LA STAGIONE DEI DISINGANNI

Alfieri a Parigi incontra Goldoni e sogna Gobetti
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Personaggi

ALFIERI, quarantatre anni

ALFIERI GIOVINETTO, poi PIERO GOBETTI, giovane intellettuale

GOLDONI, ottantacinque anni

ELIA, il servitore fedelissimo, poco più anziano del padrone

NICOLETTA CONIO GOLDONI, spiritosa signora matura

LUISA STOLBERG, poco più che trentenne, affascinante e intelligente

ALVISE, cameriere di casa Goldoni, poi anche ARLECCHINO

CATTE, cameriera di casa Goldoni, poi anche CORALLINA

LA LADY, nobildonna sensuale

FRANCESCO GORI GANDELLINI, giovane intellettuale, fantasma evocato

AMICI DI ALFIERI IN VESTE DI ATTORI. NOVIZI INCAPPUCCIATI
LA DAMA TORINESE. L'ABATE. AGITATORI DI PIAZZA
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PROLOGO
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Un sipario di velluto rosso, chiuso.
Voci, risate, clamori dietro il sipario, che comincia ad aprirsi, mentre sul palcoscenico vuoto irrompono gli attori, in un turbinare vorticoso.
Ogni attore indossa il costume di un protagonista delle tragedie di Alfieri, - Oreste, Clitemnestra, Saul, Mirra, Agamennone, Antigone ecc. - .
Gli attori ripetono ciascuno una propria battuta, dapprima sottovoce, poi sempre più forte.Quando appare Alfieri, a ribalta, si fermano e rimangono silenziosi. Con un cenno Alfieri congeda gli attori, mentre il sipario si richiude, lasciando fuori Alfieri, che si rivolge al pubblico.

ALFIERI - Avevo trovato a Firenze dei giovani, e una signora, che mostravano attitudine a recitare. Avrei dovuto avere più gioventù e più salute, e nessun altro pensiero, per dedicarmi completamente a quest'arte, che è difficilissima.
Ogni giorno che recitavo, sentivo crescere in me la capacità, l'ardire, la riflessione. Avvertivo con sempre maggior sensibilità la gradazione dei toni, la varietà continua dei presto e degli adagio, del piano e del forte, del pacato e del risentito, che vengono in alternanza a colorire la parola, a seconda delle parole, e scolpiscono il personaggio, incidono in bronzo le cose che dice.
Queste scoperte che andavo facendo, io cercavo di trasferirle ai miei attori...Ma prima, dovetti passare per delle esperienze che mi maturarono, per la vita e per il teatro.

ALFIERI - Parigi, agosto millesettecentonovantadue. Casa di Carlo Goldoni!

Batte le mani. e se ne va. Il sipario si apre mostrando la scena.

SCENA I
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Lo studio in casa di Goldoni a Parigi. Scaffali carichi di libri e copioni. Maschere della Commedia dell'Arte alle pareti.
Dietro una tenda di velluto rosso si intravvedere un finestrone.
Dall'esterno, rumori e grida violente, un frenetico rullar di tamburi.
Goldoni sta leggendo delle carte. Entra Nicoletta, sua moglie, reggendo un vassoio con dei biscotti, delle tazze e la brocca della cioccolata.

NICOLETTA - Ancora quelle carte! Ti faranno morir di crepacuore...

Dispone il vassoio sulla scrivania e armeggia con tazze e brocca.

GOLDONI - Non è uno scherzo da poco.

NICOLETTA - Si renderanno conto di aver commesso uno sbaglio.

Si servono della cioccolata.

GOLDONI - Chi lo sa?...

Le grida crescono di intensità, poi si allontanano.

Hanno portato via il re; praticamente è prigioniero.
Non staranno certo a pensare a me.

NICOLETTA - La pensione te la sei guadagnata. Vogliono proclamare la giustizia? E allora non comincino a comandare facendo un'ingiustizia!

GOLDONI - Le principesse non avevano per il capo altro che feste, abiti, acconciature... Per fargli imparare un po' d'italiano, mi è toccato lavorare come un asino! E adesso, quelli della Convenzione mi confondono con chi si è arricchito approfittando della corte.

NICOLETTA - Più poveri di noi!... Per quanto tempo avremo ancora i soldi per comprare la cioccolata?

GOLDONI - Per quanto tempo potremo sopravvivere!...

SCENA II
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Nitriti e scalpitìi di cavalli. Picchiano alla porta con insistenza. Entra il servo Alvise e si dirige verso la porta. Nicoletta lo ferma con un gesto.

NICOLETTA - No! Ho paura...

Alvise guarda Goldoni interrogativo.

GOLDONI - E apri! Non ci mangeranno mica!

Alvise apre la porta. Si intravvede un cavallo con la criniera al vento.

LA VOCE DI ALFIERI- Buono Frontino!

Sulla porta appare Alfieri che affida le briglie del cavallo al servo Elia.

ALFIERI - Lo raccomando a te!

Urla e imprecazioni, colpi violenti, rumore di una corsa disordinata.

Volete i miei cavalli? Ve li regalo! Parto per l'Italia.

GOLDONI - Benedetto! Quando avevo la vostra età, magari!

Alfieri entra e la porta viene richiusa alle sue spalle.
Getta una borsa piena di libri su una sedia. Fa un baciamano a Nicoletta.

ALFIERI - Signora...

NICOLETTA - Caro Alfieri! Non vi siete più fatto vedere,voi e la contessa!

ALFIERI - Sono stato molto impegnato con le mie tragedie. Tutto il giorno in tipografia, a correggere, a cambiare...

NICOLETTA - (fa un cenno verso Goldoni) Oh! anche lui, quando sta dietro alla stampa delle commedie!

Mette le tazze sul vassoio.

Vado a prepararvi una cioccolata. Noi l'abbiamo appena presa.

ALFIERI - Vi ringrazio. E' la mia bevanda preferita.

GOLDONI - Fate bene a partire. In questi giorni i nobili vengono presi di mira...

ALFIERI - Io sono italiano. Non ho niente a che vedere con i nobili francesi.

GOLDONI - La violenza è una brutta bestiaccia, non fa distinzioni.

ALFIERI - Ho mandato il mio servitore a prendere i passaporti, ormai saranno pronti. Ma voi, non pensate di andarvene?

GOLDONI - Vivo a Parigi da più di trent'anni. Non mi pento della scelta.

NICOLETTA - Siamo vecchi, dove volete che andiamo?

ALFIERI - Sarei lieto di ospitarvi. Dove ancora, non so.

GOLDONI - Sono cittadino francese. Ho scritto in francese molte commedie, e i teatri le mettono in scena. Ho fiducia in questa gente.

NICOLETTA - Veramente, ti hanno appena privato della pensione.

GOLDONI - La Convenzione me la farà restituire. Di certo si è trattato di un equivoco.

Nicoletta si ritira imbronciata portando via il vassoio.

NICOLETTA - Vedremo...

SCENA III
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GOLDONI - E la contessa d'Albany?

ALFIERI - Sta facendo i bagagli. Vi manda i suoi saluti.

GOLDONI - Pranziamo insieme! In modo semplice, s'intende. Manderemo un servo, se volete, per scortarla.

ALFIERI - Luisa accetterà con piacere. Si è sempre tanto divertita a casa vostra!...

GOLDONI - Eh! quando se zogava a la meneghella...ci divertivamo sì!

ALFIERI - Andrò io stesso a prenderla. Ora, vorrei chiedervi un favore.

GOLDONI - Son tutto vostro.

ALFIERI - La stampa delle mie tragedie, presso Didot....

GOLDONI - Ve l'avevo consigliato io stesso. Un editore preciso, paziente. Non si arrabbia nemmeno quando gli si fanno ricomporre intere battute.

ALFIERI - Non ho terminato di correggere. Metteteci l'attenzione che usereste per un'opera vostra.

GOLDONI - Vi metterò ancora maggior cura. E' un onore che mi fate.

ALFIERI - Un onore? Voi avete portato il mondo in teatro. Io... non so che cosa vi porterò.

GOLDONI - Ho letto le vostre tragedie. C'è un filo che le collega, l'una all'altra.

ALFIERI - Lo sto ancora cercando, questo filo.

GOLDONI - Non scrivete che da pochi anni. Eppure, che forza in certi personaggi! Che desiderio di libertà!

ALFIERI - Nel mio paese mi sentivo soffocare, mi mancava la libertà.

GOLDONI - Così vi siete messo a viaggiare.

ALFIERI - Viaggiavo viaggiavo. Guardavo e non vedevo niente. Non avevo le parole per esprimermi. A folate, mi venivano dei pensieri. O meno ancora, delle sensazioni... Ero bloccato dentro, capite?

GOLDONI - Per quel senso di prigionìa, che sentivate nel vostro paese.

ALFIERI - E parlavo male, malissimo. Un po' di francese misto al dialetto delle nostre parti... Non immaginavo neppure che una vera lingua potesse comunicare i pensieri, addirittura suscitarli facendoli diventare parole. E non immaginavo che queste parole, pronunciate, facessero nascere negli altri emozioni, sentimenti...e idee.

GOLDONI - Siete molto cambiato da allora.

ALFIERI - Ho cominciato a leggere. Per noia. Per distrarmi quando mi trovavo in un paese straniero. Appena arrivato, facevo un giro per la città, ignorando monumenti, chiese, palazzi... Poi mi chiudevo in qualche lurido albergo. Un senso atroce di solitudine. Di inutilità.

GOLDONI - Allora vi soccorrevano i libri.

ALFIERI - Ne compravo in gran quantità, affidandomi al caso. E per caso, all'inizio, mi accorsi della straordinaria capacità di evocare che hanno i poeti. Le loro fantasie andavano a poco a poco riempiendomi l'anima e mi suggerivano di crearne, anch'io, delle mie...

GOLDONI - Per quanto tempo siete andato avanti così?

ALFIERI - Anni. Tormentati, bui. Poi a poco a poco quella luce. Del pensiero che si faceva parola. Della parola che si faceva persona, e storia, e dramma. Ho ripreso a viaggiare. Rivedevo i paesi già visti, ed era come se li scoprissi allora. Tutto assumeva fisionomia umana, tutto mi parlava. E i libri, li aprivo e dialogavo con i poeti. Soprattutto i greci. I latini. E gli italiani, anche i più recenti, e quelli delle nazioni europee.

GOLDONI - L'Europa, che bella cosa! Io più che altro l'ho immaginata, nelle mie commedie. Voi l'avete percorsa un po' tutta.

ALFIERI - Avrei voluto per la mia terra quanto di meglio andavo scoprendo, dei sistemi politici di fuori. Li paragonavo ai nostri ordinamenti, dei tanti staterelli in cui è divisa l'Italia. Poche volte trovavo paesi che stavano peggio.

GOLDONI - Eh! qualcuno ce ne sarà stato!

ALFIERI - La Prussia, ecco. Una caserma, una fredda macchina da guerra... E anche la Russia, con quella tremenda Caterina che aveva ammazzato suo marito...

GOLDONI - La Russia! Tanti anni fa ci ho mandato un giovane disegnatore di stoffe, facendolo partire da Venezia...

ALFIERI - Zitto! Quel giovane disegnatore eravate voi! Voi in partenza per Parigi! E la commedia...

GOLDONI - ...era il mio addio a Venezia. Anche se dentro il cuore conservavo la speranza di tornare.

ALFIERI - Come Anzoleto!

Goldoni è commosso.

SCENA IV
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Entra Nicoletta con il vassoio per la cioccolata. Si dà da fare a servire.

GOLDONI - Alfieri ha letto i Mémoires!

NICOLETTA - ( ad Alfieri) Tre anni ci ha messo a scriverli. E poi, per i suoi ottant'anni, li ha offerti al re. Che feste allora! Che allegria!

GOLDONI - Cinque anni fa. Adesso tutto è cambiato.

NICOLETTA - Vedremo, vedremo... Aspettiamo.

GOLDONI- Per forza! Che altro possiam fare?

NICOLETTA - ( ad Alfieri) Vi son piaciuti i Mémoires di mio marito?

ALFIERI - Dopo averli letti, ho deciso di scrivere la mia vita.

GOLDONI - Adesso vorrei essere io a leggere di voi.

ALFIERI - Non l'ho finita...

Indica la borsa abbandonata su di una sedia.

La porto sempre con me...Vado ritornandoci sopra. Non ne sono contento del tutto. Ricordi, biografia... non basta!

NICOLETTA - Ci metterete i vostri viaggi?

ALFIERI - Quelli, senz'altro. A testimonianza della mia asineria. Dell'ignoranza. Della pigrizia.

GOLDONI - Via! Non esagerate! Quei tempi vi son serviti a maturare.

ALFIERI - Questo lo credo veramente.

GOLDONI - E di certi paesi avrete ricavato immagini felici.

ALFIERI - L'Irlanda. Il Belgio, l'Inghilterra...E sempre in compagnia dei miei cavalli. La Svezia, su nei mari del nord... E la Finlandia! Che avventure! Già da noi era primavera, ma lassù trovai di nuovo l'inverno, e il mare in gran parte era gelato. Rimanemmo bloccati, tre giorni in mezzo ai ghiacci. Poi si alzò il vento, quella densissima crostona cominciò a screpolarsi, a fare crich, e si aprì un passaggio fra le tavole ghiacciate...

Salta sulle sedie a grandi falcate, brandendo la spada come un'ascia.

Per liberare la prua della nave dovetti staccare dei blocchi di ghiaccio con la scure...Insieme ai marinai saltavo su quei massi, li frantumavo a colpi d'ascia. Con delle scuri si andavano poi staccando dalle pareti, per dare spazio ai remi ed alla prora...Allora la nave risorgeva sulle onde, e noi di corsa tornavamo a risalire... Eravamo come Ulisse e i suoi compagni... Una sfida alla morte...Quelle immagini mi si impressero in mente come scolpite. Le ritrovai più tardi, leggendo i versi di un poeta...

GOLDONI - Cose stupende! Mai viste dalle nostre parti.

NICOLETTA - E, avrete visitato tante città! Londra, mi sarebbe piaciuto di arrivarci. Ma lui... non ha più voluto muoversi da qui.

ALFIERI - Londra, sì. Londra. Sette mesi ci son stato. Una città che mi piaceva più di tutte. Per le leggi, così avanzate, di quel popolo. Londra...Stavo per rimanervi. Una donna...

NICOLETTA - Eh! Uno dei vostri amori! Eravate irrequieto, da ragazzo...

ALFIERI - Prima di Luisa, madame. Una storia...che in un altro momento vi divertireste a sentire. Ma riuscii, per fortuna, ad andarmene.

GOLDONI - Fermo in un posto non siete mai rimasto.

ALFIERI - Mai. Era l'Europa che volevo conoscere. L'Europa tutta quanta. Andavo e andavo, con i miei cavalli... i servi...la carrozza...e i miei libri...Praga, l'Aja, Bruxelles, Liegi, Madrid...

GOLDONI - Non avevate nostalgia dell'Italia?

ALFIERI - Di quale Italia? Non c'è! Delle mie terre nel Regno sardo-piemontese? Non son più suddito del mio re!

NICOLETTA - Non siete più suddito di Vittorio Amedeo?!

GOLDONI - Ma dovrete pure occuparvi delle vostre entrate!...

ALFIERI - Non ho più niente!

GOLDONI - Siete nobile, e come tale godete di rendite...

NICOLETTA - ...di privilegi!...

ALFIERI - Vi dirò quali sono i privilegi sotto Vittorio Amedeo. Proibito uscire dallo Stato!

NICOLETTA - Proibito uscire?!...

ALFIERI - ... dallo Stato! Senza il suo permesso, proibito uscire! Questa la regola, che il mio sovrano aveva stabilito per i nobili!

GOLDONI - A Venezia, per fortuna, una simile condizione non c'era.

ALFIERI - Se ci fosse stata, sareste venuto a Parigi ancora prima.

GOLDONI - Oh! io non son nobile, non mi avrebbe riguardato. Da giovane ho viaggiato un po'. Ma soltanto le nostre città... Dove si davano le mie commedie, lì andavo.

NICOLETTA - A Genova, ha incontrato me!

GOLDONI - E da allora non ci siamo mai lasciati...

Bacia la mano a Nicoletta.

Tante volte per le tournées si dovevan cambiare degli attori... e io adattavo le parti. Poi, durante lo spettacolo, mi piaceva osservare il pubblico!...In ogni città applausi, risate, dappertutto come a Venezia!...

ALFIERI - Una fortuna che raramente ho avuto io.

GOLDONI - Già le tragedie non fanno ridere....

ALFIERI - E gli attori non sanno recitarle. Nonostante tutta la vostra fortuna, da Venezia ve ne siete poi andato.

GOLDONI - Non era servito che nelle mie commedie mettessi in scena gente qualunque, senza toccare quelli che contavano... A un certo punto mi han reso la vita insopportabile. Un giorno mi arriva una chiamata, da Parigi: la Comédie des Italiens! Prendo l'occasione al volo! A Parigi mi illudevo di rinnovare il teatro, come ero riuscito a fare da noi. Purtroppo dagli italiani i francesi vogliono soltanto farsacce, scene sconce, ridere ridere ridere...E' stato duro, lavorare qui...Ma comunque ho lavorato in libertà.

ALFIERI - Prima o poi nel nostro paese qualcuno capirà che è assurdo uno Stato comandato da uno solo, è incivile che le leggi siano assolutistiche e spesso crudeli.

GOLDONI - Nelle vostre tragedie uccidere un re, un tiranno, è normale. Anche se poi il vendicatore paga il suo gesto con la vita.

ALFIERI - Goldoni conosce le mie tragedie!

GOLDONI - Le conosco e le apprezzo. A me non è mai riuscito di comporne.

NICOLETTA - Da giovane aveva scritto "Amalasunta" ...

GOLDONI - E poi l'ho gettata nel fuoco... Non ero adatto alle tragedie. Io vedo il mondo con l'idea che tutti, alla fine, debbano essere felici.
Almeno, una volta la pensavo così.

SCENA V
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Grida e canti rivoluzionari dall'esterno. Entra concitato Alvise

ALVISE - Ve domando perdono. Ma...hanno arrestato più de cento preti.

GOLDONI - Quelli della Compagnia di Gesù?

ALVISE - Li han chiusi ai Carmelitani...

NICOLETTA - Oh! Gesummaria!

ALFIERI - Avevano fatto sciogliere la Compagnia, giorni fa.

GOLDONI - E han chiesto ai preti di giurare fedeltà alla nazione. Più o meno han giurato tutti. Per il servizio dei fedeli, hanno detto.

ALVISE - Guardie... soldai...intorno alla chiesa. Fucili puntati. Aria di macello.

ALFIERI - Se cresce l'ira della gente, chi può fermarla? Io temo per Luisa. Vado a casa!

GOLDONI - E' imprudente che voi andiate in giro. Manderemo Alvise.

NICOLETTA - Oh sì benedetto! E' meglio che restiate qui.

ALFIERI - Forse avete ragione.

GOLDONI - Alvise accompagnerà la contessa fin da noi.

NICOLETTA - Gli indicherò io come arrivare a casa vostra.

ALVISE - Saran servidi...

Nicoletta esce seguita dal servo. Le grida si alzano, poi si allontanano.

SCENA VI
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ALFIERI - Forse avrei dovuto andare con il servo...

GOLDONI - Alvise sa districarsi meglio di voi per le strade e straduzze di Parigi. E' venuto con noi ch'era ancora un putelo.

ALFIERI - Si incontrano fra i servi persone assai più oneste e leali che fra i signori ed i nobili. Anche Elia è con me da vent'anni.

GOLDONI - I nostri servitori, alla fine, son più liberi di noi. Voi, con quel vostro Vittorio Amedeo, da nobile eravate fatto schiavo.

ALFIERI - Per fortuna la condizione di nobile, causa del mio condizionamento, mi ha aiutato a uscire dalla schiavitù.

GOLDONI - E come? Son curioso di saperlo.

ALFIERI - Ogni volta che volevo mettere il naso fuori di casa, dovevo chiedere il permesso. Al re! E bisognava andare a elemosinare dal Ministro. Il quale storceva il naso, faceva qualche sgarbetto, e poi, con molta degnazione, concedeva il permesso. Ma limitato. Stitico! ecco. E c'era un'altra legge ancora più orribile, almeno per me. Senza permesso non si poteva stampare fuori dallo Stato, sotto pena di una forte multa e addirittura di una pena corporale. Figurarsi se Vittorio Amedeo mi avrebbe dato il permesso di stampare degli scritti dove i re vengono giustiziati! Così scelsi di essere autore.

GOLDONI - Non vi vedrei in altra veste. Ma, come vi siete liberato?

ALFIERI - Se fossi rimasto povero del tutto, mi sarei fatto domatore di cavalli.

GOLDONI - Avreste rinunciato a scrivere?

ALFIERI - Meglio scrivere tragedie in una stalla che a corte! Ma speravo di cavarmela un po' meglio. Così decisi di spiemontizzarmi.

GOLDONI - State incuriosendomi sempre di più.

ALFIERI - I miei palazzi, le terre, i vigneti e le cascine, insomma tutto ciò che possedevo, decisi di donarlo a mia sorella. In cambio chiedevo una rendita pari a neppure la metà delle mie entrate. Così non dovevo più chiedere al re il permesso di viaggiare e il permesso di stampare i miei scritti dove mi pareva. Decisi insomma di svassallarmi!

GOLDONI - Ma era il re a dovervi accordare il permesso di liberarvi dei vostri beni! Era lui che poteva consentirvi di ottenere quella rendita!

ALFIERI - Il re lo fece, e subito! Contentissimi entrambi: lui di perdermi, io di ritrovarmi. Vittorio Amedeo ebbe più piacere di acconsentire che me ne andassi piuttosto che avere il fastidio di tenermi. Qualche cosuccia di mio l'aveva letta, e credo che non fosse di suo gusto.

GOLDONI - Tutto a posto, allora.

ALFIERI - Ma che fatica! Ci persi più di un anno, e ne patirono soprattutto i miei scritti. Mio cognato portava avanti l'affare esponendomi via via i cavilli infiniti che andavano sorgendo. A un certo punto persi la pazienza. "Se non volete la mia donazione, tenetevi tutto!" gli feci sapere, purchè fosse finita.

GOLDONI - Eppure, quei denari vi servivano!

ALFIERI - Ero deciso a espatriare per sempre, a costo di andare a chiedere l'elemosina. Avevo dato l'incarico a Elia di vendere i miei mobili e gli argenti, un capitale che doveva aggiungersi alla rendita che aspettavo mi accordassero. Mi fidavo di Elia più che di me stesso, ma intanto passavano le settimane e di lui non avevo notizie.

GOLDONI - Avrà avuto delle difficoltà.

ALFIERI - Mi vergogno a pensarci, ma mi era venuto il sospetto che Elia se ne fosse scappato con i miei denari. Invece le cambiali finalmenta arrivarono, la rendita venne concessa, e io ne investii una certa somma in un vitalizio. Una parte in Italia, una parte in Francia. Mi pareva che dividendo il mio avere fra due diverse tirannidi, avrei dimezzato il rischio di perdere ogni cosa.

GOLDONI - La situazione di Luigi XVI mi fa pensare ad una sorte infausta, per lui e per la monarchia.

ALFIERI - Io gli avevo scritto più di tre anni fa. Al tempo dei primi moti. Una lettera, di un intellettuale nei confronti di un uomo che ha in mano le sorti di milioni di altri uomini. Lo consigliavo di farsi da parte. Di compiere quel passo che altri lo avrebbero costretto ad accettare, e certo in maniera più traumatica che se non se l'avesse fatto lui, spontaneamente. Non mi ha neppure risposto.

GOLDONI - E' un uomo mite, ma non ha mente politica. A me aveva accordato una pensione perché avevo insegnato l'italiano alle principesse. Ma cortigiano io non lo sono mai stato. E adesso quella pensione me l'hanno levata....

ALFIERI - Non siete stato cortigiano, ma avete pagato come se lo foste stato.

Da fuori provengono grida e rumori.

GOLDONI - Sentite? La folla è difficile da tenere.

SCENA VII
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Urla più forti all'aprirsi della porta. Irrompe Luisa Stolberg seguita da Alvise e dal fido Elia, che richiude. Luisa si rifugia fra le braccia di Alfieri, che la adagia su di una poltrona.

ALFIERI - Luisa! Cara, sei al sicuro, sei con noi, stai tranquilla!...

LUISA - Vittorio...Vittorio...

Alfieri si rivolge a Elia e ad Alvise.

ALFIERI - Ma, che è successo?

ELIA - Ho incontrato Alvise mentre stavo andando a casa...

ALVISE - El m'ha incontrà mentre che rivava a ca' soa...

ELIA - Ero di ritorno dall'ufficio dei passaporti...

ALVISE - Lù rivava dall'ufficio, e se semo incontrai...

ELIA - La signora contessa stava preparando le valige...

ALVISE - So' intrà anch'io, se podevo agiudar...

ALFIERI - Si può sapere che cosa è successo?

ALVISE - Mi jera andà come vossia aveva dito...

GOLDONI - Ma sì sì, tase fiol benedeto!

ALVISE - Ero andà per compagnar Siora Luisa...

NICOLETTA - Oh insomma tase!

ALVISE - Taso...

ELIA - Alvise mi ha informato del vostro comando. Lo abbiamo comunicato alla signora contessa. Lei si è preparata. Io ho portato la carrozza al portone e siamo partiti.

LUISA - Sì...siamo partiti. Ma subito vien fuori... gente armata... bastoni... ferri...coltelli... e si getta contro di noi. Elia ha incitato i cavalli...

ELIA - E i cavalli...subito al galoppo! Capivano che dovevamo allontanarci al più presto.

LUISA - Sì sì correvano... correvano...Ma quelli...eran come indemoniati...Alvise stava davanti al finestrino della carrozza.

ALVISE - Oh sì oh sì, per Siora Luisa... che niun s'asardase...a intrar...

LUISA - Ma quelli insistevano a seguirci. "Le riches!...Les nobles!..." e insulti, che non capivo... Urlavano... agitavano i bastoni... inferociti. Mi passavano accanto vicinissimi... con occhi da pazzi....

ELIA - Io incitavo i cavalli! A un certo punto un par di scalmanati afferra le briglie, le bestie si spaventano. Da sopra a quelli io gli appioppo una frustata. "Oh bischeri che fate?! Siamo italiani! Andatevene via!". E quei cialtroni mollan la presa e si fanno da parte.

LUISA - Dappertutto per le strade... esaltati che urlavano... e gente inerme, che chiedeva pietà. Poi, di colpo, silenzio. La folla....ferma... Vedo un piccolo corteo. Dei gendarmi...e sopra un carro delle persone...parevan nobili... ma vestiti miseramente... L'uomo, a testa alta. Lei, più giovane ma come già vecchia... E dei bambini; una donna li teneva per mano, e mormorava... che cosa non capivo....Quando mi passarono accanto, sentii "Sa majesté... sa majesté...".

NICOLETTA - Maria Antonietta! I principini, la governante!

GOLDONI - E il re Luigi... Dove li portavano?

LUISA - Non lo so... Ripensavo alle feste a palazzo reale... alla devozione della corte per il re...Adesso chiunque poteva sfogarvi contro la sua rabbia.... Pena, per loro. E per noi. La vita... ti sorride... poi ti stritola...

ELIA - La gente stava a guardare, incantata! Quelle persone... di qualunque cosa fossero accusate.... gli dovevi rispetto.
Io ho approfittato del momento, ho frustato i cavalli, e siamo qua!

ALFIERI - Dobbiamo partire. I passaporti! Sei riuscito a farti consegnare i passaporti?

ELIA - Domani. Il funzionario ha detto "di sicuro". Lo conosco, so di poterci contare.

LUISA - Ci sarà un domani, per noi?

ALFIERI - Non possiamo far altro che attendere.

LUISA -Li troveremo fuori, ci aspettano! Ho paura.

GOLDONI - Restate qui, per questa notte!

NICOLETTA - Ma certo! Non siamo ricchi, ma ospitarvi possiamo.

LUISA - Vittorio...

ALFIERI - Ringraziamo i nostri amici. Sì, restiamo.
E tu, Elia, vai a casa. Prepara quanto si può portare via.

ELIA - Domani vado per i passaporti carico le carrozze e vengo a prendervi.

Elia se ne va. Alvise lo segue uscendo dala porta esterna.

NICOLETTA - Luisa, andiamo di là. Avrete bisogno di riposare.

Nicoletta e Luisa escono dalla stanza verso l'interno.della casa.

SCENA VIII
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GOLDONI - Vi è ben fedele Elia. Fa per voi quanto un servo, un guardiano e un segretario.

ALFIERI - E' un amico, ormai. Lo tratto alla pari.

GOLDONI - Per questo vi è devoto.

ALFIERI - Eppure, una volta rischiai di ammazzarlo.

GOLDONI - Siete arrivato a tanto?

ALFIERI - Da un mese stavamo a Madrid. L'andare per me era sempre il massimo dei piaceri, e lo stare il massimo degli sforzi.

GOLDONI - Madrid dev'essere una gran bella città.

ALFIERI - Ma io mi annoiavo. Non possedevo nessuna lingua. Ruminavo fra me stesso, alle volte piangevo a dirotto senza sapere di che, e nello stesso modo ridevo. Piangere e ridere, due cose che se non sono poi seguite da un qualche scritto, son considerate pura pazzia, e lo sono; se partoriscono scritti, si chiamano poesia, e lo sono.

GOLDONI - Non scrivevate ancora, quindi eravate nella pazzia.

ALFIERI - E scatenai questa pazzia sul mio servo fedele.

GOLDONI - (tra sé ) Vapori... insofferenza della vita...

(ad Alfieri ) Sono curioso di sapere com'è andata.

ALFIERI - Una sera stavo finendo la cena nella locanda dove alloggiavamo. Entrò Elia a ravviarmi i capelli, come di solito faceva prima che andassi a letto. Nello stringere una ciocca col ferro, me la tirò un pochino. Io balzo in piedi, afferro uno dei candelieri che stavano sul tavolo e gli meno un colpo così forte sulla tempia, che il sangue zampilla come da una fonte. Elia allora mi salta addosso, per picchiarmi! Io gli scivolo di sotto, salto sulla mia spada, la sfodero. Inferocito lui mi torna contro, tutta la locanda è in subbuglio, i camerieri cercan di separarci. Si cerca poi di chiarire. Io dico che l'essermi sentito tirar i capelli mi aveva messo fuori di me. Elia dice di non essersene neppure accorto. Io rimasi dolentissimo e vergognosissimo. Dissi ad Elia che avrebbe fatto benissimo ad ammazzarmi. Ma lui volle prendersi soltanto una vendetta, conservare due fazzoletti pieni zeppi di sangue coi quali aveva asciugato la piaga. E ancora oggi me li mostra, qualche volta, a ricordarmi quella mia intemperanza!

GOLDONI - Siete ben iracondo, Vittorio.
Ve ne siete mai chiesto il perché?

ALFIERI - E' la mia natura, irascibile all'eccesso. Ma quell'episodio era stato occasionato dalla continua solitudine e dall'ozio.

GOLDONI - Avete rischiato dal vostro servo una reazione che poteva esservi fatale.

ALFIERI - Io non ho mai battuto nessuno che mi servisse se non come avrei fatto con un mio eguale. E' avvenuto pochissime volte, e non avrei disapprovato quei servi che mi avessero risposto con lo stesso picchiare, da uomo a uomo.

GOLDONI - Anche nei vostri scritti. Non soffrite che nessuno renda schiavo un altro. Padrone o servo che sia.

SCENA IX
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Entra Catte. Fa un inchino.

CATTE - Siora Luisa manda a dire che la sè fatigada e la sarìa contenta de star un poco con siora Nicoleta e doppo andar a riposar.

ALFIERI - Luisa si è molto agitata per quell'incontro.

GOLDONI - Ma sì, ma sì, povera putta...

A Catte.

Di' a la mia mugèr che la fassa quel che siora Luisa vol, e che le staga un poco accanto.

Ad Alfieri.

Noi prenderemo qualche cosa qui...

ALFIERI - La sera ho l'abitudine di bere soltanto una cioccolata.

GOLDONI - In casa nostra non manca mai, per il momento almeno.

A Catte.

Porta la cioccolata, e dei biscotti...

Catte va via.

Mangeremo anche dei fichi... Com'erano dolci quelli del mio giardino sul canale...

ALFIERI - Perché erano di casa vostra...Ma voi, ve ne siete andato.

GOLDONI - Ormai sono francese. Parlo francese, scrivo francese.

ALFIERI - Tutto il contrario di me. Io parlavo francese, e quel poco che scrivevo, lo buttavo giù in francese. Poi una voce segreta dal profondo del cuore cominciò ad ammonirmi.

GOLDONI - Vi parlava una voce?

ALFIERI - "Ti convien rimbambire, studiare daccapo la grammatica e tutto quel che serve per scrivere con arte!".

GOLDONI - Non eravate più giovanissimo!

ALFIERI - Ma era tanta le vergogna dei miei spropositi, che chinai il capo e affrontai quegli ostacoli schifosi per sfrancesizzarmi.

Goldoni scosta la tenda davanti al finestrone. Entra un raggio di luna.

GOLDONI - C'è luna piena.

ALFIERI - Più nessuno in strada...Una tregua per la notte.

GOLDONI - Abbiamo un giardinetto anche qui. Volete che andiamo a raccogliere i fichi? Non sono proprio come quelli di Venezia...

ALFIERI - ...ma vi somigliano!

GOLDONI - E mi racconterete come avete cominciato a scrivere.

Si avviano.

ALFIERI - La Toscana mi aprì il cuore all'italiano. Pisa, Firenze, quel parlare fluente, anche della gente più comune. E Siena, così ospitale... Un'estate a Siena buttai giù quattro tragedie; quattro insieme ne buttai giù in un giorno solo... Era un amico a darmi questo fervore creativo, quand'ero a Siena. Non era nobile di origine, ma lo era nell'animo, negli studi e nei pensieri... Rimpiango la sua amicizia come nessun altra cosa...

GOLDONI - E quell'amico non lo avete più?

ALFIERI - Ha lasciato questo mondo da parecchi anni. Ed è stato per lui un sollievo. Ma il suo ricordo è sempre vivo nel mio cuore.

Si avviano verso l'uscita che dà sul giardino.

SCENA X
________

Entrano Nicoletta e Luisa.

NICOLETTA - Oh! Se ne sono andati!

LUISA - Usciti?! E' pericoloso!

NICOLETTA - State tranquilla. Carlo avrà portato Alfieri in giardino, a raccogliere qualche fico maturo. Ne avevamo una pianta anche in Italia!

LUISA - Non vedo l'ora di tornarci, in Italia. Ma voi, siete sicuri di voler restare a Parigi?

NICOLETTA - Chi può farci del male? I francesi amano Goldoni, le sue commedie vanno in scena perfino alla Comédie. Speriamo che ci ridiano la pensione!...

LUISA - Ve lo auguro. Ma che spavento, oggi, venendo qui!...

NICOLETTA - In città ci sono interessi contrastanti. Si fa presto ad avere dei nemici. Anche a Venezia mio marito ne aveva.

LUISA - Ho dei nemici anch'io.

NICOLETTA - Voi? Alfieri saprà difendervi.

LUISA - Delle volte ha dovuto piegare perfino la sua natura orgogliosa, pur di starmi accanto. Da scontroso e solitario si è fatto ossequioso verso gente che non stimava, per potermi incontrare.

NICOLETTA - Ossequioso Alfieri? Non posso immaginarmelo!

LUISA - Per molto tempo la mia vita è stata difficile.

NICOLETTA - Non ho mai osato chiedervene.

LUISA -Confidarsi quando ci si sta per lasciare è un modo per rimanere nel cuore degli amici.

NICOLETTA - E per non sentire la propria solitudine. Forse è per questo che Goldoni ha scritto tanto. Noi donne possiamo solo custodire l'ispirazione dei nostri compagni.

LUISA - Forse anche ispirarli, con la nostra vita. La mia...è stata davvero una tragedia.

NICOLETTA - Se voi mi raccontate la vostra vita, io vi racconterò la mia. E riderete! La compagna di Goldoni non può che stare dentro una commedia!

LUISA - E la compagna di Alfieri deve essere l'eroina di una tragedia!

NICOLETTA - Una tragedia a lieto fine, dove trionfa l'amore.

LUISA - Da dove cominciare?...

NICOLETTA - Da quando eravate ragazzina.

LUISA - Quando avevo quindici anni e abitavo con la mia famiglia in Germania, mi avevano mandato a Londra come tutte le giovinette nobili, per ricevere una buona educazione. Un giorno mi vede a passeggio nel parco un lord della grandissima casata degli Stuart, pretendente al trono d'Inghilterra. Si innamora subito di me, chiede la mia mano. E i miei gliela accordano, anche se questo lord aveva più anni di mio padre.

NICOLETTA - I genitori pensano di fare la fortuna dei figli, e sbagliano.

LUISA - Se ne accorsero presto. Quest'uomo era sempre ubriaco, mi picchiava, mi tormentava in preda all'alcool. Quand'era lucido mi mostrava una sorta di affezione, ma il vizio lo teneva prigioniero. Mi consentiva di ricevere ospiti, di dare delle feste, era questo il mio unico sollievo. Si viaggiava tutto l'anno, ci si fermava qualche mese di qua, qualche mese di là. L'Italia era fra le mete preferite, specie d'estate, a meno che lui non decidesse di andare in Svizzera oppure si arrivava fino in Scozia, là aveva le terre di famiglia. Un'estate ci fermammo a Firenze. Avevamo affittato una casa sul Lungarno, vasta e ariosa, con delle ampie vetrate sul giardino. Venivano nel tardo pomeriggio, allegri e chiassosi i pittori a farmi il ritratto o a mostrarmi qualche disegno. I poeti leggevano i loro componimenti, i musicisti si avvicendavano al pianoforte. Di sera a volte si alzava nelll'aria il suono dei violini, e allora tacevano le cicale...le belle dame accennavano a qualche canzone e dappertutto si udiva quella incantevole parlata fiorentina che innamora anche se non ne capisci tutte le parole.

NICOLETTA - E Alfieri? Anche lui era tra gli artisti?

LUISA - Ci avevamo presentati ad una corsa di cavalli. Passò l'estate senza farsi rivedere. Pensavo di non averlo interessato. Eppure sentivo che ci sarebbe stato un seguito all'incontro. Arrivò l'autunno, e finalmente lui apparve, una sera, nel mezzo di un ricevimento a casa nostra: l'aveva accompagnato un amico che veniva spesso da noi e da tempo insisteva con lui che doveva incontrarmi... Di colpo rimanemmo incatenati. Mi impressionò il suo sguardo, sembrava volesse rivoltarmi l'anima. Uno sguardo che mi imponeva scelte profonde, un impegno totale. Il giorno dopo, invece di venire all'appuntamento stabilito fra noi, partì per Roma a cavallo, me lo fece dire dal suo servitore. A quel cavallo, che amava come una persona, nel corso del viaggio andava parlando di me, delle sue paure e delle sue speranze; e delle volte - mi raccontò poi - scendeva e lo teneva per la briglia, per restargli accanto e sussurrargli all'orecchio le confidenze del suo cuore.
Sulla via del ritorno Alfieri si fermò a Siena, da un amico che gli era caro in maniera particolare, Francesco Gori Gandellini. Morì anni fa ancora giovane, e Vittorio non se ne è mai dato pace. Quella volta gli parlò del sentimento che provava per me, una "febbre venuta dal cuore". Si era trovato - gli confidò - agitato da una passione intellettuale che mescolata a quella del cuore veniva a formare "un misto sconosciuto ed indistinto", un qualcosa di meno impetuoso e fervido delle passioni provate in precedenza, ma "più profondo, sentito e durevole". L'amico gli diede coraggio e lo spinse a rivelarsi. Alfieri tornò a Firenze e riuscimmo ad incontrarci senza odiose sorveglianze. Fin da quel giorno capii che mi poneva in cima d'ogni suo affetto, d'ogni suo pensiero. Mi parlò senza enfasi, era sincero: "Il mio amore per voi non si spegnerà ormai più in me se non con la vita".

NICOLETTA - E da allora non vi siete più lasciati.

LUISA - Oh! Quante volte purtroppo! prima di riuscire davvero a stare insieme. La società mi considerava una donna sposata, anche se per noi il mio matrimonio non aveva alcun valore. Da mio marito soffrivo di continuo tormenti e umiliazioni.... Alfieri, lo vedevo insieme a tutti gli altri, poche volte riuscivamo a sottrarci agli incontri ufficiali e meno ancora allo sguardo sospettoso del mio lord. Dovevamo trovare un modo per sottrarmi almeno alla convivenza con quel bruto. Progettammo un viaggio a Roma; mio marito invitò anche Alfieri, perché lo divertiva con le sue citazioni e soprattutto lo sollevava dalle noie del viaggio mettendo a disposizione i suoi stupendi cavalli. Arrivati in città, io manifestai il desiderio di visitare il convento delle Orsoline. Mio marito assecondò benevolmente quello che riteneva un capriccio e così ci andammo tutti e tre. Quando, come donna, ebbi il permesso di passare dalla parte della clausura, le suore chiusero l'inferriata che le divideva dalla zona consentita ai visitatori, e la superiora disse solennemente che il Vaticano aveva mandato l'ordine di tenermi lì. Quel comando era arrivato davvero: il cardinale Stuart, fratello di mio marito, aveva avuto pietà di me. In convento, Alfieri veniva a trovarmi. Era un supplizio potersi soltanto vedere e parlare attraverso la grata; lo vedevo triste per la mia prigionia, ma in fondo già sollevato per sapermi al sicuro dalle violenze di mio marito. A poco a poco io andavo riprendendomi dallo stato di torpore in cui ero caduta. Finalmente uscii dal convento, e cominciai a vivere da sola, a Firenze; mio marito era rimasto a Roma, sempre più prigioniero del suo vizio. Ricominciai a incontrarmi con Alfieri. Io presi in affitto una casa, lui ne trovò un'altra abbastanza vicina. Non davamo scandalo, ci amavamo in segreto. Dal mio affetto Vittorio ricavò ardore per i suoi studi. Stava sulle carte per ore, con una concentrazione mai avuta prima; poi preso da un'ansia febbrile si metteva a scrivere, a scrivere... Era l'amore ad animarlo dandogli sempre nuova ispirazione. Io non interrompevo le sue giornate. Era lui a cercarmi, quando la sete dello scrivere gli si era acquetata. Questo mio atteggiamento - me lo disse poi lui - sempre più lo aveva avvicinato a me.

NICOLETTA - Da quanti anni siete insieme?

LUISA - Quindici. E' un'intesa maturata con il tempo.

Ride.

A me quindici anni sembran tanti. Da quanto tempo state insieme voi?

NICOLETTA - Oh! Dal '36...Cinquantasei anni! Forse Goldoni non mi è stato sempre fedele, ma l'affetto non me lo ha mai fatto mancare. Vi racconto come ci siamo conosciuti?

LUISA - Oh sì, ne sono proprio curiosa!

NICOLETTA - Ogni anno dopo il carnevale le compagnie veneziane venivano a recitare nella nostra città. Goldoni aveva seguito la compagnia Imer. Aveva preso casa vicino al teatro e sovente passava sotto le nostre finestre, io l'avevo notato perché da giovane Carlo era proprio bellino. Un giorno che me ne stavo al davanzale, questo giovanotto si profila e mi saluta in un modo tenerissimo. Io gli faccio una riverenza e poi tutta rossa rientro in casa e non mi faccio più vedere. Lui allora architetta un piano, un intrigo vero e proprio!, l'ho saputo dopo. Con una scusa va in banca a trovare mio padre - un notaio stimatissimo in affari - e gli chiede di scontargli un biglietto di credito della compagnia. Mio padre gli dice "Si rivolga ad un cambio", ma intanto la conoscenza è fatta, escono insieme, prendono un caffè. Non è un attore, chiarisce Goldoni, scrive per loro; e spiega il suo lavoro. Siccome nel frattempo s'è fatta ora di pranzo, mio padre lo invita a casa nostra. Amarci per noi due fu questione di un attimo. Insomma, in capo a un mese, lui chiese la mia mano e ci sposammo.

LUISA - Una bellissima storia d'amore! Vicende così incantevoli pensavo che accadessero soltanto nelle favole.

NICOLETTA - Se vi ho detto che il mio posto è in commedia! La sera delle nozze saliamo in camera. Finamente siamo soli, io mi sento tutta emozionata... e a lui scoppia il vaiolo!, un febbrone da cavallo, presto presto un medico!... Così per quindici giorni l'ho assistito, curato, imboccato!

Ridono tutte e due.

E' stato poi sempre il mio ruolo, quello di assisterlo e curarlo. Quanta pazienza, in certe situazioni!... Ma ormai siamo vecchi...

LUISA - Delle volte Vittorio mi dice che vorrebbe morire prima di me, per non soffrire restando solo se fossi io ad andarmene prima di lui. Altre volte dice che vorrebbe morissi prima di lui, per non farmi patire il dolore della sua perdita...

NICOLETTA - E' un uomo fuori dal comune. Di fronte a lui provo perfino un po' di timore. Ma poi lo fisso in quei suoi occhi così limpidi, e mi fa tenerezza.

LUISA - Possiamo raggiungere i nostri uomini in giardino?

NICOLETTA - Andiamo. E coglieremo dall'albero dei fichi...

Si sente la sua voce mentre escono di scena.

...i frutti più maturi...Son così saporiti, appena staccati dalla pianta!...A Venezia sapevano di miele...

SCENA XI
________

Catte e Alvise entrano portando il vassoio con cioccolata, biscotti, panini e torte. Dispongono tazze e piattini sullo scrittoio.

ALVISE - La sè l'ultima cioccolata che ho trovà. In dispensa non ghe n'è altra...

CATTE - Ghe n'ho mì un tocheto, che m'ero tenùa per quando che sarìa finìa... La tirerò fora per domani matina, non se pol mandar in viazo 'sti siori senza darle un poco de cioccolata...

ALVISE - E i giorni che verran? Di bessi no ghe n'è. Sior Carlo la pension ghe l'han levada!...

CATTE - Parlemo con quei che comandan, adesso ghe n'è che difenden i poareti...

ALVISE - Ti g'ha razòn! Sior Carlo no sè nobile, no sè rico...insomma sè come noaltri e va agiudado!

CATTE - Con tanto lavorar, con tante storie par divertir la gente, no pensava che arrivava a star così mal!

ALVISE - La vida de noaltri poareti, sior Carlo l'ha portada in teatro, l'è sempre stà da la nostra parte, lù!

CATTE - A 'stò mondo no ghé mai giusticia, no ghé riconoscensa...

Se ne vanno.

SCENA XII
_________

Entrano Nicoletta e Luisa, seguite da Goldoni e Alfieri.

NICOLETTA - Oh! guarda cari! Alvise e Catte han portà tutto quanto e han preparà pulito!

Va via via distribuendo tazze e dolciumi, che tutti consumano andando a sedersi di qua e di là.

GOLDONI - Difficile trovare dei servitori come questi.

LUISA - Son di Venezia, mi è parso, dall'accento.

GOLDONI - Eran venuti per lavorare in teatro. Ma poi io mi sono intestardito a scrivere in francese, e loro...

NICOLETTA - ...loro han detto "Cossa avemo da far?". Tornare a Venezia non volevano, son restati a servizio da noi. Se non li avessi in casa, sarei perduta.

GOLDONI - Arlecchino e Corallina. Gli "sdegno e pace"...i battibecchi della gelosia... insieme erano affiatatissimi! Hanno avuto successo, prima di decidersi a lasciare.

ALFIERI - La questione degli attori è importantissima. Con bravi interpreti è possibile rappresentare i testi in maniera accettabile. Con dei cani non si può assolutamente far teatro.

GOLDONI - E' un problema che ho affrontato anch'io a Venezia.

ALFIERI - Voi almeno avevate la fortuna di lavorare per dei teatri. Da noi soltanto i prìncipi possono permettersi di tenere una compagnia. Ma finchè ci sono loro, il teatro rimarrà schiavo di un potere repressivo; dirà cose false, che piacciano ai tiranni, blandirli, gratificarli. I principi impersonano il contrario dei valori di libertà che intendo affermare con il mio teatro. Non possono finanziare e poi approvare un teatro che li vuole cacciar via.

LUISA - Vittorio ha fatto parecchi tentativi per migliorare l'interpretazione dei suoi testi. E' arrivato perfino a recitarli lui.

ALFIERI - Per forza. Ho subìto troppi contraccolpi ascoltando le mie tragedie da certe compagnie di giro. Allora ho deciso: leggo io stesso i miei lavori a chi li reciterà. Faccio tutte le parti, mi soffermo a spiegare, indico a ciascun attore il carattere del suo personaggio. Poi mando tutti a studiare, finchè non conoscono la parte a memoria.

LUISA - Dopo comincia la prova vera e propria. Io mi diverto ad assistervi, son gli unici momenti in cui Vittorio si arma di pazienza.

ALFIERI - Purtroppo. La pazienza è un metodo strategico.

GOLDONI - Prenderli con le buone è l'unico modo per ottenere qualche cosa dagli attori e soprattutto dalle attrici.

ALFIERI - Le attrici! Sono rarissime le donne che accettano di esporsi sulla scena. Da professioniste, voglio dire. Temono di essere considerate poco oneste.

GOLDONI - Il problema è la paga. Se fosse più alta, recitare diventerebbe un mestiere onorato. Anche per le donne. Io ho lottato tutta la vita perché il mestiere del teatro fosse considerato un lavoro serio, da professionisti, come quello dell'avvocato o del medico.

ALFIERI - Concordo pienamente. Non è possibile illudersi di trovare buoni attori fra gente che deve combattere con la fame, e recitare oggi il Brighella e domani l'Alessandro. Bisogna che siano pagati molto bene: soltanto così si può pretendere che non pensino ad altro, e che studino la parte e si sottomettano a molte e molte prove. I gentiluomini e le nobildonne invece hanno una naturale propensione per il teatro, lo considerano un genere di svago, e lavorano gratis!

NICOLETTA - Alle prove di compagnia, a Venezia, io non ci andavo mai. Le attrici non gradivano la presenza della moglie dell'autore!

GOLDONI - Nicoletta è la più cara donna di questo mondo, ma nei miei confronti ha sempre nutrito il sospetto infondato che avessi un debole per le attrici.

NICOLETTA - Il sospetto infondato?! La certezza!

GOLDONI - Oh! insomma! son cose passate. Sentiamo come Alfieri lavora alle sue prove.

ALFIERI - Dopo la mia lettura "critica", gli attori tornano quando conoscono la parte a memoria, senza suggeritore per carità!, e recitano davanti a me. In questo primo stadio devono dare significato alle battute e aver raggiunto una pronuncia accettabile. Io faccio le mie osservazioni, biasimo molte cose, e chiedo una seconda prova. Così di seguito, per almeno dieci volte. Chi può lavorare in questo modo? I nobili, i ricchi professionisti. Non recitano combattuti dalla necessità, sono pieni di una certa emulazione fra di loro, e dài e dài arrivano a capire quello che dicono, e a farsi capire. Finalmente vanno in palcoscenico e sono ascoltati, perché recitano e non cantano, sanno la parte! Certo, se son toscani, la cosa fila ancora più liscia. Una volta al Carignano di Torino piansi di rabbia per la mia "Cleopatra" nelle grinfie della primadonna, la signora Medebac di una compagnia di professionisti veneziani.

GOLDONI - Era brava la Medebac, quando interpretava le mie donne. Ma di colpo, delle volte, denunciava delle terribili emicranie, vaneggiava in preda ai vapori... Tutti si chiedeva cosa avesse! Gelosia, invidia, rabbia: un'altra attrice della compagnia aveva ottenuto un successo personale con una mia nuova commedia! Allora in tutta fretta scrivevo per lei una parte seducente e la povera malata tornava subito a star bene, pronta ad andare in scena!

ALFIERI - Avevate il vantaggio di scrivere le parti addosso agli attori. Era la vita quotidiana che mettevate in scena, i pettegolezzi, i ripicchi, i bisticci degli innamorati, le sfuriate dei vecchi, la malinconia delle donne al tramonto. Io...come posso spiegarvi?...parto da un'idea fortemente pensata, l'odio ai tiranni; sogno la libertà che cambi il mondo, rivesto la mia idea di personaggi immensi, che parlino alla mente degli uomini risvegliandoli! Sono allora i protagonisti della storia e del mito a gridare i loro sentimenti. Più che di sentimenti, si tratta di aneliti, di furori, di speranze in un risorgimento spirituale!...

Alfieri grida con passione i principi a cui si ispira, gli occhi persi lontano.

Davanti a me si agitano fantasmi, io sono solo, in grande agitazione e mi sforzo fino allo spasimo di fondere forma e contenuto, cerco disperatamente di individuare le figure e i suoni e i ritmi attraverso i quali dare senso ai pensieri, vestirli di parole, farli incandescenti per scuotere gli uomini dalla loro apatia e riscattarli dalla schiavitù.

Tutti guardano Alfieri ammirati per la veemenza con cui si è espresso.

GOLDONI - Voi vivete già nel futuro. Per questo chi si accontenta dell'oggi non vi capisce o addirittura vi denigra.

ALFIERI - Io non m'illudo. Leggo, studio, rifletto. Sallustio, Ovidio, Tacito... e Virgilio e Terenzio... Dal passato traggo indicazioni sulle svolte del potere nella storia dei popoli, e sempre più vado convincendomi della necessità per gli uomini di vivere liberi...Ma non mi illudo...Scrivo, è l'unica cosa che possa fare. Troppo poco è il potere di un uomo, per incidere sul corso della storia. Specialmente se quest'uomo rifiuta ogni violenza.

GOLDONI - La violenza voi la riservate ai vostri eroi.

ALFIERI - Impersonano le idee, sono simboli, fantasmi della stessa natura dei sogni.

LUISA - Per arrivare a delle forme così essenziali, Vittorio lavora con un'intensità che ho riscontrato soltanto nei contadini alle prese con il loro piccolo campo. Ore e ore di fatica, senza mangiare senza dormire...

ALFIERI - In Luisa trovo sprone e conforto ad ogni opera. Entrato ormai nella sgradita stagione dei disinganni, di lei mi accendo sempre più. Con lei si innalza, si addolcisce e migliora di giorno in giorno l'animo mio.

Bacia la mano di Luisa.

LUISA - E lo stesso è per me, che in te mi appoggio e da te prendo forza.

NICOLETTA - Oh cari! Che consolazione vedervi così innamorati!

LUISA - Questa notte ci fa arditi. Parliamo di sentimenti vincendo il pudore abituale.

ALFIERI - Una notte stranamente quieta.

LUISA - Eppure il pericolo è nell'aria.

ALFIERI - Come desidero tornare a scrivere! Anche voi vi isolate dal mondo, quando lavorate?

GOLDONI - I personaggi io li ho sempre trovati nel mondo. E poi li cucivo addosso agli attori. Gli inventavo attorno una storia, magari prendendo spunto da qualche cosa che mi era capitato di osservare a Venezia o anche fuori...

NICOLETTA - Anche fuori, specie quando nella commedia metteva dei caratteri sgradevoli!

GOLDONI - Quel che volevo dire io, nella storia veniva fuori senza forzature dimostrative. Capire, dipendeva dalla capacità di ragionamento degli spettatori. C'era chi si godeva lo spettacolo e se ne andava via contento. Chi invece ci pensava su, e capiva che ci sono uomini stupidi e vigliacchi e uomini onesti e coraggiosi, donne maliziose e sciocche e donne furbe e sagge...e soprattutto che il mondo va cambiando, non sempre in meglio, ma che l'onestà è una virtù che si deve mantenere.

ALFIERI - Teatro e mondo, mondo e teatro. Vorrei essere semplice come voi.

GOLDONI - Non potete. State entrando in un'epoca ancora più difficile della mia. Un'epoca spietata, dove gli ideali si scontrano con l'atto gratuito, il coraggio si confonde con la vendetta, i soprusi son fatti passare per diritti, e i veri diritti vengono usurpati.

ALFIERI - Voi l'avete capito. Dai vostri scritti appare con chiarezza ancor più che assistendo alle vostre commedie.

GOLDONI - E io ho letto le vostre tragedie, e immagino il lavorìo estremo che vi ha portato a quelle forme.

ALFIERI - Le stesure sono sempre almeno tre, ma possono arrivare a quattro, a cinque, a sei...

LUISA - ( ridendo) ...a sette...a otto...a nove...specie per certe scene. Finchè non trova la forma ideale, cerca, ricerca, non si placa!

GOLDONI - Ritornate su versi così tante volte?

NICOLETTA - E dire che sembrano spontanei, sgorgati proprio dal cuore!

Cita a memoria, tra l'ispirato e il timoroso.

" Notte! funesta, atroce, orribil notte,
presente ognora al mio pensiero! ogni anno
oggi ha due lustri, ritornar ti veggio
vestita d'atre tenebre di sangue"....

ALFIERI - Ma è l'inizio del mio "Oreste!", lo sapete a memoria?!

GOLDONI - Non ci posso credere! Tu che non sai neanche una battuta delle mie centocinquanta commedie!

NICOLETTA - (fra il trionfante ed il polemico) Elettra è un personaggio così eroico! Ho pianto leggendo i suoi tormenti.

GOLDONI - Non si può mai star tranquilli, neanche a casa propria!

LUISA - Vostra moglie non ha ancora finito di stupirvi, caro Goldoni. Dovreste esserne contento.

GOLDONI - (ancora sconcertato) Ne sono contentissimo. Ma vorrei sapere da Alfieri: per arrivare a quei versi, quanti passaggi ci son voluti?

ALFIERI - Pochi, per la verità, in confronto ad altre tragedie. Delle volte cominciavo a scrivere l'"idea" in francese. Poi buttavo giù una stesura in prosa, ancora in francese, e la leggevo agli amici per vedere come reagivano alla storia. Succedeva che chi ascoltava, magari rimaneva entusiasta della vicenda. Allora io tutto contento passavo alla versificazione, e tornavo a presentare il dramma nella nuova veste. Non piaceva più a nessuno!

LUISA - Una vera tragedia!...

Tutti ridono.

ALFIERI - Per l'"Oreste" ho cominciato a scrivere in italiano fin dall'inizio.
"Atto primo scena prima"...

Indica galantemente Nicoletta.

La scena recitata dalla signora...

Prima fase: "Idea": Elettra si lamenta della sua durissima sorte".

NICOLETTA - "Notte funesta, atroce, orribil notte" è tutta un'altra cosa.

LUISA - E' poesia. Ma per tirarla fuori dal cuore del poeta, che fatica!

ALFIERI - Atto primo scena prima, seconda fase: "Stesura":

"O notte funesta ognor al mio pensiero presente: notte terribile in cui vidi io stessa il misero Padre..."

NICOLETTA - "Agamennòn, misero padre!"...

ALFIERI - Eccetera eccetera... Atto primo scena prima, terza fase: "versificazione":

"Notte! funesta..."

NICOLETTA - ..."atroce, orribil notte,
presente ognora al mio pensiero!..."

ALFIERI - Eccetera eccetera. Cinque personaggi, niente confidenti, niente chiacchiere. Rigore, stringatezza estrema, l'ho imparato dal grande Voltaire.

LUISA - ( ridendo) Tanta stringatezza, tanto rigore non sempre piacciono al pubblico della brava gente!

ALFIERI - Foligno! Ti ricordi di Foligno?

LUISA - Io non c'ero, ma è come se vi avessi assistito anch'io.

ALFIERI - Stavo andando a Roma a cavallo...

LUISA - Ci conoscevamo già da più di tre anni...

ALFIERI - ...e stavo raggiungendoti dopo uno dei miei soliti viaggi...

LUISA - Passavi da Foligno - era di Carnevale -...

ALFIERI ...- Millesettecentottantuno! - vengo attratto da un avviso di stampa..."Teatro di Foligno, Questa sera si rappresenta l'"Oreste", tragedia del signor Alfieri di Asti".

LUISA - Lui ci va e per tutti e cinque gli atti soffre le pene dell'inferno.

ALFIERI - Quegli attori strapazzavano la mia opera, le scene erano rabberciate, mutilate, addirittura cambiate!

LUISA - Bene o male sopporta tutto quanto, finchè la tragedia sta per chiudersi...

ALFIERI - ...ma Clitemnestra, invece di morire per mano di suo figlio, che involontariamente la trafigge mentre va ad uccidere Egisto...

NICOLETTA - ....l'amante di lei..

ALFIERI - ...Clitemnestra si riappacifica col figlio! Era una scena inventata dagli attori! Per far contenti i bravi cittadini di Foligno!

LUISA - Il pubblico applaudiva quel tremendo lieto fine...

ALFIERI - ...che gridava vendetta di fronte a Dio, al mito, all'arte!
Io allora piombo in palcoscenico, inseguo gli attori fra le quinte, li insulto e prendo a calci e pugni tutti quanti!

LUISA - Poi non contento si presenta alla ribalta e con tono superbo annuncia al pubblico, sorpreso da tanto pandemonio...

ALFIERI - "Sono Vittorio Alfieri, son l'autore!".

LUISA - E quelli, contenti, lo applaudivano!

ALFIERI - Poi mi calmai, gli attori e il capocomico mi fecero tante scuse, e promisero che non avrebbero mai più rappresentato l'"Oreste" con il "lieto fine".

LUISA - E poi decorarono il palchetto occupato da Alfieri quella sera con una bella epigrafe, a ricordare il grande avvenimento!

GOLDONI - Pare una scena scritta da me!

NICOLETTA - Ah! Come mi sarei divertita!

Un silenzio triste.

GOLDONI - Bei tempi, quando erano questi i nostri crucci...

LUISA - Speriamo che tornino, quei tempi. E adesso, andiamo a riposare.

ALFIERI - Io vorrei restare ancora un poco.

LUISA - Qualche idea nuova? Da buttar giù?

ALFIERI - Pensieri. Tu vai. Ti raggiungo più tardi.

Alfieri abbraccia Luisa leggermente. Le due donne se ne vanno.

NICOLETTA - Arrivederci, Alfieri. Domattina vi sveglierò con la colazione.

Alfieri si inchina. Poi prende dalla sedia la sua borsa e ne estrae un voluminoso manoscritto, lo porge a Goldoni.

ALFIERI - E' la mia "Vita". Non l'ho ancora finita. Mi piacerebbe che la leggeste.

GOLDONI - Lo farò da subito, la notte per i vecchi è breve.

ALFIERI - A domani allora. E...grazie, anche per questa vostra ultima premura.

GOLDONI - Buonanotte.

Goldoni se ne va. Alfieri rimane da solo.

SCENA XIII
__________

E' scesa la sera. Una luce lunare filtra dalla cortina di velluto che cela il finestrone. Un sinistro rullar di tamburi. Richiami isolati, un canto di ubriachi. Alfieri passeggia, il pensiero lontano.
Nel fioco bagliore si profila la figura di Francesco Gori. Etereo, vestito di chiari panni evanescenti, si avvicina lentamente ad Alfieri.

GORI - Vittorio!...Amico carissimo!...Vittorio mai dimenticato...

ALFIERI - Chi sei? Questa voce...non avrei potuto mai più udirla questa voce!...

GORI - Ora la ascolti, Vittorio.

Si avvicina ad Alfieri fino ad essere illuminato dal raggio lunare.

E mi vedi. Riconosci il tuo amico più caro?

Alfieri si protende verso Francesco Gori per abbracciarlo.
Questi si ritrae come sospinto dal vento, e Alfieri abbraccia l'aria.

ALFIERI - Ti vedo, ma... non stringo che l'aria!...
Eppure sei tu!, sei tu Francesco!

Parla come preso da febbre, con ardore e supplicando.

Ho tante cose da dirti, tante cose che mi sono rimaste chiuse nel petto perché a nessuno potevo parlarne come facevo con te...Oh! non te ne andare! Non svanire come l'ombra di un sogno...

GORI - Stai tranquillo. Io sono tornato per rivederti, per consolarti. Di nessun altro avrei creduto così forte il dolore per la mia morte, ma al tuo pianto sì, ho creduto.

ALFIERI - Perché sei morto così presto? La tristezza per questa nostra condizione servile, con te io potevo condividerla. Invece hai lasciato che affrontassi da solo un futuro pieno di incertezze. Io non posso avere nessuna influenza sulle condizioni del nostro paese. Scrivo tragedie, ma esse sono preda di attori spesso miserabili...Le mie tragedie rimangono lontane dalla forza concreta della politica e dell'economia.

GORI - Tu possiedi un potere che ancora non conosci in tutte le sue possibilità. E io invece, non lo avevo...Non ho mai scritto niente che avesse davvero valore, l'unica mia gioia stava nello spingerti a scrivere...In tempi come questi, a che serve avere un animo nobile, se chi conta deve appartenere alla classe dei potenti?

ALFIERI - Io quella classe l'ho rifiutata. Ma tu eri libero nell'animo, e per questo ti amavo.

GORI - Libertà senza parole, angoscia che covavo senza poterla trasformare in azione, libertà priva di forze. Questa libertà mi ha portato a morire piano piano. Io pensavo e pensavo, mi rodevo per quanto vedevo accadere nella mia Siena e nella maggior parte delle città che l'Italia dispiega, belle e schiave.... Sempre di più mi rendevo conto della meschinità dei tempi, e mi maceravo di non poter influire a cambiarli. Ho studiato. Libri latini, trattati di filosofi, di storici... Ma per chi conta in questa società sono rimasto un mercante, un niente insomma, buono soltanto a fornire di belle sete e velluti le corti dei potenti. Ignoto ai grandi e ignoto quasi a me stesso, mi son consumato.

ALFIERI - Eri ignoto a quelli della tua città perché non eran degni di conoscerti. Ma io ti ho conosciuto. E sei stato tu a incoraggiarmi alla scrittura. Non perché avessi fama di letterato. Ma per portare alla ribellione di oggi attraverso la storia di ieri. Riuscirò in questo scopo, Francesco?

GORI - Non è ancora tempo, Vittorio, di raccogliere frutti. Anche adesso si alzano voci, grida, tumulti. Una rivoluzione salutare sembra avvicinarsi per abbattere poteri corrotti, che in Francia come in Italia impediscono agli uomini di essere uomini, e li tiene schiavi. Saranno le tue tragedie, sarà la stessa tua vita a indicare un cammino a chi ti conoscerà quando anche tu non sarai più tra gli uomini.

ALFIERI - Come potrò fare tutto questo? Come potrò proseguire da solo, soprattutto adesso che tu mi hai lasciato? Io non possiedo la tua indole mite, paziente...

GORI - Questo infatti ti manca. Devi imparare a tacere. E' inutile, certe volte, farsi odiare. E certi pensieri van goduti per sè o coi pochissimi amici, e del tutto dissimulati con gli altri.

ALFIERI - Io sono impetuoso e collerico, non freno l'ira e subito poi mi pento. Tu ti mostravi di minor valore che tu non fossi. E in mezzo ai meschini, ai vigliacchi, mi parevi una gemma nel fango, che per rilucere meno vuol nascondersi, ma non perde il suo valore; e se qualcuno la raccoglie e la ripulisce, splendore e virtù in quella gemma tornano a brillare. Io che non possiedo il tuo splendore, a volte mi vanto e grido e faccio gran fracasso.

GORI - E' la bile che ti padroneggia. La tua splendida, esorbitante bile!...

ALFIERI - Nessuno come te mi riconosce, nei pregi e nei difetti. Sì, Francesco, io sono iracondo. Ma che devo fare per togliermi da questo impaccio?

GORI - Concedi alla tua splendida bile libero sfogo nelle sole tue carte. Ma frenala con la gente. Non correggerai mai nessuno offendendo.

ALFIERI - Ho nausea, certe volte, degli uomini che comandano. Nausea del mio tempo.

GORI - C'è un modo soltanto, per cambiare, per incidere su questa realtà.

ALFIERI - Dimmelo, mio solo amico, e ti ubbidirò.

GORI - Non puoi cambiar niente, non puoi trasformarti in quei grandi del passato che ammiri, se non col pensiero e con gli scritti. Pensa dunque, e scrivi.

Francesco Gori comincia ad allontanarsi.

ALFIERI - Non te ne andare! Ti vedo come quando eri vivo e stavamo lunghe giornate insieme a discutere e i tuoi consigli mi erano preziosi, e l'ansia che sempre mi sento nel cuore alle tue parole si placava...

GORI - Era l'amicizia per te a darmi il coraggio di consigliarti. Tu hai forza, ingegno, fantasia. Possiedi le doti per vivere nel tempo. Io mi son consumato nel dolore di non vivere come forse avrei potuto. Mi sono tormentato nel trovarmi le strade impedite a qualunque azione che avesse valore. E lo sdegno per il mio tempo ha potuto più che l'amore per me e per te.

ALFIERI - Lavorerò, te lo prometto. Ma tu non lasciarmi!

GORI - La memoria che di me conservi mi renderà spesso presente.
Così, almeno in parte, tu verrai a deludere le inesorabili leggi della morte. Ma scrivi, offriti alle parole con voglia infinita. Niente rimane di chi niente ha fatto.

ALFIERI - Tu rimarrai in noi. Per il tuo sommesso consigliare, indicando la strada ai pensieri...

Francesco Gori va allontandosi fino a scomparire.

GORI - Così ricordami e sentimi con te....

Francesco Gori svanisce.

ALFIERI - Francesco...Francesco...

Alfieri è proteso a terra nel tentativo di trattenere l'ombra fuggente.

SCENA XIV
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Entra Goldoni in vestaglia.

GOLDONI - Che vi succede? State male?

ALFIERI - Oh! Siete voi!....Ho visto...ho parlato!... con un caro amico che non c'è più... Era qui...come siete qui voi adesso...di fronte a me...ed è svanito....scomparso nel nulla!...

GOLDONI - Non datevi pena. Sono stati i vostri pensieri ad evocare Francesco Gori.

ALFIERI - Francesco Gori, sì!...Mi appariva così reale!

GOLDONI - Vi appariva, quindi per voi "era". Questa è la forza dell'evocazione sostenuta dall'amicizia e dall'amore.

ALFIERI - Ma tante volte avevo pensato e ripensato a lui. E non mi era mai accaduto di vederlo, di parlargli, come se fosse ancora fra noi.

GOLDONI - La mia casa si riempie spesso di fantasmi. E questa notte io ho letto il vostro libro.

ALFIERI - Lo avete già letto?!

GOLDONI - Per me la notte è senza sonno. E ho pensato molto a voi.

ALFIERI - Che cosa devo fare? Non provo rivalità nei vostri confronti, nè vergogna a chiedervi consiglio.

GOLDONI - Dovete guardare al vostro passato. Dargli senso.

ALFIERI - Io cerco disperatamente il significato dell'esistenza. Ma il presente è così confuso...

SCENA XV
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Goldoni fa un gesto di comando. Si apre il tendone di velluto dietro cui si indovinava una finestra. Appare un palcoscenico su cui si trovano Alvise e Catte nei costumi di Arlecchino e Corallina.

ALFIERI - E' un teatrino!

GOLDONI - Lo tengo per me.

Piroettando Arlecchino e Corallina si pongono al centro senza guardarsi, schiena controschiena; poi di scatto si fronteggiano e si lanciano le battute di un canovaccio di "sdegno e pace".

CORALLINA - "Potrei tentar di ricuperarlo".

ARLECCHINO - "La se poderia accomodar".

CORALLINA - " Ma che? Anderò io a pregarlo?".

ARLECCHINO - "Saroi mi el primo a andarme a raccomandar?".

CORALLINA - "Oh questo no".

ARLECCHINO - "Non sarà mai vero".

CORALLINA - "Animo".

ARLECCHINO - "Coraggio".

CORALLINA - "E' rotta per sempre".

ARLECCHINO - "No la se comoda più".

Escono da parti opposte. Alfieri è rimasto incantato.

ALFIERI - Ma, che è stato?

Goldoni sorride enigmatico.

GOLDONI - Non fateci caso. Ogni tanto dei miei personaggi si materializzano fra queste pareti dove li ho pensati e scritti, e si sfogano a dire qualche battuta. Arlecchino e Corallina sono tra i più irrequieti, si inseguono, litigano...non li si può tenere a freno.

ALFIERI - Arlecchino? Corallina?! Da parecchi anni in Italia non si sentono più recitare!

GOLDONI - Ma qui li vogliono! Li vogliono ancora oggi! Ho cercato di portare la commedia italiana a livelli più alti di questi dialoghetti, di queste facezie e buffonerie....ma i francesi, noi italiani ci vogliono così.
Ecco, adesso vedrete qualche cosa che vi aiuterà a capire voi stesso.

SCENA XVI
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Un canto salmodiante. Sullo sfondo passa una processione di giovani chierici in abito bianco e incappucciati. Uno di loro si libera del cappuccio e si sporge a guardare Alfieri Giovinetto, che sta in un angolo del piccolo palcoscenico, poi gli sorride e torna a coprirsi continuando a procedere insieme ai compagni.

ALFIERI - Ma quel ragazzino...sono io!

GOLDONI - Proprio così, siete voi.

Incantato da quella vista e preso dal ricordo, Alfieri racconta sottovoce .

ALFIERI - (sottovoce) Avevo provato molta pena quando mia sorella, poco più grande di me, era stata messa in collegio. L'amavo, mi specchiavo nel suo volto che somigliava al mio perché di adolescente, come me. Mi consolavo un poco della solitudine andando alla Chiesa del Carmine a sentire la musica che i frati facevano ogni giorno per la messa cantata...e la processione...

La processione fa un giro intorno ad Alfieri Giovinetto. Il Novizio gli sorride e poi subito si nasconde nel cappuccio. Alfieri Giovinetto avanza verso di lui, ma non può distinguerlo, così incappucciato, dai chierici suoi compagni.

ALFIERI - (sussurrando) E dopo qualche mese io non pensavo più a mia sorella, e non desideravo nient'altro che di essere condotto alla Chiesa del Carmine... per vedere i novizi....Avevano visi non dissimili da quelli delle donne...E amando mia sorella, io amavo loro. L'amore si manifesta sotto aspetti diversi, ed è pur sempre amore, così lo riconobbi anni dopo, riflettendo su questo mio innocente amore...

La processione si ferma. Musica e canto da messa. Il giovinetto a volto scoperto agita il turibolo da cui si effonde una nuvola d'incenso.

ALFIERI - (sussurrando) Li vedevo col turibolo incensare l'altare...E con il cero in mano servire la Messa...Di quanto allora sentissi o facessi nulla affatto sapevo, e obbedivo al puro istinto animale.

La processione esce accompagnata dal canto. Il Novizio si svela e sorride ad Alfieri Giovinetto, poi scompare assieme ai compagni.

ALFIERI - ( incantato, in un sussurro) Da questo amore, ignoto del tutto a me stesso, ma tanto operante nella mia fantasia, nasceva quell'umor malinconico che a poco a poco si impadroniva di me, facendomi desiderare di morire. Morire...non so perché. E' tanta la malinconia, tanto il dolore per la vita...la vita in sè...nel suo scorrere perso...nel suo mistero...che mi dà pena....e solitudine...e rabbia..amarissima rabbia...

Parla con voce infantile .

ALFIERI DA GIOVINETTO - "Oh! mi han detto che nel prato di sicuro fra l'erba cresce la cicuta che avvelena...".

Alfieri Giovinetto si getta a terra e strappa con le mani e con la bocca l'erba che spunta sul terreno. Mastica con furia. Vomita.

ALFIERI DA GIOVINETTO - "Ah! Non è cicuta! Sarei già morto e invece... che mal di pancia!...".

Alfieri Giovinetto si contorce a terra in preda agli spasimi.

VOCE DELLA MADRE - Questo bambino ci farà morire di spaventi! A letto e purgato! Per tre giorni chiuso in camera in castigo!

Alfieri Giovinetto canterella un'aria d'opera melanconica.

ALFIERI - ( sussurrando) Malinconia perché sei tu mia inseparabile compagna?

Il sipario si richiude, tirato da Alvise e Corallina.

SCENA XVII
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Musica d'opera. In un palco, una bella signora e un gentiluomo assistono allo spettacolo, di cui si sentono la musica ed il canto.
Alfieri si rivolge a Goldoni.

ALFIERI - Ancora rabbrividisco al furore di quella passione. E sono già nel gelo della mia maturità. Ero a Londra. E lei... una signora bellissima. La vedevo nel suo palco, al Teatro dell'Opera Italiana....

La Lady lancia un'occhiata di fuoco ad Alfieri fuori scena. E' un incontro fra vita rivissuta e teatralizzata e realtà presente.
Alfieri rivolge sottovoce i suoi commenti a Goldoni, ma al tempo stesso flirta con la Lady.

In casa sua non ci andavo. Le signore inglesi non ricevevano visite, e meno che mai visite di stranieri.

La Lady gli fa un eloquente cenno con la mano.
Il marito scruta la moglie, che prolunga il gesto facendogli una carezza. Rassicurato, il marito si concentra di nuovo sullo spettacolo
La Lady fa diventare il gesto un invito chiarissimo ad Alfieri.

ALFIERI - Il marito ne era gelosissimo, per quanto possa esserlo uno di quelle parti...

La musica sale mentre il palco. scompare nel buio.

Questi ostacoletti mi accendevano sempre di più.

Alfieri sale sul palcoscenico dove riappare la Lady che va girandogli intorno. Alfieri ora si rivolge a Goldoni, ora dialoga con lei.

La incontravo ogni mattina all'Hyde-park e ogni sera in quelle affollate veglie, o al teatro....e la cosa si andava sempre più restringendo.

La Lady si spoglia e lo accerchia con passione. Alfieri la asseconda.

LADY - Oh! My beautiful horse! My love my passion my hurricane!...

ALFIERI - Mi chiamava cavallo! Io ne ero eccitato! Ma non erano le frasi a contare, era il turbine della passione, l'hurricane, l'uragano!...

La Lady gli dà un bacio appassionato e se ne va.

ALFIERI - Ero felicissimo d'essere riamato, però ero anche infelicissimo, perché non vedevo il modo di poter continuare tra noi con sicurezza.
E mi si era talmente inferocito l'animo, che procedevo nello stare con lei come chi non ha oramai più nulla da perdere.
Volavano i giorni, volavano i mesi... e lei sarebbe andata in campagna, per l'estate...

La Lady gli torna accanto.

LADY - ... at the country... my love!...

Lo abbraccia sussurrandogli qualcosa all'orecchio, poi se ne va ridendo.

ALFIERI - In campagna da lei, mentre il marito doveva stare a Londra per la rivista delle truppe! Ho sempre odiato l'esercito e le guerre! Ma mi ricredo, per merito delle truppe potrò andare dalla mia adorata! Contavo i giorni, le ore che mi separavano dall'incontro. E vivevo in un continuo delirio, chi non l'ha provato non può esprimerlo, nè crederlo.

Si agita in modo forsennato menando colpi con la frusta di qua e di là.

Ah! Voglio morire! Non passeranno mai queste giornate?!
A cavallo, a cavallo! per calmare questa orribile attesa...

Si aggira per la scena scalpitando.
Entra un Abate dall'aria maliziosa e sorridente.

ALFIERI - ( a Goldoni, con stupore) - Oh, un Abate? Io non lo conosco!

GOLDONI - Perché a suo tempo gli racconterete com'è andata questa storia. L'Abate conterà molto per voi, specie dopo la perdita di Francesco Gori. Lo conoscerete fra qualche anno, adesso non preoccupatevene.

ABATE ( a Goldoni, confidenzialmente) - Gli andò male. Malissimo!

Se ne va ridacchiando. E' una magica evocazione di Goldoni, che quando Alfieri conoscerà l'Abate - nel 1798 - sarà morto da più di cinque anni.
Alfieri rotola a terra come sbalzato da cavallo. Si rialza gemendo.

ALFIERI - Ahi! La spalla...il braccio...I cavalli sono la mia rovina!

La voce carezzevole della Lady echeggia nell'aria.

VOCE DELLA LADY - Ti aspetto questa sera, my love...Dalla porta del giardino...

ALFIERI ( gemendo) - Come farò?

Cerca di muovere il braccio, ma desiste subito.

Non è soltanto per il dolore. Abbracciarla, sarà difficile...

Si rivolge a Goldoni.

Un chirurgo mi straziò per parecchio, perché avevo ossa e ossetti rotti e fuori posto. La sera, comunque, partii per raggiungere la Lady. La porta del giardino era chiusa, con fatica scavalcai il muretto. E con ancora maggior fatica mi presi quel piacere a cui in altri momenti avevo tanto anelato. Poi tornai a Londra. Il braccio mi faceva sempre più male, il chirurgo me lo fascia ancor più stretto. Quasi per sfida vado all'opera, nel palco dei miei amici. Quand'ecco, mi pare di sentir pronunziare il mio nome, dal corridoio. Balzo alla porta. Era il marito della Lady. Senza parlare usciamo dal teatro. Arriviamo a un bosco. Si comincia il duello. Lui si accorge del mio braccio al collo. Ha la generosità di domandarmi se questo non m'impedisce di battermi. Rispondo ringraziando che speravo di no. Io sono sempre stato un pessimo schermidore, ma mi ci butto dentro come un disperato. Quello ad un certo punto mi ferisce al braccio destro, si dichiara soddisfatto, se ne va. Sulla ferita sanguinante io mi avvoltolo alla peggio un fazzoletto e come niente fosse me ne torno a teatro. E la Lady? Forse si è rifugiata a casa di una sua cognata che in varie occasioni ci aveva ospitato in segreto. Vado e la trovo, in lacrime, spaurita. La rassicuro, la coccolo, io la sposerò. Ma lei nega, con ostinazione. Perché?, le chiedo, se ti do la mia parola, ti sposo! Allora tra lacrime e sospiri la Lady è costretta a rivelarmi che il jockey - il palafreniere delle sue carrozze - ha spiato i nostri incontri: è stato lui a denunciarli a suo marito. Ma perché mai?, perché lo ha fatto?, proprio non capisco! Perché è stato il mio amante, lei mi confessa finalmente singhiozzando: pazzo di gelosia ha voluto vendicarsi! Oh Dio, mi sento morire! Ma perché dirmi tal cosa?, meglio era uccidermi. Il perché lo capisco il giorno dopo, quando su uno dei tanti giornali che si pubblicano a Londra leggo l'intera mia storia, con nome, cognome e ogni dettaglio: il perfido jockey aveva raccontato tutto a un gazzettiere! Caricai quella donna di invettive, proclamai di non vederla mai più. Fuggii da lei, ma ebbi poi la vile debolezza di ritornarvi poche ore dopo il giuramento.

La Lady riappare lanciando gemiti e gridolini.

LADY - Oh! my lord my love my destiny....

ALFIERI - E tornato da lei, mi ci trattenni tutto quel giorno; e vi tornai il seguente, e più altri...

LADY - Oh dont desert me!....

ALFIERI - ...e poi l'accompagnai nel viaggio che aveva intrapreso per raggiungere la Francia...

LADY - My life my god!...

ALFIERI - ...e si errò per varie province d'Inghilterra per prolungare di stare assieme, fremendo io e bestemmiando, eppure non potendomene a nessun conto separare. Colto finalmente un istante in cui poté più la vergogna e lo sdegno che l'amore, finalmente la lasciai al suo destino.

ALFIERI - Ora basta davvero! Adieu milady!

La Lady con un grido acutissimo se ne va.

SCENA XVIII
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GOLDONI - Alla fine vi siete reso conto della vostra incostanza. In un'altra occasione l'avete superata, perché ne eravate divenuto consapevole.

Sul palcoscenico appare Corallina con la rossa coda recisa dei capelli di Alfieri, la mostra, la fa volteggiare. Entra Arlecchino con una sedia a braccioli, da cui pendono delle corde; vi si siede e Corallina lo lega alla sedia, poi gli passa davanti con mosse seduttive, Arlecchino cerca di liberarsi, emette dei lamenti lanciandole sguardi; appassionati, ma rimane seduto costrettovi dalle corde. Poi Corallina slega Arlecchino e getta i lacci ad Alfieri. I due se ne vanno con salti, capriole e risate.

GOLDONI - Gli attori vogliono ricordarvi qualche cosa...

ALFIERI - La Dama torinese... un altro indegno intoppo amoroso.

GOLDONI - Una storia che ha contato molto per come alla fine vi avete reagito...

ALFIERI - E' stata una storia davvero salutare. Avevo deciso di prender casa a Torino. All'Accademia avevo passato otto anni di ineducazione: poco studio, molta presunzione, letture casuali e nessunissima pratica d'italiano, perchè non si parlava che francese. Me n'ero poi andato girovagando per più di cinque anni per l'Europa, e così mi si erano un po' allargate le idee. Per distrarmi dall'ambiente oppressivo della nobiltà cittadina avevo messo insieme un gruppo di giovani di varia estrazione sociale - una sorta di repubblica - e ci si trovava tutti quanti a conversare e a far baldoria. Spesso ci mettevamo a scrivere, così, per gioco, dei piccoli componimenti, che poi si gettavan dentro una cassetta, senza nomi o indicazioni; poi venivano estratti, se ne indovinava l'autore, si discutevano i temi, e spesse volte ne venivan fuori degli scritti divertenti e bizzarri. Allora cominciavo appena a gettar giù le mie idee, e per me digiuno di scrittura era senz'altro un ottimo esercizio.

Dal fondo la Dama Torinese appare dietro una mascherina.

DAMA TORINESE - Bel fieul!...

ALFIERI - Ma il profilarsi di una signora neppur tanto bella allontanò divertimenti e amici, tralasciai perfino gli adorati cavalli! Quella donna abitava di fronte alle mie finestre, sulla piazza San Carlo. Mi lusingava offrendomisi senza pudore, pretendeva da me ogni attenzione, l'intero mio tempo, ne ero schiavo! Mi ammalai. Non potevo prendere nessunissimo nutrimento o bevanda, perché all'avvicinarsi di qualunque cosa era tale lo scatto cagionato dai sussulti nervosi che nessuna forza valeva a impedirli. La rabbia, la vergogna e il dolore in cui mi faceva vivere quell'indegno amore avevano cagionato la mia malattia. Finalmente guarii, ma continuavo a strascinarmi nell'ozio, nella noia e nell'irritazione. Dalla mattina alle otto fino alla sera a mezzanotte eternamente ero con lei, scontento di esserci, e non potendo pure non esserci. Bizzarro e tormentosissimo stato, in cui rimasi per quasi due anni. Finalmente fu la Dama ad ammalarsi. Io le stavo fedelmente a piè del letto, dal mattino alla sera. Finchè un giorno, mosso dal tedio, cominciai per caso, e senza avere nessun piano, a scribacchiare una scena di una non so come chiamarla, se tragedia o commedia, se d'un sol atto, o di cinque, o di dieci. Ma insomma, delle parole a guisa di dialogo, e a guisa di versi, su Cleopatra. E nessun'altra ragione in quel primo istante ch'io cominciai a imbrattar quei fogli mi indusse a far parlare Cleopatra, fuorchè l'esser io abituato da anni a veder nell'anticamera di quella Signora dei bellissimi arazzi, che rappresentavano vari fatti di Cleopatra. Dimenticai quei fogli sotto il cuscino di una poltroncina, e per parecchio tempo non ci pensai più, preso dall'ossessione di quella donna che nel frattempo si era risanata e continuava a tormentarmi e a tenermi prigioniero. Finchè il bollore della mia compressa rabbia giunse all'estremo e scoppiò. Promisi a me stesso di non muovermi più da casa mia. Giurai di vedere e guardare ogni giorno le sue finestre, di vederla passare, e con tutto ciò di non cedere ormai a nulla, e a vedere se ci creperei, il che poco mi importava, o se alla fin fine la vincerei. Mandai ad un amico un bigliettino in cui gli dicevo della mia risoluzione, per obbligarmi alla promessa. Gli mandai anche un involtone della lunga e ricca treccia dei miei rossissimi capelli, come un pegno di questo mio subitaneo partito, ed un impedimento quasi invincibile a mostrarmi in nessun luogo così tosato, non essendo allora tollerato un tale assetto, fuorchè nei villani e nei marinai. Mi feci legare alla seggiola...Soltanto Elia, che mi legava, era a parte di questo segreto...

Va a sedere sulla seggiola, armeggia con i lacci ai braccioli.
Goldoni si allontana cautamente fino a scomparire.

Stavano i miei legami nascosti sotto il mantellone in cui mi avviluppavo. Avevo libere le mani per leggere, o scrivere, o picchiarmi la testa. Chiunque veniva a vedermi non s'accorgeva affatto ch'io fossi attaccato con la persona alla seggiola. Proibiti tutti i messaggi, urlando e ruggendo, passai i primi giorni di questa mia strana liberazione. Finchè ad un tratto un'idea cominciò finalmente a liberarmi la mente e il cuore da quell'unico e spiacevole e prosciugante pensiero di un sì fatto amore.

Alfieri si alza dalla seggiola, ispirato.

Cominciai così fra me stesso a fantasticare se non sarei stato forse ancora in tempo di darmi allo scrivere...

SCENA XIX
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Una musica da banda, a tratti; qualche parola di "Fratelli d"Italia".
In un turbine di fogli scritti che scendono dall'alto, avanza in palcoscenico un giovinetto in abiti primi Novecento. E' Piero Gobetti.

PIERO GOBETTI - Sono Piero Gobetti. Ciò che hai scritto io lo conosco. E conosco anche quello che scriverai, e i tuoi pensieri, le ansie, gli ideali. Perché vengo a te dal futuro.

ALFIERI - (imperturbabile, elegante) Piemonteis, lo avverto dall'accento. Come me. Se sei nel futuro, che tu sia il benvenuto. Mi conforta l'idea che qualcuno attingerà ai miei scritti.

PIERO GOBETTI - Tu non lo immagini, depresso come ti han ridotto le circostanze. Ma sei il primo uomo nuovo dei nostri tempi.

ALFIERI - E' difficile farsi intendere nella mia epoca. Spesso mi tocca usare uno stile arcaico, toni eroici, romanticherie...

PIERO GOBETTI - La tua genuina atmosfera storica non è nel rigido ambiente tradizionale italiano, ma nel fervore spirituale europeo che con la libera critica prepara il culto dell'individualismo e le lotte per la libertà.

ALFIERI - Non capisco bene queste tue frasi, ma dal tono convinto con cui le pronunci son certo che dici cose che dovrebbero addolcirmi il momento tragico in cui vivo.

GOBETTI - Non tormentarti. Alle generazioni che verranno dopo di te hai lasciato un esempio di resistenza intellettuale attiva contro le oppressioni politiche, l'esempio più generoso che un uomo potesse incarnare. Tra te e me ci sono più di cento anni: è dovuto passare tutto questo tempo perchè il tuo pensiero fosse capito: per noi tu rappresenti la morale intransigente dell'uomo libero in tempo di schiavitù.

ALFIERI - Libero, ma sempre così solo...

PIERO GOBETTI - Solo ma non vinto, per il fatto stesso di sentirti spiritualmente più alto del tiranno.

ALFIERI - Il tiranno è un uomo superiore. Ma la sua arma è la violenza.

PIERO GOBETTI - Tu gli opponi lo scrittore, vendicatore di libertà. La tua volontà di combattere non può anticipare i risultati.

Gobetti usa il tono del riferimento, per le frasi di Alfieri.

L'Italia non sarà libera senza..."i bollenti animi che, spinti da impulso naturale, cercano gloria nelle altissime imprese". , senza la "giusta e nobile ira dei drittamente inferociti e illuminati popoli".

ALFIERI - Sono i miei pensieri...le mie frasi...

GOBETTI - E più che mai io concordo con te. Lotta di libertà contro tirannide: lotta religiosa. Qui l'etica è alla base della politica. Non si è uomini se non si è liberi, io mi sono battuto fino alla morte per affermarlo. La libertà di politica in cui tu credi non si consegue per mezzo delle riforme o attraverso l'utilitarismo dei moderati e dei filantropi; la tua libertà di politica nasce dalla libertà interiore, intesa come forte sentire, tu lo hai scritto più e più volte.

ALFIERI - Per me scrivere è lo stesso che pensare, e pensare è agire.

PIERO GOBETTI - Sapere per te è inventare, creare. E creare non si può senza libertà.

ALFIERI - Per la libertà ho rinunciato ai miei privilegi.

PIERO GOBETTI - Con questa libertà insegni agli altri ciò che "purtroppo" non puoi realizzare. Sei un entusiasta della disperazione.

ALFIERI - Per forza, a un certo punto, alla schiavitù universale deve sottentrare una quasi universale libertà.

PIERO GOBETTI - Questo è il centro vero del tuo pensiero. Dovrai ancora svilupparlo, negli anni. Ma io ne prevedo già l'itinerario. E' il tuo concetto di volontà che ti darà diritto d'inserirti nella storia europea del pensiero della libertà. Non è la tua volontà a contare, ma la tua volontà di volere.

ALFIERI - E' il mio pessimismo a muovermi.

PIERO GOBETTI - Tu stesso l'hai capito. Francesco Gori era qui, con te, poco fa. Lui appartiene al passato, io appartengo al futuro. Tutti e due riponiamo in te ogni speranza. Come prima hai ascoltato il tuo amico di Siena, adesso ascolta me. Francesco "non agiva" perché non aveva fede. Tu "agisci" perché non hai una fede. L'ideale per te non ti illumina dall'esterno, non rimane in alto, inafferrabile. Per te l'ideale sorge dall'azione. Sta nella disperazione stessa con cui, accettando l'ineluttabile coscientemente, rinunciando ad ogni illusione e ad ogni falsità, ritrovi il criterio della virtù e del disinteresse della solitudine.

ALFIERI - Tu stai suggerendo parole ai miei pensieri, dai forma ai desideri che ancora non ho osato esprimere.

PIERO GOBETTI - E intuisco l'amarezza che stai provando in questi giorni. La rivoluzione che dilaga a Parigi e in tutta la Francia ti delude, ti irrita.

ALFIERI - Non era così che pensavo il rovesciamento della tirannide.

PIERO GOBETTI - Anche la libertà deve avere la sua classe politica. Io la penserò come te. Questa classe politica deve essere strumento e guida alla volontà popolare.

ALFIERI - Io sono convinto che una volontà di redenzione liberale sorgerà nel popolo per opera stessa delle condizioni intollerabili che la tirannide avrà determinato. Non contano le formule, ma le cose, realisticamente, nella loro lotta dinamica.

PIERO GOBETTI - Sono le tue idee, e le mie parole. Noi siamo fratelli.

ALFIERI - Di me tu conosci più che non sappia io stesso.

PIERO GOBETTI - So anche perché ti brucia che sia la Francia a realizzare la rivoluzione.

ALFIERI - Doveva essere l'Italia ad esercitare questa funzione, non credi?

PIERO GOBETTI - L'Italia, che ha sempre racchiuso in se stessa numerose repubbliche.

ALFIERI - E queste repubbliche, pur lontane da un ideale di libertà, avranno pur sempre insegnato agli Italiani che esistere si può senza dei re. Da questa riflessione il popolo può insorgere.

PIERO GOBETTI - In questo rifiuto della rivoluzione francese c'è una tua tragedia personale. Tu hai capito che in questi moti si rivela e si afferma obbiettivamente, con chiarezza e ampiezza europea, l'immaturità dell'Italia alla funzione storica che tu sognavi per lei.

ALFIERI - L'Italia si è dimostrata incapace di dominare e di precorrere lo sviluppo mondiale, e così si trova condannata, anche come nazione, a non poter trovare la sua armonia interna e la peculiarità della sua iniziativa rivoluzionaria.

PIERO GOBETTI - Di conseguenza anche l'unità d'Italia dovrà nascere da un artificio, da un'imitazione. Così ti tocca combattere contro te stesso. Le idee che sono il tuo stesso sangue te le vedi davanti diventate un ostacolo insuperabile. Per questo non avrai la forza per una nuova riaffermazione personale. Ti isolerai nella solitudine. Non più a te ma alle nuove generazioni il compito da realizzare.

ALFIERI - Sarai tu, a realizzarlo?

PIERO GOBETTI- Quando avrò quasi la metà dei tuoi anni, la tirannide mi avrà già ucciso.

ALFIERI - Tu nascerai nel futuro e sei già passato?

PIERO GOBETTI - E' così, ma nonostante il tempo breve, nei miei scritti ho lasciato la mia fervida idea di libertà. E quindi scrivi, mio adorabile fratello. Scrivi anche per me, raccoglierò il tuo richiamo, lo tradurrò in parole comprensibili agli uomini del mio tempo. Nelle tue tragedie non esistono personaggi della vita quotidiana, ma modelli di azione, e l'azione indica la genesi della volontà, la lotta interiore. Questo è il tuo compito.

Raccoglie i fogli sparsi a terra.

ALFIERI - Eppure dovrò anche vivere. Con amori, amicizie, occupazioni quotidiane...

PIERO GOBETTI - Vivrai, non temere. Conoscerai gioie, successi, fama, l'affetto della tua donna. Ma saranno i tuoi scritti a far sopravvivere le tue idee, e queste idee, nel tempo, daranno impulso all'azione. Rallegrati per questa eredità che lascerai. Te lo dice Piero Gobetti.

ALFIERI - Oh come avrei voluto averti accanto...

Piero Gobetti gli indica i fogli che tiene fra le mani.

PIERO GOBETTI - "L'uomo Alfieri", è il saggio che ho scritto su di te nel 1922, la mia tesi di laurea...

Gli fa un cenno di saluto e se ne va.

SCENA XX
_________

Un nitrire di cavalli. Alfieri si volta. La tenda di velluto torna a chiudersi davanti al finestrone, da cui traspare una vaga luce di alba.
Goldoni si avvicina ad Alfieri con il manoscritto della "Vita" fra le mani.

GOLDONI - Caro amico, siete rimasto alzato tutta la notte?

ALFIERI - Eravate con me...nel teatrino...

Fa scorrere la tenda Appare il finestrone. Rumori della città.

Una finestra?!

GOLDONI - Che cosa ci trovate di strano?

ALFIERI - Le scene della mia vita...

GOLDONI - La vostra vita l'ho letta per buona parte della notte. Un gran lavoro. Schietto. Sincero. Potrei ricavarne parecchie commedie.

ALFIERI - Stanotte qualche scena me l'avete mostrata...

Goldoni lo guarda con aria interrogativa.

GOLDONI - Qualche scena?!

ALFIERI - E allora ho sognato, sì, ho sognato. Mi sembrava tutto vero.

GOLDONI - Avete sognato, certamente. Ma stanotte, leggendovi, vi ho seguito negli anni. Mi avete impressionato.

Gli porge il manoscritto.Alfieri lo prende e lo mette nella borsa.

E' da qui che dovete ripartire, per scrivere. Avete idee coraggiose, e giuste, sulla libertà, sul concetto di nazione... sugli uomini. Mi avete fatto immaginare il mondo che ancora non c'è, io non riuscirò a vederlo... e voi, quel mondo lo anticipate.

Alfieri si scuote cercando di riprendere contatto con la realtà.

ALFIERI - E' stata una notte davvero importante, per me.

SCENA XXI
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Nitriti di cavalli. Elia si affaccia dalla porta sventolando i passaporti.

ELIA - I passaporti! Ce l'ho fatta!

ALFIERI - Nessuno resiste davanti a Elia!

ELIA - Con un po' di denaro si convince chiunque. Saremo gli ultimi a partire. Non si danno più permessi, da oggi in poi.

Porge i passaporti ad Alfieri.

La Francia è senza il re e per ora non c'è nessuno al posto suo.

Alfieri apre i passaporti, li esamina.

ALFIERI - Oh! Non c'è più il nome di Luigi XVI, è cancellato!

ELIA - Ma ci sono i nostri ritratti, guardate! e c'è la firma del governatore. Le carrozze stanno fuori, ho già caricato i bagagli. Si può partire quando volete.

Elia esce. Entra Alvise con un piccolo lavabo. Catte lo segue reggendo un asciugamano. Alfieri guarda i due servitori con meraviglia.

ALFIERI - Alvise...Catte...

ALVISE - Comandi!

CATTE - Paròn?

ALFIERI - Niente...

Si sciacqua le mani ed il viso, si asciuga nel lino che Catte gli porge.
I due servitori se ne vanno portando via lavabo e asciugamano.
Entra Luisa accompagnata da Nicoletta con il vassoio della colazione.

NICOLETTA - Ecco la colazione!

LUISA - Vittorio, sei rimasto tutta la notte a meditare? Ti ammalerai...ma io ti curerò.

Lo bacia, con delicatezza. Lui ricambia con atteggiamento adorante.

ALFIERI - Luisa, se non ci fossi tu, non varrebbe neanche la pena di vivere.

LUISA - Su su, Le carrozze ci aspettano.

Mentre parlano, bevono il caffè e la cioccolata.

ALFIERI - E' davvero stupefacente che io debba rifugiarmi in Italia per trovare un luogo dove vivere liberamente...

GOLDONI - Noi abbiamo tentato di fare qualche cosa, al resto penseranno i nostri nipoti.

Le signore si abbracciano, Alfieri e Goldoni si stringono la mano, Ognuno bacia la mano della moglie dell'altro.

LUISA - Venite a trovarci. A Firenze.

GOLDONI - Se non verremo noi, verrano le mie commedie.

Il grande sipario di velluto rosso si richiude, guidato da Goldoni che vi si sporge salutando. Alfieri e Luisa rimangono in proscenio.

SCENA XXII
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A ribalta Elia guida la carrozza carica di bagagli, su cui sale Luisa.
Alfieri rimane a terra, con i passaporti. Un soldato controlla i passaporti e fa segno di andare. Irrompono dei popolani scatenati e urlanti.

POPOLANI - Fermatevi!
- Vigliacchi scappate!
- Portate via le nostre ricchezze!
- Contro i ricchi!
- Contro i nobili!

Uno scalmanato ferma gli altri si avvicina ad Alfieri.

SCALMANATO - A noi la fame! A noi la miseria! E voi, scappate, con tutte le ricchezze della Francia!

ALFIERI - Noi non siamo francesi!

SCALMANATO - Allora perché parlate come noi?

ALFIERI - Perché ho imparato. Ma noi, siamo italiani. Italiens!, avez vous compri?

SCALMANATO - Dimostratelo!

ALFIERI - Ecco, guardate, i nostri passaporti!

Va via via confrontando il viso con l'immagine dipinta sul passaporto e al contempo mostrandola allo scalmanato.

Vedete, sentite! Questa faccia qua, dipinta sul passaporto, è la mia! Alfieri è il mio nome, italiano e non francese. Grande, magro, sbiancato, capelli rossi: sono io, guardatemi, e son sul passaporto! E anche lui, è uguale alla figura che sta dipinta lì, e anche lei, guardate... confrontate...leggete se sapete leggere! E il passaporto l'abbiamo avuto in regola da chi lo può dare; e vogliamo passare, e passeremo, per Dio!

Lo scalmanato non si dà per vinto. Gli altri lo assecondano con urla.

SCALMANATO - Diamo fuoco alle carrozze!
- Pigliamoli a sassate!
- Son dei nobili son dei ricchi!
- Facciamone giustizia!

Alfieri si stacca dal gruppo che continua a gridare minaccioso.

ALFIERI - Quell'assedio durò più di mezz'ora. Ma io schiamazzavo più di loro. Con voce da banditore replicavo ad ogni minaccia...

Torna al gruppo, riprendendo a gridare.

Siamo italiani, e i passaporti li abbiamo avuti da chi poteva darli!
Guardatemi! Grande, magro, sbiancato...c'è scritto tutto qui! qui! sul passaporto... Capelli rossi, son io quello, guardatemi!

Di nuovo verso il pubblico.

Dopo un bel po' si stancarono e la loro insistenza rallentò. Io ero riuscito a schiamazzar più di loro, mezzo col quale sempre si viene a capo dei Francesi.

La carrozza se ne va, guidata da Elia.

EPILOGO
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Alfieri si rivolge al pubblico.

ALFIERI - Finalmente ce ne andammo a Firenze. E già soltanto il sentir parlare quella lingua così bella e per me così preziosa mi rallegrò infinitamente il cuore. Trovavo poi gente che mi andava parlando delle mie tragedie, le vedevo qua e là, anche se male, recitate. Così ricominciai a scrivere. Molto delle nostre rendite si era perduto in Francia. Ma ci rimaneva da campare decentemente. Io l'amavo sempre più, la mia donna, come cosa carissima e sacra. E il mio animo si andava acquetando, e più ardente che mai l'amore del sapere mi ribolliva nella mente. Ma...non avevo più i miei libri. Quasi tutti erano rimasti a Parigi, e mai più li avrei rivisti...I libri...li avrei dovuti ricomprare, a poco a poco. Non potevo scrivere senza i miei libri. Questa mancanza mi fece entrare in un nuovo perditempo. Recitare!

Si apre il sipario. Gli attori sono in scena, con il copione in mano.
Alfieri batte le mani. Gli attori volteggiano turbinosamente. Ognuno ripete una battuta, dapprima sottovoce, poi sempre più a voce alta.
Alfieri batte le mani. Gli attori si fermano di colpo, ciascuno nella posizione in cui si trovava.
La luce si fa abbagliante, poi di colpo è buio.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

- Vittorio Alfieri, Opere, introduz. e scelta di Giovanni Getto, Mursia, Milano, 1965.

-Vittorio Alfieri, Vita, Introduz. e note a cura di Giulio Cattaneo, Garzanti, Mi. 1996.

- Vittorio Alfieri, Il Misogallo, prose e rime, Londra, 1799.

- Vittorio Alfieri, Della tirannide, di V. Alfieri da Asti, Casa Alfieri, Asti, 1951.

- Vittorio Alfieri, Scritti politici e morali,a cura di P. Cazzani,Casa d'Alfieri,Asti,1966

- Vittorio Alfieri, Le mosche e l'api, favoletta, Casa d'Alfieri, Asti.

- Vittorio Alfieri, Parigi sbastigliato, ode, Casa d'Alfieri, Asti.

- Vittorio Alfieri, Lettere a vari personaggi, Biblioteca del Burcardo, Roma.

-Vittorio Alfieri, Epistolario, a cura di Lanfranco Caretti, Asti, Casa d'Alfieri, 1963.

- Lettera di Ranieri de' Calsabigi all'Autore sulle quattro sue prime tragedie, Biblioteca del Burcardo, Roma.

-Comentarj sulle tragedie di Vittorio Alfieri da Asti: Lettera del conte Alessandro Pepoli al signor Consigliere Calsabigi sulla di lui lettera al signor conte Alfieri, e alle quattro di lui tragedie diretta, Dai torchi del Majno, Piacenza, 811.
Risposta dell'Autore, Biblioteca del Burcardo, Roma.

- Vittorio Alfieri, Opere, i volumi della Casa d'Alfieri, Asti, dal 1951 ad oggi.

- Ida Martines, La donna nella vita e nelle opere di Vittorio Alfieri, Messina, 1910.

- A.Paglicci Brozzi, V. Alfieri e la Contessa d'Albany, Biblioteca del Burcardo, Roma.

- V. De Cesco, Vittorio Alfieri e Carlo Goldoni, Biblioteca del Burcardo, Roma.

- C. Milanesi, Vittorio Alfieri in Siena, Biblioteca del Burcardo, Roma.

- G. Mazzatinti, Lettere edite e inedite di V. Alfieri, Biblioteca del Burcardo, Roma.

- A. Cappelli, Lettere inedite di Vittorio Alfieri, Biblioteca del Burcardo, Roma.

- Le Monnier, 25 lettere di Vittorio Alfieri, Biblioteca del Burcardo, Roma.

- Walter Binni, Saggi alfieriani, Editori Riuniti, 1981.

- Piero Gobetti, L'uomo Alfieri, Universale Economica, Milano, 1950.

- Vittore Branca, Alfieri e la ricerca dello stile, Zanichelli editore, Bologna.

- a cura di G.C. Sciolla, V. Alfieri - ritratti incisi, Ediz. dell'Orso, Asti, 1999.

- Carla Forno, L'incisione in scena, tragedie di Vittorio Alfieri illustrate da Guido Gonin, Ordine dei Cavalieri delle Terre di Asti e del Monferrato, Asti, 1999.
- Aris D'Anelli, La malinconia del signor Conte, D. Piazza ed. , 1999.