Sulla scena un unico telo, di colore grezzo, ricopre il pavimento, e via via, alle prime battute andrà animandosi come per un respiro che lo percorrerà dall’interno facendolo ondeggiare.
VOCI
Eros, Eros, o kat’ommàton
Stàzein pòzon, eisàgon glukéian
psükhà us epistratéuse,
mé moi-pote sùn kakò fanéis
med’àrrùthmos élthois.
Ute gàr pùròs ut’àstron ùperteron bélos,
oion tò tàs Afrodìtas
ìesin ek kheròn
Eros, o Diòs pais...
Le parole greche appartengono al primo stasimo di «Ippolito». Dapprima si sentiranno come sussurrate, poi via via acquisteranno forza, come per un prorompere inarrestabile sempre più violento. E le voci che pronunceranno le parole greche si accavalleranno aumentando di numero, diverse di colori e di toni: è il mondo a gridare quelle parole, che sono di tutti nella loro bellezza e nel loro terrore. Così come quindi sono anche di Fedra.
Fedra durante il bisbiglio-grido delle voci in greco compare e scompare dentro all’agitarsi del telo-peplo-vela.
E’ come se volesse uscire alla vita, e questo al tempo stesso le derivasse dolore e sofferenza, ma anche gioia.
FEDRA
Eros, Eros, ‘o kat’ommàton
Stàzein pòzon... Amore... Amore... che dagli occhi
stilli desiderio...
Amore che infondi piacere soave
mai! non apparirmi mai!
come rovina
al di là delle mie forze.
Né il fuoco né le stelle
colpiscono come la freccia di Afrodite
che dalle sue mani scaglia
il figlio di Zeus,
Eros... Amore... Amore... Amore...
Fedra si abbatte a terra come colpita dalla freccia fatale. Le voci ripetono ancora, sempre più flebilmente da forti che sono all’inizio, le parole di Amore.
VOCI
Né il fuoco né le stelle
colpiscono come la freccia di Afrodite
che dalle sue mani scaglia
il figlio di Zeus,
Eros... Amore... Amore... Amore...
Qua e là nella zona scenica si ergono statue delle dee Afrodite e Artemide. In evidenza la statua di un giovinetto. Fedra vi si avvicinerà di volta in volta, portatavi da quanto dirà.
FEDRA
Ah!... Come da fonte di rugiada
bere vorrei un sorso d’acqua pura...
come sdraiata sotto i pioppi
riposare in un prato d’erba fresca!...
Voglio andare sui monti...
Sì... lo me ne andrò
tra i boschi in mezzo ai pini
dove i cani che inseguono le fiere
stanano i cervi e ne fanno preda...
Sì voglio anch’io anch’io desidero
incitare i cani con le grida
e lanciare le frecce
con la mano… come un cacciatore...
La voce di donna singola che farà da interlocutrice a Fedra è quella della sua Nutrice.
VOCE DELLA NUTRICE
Discorso di pazzia!
Perché t’importa della caccia?
Perché parli di acque e di sorgenti
e di boschi e di pini e di montagne?
FEDRA
Artemide signora della caccia!
Come vorrei trovarmi nelle tue pianure
e domare cavalle ancora brade...
VOCE DELLA NUTRICE
Ancora parole di pazzia!
Prima dì cacce vaneggiavi:
e di montagne,
adesso di cavalle sogni.
Un dio t’agita certo
e ti costringe
ad avere nel cuore la pazzia...
FEDRA
Che cosa ho detto?
Ho vergogna. Nascondimi nel tuo mantello
come una volta nel tuo grembo bambina.
I miei occhi sono pieni di lacrime
e non oso alzare lo sguardo.
Se la mente ricorda io sento un dolore profondo
e se non ricorda è triste il pensiero smarrito...
Unico bene è morire.
Si verrà costituendo via via una specie di dialogo sommesso tra la Nutrice e le Donne della città, quasi svolto per soccorrere Fedra, che, presa da! suo dolore, neppure lo avverte.
VOCI DELLE DONNE DEL CORO
Perché perché questo dolore?
Il marito di Fedra non sa niente?
VOCE DELLA NUTRICE Non è qui è lontano...
Fedra di che male tu soffra io non so...
Ma qui intorno a te
ci sono solo donne e tu devi parlare.
Noi ti aiutiamo se vuoi... sù non tacere...
Se fai così tu muori e i tuoi figli
chi te li alleverà
se il padrone sarà dopo Teseo
loro padre ormai vecchio
quel ragazzo avuto prima
delle nozze con te
quel giovanetto adulto ormai
che alla caccia si dedica
unico re sarà qui Ippolito!
FEDRA
Ahi! Tu mi uccidi!
Non nominarlo!
Mai più tu devi dire quel nome
se ci sono io!
VOCE DELLA NUTRICE
E’ lui... Tu mi hai tolto la vita.
VOCI DELLE DONNE DEL CORO
Questo è il tuo male, Fedra!
Sei perduta,
hai portato la tua disgrazia alla luce.
FEDRA
Donne di questa città!
Quando l’amore mi ferì
pensavo a come affrontarlo.
Decisi allora di tacere e nascondere
questo mio male.
Cercai di mantenermi casta,
ma in silenzio e in solitudine
non riuscivo a dominare quell’amore.
Decisi di morire
soluzione migliore di tutte.
Nessuno può dire il contrario.
Sapevo che quell’amore
portava del male,
sapevo soprattutto che sono una donna
e le donne tutti le disprezzano
e con odio le giudicano.
Ma anch’io
odio le donne
oneste soltanto a parole
piene, invece di storture segrete
pronte ad ogni avventura.
Per questo ho deciso di morire.
Così i miei figli e mio marito
non dovranno vergognarsi di me.
VOCE DELLA NUTRICE
O mia signora poco fa
quando mi rivelasti il tuo amore
mi hai fatto paura non me l’aspettavo.
Sono stata una sciocca.
Ami? Sopporta e sottomettiti.
E’ Afrodite a volerlo, non sei tu.
VOCI DELLE DONNE DEL CORO
Io ti lodo Freda io ti lodo. I discorsi della tua nutrice sono certo più utili ma io te lodo!
FEDRA
Non sono i bei discorsi
a salvarci dal tormento
ma le cose sante, le cose giuste...
VOCE DELLA NUTRICE
Tu non hai bisogno di parole.
Di quell’uomo hai bisogno.
Se non fosse in pericolo
la stessa vita tua,
io non ti spingerei,
soltanto per offrire
un letto al tuo piacere.
Ma io devo salvarti,
questo è il punto,
e nessuno potrebbe condannarmi...
FEDRA
Tu mi spaventi come parli.
Non dirle queste cose mai più!
Non vorrei.., e ho paura...
VOCE DELLA NUTRICE
Che cosa ti spaventa?
FEDRA
...che tu parlassi al figlio...
di Teseo...
VOCE DELLA NUTRICE
Farò le cose bene...
E Afrodite mi aiuti...
VOCI
Amore... Amore... che dagli occhi
stilli desiderio...
Amore che infondi piacere soave
in quelli che assali...
mai! non apparirmi mai!
come rovina
al di là delle mie forze…
Rumori e grida. Come uno scontro atroce. Fedra vive quelle grida con occhi dilatati, protesa a immaginare.
VOCE Dl IPPOLITO
Zeus! E tu, un male insidioso
come sono le donne,
l’hai portato nelle case degli uomini
e le hai lasciate vivere alla luce del sole?!
Se volevi perpetuare
la razza umana
non era necessario che tu
lo ottenessi dalle donne:
gli uomini potevano comprare
il seme dei figli
e sarebbero vissuti liberi
senza donne, nelle case!
Il padre che le ha dato la vita
se ne libera appena possibile
come di un male,
e a chi accoglie la pianta maligna
resta solo il piacere di adornarla
come un idolo rovinandosi a spendere.
E chi prende una stupida
è fortunato
in confronto agli uomini che hanno quelle che sanno:
odio le donne con troppa intelligenza
e il sapere è sempre eccessivo
se appartiene a una donna.
Con le bestie dovrebbero vivere
creature senza parola
e non poter dir loro niente e niente
avere come risposta...
Me ne andrò dalla casa di mio padre,
ritornerò soltanto
quando Teseo qui rimetterà il piede.
Vedrà allora
come potrete fissarlo in volto
mio padre...
lo non avrò mai odio
sufficiente per voi!
Fedra ha ascoltato le frasi imprecanti con una fissità dolorosa. Solo alla fine si scuote da quella ipnosi delirante.
FEDRA
O infelice destino delle donne!
Che mezzi ho io, quali parole,
dal momento che niente è in mio potere
per sciogliere il nodo del mio male?
Ho avuto quanto mi toccava.
O terra! O luce!
Care, come potrò sfuggire al mio destino,
come potrò nascondere l’angoscia?
Mi aiuterà un dio, un uomo mi potrà aiutare
comprendendo il mio caso doloroso?!
Questo momento è così difficile...
E io sono la più infelice...
la più infelice di tutte le donne...
VOCI DELLE. DONNE DEL CORO
A niente son servite le parole
della tua balia
a niente le arti escogitate...
FEDRA
Balia che cos’hai fatto balia!
Non ti avevo ordinato di tacere
le parole che ora sono la rovina?!
Ma tu non hai saputo trattenerti!
Così devo morire e con vergogna!
Vattene vattene lontano...
So io che cosa fare... lo so io...
Farò le cose bene... lo so io...
VOCI DELLE DONNE DEL CORO
Un male pensi
che non ha rimedio...
Dimmi qual è.
FEDRA
Morire. Come, io devo deciderlo.
Fedra comincia ad attorcigliarsi intorno al corpo il telo dal quale è emersa all’inizio, con un movimento concentrico inarrestabile.
FEDRA
L’amore mi avrà vinta.
Afrodite lo vedrà,
Un amore per me che sa di fiele.
Ma morendo ad. un altro sarò causa
di tormento e di angoscia.
Imparerà a non essere orgoglioso
di quella che è la mia disgrazia...
Capirà quanto ho sofferto...
la saggezza... entrerà in lui...
Il movimento concentrico si fa più affrettato, mentre cala un silenzio assoluto. Ormai Fedra scompare nell’intrico della stoffa attorcigliata.
VOCI DELLE DONNE DEL CORO
...L’animo le fu spezzato
dal tremendo male
che Afrodite le mandò...
di un amore non casto...
Un laccio dalla trave
nella stanza sua di sposa
ha appeso già...
e lo farà passare
intorno alla candida gola...
Rifiuta la vergogna...
Conserva l’onore...
distrugge nell’animo
l’amore
che distrugge lei... Fedra...
E’ di nuovo il turbine delle voci, delle grida, della mescolanza di linguaggi, mentre il nodo del telo si scioglie a poco a poco e Fedra vi scompare quasi scivolandovi sotto.
VOCI
Eros, Eros, o kat’ommàton
Stàzein pòzon, eisàgon glukéian,
psùkhà us epistratéuse,
mé moi-pote sùn kakò fanéis
med’àrrùthmos élthois...
Il linguaggio greco si mescola gradualmente al latino.
VOCI
Quo tendis, anime? Quid furens sa.ltus amas?
Fatale. miserae matris agnosco malum:
peccare noster novit in silvis amor...
Stirpem perosa Solis invisi Venus
per nos catenas vindicat Martis sui
probris omne Phoebum genas
onera nefandis...
Riemerge Fedra in tunica romana. Ha tra le mani un bambino, un bambolotto rosato che terrà dando di volta in volta l’impressione di amarlo o di odiarlo.
FEDRA
Bambino che giochi, bambino che ridi…
che scagli le frecce con mira sicura...
la tua follia penetra dentro nelle vene...
e con un fuoco nascosto devasta il mio corpo...
e non c’è pace per questo bambino
che in tutto il mondo scaglia le sue frecce...
VOCE DELLA NUTRICE (come in un sussurro)
Chi subito si oppone...
chi resiste all’amore...
ottiene la pace... si sente vittorioso...
ma chi indulgente nutre
la dolcezza dell’amore...
non può poi rifiutare
quel giogo che ha accettato...
Fedra ti supplico!
soffoca il fuoco
… del tuo empio amore...
Vuoi mescolare il letto
del padre e del figlio...
e figli incerti far crescere
nel tuo ventre sacrilego?
FEDRA
Una specie di furore
mi spinge verso il male.
Che cosa può fare qui
la ragione?
Il furore vince, il furore regna.
Un dio troppo potente domina l’anima mia.
Questo bambino terribile
trafigge ogni essere con tiri precisi
in cielo come in terra...
VOCE DELLA NUTRICE
li desiderio disonesto finge
che amore sia un dio...
ma è l’animo folle, è la follia
che si è creata queste vuote bugie...
FEDRA
Non è morto del tutto nel mio animo
ancora intatto il pudore.
Vincerò questo amore
che non vuole essere vinto:
precederà la mia colpa con la morte,
non c’è altra soluzione,
non c’è rimedio alla mia malattia:
precederò la mia colpa con la morte.
VOCE DELLA NUTRICE
La nostra vecchiaia potrà
lasciarti morire così?
Compirò io la fatica
di sedurre quel giovane cuore selvaggio,
piegherò la sua mente crudele...
Le voci si sovrappongono in un turbine, mentre Fedra tormenta il bambino tra le sue mani, in attesa di quanto avverrà.
VOCI
Bambino che giochi... bambino che ridi...
che scagli le frecce con mano sicura...
e la tua follia penetra dentro le vene...
e con un fuoco nascosto...
devasta il corpo di Fedra...
FEDRA
Osa anima mia. Prova mia anima.
Adempi il tuo compito, anima mia.
Le tue parole siano coraggiose:
chi chiede con timidezza
già invita a far dire di no.
Concedimi un poco, in segreto,
Ippolito, concedimi di ascoltare.
VOCE DI IPPOLITO
Confidami i tuoi affanni, madre!
FEDRA
Il nome di madre è troppo grandioso,
è troppo superbo:
per il mio sentimento ci vuole un nome più umile.
Chiamami sorella, Ippolito,
chiamami serva,
sì, serva è meglio: sopporterò
ogni servitù da te.
Accettami come tua serva:
sei tu che devi comandare,
sono io che devo ubbidire:
non è adatto a una donna
guidare il regno del padre.
Ma tu che sei nel primo
fiore della giovinezza,
governa con forza la città
con l’autorità che ti viene dal padre,
e ricevi tra le braccia questa serva
che ti supplica, abbi pietà di una vedova!
VOCE DI IPPOLITO
Dio disperda questo presagio:
mio padre sarà qui tra poco.
FEDRA
E’ andato lontano, in un regno
da cui nessuno è tornato mai.
VOCE Dl IPPOLITO
Lui tornerà.
li cielo e le nostre preghiere lo guideranno...
Ma se un dubbio Dio ci lasciasse
stai sicura Fedra, io stesso, per te,
prenderò il posto di mio padre.
FEDRA
Speranza illusoria di chi ama!
Amore che inganni!
Voglio parlare, e ho paura.
VOCE DI IPPOLITO
Qual è questo male che è in te?
FEDRA
Non potrai credere che questo male
possa colpire una matrigna.
VOCE Dl IPPOLITO
Con voce incerta
pronunci ambigue parole...
Parla apertamente!
FEDRA
Un torbido vapore
brucia l’amore che è in me.
Divora feroce la mia carne fin dentro le ossa,
e penetra nelle vene giù giù nel mio corpo,
un desiderio inconfessato
come una fiamma che guizza
e brucia una casa
fino alle travi più alte!
VOCE Dl IPPOLITO
Tu certo deliri
per il casto amore per tuo marito Teseo...
FEDRA
E’ così, Ippolito: amo il volto di Teseo,
quello che aveva un tempo quand’era ragazzo,
quando la prima barba velava le sue guance pure...
Come era splendente a quel tempo!
Dei nastri tenevano i suoi capelli...
un’ombra dorata tingeva il suo tenero viso...
aveva forti muscoli nelle braccia delicate...
era il volto di Diana, il volto di Febo il suo volto...
era, piuttosto, il tuo volto...
Sempre più in questo momento il bambolotto è per Fedra il giovinetto Ippolito che lei non osa toccare.
FEDRA
Era così, ecco, era così...
ma in te risplende più viva
una bellezza incorrotta...
Tuo padre c’è tutto in te,
ma in te appare un’altra bellezza
che è quella di tua madre...
Ecco io qui mi getto ai tuoi piedi,
io ti supplico stringendoti le ginocchia,
non sporcata da colpe
ma pura, incorrotta,
per te solo io mi corrompo,
e con fermezza mi abbasso a pregarti:
Questo giorno per me porterà
una conclusione:
per il dolore, o per la vita:
pietà perché ti amo!
Un lungo grido, come di un animale colpito a morte: è Ippolito, stupito, sdegnato, offeso.
VOCE Dl IPPOLITO
Sole, spegni la tua luce!
Mano di Dio,
perché non bruci il mondo?
Mi colpiscano i tuoni,
mi incenerisca il lampo:
sono colpevole:
piaccio a mia madre!
FEDRA
Ti seguirò in mezzo al fuoco,
in mezzo al mare furioso,
in mezzo alle rocce,
in mezzo ai torrenti
che l’onda trascina:
dovunque andrai,
io ti seguirò come una pazza.
Ma ancora una volta, non essere superbo...
io mi stringo alle tue ginocchia!
VOCE Dl IPPOLITO
Via da me il contatto impudico
dalla purezza del mio corpo.
Tu cerchi di abbracciarmi:
io uso la spada e piego la tua testa
torcendoti i capelli!
FEDRA
Ippolito, adesso tu esaudisci le mie preghiere:
tu guarisci la mia pazzia.
E’ più di quanto desidero quel che mi dai:
morirò con il mio onore salvo.
e morirò per le tue mani!
Fedra si dibatte felice nell’idea della morte. Ma quella di Ippolito era solo una minaccia. Tutto è di nuovo silenzio. Poi Fedra pare svegliarsi da un sogno delirante.
VOCE DELLA NUTRICE
La colpa è rivelata.
Anima mia perché
rimani senza vita, inerte?
Gettiamolo sopra di lui il delitto:
accusiamolo noi, subito,
il suo amore per te:
con un delitto si deve nascondere un delitto!
VOCI DELLE DONNE DEL CORO
Con frode femminile
è preparato tutto questo inganno:
Che cosa non ha il coraggio di tentare
la furia violenta di una donna?
Teseo appena tornato
conoscerà questo inganno!
FEDRA
Te invoco, creatore dei cieli,
te invoco come testimone!
e te corrusco astro della luce del giorno,
te che sei l’origine della nostra famiglia!
tentata dalle preghiere ho resistito:
alla spada, alle minacce
non ha ceduto l’anima mia.
Ma la violenza infine il corpo l’ha patita.
E questa macchia del nostro pudore
la laverà il mio sangue.
Il racconto di Fedra a Teseo si può immaginare. Musiche e suoni, come in altri momenti, ne saranno la sintesi inutilmente qui riferita.
VOCE DI TESEO
Che Ippolito non la veda più
la luce del giorno,
e scenda giovane tra i morti.
La maledizione pare dilatarsi a mille voci.
VOCI
Che Ippolito non la veda più
la luce del giorno,
e scenda giovane tra i morti...
FEDRA
Ecco, io lo vedo uscire, impetuosamente,
Ippolito, fuori da questa città,
dopo l’accusa del padre,
accompagnato dalla maledizione!
VOCI
Che Ippolito non la veda più
la luce del giorno,
e scenda giovane tra i morti...
FEDRA
Ecco, si getta, a passi affrettati,
in una corsa sfrenata...
e subito mette i cavalli al giogo,
e li costringe alle briglie...
e a lungo parla a se stesso
e rinnega la sua città,
e invoca il nome del padre, di Teseo,
più e più volte..
e agita con furia le redini che tiene nel pugno...
Ma ecco, il mare ad un tratto, si alza
si gonfia su fino al cielo,
e non c’è vento che soffia,
né è l’ora della marea...
è una tempesta nel cuore del mare
che agita le acque in profondo...
E il mare schiumando, ad un tratto
vomita fuori un mostro pauroso:
è un toro, immenso e guizzante,
il collo è azzurro, e sulla fronte verde
ha una sferzante criniera!
E vomita fiamme e gli occhi lampeggiano
e il petto e le spalle
coperti di morbido muschio,
e il fianco arrossato di alghe...
E tutto il corpo è squamoso...
e agita immensa una coda
che ogni cosa distrugge...
E tutti fuggono via
lontano da quella belva...
Ma si solleva ardito, Ippolito
e vuole combattere il toro...
I cavalli gli sfuggono
da folle paura atterriti...
Dove trascinano Ippolito?
Ma lui governa il carro veloce...
controlla tirando, le briglie...
le bocche schiumose e colpisce
agitando la frusta...
Ma il mostro fronteggia le bestie...
e quelle impazzite, si voltano contro
la mano ferma di Ippolito...
sopra di lui sollevano le zampe,
e Ippolito cade, giù con la testa,
il suo corpo è tutto in intrico
cadendo, nelle briglie confuse...
e lui si dibatte...
Fedra tormenta il bambolotto fino a smembrano.
FEDRA
La cara testa di Ippolito
a lungo batte sulle pietre
sulle rocce appuntite
i duri sassi distruggono le sue guance di rosa...
i rami le siepi gli sterpi i tronchi
le acute spine ogni pianta
trattiene un pezzo di Ippolito...
Dov’è ormai lo splendore della sua bellezza?
O Ippolito, così io devo vedere
il tuo amatissimo volto?
Dov’è fuggita per, sempre la tua casta bellezza?
Dove sono i tuoi occhi, che erano le stelle del mio cielo?
Ah! ritorna qui, per un momento solo,
ritorna alla vita, e ascolta
ascolta le mie parole!
Non ti dirò cose impudiche:
noi non abbiamo potuto unire
le nostre due vite,
ma noi possiamo almeno,
congiungere le nostre morti ormai,
lo voglio dirlo a tutti:
per amoâre
ho raccontato cose false.
Avevo compiuto un delitto in delirio
soltanto nell’anima:
quel delitto ho poi simulato
con menzogna attribuendolo
a Ippolito innocente,
e questo giovane casto è morto
pudico incontaminato!
Il mio sangue è già versato
in sacrificio dovuto
per questo ragazzo virtuoso...
Dal bambolotto smembrato escono lunghe e sottili strisce rosseggianti, simili a rivoli di sangue. Fedra se ne avviluppa e scompare sotto l’ampio telo che la ricopre.
VOCI
Cercate nei campi
le parti disperse
del sacro corpo di Ippolito...
E Fedra seppellitela:
che il suolo la chiuda,
che si rovesci la terra...
che più non si ripeta il suo triste peccato...
Le voci agitate e sovrapposte riprendono come in un turbine. Dalle parole latine di Seneca al francese di Racine.
VOCI
Quid ratio possit? Vicit ac regnat furor,
potensque tota mente dominatur deus...
Quid ratio possit...
quid ratio...
E’ la voce stessa di Fedra che inizia a parlare con le parole di Racine.
La Fedra antica è come spinta alla trasformazione nel personaggio della Fedra seicentesca, nell’abito regale dell’epoca, dalla voce che è già di quella Fedra.
— ...Je le vis, je rougis, je pâlis à sa vue...
Un trouble s’éleva dans mon âme éperdue...
Mes yeux ne voyaient plus, je ne pouvais parler...
Je sentis tout mon corps et transir et brûler...
Fedra raciniana è infine pronta.
La storia ormai è nel vivo della confessione. Non occorrono più preamboli, né racconti ulteriori. Tutto diventa via via essenziale.
FEDRA
Vederlo...
arrossire...
impallidire...
alla sua vista...
una cosa sola per me.
Un turbamento sconvolse
la mia anima sperduta...
i miei occhi non vedevano più,
non potevo parlare...
sentivo il mio corpo
rabbrividire e bruciare...
Ippolito lo adoravo
lo vedevo senza tregua
perfino al piede degli altari
che facevo fumare d’incensi.
Lo evitavo, cercavo di non incontrarlo...
I miei occhi lo ritrovavano
nei tratti di suo padre.
Contro me stessa allora cercai di rivoltarmi:
provocai il coraggio,
arrivai a perseguitarlo.
Ho in odio la vita,
e il mio amore mi fa orrore...
Forse vicino a Fedra una statua di giovinetto, o gli abiti seicenteschi di un attore-Ippolito che qui non ci sarà mai, aiuteranno Fedra a rivolgersi a qualcosa di più che un fantasma.
FEDRA (rivolgendosi a Ippolito)
Crudele: tu mi hai capito fin troppo.
Io ti ho detto abbastanza per toglierti
da ogni equivoco...
Conoscimi fino in fondo:
conosci Fedra e il suo furore:
AMO!
Non pensare che amandoti io mi approvi,
non pensare che mi veda innocente...
Sfortunato obbiettivo di celesti vendette
io mi odio ancor più
di quanto tru mi odii.
Ho voluto sembrarti odiosa, disumana,
per resisterti meglio
ho cercato il tuo odio.
Che cosa mi hanno dato le mie inutili cure?
Tu mi odiavi di più...
io non ti amavo meno..
anzi ancora e ancora di più
l’esserti sgradita faceva che ti amassi...
Languivo...
mi inaridivo
nel fuoco della mia passione...
nelle lacrime...
Bastava che tu mi guardassi per accorgerti di
[tutto questo...
se i tuoi occhi per un momento mi avessero guardato...
Ah!, vendicati, puniscimi di un amore odioso.
Libera l’universo di questa mostro
di questo mostro umano che turba la tua pace.
Eccoti la mia vita:
è qui che la tua mano deve colpire.
Già mi sento impaziente di espiare l’offesa,
e davanti al tuo braccio io mi metto in attesa
di quel colpo: uccidimi!
Ma se l’odio non vuole concedermi
questo dolce supplizio,
se la tua mano non vuole macchiarsi
del mio sangue troppo vile per lei,
prestami la tua spada, dammi la tua spada...
Fedra rimane a terra vaneggiante, in fine immobile e come senza vita.
La voce di Fedra bisbigliata, ripetuta all’infinito, come un incubo.
VOCE Dl FEDRA
O toi, vois la honte où je suis descendue.
Implacable Vénus, suis-je assez confondue?
Tu ne saurais plus loin pousser ta cruauté...
VOCI
Ippolito ama... Ama... AMa... AMA...
ma non è Fedra che Ippolito ama...
non è Fedra... non è Fedra... non è Fedra...
FEDRA
Oh!, dolore non ancora provato, mai.
Un altro tormento mi era destinato.
Tutto quanto ho sofferto,
le mie pene, i turbamenti,
la pazzia del sentimento,
l’orrore dei rimorsi,
e l’ingiuria insopportabile
di un rifiuto spietato,
non erano che un debole riflesso
del tormento che adesso io provo:
si amano!
Per quale fascino non mi sono accorta di niente?
Come si sono visti?
Da quando?...
In che posti?
Si parlavano, si cercavano?
Andavano a nascondersi nel fondo dei boschi?
Oh!, loro sì che potevano vedersi liberamente!
Il cielo vedeva con favore l’innocenza dei loro sospiri...
senza rimorsi loro potevano seguire
l’inclinazione dell’amore... ogni giorno nasceva chiaro e sereno per loro...
Ed io, invece, io...
di giorno mi nascondevo...
fuggivo la luce...
La morte è il solo Dio che osavo implorare...
aspettavo il momento in cui finalmente morire...
Avevo paura perfino di essere spiata
nella mia disgrazia...
Non osavo neppure dare sfogo al mio pianto...
e provavo con timore anche questo triste piacere...
E dovevo nascondere sotto una fronte serena
le mie angosce, dovevo privarmi della consolazione
delle lacrime...
VOCI
… Hippolyte lui seul, digne fils d’un héros.
Arrête ses coursiers, saisit ses javelots.
Pousse au monstre, et d’un darde lancé
[d’une main sûre,
Il lui fait dans le flanc une large blessure...
Suoni come di una terribile lotta tra uomini e fiere..
VOCI
Ma i cavalli precipitano...
la paura li afferra...
ed il carro è distrutto fra le rocce taglienti...
Ed il corpo di Ippolito non è più che una piaga...
non è più che una piaga...
Fedra ha seguito spasmodicamente le voci che le raccontavano la morte di Ippolito. Tira fuori un’ampolla, spezza il vetro, beve il liquido.
FEDRA
Questi attimi ormai mi sono preziosi...
Ascoltatemi tutti.
Sono stata io
che su questo ragazzo casto e gentile
ho avuto il coraggio di gettare
uno sguardo profanatore,
uno sguardo impuro.
Il destino aveva impresso nel mio cuore
una passione sciagurata,
e consigli malvagi hanno portato il resto della mia
[disgrazia.
La spada avrebbe potuto
troncare il mio destino,
ma la virtù di Ippolito
avrebbe continuato ad essere sospettata.
Vi ho parlato dei miei rimorsi,
ho voluto discendere tra i morti
per una strada più lenta.
Ho bevuto, ho fatto scorrere
nelle mie vene brucianti,
un veleno portato da Medea
tanto tempo fa...
Il veleno è arrivato già al cuore...
nel mio cuore che muore porta un gelo sconosciuto...
Già più non vedo che attraverso una nebbia...
E la morte che ruba la chiarezza della luce ai miei
[occhi...
Al giorno, che i miei occhi sporcavano,
rende tutta le sua purezza...
la... purezza... al... giorno...
Di nuovo questa Fedra di Racine, come già quella di Euripide e quella di Seneca, scompare nelle pieghe dell’ampia tela. Riemerge accanto ad un misterioso mazzo di viole, un segno che per lei, per questa prossima Fedra di D’Annunzio, è Ippolito. Giocherà con i fiori, e sensualmente li accarezzerà, in un’ansia di possesso, perché questa Fedra è tutta sensualità e parole.
FEDRA
O fanciullo inconsapevole... Ippolito, dove sei col tuo cuore?
Assorto in qualche grande ombra di gloria?
o domato da peso
di subita stanchezza? O dormi, infante,
dismemorato con tutte le vene?
Le palme delle mani unite l’una all’altra, Fedra sogna il volto di Ippolito, e lo guarda come se fossero le stesse sue mani. La tela ondeggia come una vela. Suoni. Il respiro del vento.
FEDRA
O nudo volto che languisci
riverso come il volto del fanciullo
Tànato quand’ei dorme nelle braccia
della Notte col lieve suo germano,
e tanto sei soave
tu che m'eri tremendo,
e mai mi fosti prossimo al respiro
così come mi pesi
coi grappoli profondi ov’è nascosta
l’aspide ond’io mi muoio,
baciarti non m’ardisco perché temo
che la mia bocca ti devasti e non
si sazii. Ma non te bacio, non te,
per l’onta nata dall’istessa madre
onde l’amore nacque,
non te bacio, non te. Bevo lo Stige,
bevo il sorso che solo è dato al mio
amore...
Fedra si inchina al cespo dei fiori. Se ne riempie il volto e le palme, fino a soffocarvisi. Bacia quei fiori in un sensualissimo bacio. Una voce pare venire da quel cespo sconvolto.
VOCE Dl IPPOLITO
Con che bocca soffocato
m’hai? Di che onta infetto m’hai...
Non fu bacio di madre il tuo.
FEDRA
Non io
ti sono madre, non mi sei tu figlio,
no. Mescolato di sangue non sei
con Fedra. Ma il tuo sangue è contra il mio,
nemico, vena contro vena. Ah no,
non d’amore materno t’amo. Inferma,
sono inferma di te, disperata di te,
che vivi mentre io non vivo né muoio,
né ho tregua nel sonno, né ho tregua nel pianto,
né ho bevanda alcuna che m’abbeveri,
né ho farmaco alcuno che mi plachi,
ma tutta me consumo in ogni lacrima,
tutta l’anima spiro in ogni anelito;
e mi rinnovo come una immortale
nel mio supplizio io sola,
io che non sono dea né consanguinea
degli Implacabili, o tu che non m’ami,
tu pari a un nume, Ippolito!
VOCE Dl IPPOLITO
Non t’accostare a me tu che ti strisci
obliqua come la pantera doma
che può mordere.
FEDRA
Come la pantera
fascinata ai ginocchi di Dioniso
mi piego, ché selvaggio
tu sei come quel dio e come lui chiomato
e imberbe, e con la bocca dell’ebbrezza
pugnace, e con la fronte dell’ariete,
e con negli occhi il fascino ferino
e con l’orgia che in cuor ti dorme;
e più profondamente maculata io sono
della belva odorante, maculata di macchie,
costellata di stelle
indelebili, o tu che sei sì terso;
perché dentro mi stanno, più antiche
di me, la colpa e la divinità,
l’onta e la gloria. E, se tu batti il tuo
piede come quel dio, mi levo e splendo
e trasfiguro, e sono la Titànide
e son l’Oceanina,
tutta raggi le pieghe de’ miei pepli,
tutta gorghi le pieghe del mio petto.
Guardami, guarda come sono!
VOCE Dl IPPOLITO
Lasciami.
Lascia ch’io parta, ch’io non oda più
il tuo grido insensato,
che più non mi contamini del tuo alito,
o inferma.
FEDRA
No, no, non ti lascerà, se non adopri
la mannaia lunata dell’Amàzone,
se non m’abbatti sul tuo passo. Prendi
la sàgari d’Antìope ed abbattimi.
Io già da te bevuto ho il primo sorso
del nero fiume. Pronta, eccomi, all’Ade;
ché non nell’Ade, non nelle tenarie
fauci sono i castighi più crudeli,
ma l’infinito cuore è solo il luogo
dell’infinito strazio.
Fasciami il viso con i miei capelli
se tu lo temi, e chinati una volta
e baciami per entro l’intrecciato
fuoco. Ah, sii dolce, poi che dolce sei.
T’ho veduto. Poi fendimi con tutta
la tua forza. Poi trattami qual fiera
perseguitata dai tuoi cani, trattami
qual preda raggiunta. Siimi dolce!
T’ho veduto. Languivi. Avevi l’ombra
dei tuoi cigli sul viso tuo riverso
nel sogno. Avevi l’ombra
delle cose invisibili
sulla tua voce triste. Ah tu non sai
com’eri: dolce come infante,
dismemorato con tutte le vene.
Abbattimi e ricordami.
Il mio sangue è maturo di te,
come il succo del frutto, insino al cuore,
insino alle radici della mia
bellezza e del mio male.
Sono inferma,
sì; sono insonne, arsa; non posso più
vivere. Ma la Terra porterà
ancora i giorni e gli uomini e le biade
e l’opera e la guerra e il vino e i lutti
innumerevoli, e non porterà
un amore che sia come l’amore
di Fedra...
VOCE Dl IPPOLITO
Mi tenti invano col tuo volto perfido,
pieno d’orrore come il Labirinto,
Pasifaéia.
FEDRA
Ma,
fanciullo vano, io te lo dico, il tuo
fato ho in pugno.
VOCE DI IPPOLITO
Non temo.
FEDRA
Tu fino ad oggi fosti
forte ai cervi che fuggono,
ché l’ardire non è sicuro contra
gli arditi...
VOCE DI IPPOLITO
Mettimi a prova.
FEDRA
O spurio dell’Egide,
o incauto! Per l’amor della regale
Ariadne fu salvo
il padre tuo perduto nelle mille
vie. Tu lo sai. Ma il rubatore immune
ovunque uccise, depredò, distrusse;
e del bottino caricò la nave,
e con la salvatrice prese me
ch’ero nel fiore della puerizia
come quella che danza in Lacedémone
intorno al rosso altare dell’Ortìa.
E una notte sonarono le grida
della sorella sopra il mio terrore;
e gridava la misera il mio nome
dalla rupe deserta, poi che Téseo
non l’udiva ma sì
attendeva alle scotte per serrare
il vento, l’Ammirabile. Ah, non groppo
di turbini, non gurgite, non sirte,
non perdimento alcuno era in quel mare?
non cozzo che frangesse la carena?
non vortice vorace
che sol rendesse bianco ossame al lido?
VOCE DI IPPOLITO
Sei la donna d Téseo,
né la vergogna ti rattien la bocca.
FEDRA
Non la donna di Téseo,
la cosa fui del rubatore, messa
nella stiva coi trìpodi e con gli otri;
poi nascosta in Decelia per sett’anni,
custodita nell’ombra, candidezza
illesa, unta d’unguenti,
e cresciuta allo stupro,
là sul Parnéte opaco, tra le selve
consumate. dal fuoco dei pastori,
in giorni e notti eguali
talvolta udendo il rombo
dei carri che recavano il frumento
dell’Eubea verso Atene
famelica ma sempre
udendo nell’immoto odio del cuore
il gran pianto del Mare
sul grido di Ariadne...
Come irrimediabilmente disperata, nel suo parlare che potrebbe non avere mai fine, Fedra sparisce di nuovo nelle pieghe dell’ampia tenda telo che ormai la circonda. E’ nella dimensione della menzogna con cui decreterà la morte del giovinetto casto, accusandolo di fronte al padre, che viene fatto il pezzo seguente: come un sogno, un incubo o un presagio, certo non come se avvenisse realmente. Forse registrando la voce, e nella penombra.
VOCE DI FEDRA
Avea l’odore dei cignali uccisi,
l’odor del fresco sangue
e dei boschi e del sale e delle tede
e della coppa. Ebro di forzamento
era, tornato allora lungo il Mare
con le sue mute, al suono delle bùccine.
Riempiuto avea di vino
il cratere d’Adrasto,
e mesciuto ai satelliti, e saputo
dall’uomo d’Argo il dono della schiava,
e veduto la schiava nella fossa,
e urlato di furore. Alla vendetta
ei corse. Alta la notte. Tramontavano
le Pléiadi. Ero ingombra
del triste sonno. Entrò. Mi si scagliò
contra gridandomi: « O Pasifaéia,
o spietata noverca,
se tolta m’hai la vergine altocinta,
stanotte mi darai uso di te».
E m’afferrò per i capelli, e il pugno
mi pose entro la bocca. E reluttavo
in vano, che le sue braccia son ferree
come le tue Teséo. Né delle labbra escivanmi
le voci, né del tramortito seno,
rotto dal peso dell’imbestiata
forza. E me fredda, me
venuta meno per tutta la carne
nell’orrore, domò, contaminò
sul tuo talamo, Teséo...
Sogno o realtà sognata, menzogna o verità vissuta in delirio, questa volta Fedra di D’Annunzio sparisce definitivamente immergendosi nella stoffa che l’avvolge come un sudario.
Parole spagnole cominciano ad avvertirsi nell’aria. E’ la Fedra di De Unamuno. Poco per volte ritornerà a vedersi Fedra, questa volta in una casta camicia da notte, che all’occorrenza si aprirà meno castamente.
La voce sussurra come incoraggiando il pensiero a diventare parola sulle labbra di Fedra.
VOCE
Mamà nombre lleno de dulzura...
como penetra en nosotros
y como todo es fatal...
Fedra che intanto sarà riapparsa, è come tormentata da quelle parole. I suoi movimenti sono di chi tenta di scacciare qualcosa da cui è affascinata e al tempo stesso tormentata, e non ci riesce.
Fedra ha tra le mani una camicina da bambino. Mentre ascolta — o ricorda — la palperà come se avesse il corpo di un bambino e non un vuoto vestito. La voce ora parla in italiano, poi diventa più voci, tra le quali si insinua a tratti una voce infantile, e il pianto di un bimbo.
VOCINA INFANTILE
Mamma! mamma! mamma...
VOCE-VOCI
Ed era lui.., suo padre...
tuo marito.., vedendolo timido e schivo...
era lui che gli diceva...
per fargli coraggio...
«Dà un bacio alla tua nuova madre...
dà un bacio a tua madre... ».
FEDRA
Quei baci!
VOCE-VOCI
Quei baci...
In questo c’era forse...
la mano del destino...
o quella cristiana...
del volere di Dio...
FEDRA
Chiedo aiuto alla Santa Vergine...
A lei chiedo aiuto e conforto
nella mia afflizione...
Ma non ne posso più non ne posso più...
Anche adesso che è grande...
ogni volta che mi chiama mamma,
ogni volta che mi bacia
nel salutarmi...
una vampata mi arde tutta...
Il cuore si stringe...
mi si chiude la gola...
E divento pallida...
pallida come una morta.
Ho voluto resistere, è impossibile...
Ho chiesto aiuto e conforto al cielo ed è peggio.
Un’altra dentro di me
un’altra che non sono io
mi domina e mi comanda...
Il tempo vola: Ippolito alla sua età
— dice suo padre — dovrebbe pensare a prendere
[moglie.
E sempre suo padre —quel marito che amavo —
[vorrebbe
che io gli chiedessi: da confidente, e sorella,
più che sua madre, data l’età...
Fedra porta il vestitino alle labbra, in un lungo bacio, assorta e come in attesa.
VOCE D IPPOLITO
Che cosa c’è, mamma?
Non parli?
Sù, dimmi...
Il tuo bacio mi è parso
più lungo, oggi, più intenso...
E’ Fedra stessa a diventare Ippolito quando lui parlerà, sue saranno le mosse di Ippolito, sua forse perfino la voce, perché Fedra si sentirà talmente Ippolito da parlare come lui. (Le voci quindi possono essere una registrata e maschile, una sovrapposta dal vivo, di Fedra, oppure anche soltanto, se l’effetto sarà positivo, della sola Fedra).
FEDRA
Forse sei già innamorato...
VOCE DI IPPOLITO
Io?!...
FEDRA
Certe cose non si confessano,
e tanto meno ai genitori...
VOCE DI IPPOLITO
Ai genitori forse no: ma in realtà
tu non sei mia madre...
FEDRA
No, non lo sono, no!
VOCE Dl IPPOLITO
Tu Io sei solo per legge e per affetto...
FEDRA
Oh!, per affetto!...
Ma è proprio vero
che non sei innamorato?
Sei sempre fuori, per giorni e giorni...
Ippolito, una donna non s’inganna!...
VOCE DI IPPOLITO
Ingannarti io?
Ti giuro che se dovessi innamorarmi
tu saresti la prima
a cui lo dico..
FEDRA
Ma se tu dovessi innamorarti...
se tu dovessi essere di un’altra....
VOCE Dl IPPOLITO
Se io?.... Parla!
FEDRA
lo non potrei vivere,
vedendoti di un’altra!
VOCE DI IPPOLITO
Mamma!
FEDRA
Non mi chiamare mamma, Ippolito!
Chiamami Fedra!
VOCE DI IPPOLITO
Fedra!
FEDRA
Mi capisci ora?
VOCE DI IPPOLITO
Ah, era questo, era questo
il calore dei tuoi baci?
FEDRA
Sì, era questo.
E’ la fatalità
a cui non si può resistere.
La fatalità
a cui non si deve resistere.
VOCE DI IPPOLITO
Pensa a mio padre, Fedra!
FEDRA
E’ tuo padre
quello che mi attrae a te!
Sì, che scaturisca in parole
il segreto dei miei baci.
Tutto stava nel rompere il nodo
che teneva legata la mia lingua:
ora tutto è chiarito...
ora mi sento libera
da quel peso tremendo...
ora respiro...
Voglio essere tua, tutta tua!
VOCE DI IPPOLITO
E che io sia tuo,
solo tuo...
FEDRA
Sì mio, solo mio...
VOCE DI IPPOLITO
Non ci rivedremo soli mai più!
FEDRA
Oh!, non andare, non fuggire da me!
Almeno quel bacio, quel solito bacio di sempre!...
VOCE DI IPPOLITO
Addio!
FEDRA
E’ leale generoso puro...
come suo padre...
E io sono una pazza!
Vergine Santa illuminatemi,
aiutatemi voi!
Non andartene Ippolito!
Mi basteranno i tuoi baci...
i tuoi baci... quelli di prima...
VOCE N IPPOLITO LONTANA
Quelli non possono tornare!
FEDRA
E allora sentirai le mie parole ultime,
le definitive...
Voglio dire a tuo padre che sei tu…
che sei tu quello: capisci?
VOCE DI IPPOLITO LONTANA
Fedra! Fedra!
FEDRA
Sì, gli dirò che sei tu! Glielo dirò!
VOCE DI IPPOLITO LONTANA
Che tu sia maledetta.
La voce si moltiplica, si amplifica e risuona in mille echi di maledizione.
Poco per volta su Fedra si opera una graduale modificazione: è come se la maledizione sortisse via via il suo terribile effetto. Fedra geme sotto il peso di sofferenze morali e fisiche che poco a poco la prostrano, la fanno incurvare, le tolgono le forze. Anche la veste muta e diventa lacera e come tutta arrossata di sangue.
FEDRA
Voglio ancora vederlo...
prima di morire...
Ora mi dispiace di ciò che ho fatto.
Ora vorrei vivere, vivere, vivere, vivere...
Ma con lui: senza di lui, no!
Già allora morivo: ogni volta
che andavo nella sua stanza,
piangevo e mi disperavo
perché vedevo il suo letto,
ed ogni oggetto ogni vestito
mi spezzavano il cuore...
Ed ora davanti alla morte
potrò dire ogni cosa.
Padre e figlio vivranno
in pace senza di me.
E si ricorderanno di Fedra?
Del mio sacrificio? Chissà...
Fedra cerca febbrilmente tra le pieghe della sofferta camicia, tira fuori un foglio spiegazzato, scritto fittamente.
FEDRA
Questa lettera... è la mia ultima confessione.
Quella del mio delitto, tutta la verità.
Quando io sarò morta,
chiusi per sempre gli occhi
e questa bocca che porterà il suo ultimo
bacio, questa lettera mi riscatterà.
Voglio vivere pura nella memoria:
solo la verità purifica:
Ora credo...
ora riconosco il mio delitto...
e anche l’ultimo mio peccato... quello della morte.
Perdono, mio Signore, maestro di dolore,
tu con il dolore mi hai dato la fede che salva...
Oh Dio, guariscimi tu con la morte...
io sono pazza... perdonami...
perdonami Dio... perdonami...
Di nuovo Fedra sparisce sotto l’ampia tela-tenda come sotto la provvidenziale terra di sepoltura. Di nuovo le voci, le parole spagnole di De Unamuno mescolate a voci di bimbi, a pianti e a balbettii.
VOCI
Mamma quale nome più dolce...
come penetra dentro di noi...
e come tutto è fatale...
Il telo che fino a questo momento ha assunto forme diverse tendenti tuttavia sempre verso l’alto, per una o più punte, adesso si innalza verso l’alto lasciando le punte verso terra, come se assumesse la forma di una specie di capanna primitiva, una specie di costruzione arrangiata in mancanza di materiali più solidi. Sotto l’esiguo spazio che risulta definito dalla tenda, cominciano ad uscire, gettati fuori a getto continuo, bambolotti di ogni dimensione, da quelli piccolissimi, in fasce, a quelli più grandi, con grembiulini pezzenti da scuola, fino a dimensioni da ragazzini, fino a fantocci della grandezza di un uomo adulto.
Le voci ormai sono in un misto di italiano e di dialetto calabrese: pianti di bambini, e querule voci dì ragazzini, e canti e nenie di ninne-nanne, e canzoni più adulte e da gioco di paese.
Fedra è una donna sfiorita dalle gravidanze. La sua preoccupazione più grande è quella di dar da mangiare a tutti in famiglia.
FEDRA
Uscite uscite uscite tutti!
Aria un po’ d’aria almeno di giorno
un po’ d’aria!
Già soffochiamo la notte
tutti insieme in questa sola stanza!
Fedra tira fuori ancora, sempre dall’interno della casa-tenda, pecore e capre e galline.
FEDRA
E via anche voi!
Via via via!
I cristiani con le bestie, eppure è così
sennò come ci scaldiamo?
Eppoi le bestie le rubano:
o noi nella stalla o loro con noi
nella casa questa qui che chiamo casa...
Fedra comincia infine a riassettare ad uno ad uno i bambolotti, cominciando, da quelli più piccoli. Le immagini inanimate parlano tra le sue mani e sembrano vive.
FEDRA
Tu Cosimo
sempre la pipì addosso ti fai
e io ti devo cambiare...
Ma non mi basta cambiare i panni a te
Cosimo mio,
anche il letto devo cambiare...
e come si fa se lenzuola ce ne sono appena
un cambio in tutto e neppure si asciugano
se tu fai pipì ogni notte Cosimo mio...
Dopo aver cambiato Cosimo, Fedra prende un altro bambolotto un pochino più grande: questa volta si tratta di una bambina.
FEDRA
E tu Caterina...
potresti già darmi una mano:
hai cinque anni e all’età tua
le figlie femmine guardano i fratelli…
e invece ti devo guardare
sennò tu nemmeno ti pettini
e tu nemmeno ti lavi...
Fedra ripone il bambolotto Caterina da una parte e prende un altro bambolotto, ancora più grande: è ormai un. ragazzo, un giovinetto.
FEDRA
E tu...
Ancora ti fai guardare da tua madre...
io che madre nemmeno ti sono...
Grande tu sei ormai,
e ormai te lo posso dire...
Tuo padre ti ha avuto da una pastora...
ma rivoleva il seme suo...
in casa con lui ti voleva crescere,
per orgoglio di razza...
e perché tanto non era lui a guardare
il pianto dei figli la notte,
e le malattie le angosce
per ogni respiro ascoltato...
Così ti portò in questa casa
io ero appena ragazza,
sposata appena, venuta da un altro paese,
vestita di bianco, una sposa ingenua e affettuosa,
sognavo la vita, accettavo della vita ogni cosa:
tu mi sembravi un giocattolo,
avevi già qualche anno,
ed io ero tanto bambina...
una bambina e una bambola,
una bambina e un fratello,
come quelli che a casa mi ero cresciuti
aiutando mia madre in mezzo a fratelli arrivati.
Mi amasti nei giochi
come una compagna...
Eri felice in coppia con me…
non avevamo svaghi...
Rimasi per anni senza figli...
Troppo giovane per i modi
rudi di un vecchio pastore.
Ma quando infine anch’io divenni matura,
tu te ne sei andato
come scappando, da un giorno all’altro...
non avevo capito il perché...
Emigrato non so dove
in un paese tanto tanto distante
dal nome difficile e duro.
E la mia pancia intanto si gonfiava
nasceva un figlio allattavo
tornavo a gonfiarmi nasceva
un altro bambino allattavo
ancora una volta stupita mi guardavo la pancia
ancora una volta nasceva un figlio
ma io non sentivo quello che dicono amore...
Nessuno mi accarezzava...
Nel sonno tuo padre veniva...
tardi la sera ubriaco...
e io non parlavo purché lui fosse contento
presto perché di nuovo potessi dormire
e aprivo le gambe perché sapevo che questo voleva
e non dicevo niente aspettavo
che entrasse come rubandomi
in questo corpo che non mi appartiene
da quando mi sono sposata...
Ma io non mi sento sposata...
Non con lui per lo meno non con lui
che mi ha contrattato al tempo del matrimonio
con mio padre dandogli un branco di pecore in cambio.
Non ho deciso i miei figli
né chi doveva nascere né chi non doveva...
non deciderò il loro avvenire perché
sono ignorante non valgo neppure moneta...
Ma tu sei tornato da fuori.
Portavi libri con te
e cose grandi e leggere
fitte di segni neri
cose che mi hai detto poi
si chiamano giornali...
E tu con me sei gentile...
Non sei mio figlio eppure
non mi guardi con gli occhi accesi
che hanno gli altri pastori
quando incontrano una donna.
E forse non sei neppure figlio di mio marito:
soltanto superbia di maschio lo ha indotto
a pensare a te come frutto di quell’unione che aveva
in quel tempo con una donna
che a lui solo doveva appartenere!
Sì tu non sei suo figlio, non gli somigli
in niente, né in viso né nei pensieri:
soltanto, da quando sei ritornato,
ti trovo diverso, cambiato,
non curi più il tuo vestire,
ti lasci lunga la barba,
nemmeno i pastori si lasciano andare così.
Lo so, te ne vuoi andare.
E finché resti qui, la vita ti abbandona,
non c’è speranza di fare,
non c’è lavoro, né idee, né compagni,
io tutto questo capisco, anche se sono ignorante:
ti ho spiato e ho notato
una tristezza venire in te a poco a poco,
man mano che passavano i giorni
e il tempo in cui emigrasti divenne lontano.
Tu te ne devi andare!
Restare è come morire! Non c’è speranza
per chi rimane a marcire quaggiù!
Ma tu guardi e non parli: dove sono
I tuoi discorsi entusiasti,
quando spingevi i compagni
e ridevi e scherzavi e cantavi
speravi certo di cambiare il mondo
e il mondo invece ha cambiato te!
Fedra abbraccia il bambolotto-fantoccio, come cercando di afferrare segrete parole che egli le va sussurrando nell’orecchio.
FEDRA
Che dici?
Non basta partire?
Ma se partissimo insieme?
Tu l’hai già fatto un gran viaggio,
io non l’ho fatto ancora:
verrò con te anch’io,
insieme andremo non rifiutare!
Come? Che dici?
Non serve partire?
Se si parte si deve poi ritornare?
E’ qui che si deve provare...
sennò tutto è ancor più perduto?!
Io sono una povera donna con tanti e tanti figli...
Pensavo… era bello partire…
lontano… vivere assieme...
non so... forse come fratelli...
non avevo pensato al modo, tra noi due...
ma questo importa poco... mi basta iniziare la vita.
Ed ora tu dici di no. Parliamo allora, parliamo,
perché le parole io sento ci salvano
e dopo le parole, fare, e sentire finalmente la vita...
Arrivano sulla donna fogli di giornale, fogli di libri, scritti di ogni genere, come portati da un vento che sia stato ad ascoltare e abbia capito che cosa ci vuole per iniziare, senza retorica, a cambiare la vita. Insieme ai fogli pioveranno fiori, petali, foglie, come una promessa di vita, di rifioritura, di mutamento.
FEDRA
Perché le parole, io sento, ci salvano,
e dopo le parole, fare...
e dopo le parole... fare...
e dopo le parole... fare...