Ho cominciato a scrivere osservando quello che succedeva intorno a me; confrontavo gli avvenimenti e i comportamenti con quanto ritenevo giusto secondo un’etica che ero andata formandomi, dai principi evangelici acquisiti in famiglia e attraverso letture, ai concetti giuridici nei quali si trovavano a confronto diritto naturale e diritto positivo, secondo gli insegnamenti di Norberto Bobbio che ebbe la generosità di farmi tenere una lezione su questo argomento nell’Aula Magna dell’università, a Torino, dove svolgeva le sue lezioni di filosofia del diritto. I casi astratti non mi bastavano. Così anziché una carriera giuridica, dopo la laurea in legge seguii il corso di regìa all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico”, a Roma, avendo come maestro Orazio Costa; la sua appassionata adesione alla parola come punto convergente, in teatro ed in ogni manifestazione espressiva, mi condussero a scegliere la scrittura che per metafora racconta la realtà.

Nel ’68 all’ospedale psichiatrico diretto da Franco Basaglia a Gorizia, con Franco Cuomo rimasi a lungo fra i residenti e i medici, per scrivere “Santa Maria dei Battuti – rapporto sull’istituzione psichiatrica e sua negazione”; lo leggemmo alla comunità che lo approvò, e lo rappresentammo in tutta Italia, perfino al Lirico di Milano dietro invito di Paolo Grassi, suscitando discussioni accese fra psichiatri tradizionali e innovativi. Tesi di Basaglia, la malattia mentale come conseguenza della situazione sociale. Oltre a Basaglia, in scena appaiono San Francesco e Artaud.

Negli anni settanta, un libro sulle ragazze madri. Dal quartiere della Magliana, nell’estrema periferia di Roma emergono le figure più significative, che parlano di un disagio sociale che contrasta con una forza individuale capace di riscattare la degradazione e di farsi affermazione di vita. Esce con Marsilio, “Ragazza madre”.

Alla metà del settanta si fonda il teatro della Maddalena, dove le donne denunciano molteplici emarginazioni e ingiustizie sociali. “Mara Maria Marianna” è il primo spettacolo, da me firmato con testi di Dacia Maraini, Edith Bruck e miei –; tra questi “Marisa della Magliana” diventerà per decenni spettacolo a sé -, dove i temi sono la lotta per la casa e per il lavoro, l’aborto e la maternità responsabile.

Negli anni ottanta la droga invade l’universo giovanile e nascono le prime comunità terapeutiche. Seguo il Progetto Uomo che fa capo a don Mario Picchi con il CeIS – Centro Italiano di Solidarietà; per la RAI realizzo cinque puntate di un’ora sull’uscita dalla tossicodipendenza; i ragazzi del Progetto intepretano verisimilmente i ruoli dei protagonisti, come testimonianza di un percorso di salvezza. Consulente dei temi trattati è Luigi M. Lombardi Satriani. Il programma va in onda su Raidue con grande riscontro di pubblico e dibattiti sul tipo di cura, con basi scientifiche, e non vagamente umanitarie come in altre comunità.

Oltre al filmato, realizzo due libri, “Farsi uomo – oltre la droga”, Bulzoni editore e “La casa dei sentimenti – itinerario per uscire dalla droga”, consulenza di Luigi M. Lombardi Satriani, presentazione di Sergio Zavoli, prefazione di Pierpaolo Donati, ERI edizioni, per anni base di apprendimento degli operatori che andranno formandosi al CeIS.

A New York Daniel Casriel con le tecniche del grido adottate anche dal CeIS, lavora alla sua comunità AREBA. Raffaella Bortino vi rimarrà per più di un anno, acquisendo un’esperienza sul campo che le consentirà di fondare a Torino una comunità. Seguo il lavoro di AREBA e visito le comunità dello Stato di New York, dove lavorano alcuni operatori che ho conosciuto al CeIS.

Seguo la comunità fondata da Raffaella Bortino, e incentro l’attenzione su di un caso che riguarda una ragazza di ingegno vivace, tossica e borderline. Si profila in Raffaella l’idea della doppia diagnosi, superando l’impotenza di una completa guarigione in casi di disagio psichico. Da questa esperienza verrà fuori, anni dopo, “Farsi male”, un libro con la consulenza di Raffaella e la presentazione di Claude Olievenstein.

Dall’esperienza acquisita traggo spunto per alcuni testi teatrali che consentono di riflettere sul problema con un effetto di distanziazione più efficace che non il contatto diretto, pur di valore documentaristico, dei filmati e dei libri di stampo saggistico.

“Mamma Eroina”, in scena dal 1983, viene rappresentata per anni in teatri, festivals, convegni. La storia di una madre che fa le pulizie negli uffici, chiamata al Pronto Soccorso dove la figlia è ricoverata per una overdose, percorre i temi problematici del periodo, dalla incomunicabilità fra genitori e figli, al lavoro che ostacola la vita familiare, alla droga che si impadronisce delle creature più fragili nella solitudine urbana ben diversa dal clima solidale della campagna.
“Donne di spade”, richiestomi dalla Regione Calabria per un convegno contro la tossicodipendenza, è composto da tre storie esemplari di ragazze cadute nella droga; vi emerge la complessa problematicità di una situazione sociale che va aggravandosi, pur consentendo margini di uscita dalla tossicodipendenza.
“Una vita storta”mette a confronto due ragazze, una morta per droga, l’altra divenuta giudice: l’interrogativo su vicende parallele di giovani che partendo con analoghe possibilità divergono chi in droga chi in riuscita esistenziale vi aleggia irrinunciabile.

La droga è la punta emergente di un disagio soprattutto giovanile che si presenta anche sotto altri aspetti. La mancanza di prospettive di lavoro, la desolazione della periferia dove non esiste alcun riferimento culturale, la disgregazione delle famiglie e lo sradicamento dai luoghi d’origine per la necessità di raggiungere i centri urbani sono temi scabrosi di cui, dopo Pasolini, non ha parlato nessuno, mi dice Maurizio Scaparro, e mi incita a scrivere un testo. Torno alla Magliana dopo quindici anni, ritrovo persone di allora: il quartiere è peggiorato, anche se circola più denaro. Padre Gerardo Lutte, che già operava al tempo di “Marisa” ha fondato un Centro di Cultura Proletaria, dove dei volontari aiutano i ragazzi a fare i compiti: è l’unico luogo dove si riscontra qualche frammento di dialogo e di solidarietà. Dopo alcuni mesi laggiù, in cui non mi pare che accada niente da poter esser rappresentato, mi rendo conto che è proprio questa impossibilità a costituire la chiave del dramma. Scrivo “Schegge – vite di quartiere”, poi Premio Fava e Premio IDI, che viene rappresentato dal Teatro di Roma in collaborazione con l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica, per la regìa di Andrea Camilleri.

Gli anni novanta portano l’aids come una deflagrazione prima latente. “Storie dallo Spallanzani” per la RAI testimonia dell’impegno di medici, psicologi, infermieri per rendere meno cruento il fenomeno; le storie affiorano mediate dai testimoni che vi assistono, lasciando discretamente fuori i malati. “Aids e immaginario”, Meltemi editore, è un libro scritto a sei mani, con Luigi M. Lombardi Satriani e Francisco Mele, sotto tre diverse angolazioni, antropologia, filosofia e psicologia, narrazione.

“Una moglie – i mesi incantati” mette in scena una donna coinvolta nell’aids perché il marito è stato contagiato da una prostituta; portando le analisi in un day hospital, la donna diventa punto di riferimento di quanti sono stati colpiti dal male, giovani gay, ragazzi usciti dalla comunità, prostitute, bambine innocenti; è un panorama che si estende nella società, rendendola partecipe del fenomeno al di là di responsabilità personali; i pregiudizi latenti o palesi svaniscono in un vasto affresco doloroso, dove la comprensione e l’amore risultano gli unici modi di sopravvivenza.

Il mio sguardo di testimone del nostro tempo vuole essere parametro di collegamento per quanti intendano accostarsi alla realtà di oggi per rilevarne le difficoltà esistenziali e individuarne le modalità di riscatto. E’ in questa ottica che ho partecipato agli incontri con Raffaella Bortino e Francisco Mele, sollecitando la loro esperienza a palesare le vie d’uscita dalla disperazione latente.

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