendosi sia al pericolo di una terroristica intimidazione e di una moralistica condanna che a quello di una irresponsabile e di fatto criminale connivenza. Ma bisogna trovare parole adeguate perché si possa contrastare davvero tale vento di morte che rende fuscelli e travolge un numero sempre maggiore di vite.
Laica rappresentazione costituisce un’alta riflessione su questo universo del dolore, cui Maricla Boggio si accosta con sommessa pietà. “Questa mia vita marcia disgraziata”, grida Cecilia la battona, e a lei fanno eco le parole di Flora su “questa merda di vita senza vita” e quelle di ciro, che rievoca le “espressioni feroci di un amore che voleva gridare tenerezza”, parole tutte che ricordano un mondo violento, esistenze che si dibattono fra necessarie durezze e impossibili pietà, dilacerate tra realtà e desideri, sempre più improponibili, remoti.
“Tra l’apparenza e la realtà una fessura profonda e sottile frantuma la visione e induce il giudizio ad arrestarsi”, dice il Padre; ma se il giudizio si arresta, non si ferma il commento, affidato, nella Laica rappresentazione, al Coro, che integra e illumina, secondo la funzione svolta con altissimi risultati nel teatro classico.
Questa 3aica rappresentazione si articola, come ci avverte il sottotitolo, in 10 storie interrotte per Coro e Solisti; ma, più decisamente, è la vita interrotta, frantumata dal potere devastante dell’aids a essere evocata da questo discorso, che sa rapportarsi con delicatezza e umana pietà a tale radic ale disperazione, che segna il nostro tempo, solcandolo di angoscia infinita.
Luigi M. Lombardi Satriani

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