Confiteor
Agostino, novem confessiones

INDICE
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- Prologus – CONTRA BELLUM

- Prima confessio - L'OGGI DI DIO

- Secunda confessio - L'INFANZIA NON E' BUONA

- Tertia confessio - IL GUSTO DEL MALE

- Quarta confessio - TARDI TI HO AMATO

- Quinta confessio - LUI CI HA FATTO

- Sexta confessio - TU, DIO, TE LA RIDEVI

- Septima confessio – LA MADRE IN SOGNO

- Octava confessio – CRISTO E’ IL FONDAMENTO

- Nona confessio – DOVETE AVER FIDUCIA

Prologus – Contra bellum

AGOSTINO arriva dal fondo del Duomo, con delle carte in mano.
Mentre cammina andando verso l’altare, si rivolge alla gente seduta ai lati dello spazio che va percorrendo.

AGOSTINO –

Il mondo è travolto dalle guerre...
Anche se sono ancora lontane da noi.
E questo amico, un generale dell’esercito,
mi ha chiesto un consiglio...
Posso tentare soltanto
di mandargli queste mie fragili parole..
Ma chissà se riuscirà a leggerle...
Ci sono state riferite cose orrende... Stragi...
Violenze... E torture... E distruzione...
Su queste notizie ho pianto, non potendo far altro,
tranne che pregare... Dolore e morte...
E l’amore di Dio... dimenticato.
Noi qui... ancora nella calma. Per quanto, non lo so.
Ho visto nascere questo nuovo giorno, l’ho visto
in pace, consumarsi. Grazie, mio Dio,
per questo dono.

Arrivato all’altare, siede su uno scranno. Legge un foglio.

 

 

Prima confessio - L'OGGI DI DIO

Agostino legge le pagine trovate sullo scranno. Come una verifica a quanto è andato scrivendo e che è giunto fino a noi.

AGOSTINO -

Da molto tempo è morta la mia infanzia.
E io continuo a vivere. Tu invece,
Dio, sei vivo sempre e niente muore in te.

Dimmi allora, ti supplico: prima dell'infanzia,
avevo un'altra vita? Sì, quella nel grembo
di mia madre. Ma prima, ero in qualche luogo?
Ero qualcuno? Nessuno può darmi una risposta,
neanche la memoria. Soltanto tu stai sopra queste cose.
Tu non muti, i tuoi anni sono l'oggi.

Quanti giorni, nostri e dei nostri padri,
sono passati attraverso questo tuo "oggi"
e ogni volta ne hanno ricevuto la misura e l'esistenza!
Altri ancora passeranno
e ne riceveranno misura ed esistenza...

Tu invece sei sempre te stesso
e tutte le opere di domani e tutte quelle del poi,
e di ieri e ancora più indietro, tu le farai oggi,
oggi tu le hai fatte. Che m'importa se qualcuno
non capisce? Si rallegri anche lui e dica:
"Ma che cos'è questo ?". Si rallegri anche così
e sia contento, non trovandoti, di trovarti
piuttosto che, trovandoti, di non trovarti...

La luce del volto di Dio è impressa in tutti noi.
Diventiamo luce noi stessi: noi,
che prima eravamo tenebre.

Secunda confessio - L'INFANZIA NON E' BUONA

AGOSTINO -

Chi può richiamarmi alla memoria
le colpe della mia infanzia? Perché di fronte a te,
mio Dio, nessuno è puro dal peccato,
neanche il bambino che ha solo un giorno di vita sulla terra.

Chi può ricordarmi quelle colpe?
Perché piangendo reclamavo con vera bramosia
i seni gonfi di latte? Se adesso lo facessi
- non per i seni e il latte, ma pretendendo in questo modo
il cibo adatto alla mia età -, ne sarei deriso giustamente
e mi farebbero rimprovero. Anche allora
meritava rimprovero quello che facevo; ma io
non ero in grado di capirlo
e consuetudine e ragione non permettevano
che venissi punito. A causa dell'età
erano giusti quei comportamenti: che chiedessi col pianto
ciò che era dannoso mi accordassero; che mi adirassi
con violenza se non si piegavano a fare quello che volevo
persone importanti e mature, e i miei stessi genitori.

Facevo poi del male a chi con più giudizio mi ubbidiva:
lo colpivo come potevo se non eseguiva quei comandi
che alla fine non si ritorcevano che a mio danno.

Innocente è la fragilità delle membra infantili,
non l'animo dei bambini. Ho visto e osservato
un lattante invidioso: non parlava ancora
e guardava pallido di rabbia il suio compagno
come lui bisognoso di quel latte. Chi
non conosce queste cose? Di fronte all'abbondanza
di una fonte di latte che sgorga copioso,
è innocenza che un bambino non tolleri
un altro che come lui ne ha bisogno per vivere?

Non ricordo di aver vissuto quel periodo,
ma ne ho la certezza perché altri me lo dicono
e perché oggi lo arguisco dai bambini,
e mi riesce doloroso considerarlo come una parte della vita
che sto vivendo in questo mondo. Ma se è così,
quando, mio Dio, quando, Signore, io, tuo servo,
e in che luogo sono stato innocente?

Tertia confessio - IL GUSTO DEL MALE

 

AGOSTINO -

Quand'ero ragazzo, i ragazzi della mia età
si vantavano di ogni sorta di azioni malvage.
Io mi vergognavo di essere meno depravato di loro;
e più erano brutte le cose che facevano,
più se ne vantavano. Io godevo di fare del male
non solo per il gusto del male, ma volendone anche
la lode; perché non mi disprezzassero,
mi dimostravo ancora più malvagio: se
non avevo fatto niente che mi mettesse alla pari
con quei disgraziati, inventavo!: colpe non commesse,
per non sembrar da meno in quanto più innocente.

Con questa gente me ne andavo in giro,
rotolandomi nel fango come fra lenzuola profumate;
un nemico invisibile incombeva su di me,
seducendomi facilmente, perché ero io
a voler essere sedotto. E un giorno
ho voluto commettere un furto. L'ho fatto
non costretto dal bisogno, ma per insofferenza
del senso di giustizia, perché mi rimpinzavo
di malvagità. Ho rubato infatti cose
di cui avevo in abbondanza e molto migliori;
non volevo godere di quanto mi veniva dal furto,
ma godere proprio del furto e del peccato.

Vicino alla vigna di mio padre si alzava un pero
carico di frutti; ma quei frutti non valevano niente,
non erano belli e neppure saporiti. Come sempre facevamo
secondo una squallida abitudine, rimanemmo in giro
per le piazze a trascinarci fino a tarda notte;
poi tutti assieme, ragazzacci sguaiati,
andammo a scuotere quell'albero e a depredarlo;
di pere ne rapinammo una grossa quantità
- non per mangiarne, anche se qualche frutto
lo addentammo -, ma per darle ai porci,
mentre nostro unico piacere fu di compiere
proprio quell'azione perché non era cosa lecita.

Che cosa spingeva il mio cuore ad essere malvagio
senza nessun vantaggio? Ragione della malizia
non era che la stessa malizia: orribile,
e per questo la amavo. Amavo la mia morte,
amavo la mia caduta: non qualcosa per cui cadere,
ma la caduta stessa amavo, anima perfida,
sradicandomi dal tuo sostegno fino a distruggermi,
non cercando con malvagità qualche cosa, ma cercando
la malvagità stessa.

Quando si vuol capire
per quale motivo sia stato compiuto un delitto,
non si può averne un'idea esatta finché non emerga
lo scopo: ottenere qualcuno di quei beni definiti volgari,
o il timore di perderli. Uno ha commesso un omicidio:
perché l'ha fatto? Era preso dalla moglie di quello
o dalle sue terre, o aveva voluto compiere
una rapina per poterci vivere, o temeva
di essere privato di uno di questi beni da parte di quel tale
e, offeso, si è infiammato di vendetta.
Avrebbe ammazzato senza una ragione?
Per il solo gusto di ammazzare? Chi ci crederebbe?

E allora che cosa ho amato io, disgraziato,
in te mio furto, crimine notturno dei miei sedici anni?
Non eri bello, perché eri un furto. Sei almeno
qualche cosa di vero, perché io ti parli?
Quei frutti, non ad essi tendeva la mia anima,
- ne avevo di migliori e in quantità -:
mi saziai soltanto di cattiveria, era la malvagità
a darmi godimento e gioia. E anche se
qualcuno di quei frutti entrò nella mia bocca,
il gusto era la malvagità dell'azione.

Io vado cercando, mio Signore, quale sia stata
la mia soddisfazione in quel furto, e non vi trovo
nessuna forma di bellezza, neppure quella fugace
e piena d'ombra con la quale i vizi ci traggono in inganno.
Ma allora, in quel furto, cosa ho amato?
Sotto quale aspetto, sia pure disordinato e falso,
ho imitato il mio Dio?
Mi è piaciuto andar contro la legge, con l'inganno
perché non potevo farlo con la violenza?
Ho voluto imitare, da schiavo, una mutilata libertà,
facendo senza scrupoli ciò che era illecito,
in una tenebrosa imitazione dell'onnipotenza?
Giunsi a godere di quanto era proibito
non per altro che perché era proibito!

Da solo, però, quel furto non l'avrei commesso;
il suo ricordo è ancora vivo nel mio animo:
tutto solo non l'avrei commesso.
In quell'azione dunque amai la complicità
dei compagni con cui la compii. Ma allora
non è vero che non amai altri che il furto:
eppure non amai nient'altro, anche la complicità
non era niente. Quei frutti non mi destavano
nessun piacere, il piacere stava tutto
nel male e proveniva dalla complicità
di gruppo con gli altri colpevoli.

O troppo nemica amicizia, seduzione incomprensibile
della mente, pazza avidità di nuocere per gioco
e per divertimento, desiderio di recar danno ad altri
senza esservi spinto da interesse o da passione,
ma soltanto perché si dice: "Andiamo! Facciamo!",
e uno si vergogna di non provar vergogna!

Quarta confessio - TARDI TI HO AMATO

 

AGOSTINO -

Tardi ti ho amato,
bellezza tanto antica e tanto nuova, Dio!
Ti ho amato tardi! Eppure tu eri dentro di me.
Io stavo fuori e fuori ti cercavo!
Ero privo di bellezza e con violenza mi gettavo
a impadronirmi delle cose belle che hai creato.

Tu eri con me, ma io non ero con te.
Mi tenevano lontano quelle creature
che se non esistessero in te non esisterebbero.

Mi hai chiamato, hai gridato
e hai rotto la mia sordità.
Sei apparso nel tuo splendore
e hai messo in fuga la mia cecità.
Hai sprigionato il tuo profumo,
io l'ho aspirato e adesso anelo a te.
Ho sentito appena il tuo sapore
e adesso ho fame e ho sete.
Mi hai toccato e nella tua pace
io mi sono incendiato.

Prima, per nove anni - non un giorno né un anno,
ma nove, e sono tanti nella vita di un uomo! -
mi sono perso dietro a gente che ha riempito
la mia mente di teorie sciocche e prive di reali fondamenti:
io mi illudevo che dietro a quelle favole
avrei trovato risposta alla mia ricerca di Dio.

Ero giovane, inesperto, e presuntuoso; mi compiacevo
della mia abilità nell'usare le parole, nel ribaltare
i concetti; manipolavo i miei avversari,
che rimanevano sconcertati, e pur avendo da oppormi
teorie molto più serie delle mie, si arrendevano,
e nel silenzio consumavano la loro umiliazione.

E sempre più io ne andavo orgoglioso; discutevo
con provocatoria sicurezza di cose che conoscevo appena;
denigravo le sacre scritture senza averle neppure
approfondite. Avevo di Dio una concezione
banale e limitata, priva di simboli, legata alla materia.
Non sapevo che Dio è lo spirito, che non possiede membra
da misurare, come un corpo umano.

E c'era della gente
che mi incantava con delle affermazioni che oggi,
ripensandoci, mi provocano il riso, ed anche la vergogna
per la mia credulità..."Il fico, quando viene colto
- dicevano quegli imbroglioni -, e anche la pianta,
che è sua madre, piangono lacrime di latte....
La mano che coglie il fico - dicevano - è in colpa,
ma non chi mangia il frutto, se è uno di quei 'santi'
che stanno a capo della setta: a lui va offerto...”,
e lui se lo gode, fra gemiti e rutti; può, essendo santo,
liberarne le parti divine, che sono di luce!

Erano puerili nelle loro affermazioni, i ,
eppure io ne ero prigioniero, e li seguivo
come un fanciullo segue la madre nei primi anni,
senza chiedersi perché dica questo e dica quello
e perché compia quei gesti, o agisca in un modo
invece che in un altro...Manes, il maestro
venuto dall'Oriente, li aveva attratti con i suoi discorsi
magici, io lo ascoltavo rapito, mi seduceva la bellezza
delle immagini più che la chiarezza dei concetti...

"Esistono al mondo due nature, ciascuna
con un suo principio, in lotta fra di loro...
Due nature o sostanze... e nel corpo di ogni uomo
esistono due anime... - questo dicevano -:
una viene da Dio, identica a lui per natura e sostanza,
e un'altra, anima anch'essa, viene dal popolo
che Dio non ha creato... - questo dicevano,
come potevo seguirli nell'idea che qualche cosa
potesse esistere non creata da Dio? - ...
e quest'anima si è ribellata contro Dio
e Dio allora, non trovando altro modo...
stretto dalla necessità - questo dicevano!
‘Dio stretto dalla necessità’ - ...ha mandato nel mondo
una sua anima...un'anima buona, come una piccola parte
della sua sostanza, e da questa unione e mescolanza
il nemico è stato contenuto, e si è formato il mondo”.

Erano le immagini ad attrarmi ciecamente
verso di loro, mentre il motivo della mia predilezione
all'inizio dipendeva dal fatto che i Manichei
volevano usare il ragionamento per comprendere tutto,
anche Dio. E il mio orgoglio era di arrivare alla fede
attraverso la ragione. Non mi rendevo conto
di quanto fosse ingenua, sciocca questa credenza,
me ne sono accorto pensando all'intera mia vita:
poche le cose che vedo con gli occhi, i corpi,
tutto ciò che si tocca...e pochi gli atti
che posso vedere, quelli che stanno all'interno di me,
forme della volontà che vedo con l'animo perché
nell'animo esistono...Ma l'amicizia dell'amico!...,
non posso vedere quello che avviene nell'animo di un altro:
vedo come si comporta con me, come mi parla; ma l'amicizia,
quella devo soltanto credere che l'amico la provi per me.

Se non facessi in questo modo, sarei solo, isolato,
e questo in ogni momento della vita.
Non potrei vivere così. Il cuore mi porta a credere
all'amicizia, all'amore, e dove non guardo con gli occhi
o non conosco con l'animo, applico la fede.
E riflettendo poi ancora ho scoperto che tutto quanto
conosco si fonda sulla fede! Anche quello
che mi viene raccontato, la storia delle generazioni
passate, e perfino quanto riguarda i genitori,
e la mia nascita: tutto, tutto! è fondato sulla fiducia
che riponiamo in quelli che ci raccontano
e che a loro volta hanno dato fiducia a quelli
che hanno raccontato a loro...

E così, ancora riflettendo,
pensavo: "Mi fido per le piccole cose,
non voglio fidarmi per le grandi? Mi fido di gente oscura,
non dovrò fidarmi dei grandi spiriti della Chiesa?
E gli indizi che Cristo ci ha lasciato, neanche questi
mi bastano? Questa fede mi innalza
come fratello di Cristo, attraverso di lui, finalmente,
trovo la strada". Allora cercavo la luce,
ma con ingenuità, con presunzione, fermandomi
alle storie di quei falsi maestri. Le favole dei Manichei
passeranno come il vento sull'acqua.

Da quando Gesù Cristo è salito al cielo, le eresie
sono state più di un centinaio...Tante sono le eresie
elaborate dalla mente umana nella sua superbia.
I seguaci si spalleggiano l'un l'altro, si agitano e inventano,
senza curarsi di accostarsi alla verità, impazienti
invece di vantarsi per una propria, piccola
ideuzza originale...

Ero così anch'io, al tempo delle clamorose
discussioni nelle quali primeggiavo, vincitore su tutti
per la mia eloquenza. Ma si trattava di clamori,
nient'altro. E Dio, dopo avermi per un po' lasciato fare,
mi ha chiamato per il tempo dell'impegno. Dio!,
tu sei il bene. Se manca il bene, non c'è esistenza.
E tutto quanto esiste, è buono. E il male non è sostanza:
a definire il male è soltanto la mancanza del bene. Ma
per capire fino in fondo, oltre all'intelligenza
occorre aggiungere la pietà, e una certa pace della mente.

Quinta confessio - LUI CI HA FATTO

 

L’INTERROGANTE –
Tu hai detto che Dio ti ha chiamato.
Ti ha chiamato dopo averti “lasciato fare un poco”:
ma come lo hai capito? E Dio, chi è?

AGOSTINO –
Chi è Dio. Me lo sono domandato
dopo aver sentito che lo amavo: ha battuto il mio cuore
con la sua parola e l'ho amato. È... troppo lungo e complicato
spiegarti il percorso che ha compiuto la mia mente
per arrivare a questa conclusione così semplice...

L’INTERROGANTE –
Ma insomma, quando dici di amare Dio,
che cosa ami?

AGOSTINO –
Posso dirti quello che non amo. La bellezza dei corpi,
no. E non la freschezza dell gioventù.
Non il candore abbagliante della luce
così caro ai nostri occhi. Non le melodie carezzevoli delle canzoni.
Non la fragranza soave dei fiori, degli unguenti, degli aromi.
E non i cibi più gustosi, e le belle membra che ti attraggono
così tanto che tu le abbracci con passione... Non son queste
le cose che amo, quando amo il mio Dio

L’INTERROGANTE –
Non ami queste cose?... Io sì!

AGOSTINO –
Anch'io, in un certo senso le amo. Amo la luce,
il suono, il profumo, i sapori del cibo e le calde sensazioni
di un abbraccio quando amo il mio Dio, che è tutte queste cose
della mia umanità più profonda: ed è luce
che non ha limiti di spazio... armonia che nel tempo
non svanisce... profumo che il vento non disperde...
Tutto questo io lo amo, quando amo il mio Dio.
Io sono andato a interrogare la terra.

L’INTERROGANTE –
Che cosa hai domandato alla terra?

AGOSTINO –
Le ho chiesto se era Dio.

L’INTERROGANTE –
Ti ha risposto, la terra?

AGOSTINO –
Ha riso della mia ingenuità e ha detto:
«Non sono io il tuo Dio». E tutte le cose che sono sulla terra
mi hanno risposto nello stesso modo. Ho interrogato il mare
e i suoi abissi, gli esseri viventi che vi guizzano,
e tutti han risposto: «Non siamo il tuo Dio, cerca sopra di noi».
Ho domandato ai venticelli che d'estate
ci portano frescura, ho interrogato l’intero spazio dell’aria
con i suoi abitanti. E ognuno diceva: “Sbaglia chi crede
che siamo la divinità, noi non lo siamo!” E poi il cielo, il sole, la luna...

L’INTERROGANTE –
Hai chiesto anche alle stelle?

AGOSTINO –
Anche alle stelle. E tutti gli esseri,
le cose, indistintamente, dicevano...

L’INTERROGANTE –
“Non siamo noi il tuo Dio!”.

AGOSTINO –
“Non siamo noi il tuo Dio”. Allora li ho guardati,
questi esseri che mi stavano intorno, queste cose inanimate
che avevano trovato voce e ho detto: “Parlatemi del mio Dio;
dato che non lo siete voi, ditemi qualcosa
di lui”. E a gran voce tutti insieme hanno esclamato:
“Lui ci ha fatto”.

L’INTERROGANTE –
“Lui ci ha fatto!”. E’ questo
che dicono gli uccelli quando volano su e giù per il cielo.
Cantano tutti insieme, si rincorrono...”Lui
ci ha fatto!... Lui ci ha fatto!”

AGOSTINO –
E’ così per tutte le creature. Io
le guardavo, una per una; volevo una risposta. E quelle tutte,
il sole, il vento, e gli alberi, l’acqua e i pesci, i serpenti
e le piccole lepri dalle orecchie appuntite, e le montagne
di sabbia del deserto, e i fiori cresciuti nell’ombra di una pietra,
e le capre dai grandi occhi sporgenti, tutte quante
le creature rispondevano con la loro bellezza... Ma io,
che cosa sono? E come posso cercare Dio?
E mi sono risposto: “Sono un uomo”. Un corpo
e un’anima. Avevo cercato Dio dalla terra al cielo, fin dove
avevo potuto spingere i miei occhi. L’avevo cercato
con il corpo e niente avevo saputo di lui. L’anima
dà la vita. E Dio è vita della vita.

L’INTERROGANTE –
Ma dove trovarlo, Dio?

AGOSTINO –
In lui stesso, sopra di te. Non c’è un luogo...
Ci allontaniamo, ci avviciniamo a Dio...ma
non è una questione di spazio. E’ sopra di noi
e dentro di noi. Chiamalo, è in te che sentirai la risposta.
Ma devi volerlo ascoltare. In lui troverai la felicità.

 

Sexta confessio - TU, DIO, TE LA RIDEVI

 

AGOSTINO –
Spasimavo per gli onori, spasimavo per i soldi,
spasimavo per il matrimonio. E tu,
Dio, te la ridevi.
Per realizzare quelle voglie,
sopportavo difficoltà amarissime:
Tu hai voluto che ricordassi tutto questo,
che lo riconoscessi di fronte a te; e allora
guarda dentro al mio cuore.
Fa che la mia anima stia unita a te:
quanto era misera! Tu l'hai strappata
alla presa tenace della morte.

Che disgraziato fossi, ho potuto rendermene conto
un giorno in cui mi preparavo a recitare le lodi
dell'Imperatore - un ragazzetto di quattordici anni;
ero riuscito a ottenere questo incarico ufficiale,
un ruolo molto ambito alla corte imperiale -; dovevo
mettere insieme un po' di balle, così facendo
avrei riscosso il favore di chi quelle balle
ben sapeva che fossero tali...

Stavo dietro a tutte queste seccature
agitato dalla febbre delle preoccupazioni
che andavano a poco a poco distruggendomi, quando,
nel passare per una stradina di Milano, mi imbatto
in un povero mendicante, già ubriaco completo:
vaneggiava con frasi sconnesse
ballando da solo, felice e contento.
Mi è sfuggito un gemito. Mi sentivo aggravato di fatiche; sotto lo stimolo dei miei smodati desideri trascinavo il peso
della mia infelicità, e così facendo l'aumentavo.
Attraverso questi sforzi noi non vorremmo raggiungere
nient'altro che una felicità sicura, condizione
a cui quel mendicante era arrivato precedendoci,
e che, forse, noi non raggiungeremo mai.

Lui infatti,
con pochi soldarelli raccolti mendicando
aveva raggiunto quello stato a cui ambivo anch’io
compiendo percorsi e labirinti zeppi di difficoltà:
la gioia, cioè, di una temporanea felicità.
Certo lui non possedeva una vera e propria felicità;
ma quella che cercavo io, con tutte le mie ambizioni,
era anche molto più falsa. E lui almeno era contento,
io, pieno d'ansia; lui era tranquillo, io,
in uno stato di totale agitazione.

Se qualcuno
mi avesse domandato se preferivo essere allegro
e soddisfatto oppure vivere assillato
da preoccupazioni e disagi, avrei risposto
"Essere allegro e soddisfatto". D'altra parte
se mi avesse ancora domandato se preferivo
essere come quel tizio oppure rimanere
com'ero in quel momento, avrei scelto di restare
com'ero, spossato da timori e da affanni: ma
per una sorta di pervertimento?, o forse invece
in base ad una vera convinzione? Non dovevo infatti
antepormi a quel tizio perché possedevo più cultura,
dal momento che non ne traevo felicità; ma
con questa cultura cercavo di piacere alla gente,
non per offrire davvero del sapere,
ma soltanto per piacere.

Mi stiano dunque lontani quelli che dicono:
"Bisogna vedere perché uno è felice...: il mendicante,
lui era felice per la sbronza; tu ambivi alla felicità
nella gloria". Come non era vera la gioia,
così non era vera la gloria, e sempre più la mia mente
era turbata. In quella stessa notte il mendicante
avrebbe smaltito la sua sbronza, io con la mia
ci avrei dormito e mi sarei alzato, ed ero ancora
destinato a dormirci e a risvegliarmi insieme ad essa:
tu sai per quanti giorni!

E tra noi c'era poi un'altra differenza: quel mendicante
era senz'altro più felice, non soltanto perché
emanava allegria intorno a sé mentre io
ero dilaniato dai miei problemi, ma anche perché
lui si era guadagnato il suo vino augurando del bene,
io invece cercavo consensi raccontando balle.

Septima confessio - LA MADRE IN SOGNO

 

MONICA –
Era un giorno meraviglioso.
Si stava io e te da soli, affacciati alla finestra sul giardino
della casa che avevamo preso là, vicino ad Ostia Tiberina...
Lontani dalla confusione, dopo la fatica
del nostro lungo viaggio in Italia...
Ci riprendevamo per affrontare il ritorno in Africa,
per mare... E parlavamo dolcemente, tra di noi.

AGOSTINO -
Ci domandavamo quale fosse
la vita eterna dei santi, che nessuno ha mai visto
o udito, né ha capito con intelligenza umana.

MONICA –
Oltre le creature, oltre il pensiero umano,
arrivammo a immaginare quegli spazi
dove vita è sapienza...Tutti gli esseri
sono stati e saranno creati da lei...
perché è eterna...

AGOSTINO -
Eravamo protesi in un solo pensiero...
Ascoltare Dio per un attimo! Non per lingua di carne,
voce d’angelo o fragore di nubi, non
per allegoria di somiglianza, ma lui,
che amiamo in ogni cosa, lui
volevamo ascoltare! Se quell’estasi
si fosse perpetuata nella vita
come avvenne in quell’attimo di intuizione...Oh!
Non è questo il senso di “Entra nel gaudio del tuo Dio?”.
Ma quando, quando? Forse quando tutti
risorgeremo, ma non tutti saremo mutati?

MONICA –
Pochi giorni dopo me ne andai da questa vita.
Non mi importava più dove il mio corpo
sarebbe stato seppellito. Prima
mi ero tanto preoccupata della tomba
dove avrei voluto andare, vicino al corpo di tuo padre!...
Volevo che tutti lo sapessero: l’armonia
della vita con lui si sarebbe coronata
con quell’unione sotto la stessa terra.
Ma per la bontà di Dio,
questa fatuità era scomparsa in me. Così
vi ho detto: “Seppellite questo mio corpo
in un posto qualsiasi. Non sia per voi
motivo di preoccupazione. Niente è lontano
per Dio. E non c’è da temere
che alla fine dei secoli non sappia
il luogo dove lui mi resusciti!

Octava confessio – CRISTO E’ IL FONDAMENTO

 

AGOSTINO –

Cercavo dei mezzi per arrivare a Dio,
ma non mi avvicinavo a Gesù Cristo, che è il tramite,
il mediatore fra Dio e gli uomini; non mi stringevo
all’uomo Gesù Cristo, che è Dio sopra tutte le cose.
Non ero umile, quindi non capivo l’umiltà di Dio Gesù,
né quello che insegnava la sua debolezza. Io pensavo
a Cristo soltanto come a un uomo: un uomo
a cui nessuno può essere paragonato,
ma un uomo. La sua nascita miracolosa,
da una vergine, mi pareva una cosa straordinaria;
ma il significato delle parole
“il Verbo si è fatto carne”
non riuscivo neppure a immaginarlo.

Avevo capito soltanto questo: che Cristo
aveva mangiato, aveva bevuto, aveva dormito,
aveva camminato, aveva provato gioia e dolore,
aveva predicato...e che quindi aveva avuto un corpo
che si era unito al Verbo divino. Ammettevo in Cristo
tutta quanta la natura umana, e pensavo che lui
fosse superiore agli altri uomini: ma dov’era quella carità
che si fonda sull’umiltà ed è Gesù Cristo?

I libri dei filosofi platonici
mi avevano spinto alla ricerca di una verità
incorporea; da loro avevo appreso che Dio è infinito,
e che tutto trae esistenza da Dio... Ma quelle pagine dei filosofi
non dicono l’aspetto della pietà, le lacrime della confessione,
il sacrificio di Cristo, la salvezza del popolo,
il calice della nostra rendenzione... Non c’è in quei libri
l’invito di Cristo: “Venite a me, voi tutti
che siete pieni di dolori e di affanni!”. Questo invito,
la gente importante, i furbi, i ricchi, i potenti
non l’hanno conosciuto, Gesù Cristo questo invito
lo ha fatto a chi non conta.

Dio ha forse detto: “L’uomo può comandare sull’uomo”?
No. Su chi può comandare, allora, l’uomo?
Sui pesci del mare... sugli uccelli del cielo... sui rettili della terra...
ma non sull’uomo. E’ stato l’uomo a inventarsi la schiavitù,
il dominio dell’uno sull’altro. Nella vecchiaia del mondo,
quando tutto stava cadendo a pezzi, Dio ha mandato
Cristo per rifarlo, il mondo. Viene Cristo,
e rinnova anche noi. Il mondo è come l’uomo:
nasce... cresce... invecchia... Non bisogna
restare attaccati a questo vecchio cadente che è il mondo.
Cristo ti dice: “ Non aver paura, la tua giovinezza
si rinnoverà come quella dell’aquila”... C’è una storia
che non è più di gente che comanda, ma storia
di tutti gli uomini... anche dei più umili, che prima,
agli occhi dei potenti, non contavano:
è la storia della città di Dio. Chi non conta
– i piccoli, gli umili – conta nell’amore di Dio.

L’uomo si lascia sedurre dal gusto di comandare.
E questa seduzione corrompe il potere:
doveva essere un servizio per gli altri,
si tramuta in prerogativa personale
di disporre delle cose, di disporre soprattutto
degli uomini a proprio piacimento. Non esiste più
autorità secondo giustizia; l’esercizio del potere
è guidato da interessi privati. Vi siete mai domandati
che cosa vuol dire “privato”? Il suo significato
si richiama ad una privazione: “privato “
è ciò che priva del rapporto con gli altri, con la società;
è ciò che rimane isolato, avvolto nell’egoismo.
Ed è egoismo che prevale sugli interessi comuni;
è l’egoismo che rende povero lo Stato e pochi invece
ricchissimi. Ed è da questa situazione che deriva
la rovina dello Stato. Queste considerazioni
riguardano noi tutti, perchè siamo arrivati al momento
in cui le cose devono cambiare!

Gesù Cristo non regna nel mondo.
Opera nelle coscienze. In quelle dei capi, dei magistrati...
in quelle di tutti i cittadini. Lo Stato cristiano
non esiste come entità politica diretta,
ma si manifesta attraverso le coscienze. Chi comanda
deve osservare la legge divina
come l’ultimo dei suoi concittadini. Tutti insieme
danno vita ad una “società”, a un insieme di uomini e di donne
legati gli uni agli altri da un amore comune.

Tutto quanto è buono, e voi amate,
viene da Cristo. Ma può diventare amaro,
se si ama quanto viene da Cristo mentre lui, poi,
lo si abbandona. Cristo ha sposato la natura umana,
e in quella condizione non è rimasto senza far niente:
ha vissuto la sua vita di uomo come una grande,
intensissima corsa... con tante parole...
tanti avvenimenti...la morte e la vita...
la discesa fino a noi e poi di nuovo
verso il cielo! Si è allontanato dal nostro sguardo
perché guardassimo dentro noi stessi
e ci trovassimo lui. Se n’è andato e invece,
ecco!, è qui. Cristo non ci ha lasciato mai.

E nel vivere rischioso di ogni giorno,
Cristo rimane sempre il fondamento.

Nona confessio – DOVETE AVER FIDUCIA

 

AGOSTINO –

Dovete aver fiducia. E’ l’animo
che attende; è l’animo che presta attenzione, che ricorda!
Chi potrebbe negare che il futuro non esiste ancora?
Ma è nell’animo che esiste l’attesa del futuro.
Chi potrebbe negare che il passato non esiste più?
Ma è nell’animo che vive il ricordo del passato.
E chi negherà che il tempo presente manca di estensione,
perché non è che un punto che trascorre?
Ma tuttavia perdura l’attenzione e attraverso di essa
il futuro tende al passato... Questo si verifica
in tutta quanta l’esistenza umana
che si compone di tante parti quante sono le sue azioni.
Questo succede per ogni generazione, composta anch’essa
di tante parti quante sono le vite degli uomini.

Non è quindi il caso di fare domande come
“Che cosa faceva Dio prima di creare il cielo e la terra”.
E’ come se chi fa queste domande volesse bere
più di quello che può bere, è come se
una testa matta andasse domandando:
“Ma come gli è venuto in mente, a Dio,
di creare qualche cosa, dato che prima
non aveva mai creato niente?”. Non esiste tempo
se non esiste creatura; meglio smettere
di parlare in questo modo superficiale e sciocco.
Mi riferisco a quei tanti che si ingegnano
con mille trabocchetti filologici
a esporre le loro piccole trovate. Pensiamo a Dio.

Chi capisce, gli creda! E chi non capisce,
gli creda lo stesso! La sua casa sta in chi è umile di cuore.

Epilogo - Contra bellum

Amico mio, tu sei un generale dell’esercito
e mi chiedi un consiglio su che fare
in questo mondo travolto dalle guerre...
Posso tentare soltanto
di mandarti queste fragili parole...
Ma chissà se riuscirai a leggerle...
“...Se il consiglio che mi chiedi
deve essere in armonia con la legge di Dio,
so quello che devo dirti: ‘Abbandona la vita militare,
per quanto sia possibile, senza compromettere
la pace delle cose umane, e stai con quelli
che vivono in maniera pura, dove combatte
in silenzio la gente che vuol stare con Cristo,
non per uccidere uomini, ma per debellare prìncipi, potenze e spiriti del male. Il più grande titolo di gloria
per un capo militare è quello di uccidere la guerra
con la parola, piuttosto che gli uomini con la spada;
è quello di ottenere la pace
con la pace, non con la guerra”.

 

RIFERIMENTI

da Le Confessioni di Sant’Agostino

- Prologus - Contra bellum: Lettera di risposta ad un generale romano

- Prima confessio – L’oggi di Dio: Libro I, capitolo VI, Le tenebre dell’infanzia

- Secunda confessio – L’infanzia non è buona: Libro I, capitolo VII, Le miserie dell’infanzia

-Tertia confessio – Il gusto del male: Libro II, capitolo III, L’inquieto mal di giovinezza; capitolo IV, Furto notturno; capitolo VIII, La compagnia malvagia e scempia:; capitolo IX, Solidarietà nel male

- Quarta confessio – Tardi ti ho amato: Libro III, capitolo VII, Criteri di giustizia divina e di giustizia umana; capitolo X, Una fanfaluca dei Manichei; Libro X, capitolo XXVII, Tardi ti ho amato

- Quinta confessio – Lui ci ha fatto: Libro V, capitolo I, Inno di lode; capitolo II, Iddio ci è sempre vicino; Libro VII, capitolo I, Dio e la nostra immaginativa; capitolo XIII, Tutto il creato canta le lodi di Dio; Libro X, capitolo VI, La voce delle creature

- Sexta confessio – Tu, Dio, te la ridevi: Libro VI, capitolo VI, Lezione di un mendicante ubriaco

.- Septima confessio – La madre in sogno: Libro IX, capitolo X: Estasi; capitolo XI, Morte della madre

- Octava confessio – Cristo è il fondamento: Libro VII, capitolo XVIII, La via dell’umiltà; capitolo XIX, Incertezze ed errori sull’incarnazione; capitolo XX, Ancora dei Neoplatonici

- Nona confessio – Dovete aver fiducia: Libro XI, capitolo XXX, Dio è fuori del tempo; Capitolo XXXI, In principio.

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