Una notte estiva illuminata dalla luna. Il vento fa oscillare il canneto che circonda una radura. Nel frusciare delle foglie a folate si innestano antiche canzoni brasiliane, qualche frammento di inni italiani risorgimentali: ma tutto appena accennato.
Un morbido strato di sabbia ricopre la scena.
Una donna avvolta in scialli e coperte, febbricitante, a terra.
Anita - Josè! ... Seguirti è stata una pazzia, tu lo avevi detto. Ma non potevo lasciarti... Adesso per me è la conclusione. Tra poco sarai qui, di nuovo con me... Troverai gente buona.., ti aiuteranno... Non morirò da sola... Oh! Non sento più il dolore... La pena si è calmata... Come mi sento bene...
Una fanciullina scalza in abito da contadina - lo stesso che indosserà nell’ultima scena - entra saltellando: ha una ghirlanda di scarpe appesa al collo; tiene tra le mani le scarpe che sono agli estremi della ghirlanda.
Anita - Chi sei?
La fanciullina le si avvicina. Le si inginocchia accanto.
Una bambina di una famiglia qui intorno?... Hai il viso abbronzato dal sole... Come me... tanti anni fa...
La fanciullina saltella giocando con la ghirlanda di scarpe.
E queste scarpe... mi fanno tenerezza... Il perché non lo so.
La fanciullina ride e scappa via.
Anita - Non te ne andare!...
Fa per inseguirla, ma ricade.
Ah! Non ho più forze...
Improvvisamente si illumina.
Ma ero io quella bambina!... Oh! Ana Maria de Jesus! Aninha! E le scarpe di Maria Rosario!... Lei non camminava a piedi nudi, era una bambina ricca.., e andava a scuola. lo le avevo promesso di pulirgliele, tutte quelle belle scarpe, se mi scriveva le lettere per mia sorella Felicidade che era andata a stare a Rio con suo marito perché là si trovava lavoro...
Fa un tentativo per rialzarsi. Ricade.
Oh! Aghi di fuoco... dappertutto... il veleno nelle vene.., e nel petto il battito flebile di un piccolo cuore accanto al mio...
Si raccoglie in se stessa per ascoltare quel battito leggero dentro di lei.
Mio figlio non nascerà. Troppo debole il suo corpo non ancora formato, anche se il mio lo ripara e lo nutre... Bambino... Mio bambino... Che nome ti avremmo dato io e tuo padre? Dopo quattro fratelli tu venisti ad allietare il nostro amore... Bambino mio, noi ce ne andremo insieme... Non sarai solo... Voglio parlarti del mondo... e delle cose belle che ho vissuto... Tu non vivrai, perché non ho più sangue e non ho più respiro da offrirti per farti diventare un vero uomo... Ma di me... io posso raccontarti... e di tuo padre...
Una colomba vola.
Anita - Le colombe dello zio Antonio!... La bianca covava le uova... Poi si sono aperti i gusci... Sono venuti fuori tre pulcini... Ero felice quando potevo scappare fino a Barra, dal mio padrino! A casa dovevo guardare i miei fratelli. Sissilia era troppo bambina per aiutare mamma... Fortunata aveva già un lavoro e la mia cara Felicidade era andata a stare a Rio... Io vivevo combattuta tra l’incoscienza di un’infanzia in fuga e il timore di rimanere prigioniera di quel mondo chiuso: chi è povero non è libero di decidere la sua vita, specialmente una donna: mia madre almeno si era sposata per amore, ma quante sofferenze aveva dovuto sopportare!...
Entra la fanciullina reggendo tra le braccia una sagoma infantile avvolta in un lenzuolo, della grandezza di una bambola. Scava una fossa nella sabbia e vi cala la sagoma infantile. Anita osserva i gesti della fanciullina.
Anita - E’ morto il fratellino Salvador. Tossiva... Tossiva... Non mangiava più. Quattro giorni e quattro notti l’ho tenuto tra le braccia, cantandogli la ninna nanna per calmano... Salvador... Salvador... Per un tempo troppo breve hai giocato con Sissilia... con Fortunata... con Aninha... Eri un angelo tra noi... La febbre ti ha rapito... Ora sei tranquillo... La tosse non ti tormenta più... Il tuo piccolo lenzuolo ti protegge dal freddo della terra... Salvador... Salvador...
La fanciullina corre via.
Anita - Aninha!...
Parla al suo bambino.
Ero io quella bambina... Tanti anni fa.
Entra un uomo reggendo alto sul capo un piccolo pagliericcio. Lo getta a terra e lo incendia. Il pagliericcio prende subito fuoco. L’uomo se ne va.
Anita - Hanno detto che la malattia stava in agguato nel materasso di Salvador: se ci dormiva qualcuno, moriva anche lui... Allora Joào ha portato il pagliericcio sulla spiaggia e gli ha dato fuoco!... Noi stavamo a guardare. Quando è rimasta solo un po’ di cenere, abbiamo sentito veramente che Salvador non era più con noi. Morte prima del tempo... Morte per fame... Morte per malattia... Morte per guerra... E violenza... Sopraffazione...
Entra Joào con una frusta che rotea in aria.
Non volevo sposarmi. Gli uomini sono dei padroni. Devi servirli, devi fare i figli. E i figli possono morire. Salvador aveva il corpo fragile. Altri più forti se li prendeva poi la guerra. Non volevo sposarmi...
Parla al suo bambino.
Ma il destino ci porta lontano dalla nostra volontà, piccolo mio. La mia vita a un certo punto è cambiata, e allora io ho voluto i tuoi fratelli e ho voluto te, che sei ancora parte di me stessa.
Joào si avvicina ad Anita, lo sguardo provocatorio e i modi insinuanti.
Joào - Non hai paura ad andartene in giro da sola, fuori dal paese? Qualcuno potrebbe darti fastidio...
Anita - Mi conoscono tutti. E sanno che non accetto proposte da nessuno.
Joào - I tuoi modi alteri fanno montare il sangue alla testa! Attenta, Aninha...
Anita - Io raccolgo granchi per la cena. Siamo poveri. Qui trovo cibo per la mia famiglia.
Joào - Potresti guadagnartelo in altri modi. Con meno fatica e più abbondanza...
Anita - Mi piace la fatica. E’ pulita. E non accetto consigli da te, che puzzi di acquavite.
Joào fa volteggiare la frusta fino a circondarne la vita di Anita.
Joào - I tuoi capelli sono lunghi e flessuosi come la mia frusta. Il colore dei tuoi occhi è scuro come il pelo del mio cavallo.
Anita - Lasciami o te ne pentirai.
Joào - Lasciarti?! Soltanto la mia frusta ha sentito il calore del tuo seno. E’ la mia mano che vuole toccarti. E poi tutto il mio corpo...
Joào cerca di afferrare il seno di Anita, che con una mossa repentina gli assesta un calcio all’altezza dei genitali. Joào si abbatte a terra urlando.
Anita - Io dovevo denunciarlo, quel vigliacco! Non era la prima volta che cercava di fermarmi lontano dal paese e mi costringeva a scappare per non farmi afferrare dalle sue mani sporche. Così l’ho denunciato. Ma i gendarmi erano uomini come lui, non ci avevo pensato: i gendarmi erano come lui!
Entra un gendarme.
Gendarme - Allora, raccontami come è andata la faccenda.
Anita - Io me ne andavo sulla riva del mare...
Gendarme - Ah! «Te ne andavi...». Non sai che una ragazza deve fare attenzione a dove va?
Anita - E io andavo sulla riva del mare. A raccogliere granchi per la cena.
Gendarme - Restiamo al primo punto. Te ne andavi, da sola: ed era già il tramonto.
Anita - I granchi sulla spiaggia, la marea li porta a quell’ora! Erano grandi e colorati... Si agitavano cercando di tornare nell’acqua... lo li raccoglievo... E non mi sono accorta di lui che mi seguiva...
Gendarme - «Lui», chi? Dici «lui» come se fosse uno col quale hai confidenza... Uno che conoscevi bene...
Anita - Era del paese, per forza lo conoscevo! Qui da noi ci si vede ogni giorno. Basta uscire e ti trovi davanti tutti quanti, che tu lo voglia o no.
Gendarme - «Basta uscire»! Un conto è andare per le strade del paese, un conto allontanarsi!
Anita – Oh insomma! Volete sapere che cosa mi è successo o state facendo un processo a me?
Gendarme - Siete piuttosto ardita e irrispettosa, cara la mia ragazza. E questo può eccitare il sangue... Ma sono qui per ascoltarvi e vi ascolterò. Vi siete accorta che «lui» vi seguiva...
Anita - Mi seguiva. Io sentivo il rumore dei passi... Mi volto e mi trovo davanti Joào.
Gendarme - Siete voi ad esservi voltata! Se tiravate diritto per la vostra strada, neanche lo vedevate.
Anita - Ho sentito la sua mano afferrarmi i capelli! Il calore del suo fiato sul collo! E parlava!... Frasi pesanti. Ho dovuto voltarmi!
Gendarme - Potevate correre via. Non eccitarlo con la vostra presenza. E poi? Che altro avete fatto?
Anita - Io non ho fatto niente! Gli ho detto di lasciarmi in pace. Lui mi guardava con degli occhi strani. Mi faceva paura...
Gendarme - A maggior ragione dovevate sfuggirlo. Gli uomini son così o non son uomini.
Anita - Non sono uomini se non violentano le donne?! E’ questo che volete dire?
Gendarme - Restiamo al primo punto. Te ne andavi, da sola: ed era già il tramonto.
Gendarme - Eh!... Come correte! Vi ha forse violentata?
Ride con gusto. Si fa insinuante, eccitato.
Raccontatemi tutto. Dovevate dirlo subito, che Joào vi ha violentata!
Anita - Voleva! Avrebbe voluto.., se io l’avessi lasciato fare! Oh! Perché rendete tutto così difficile, voi che dovreste proteggere una donna che denuncia una violenza!? Perché vi compiacete invece di tormentarla e mettete sotto accusa chi è vittima ed ha già subìto un’ingiustizia!?
Gendarme - Insomma basta! Io qui rappresento la giustizia! Ditemi se la violenza è avvenuta o no e sia finita!
Anita - Mi ha stretta fra le braccia, quasi mi soffocava. Io non potevo muovermi. E lui con la sua grossa mano mi ha afferrato il seno.
Gendarme - Ah! Finalmente un fatto: vi ha toccato il seno! Così?...
Il gendarme insinua una mano dentro l’abito di Anita. Ma uno sguardo di lei lo costringe a ritirare la mano.
Devo pur rendermi conto di quello che è successo!... E voi, che cosa avete fatto?
Anita - Gli ho dato un calcio! Un calcio in un posto che glielo farà ricordare per un pezzo e almeno per un po’ non avrà voglia di tentare altri scherzi del genere.
Gendarme - Ti sei già fatta giustizia da te! Che cosa ci stiamo a fare noi gendarmi1 se poi sono le ragazze a punire i colpevoli - ammesso che di colpa si tratti - e ce lo vengono a gridare in faccia, fiere di questo modo selvaggio di difendersi?!
Anita - Avrei dovuto farmi violentare? E’ questo che volete dire?! E poi correre a casa in silenzio, piena di vergogna, chiudermi nella mia stanza, indegna perfino di alzare gli occhi sulla gente, perché segnata dall’infamia?! E’ questa dunque la vostra giustizia?! Io voglio andarmene di qua!
Gendarme - Pazza che non siete altro! Tutto il paese sarà contro di voi. Infelice vostra madre che ha da tenervi a freno. Povera donna, per il dolore che le date, questa volta non vi metto in prigione.
Il gendarme esce.
Anita - Era vero tutto quanto prevedeva il gendarme. Mia madre quando seppe il fatto si mise a piangere e a gridare. Non voleva che uscissi più di casa. Ma quella sera stessa io me ne andai in giro e a chi incontrandomi rideva gettavo uno sguardo che metteva paura. «Attento!» - era come gli dicessi - «Attento!, un’altra volta sarà peggio!».
Anita parla al suo bambino.
Così scorreva la mia vita, bimbo caro... Ma dentro di me una forza mi imponeva di agire al di là delle usanze, contro le leggi ed il costume. Una forza che mi voleva libera, e esigeva giustizia. E’ stato lungo, è stato difficile, non avevo ancora incontrato tuo padre. In quella mia ribelle giovinezza, affondavo nel buio di un destino qualunque e ne morivo, ogni giorno, ogni ora...
Entra Manoel in grembiule da ciabattino. Scarpe gli spuntano dalle tasche. Scarpe tiene nelle mani, intento al suo lavoro. Siede davanti ad Anita in atteggiamento di supplica e rimane in contemplazione di lei.
Anita - Manoel: la mamma lo ha scelto per me come marito. E’ stato il prete a consigliarla di farmi sposare al più presto; che soltanto in quel modo non sarei caduta nel peccato; che la mia salvezza eterna era più importante di un consenso. Io gridavo, piangevo: non c’è stato niente da fare...
Anita si rivolge ora alla madre ora al suo bambino. Manoel continua a guardarla, ignorandone la furia, estatico.
Mamma! Perché mi fai sposare Manoel? Non lo amo! Non lo amerò mai! E’ brutto! Sembra una cornacchia spelacchiata con quei capelli scuri che li piovono sugli occhi! Tu ti sei sposata per amore, eravate poveri tu e nostro padre, ma vi eravate scelti voi! Vuoi condannarmi a vivere con quest’uomo che non amo, soltanto perché mi darà da mangiare?!...
Manoel con un gesto incerto allunga una mano verso Anita, afferrandone un lembo del vestito. Le sorride timidamente.
Manoel - Bella!...
Anita - Non toccarmi! Se mi tocchi ti sputo in faccia!
Manoel ritira la mano sospirando. Attacca a limare una suola di una scarpa. Si allontana.
Entra la fanciullina tenendo il capo di un filo su cui sono appesi alcuni abiti dai colori sgargianti: vestiti da sposa con pizzi e volants, qualcuno piuttosto stinto, altri più vivaci e nuovi. Alternate agli abiti, pendono delle scarpe, della stessa tinta dei vestiti. La fanciullina appende un capo del filo da una parte, continuando a reggere l’altro capo.
Anita - Io resistevo, rifiutavo di sposarmi. Mia madre sospirava: e più mi disperavo, più stava zitta: anche lei capiva che non sarei stata felice, ma si ostinava nella sua decisione: si ricordava la fame patita, la povertà aveva distrutto la sua vita, l’amore era svanito presto, era rimasta la miseria. Ero sua figlia, non voleva per me la stessa sorte.
Anita palpeggia i vestiti.
La sarta del mio paese mi ha mostrato gli abiti che affitta alle ragazze che vanno spose. Che bei colori, e che fogge graziose!... per allietare un giorno felice...
Prova un vestito azzurro pallido, con dei nastrini.
E’ quasi stinto, questo azzurro... Quante spose lo avranno indossato!. . Qualcuna sarà già nonna, è così vecchio... Ma la sarta dice che il suo colore mista bene.., poi costa meno degli altri.., non dobbiamo far spendere troppo al padrino che si è offerto di pagare il matrimonio...
Esamina le scarpe. Ne sceglie un paio azzurre. Le infila.
E le scarpette... che punte aguzze!... e i tacchi come sono alti... il colore va bene con il vestito.., ma sono troppo grandi per me...
La fanciullina ritira il filo con i vestiti e le scarpe. Entra Manoel in marsina nera sdrucita. La fanciullina reca un trionfo di fiori. Manoel prende Anita sottobraccio. Musica da cerimonia di chiesa.
Sono bella! Con questo vestito.., con queste scarpe... sembro una gran dama!... Sono bella! Tutti quanti mi ammirano! Devo pensare a questo! Soltanto a questo!... Non a Manoel che sta per diventare mio marito... Come sarei felice in questo giorno se quest’uomo lo amassi... se fossi innamorata!...
Anita incespica e cade a terra. Manoel si allontana portando via il trionfo di fiori. Anita si rialza dolorante. Si toglie abito e scarpe.
E’ di cattivo augurio per la sposa cadere andando in chiesa nel giorno delle nozze. Manoel non fu mai veramente mio marito. La mia caduta preannunciò il fallimento, la gente del paese non si stupì quando lasciai la casa di quell’uomo che si era illuso di comprare la mia voglia di vivere, il mio sguardo innamorato... Povero come noi, fu arruolato dall’Impero contro altri disgraziati come lui, quegli «straccioni» ribelli al Governo, che avevano creato una piccola repubblica. Finì così, quel matrimonio mai vissuto. Era ancora lontano l’uomo che sarebbe stato il mio compagno e avrebbe guidato le battaglie della mia gente ribelle agli Imperiali. Deluso e stanco aveva abbandonato la sua patria, e navigava nelle nostre coste. Niente ancora sapevo di lui: se mi avessero detto quanto era costretto a fare il mio Josè per vivere, mi sarei messa a ridere...
Sul fondo appare un uomo dai capelli biondi e ricci, vestito da comandante marinaro. Tra le mani tiene un trofeo di spaghetti a raggera. Arrivato al centro della scena, l’uomo rivolge il volto al pubblico: una maschera d’oro ne riproduce i lineamenti, che sono quelli di Garibaldi, l’uomo continua poi il suo percorso fino ad uscire di scena. Anita prosegue il suo racconto senza accorgersi di quell’entrata.
Vendeva gli spaghetti! Sì! Aveva organizzato un trasporto navale da Rio a Cabo Frio! Niente sembrava indegno a Garibaldi per continuare a vivere credendo nella causa della libertà ed aspettare i tempi adatti a realizzarla!
Tornata al presente, Anita si torce in preda ai dolori.
Josè... l’amore mio.. cambiò il mio destino... Ma dov’è adesso? Perché non torna a prendermi?...
Parla al suo bambino.
Bambino mio, tuo padre sta cercando aiuto. Lui comanda a migliaia di soldati, ma sta pensando a noi, è un uomo vero... un uomo che non teme i sentimenti...
Il canto del «Te Deum» accompagnato dall’organo.
Anita - Io non entravo in chiesa dal mio matrimonio con Manoel. Un uomo venuto dal mare si era alleato con gli straccioni rivoluzionari e insieme avevano vinto gli Imperiali. Soldati e gente del paese si erano ritrovati tutti in chiesa per ringraziare Dio della vittoria e per far festa. Anch’io coi miei fratelli siamo entrati là dentro. Io riuscivo appena a respirare, la gente era gremita nella grande navata...
Entra la fanciullina con un mazzetto di fiori. Anita la solleva tenendola in braccio e si alza a sua volta sulla punta dei piedi, per vedere al di là della folla.
E vicino all’altare, tra i comandanti... c’era un uomo che sembrava un dio! La fiamma delle candele faceva luccicare i suoi capelli!... biondi!... lunghi!... a riccioli che parevano d’oro!... Aveva gli occhi chiari come l’acqua del mare… ed il volto abbronzato: un marinaio, ho subito pensato! Dicevano che fosse arrivato di lontano... Italia si chiamava il suo paese... chissà dov’era... Io cercavo di spingermi avanti: volevo che i suoi occhi mi vedessero... se anche lui avesse provato nel guardarmi la stessa sensazione sconvolgente che aveva invaso me nel contemplarlo...
La fanciullina scappa avanti.
Sissilia quando tutti erano usciti dalla chiesa è andata a chiedere chi fosse...
La fanciullina torna da Anita e le sussurra all’orecchio, poi scappa via. Anita si illumina tutta.
Anita - Si chiama Josè! Ha un altro nome nella sua lingua, ma da noi lo chiamano Josè... Di lui conosco solo questo, e già mi pare tutto! Sono pazza!... Io non lo incontrerò mai più... Ma adesso il mio cuore ripete il suo nome come un canto d amore!
Anita parla al suo bambino.
Da quel giorno ho cominciato a cercarlo, tuo padre... Speravo che ci incontrassimo al porto, dove era ancorata la sua nave... Una sera sono arrivata fino al molo, sulla riva opposta a dove abitava il mio padrino. Cercavo del pesce... era una scusa per vedere se lui magari fosse sulla nave... C’erano tanti marinai: lavoravano, si spostavano qua e là, sul ponte, sulle sporgenze di legno lucido, tra i cordami... ogni angolo spiavo, ma lui non c’era: come un sogno svanito quel bel volto di rame... Tristemente allora me ne sono andata a casa del padrino. E dopo un tempo breve sento una voce dolcissima... delle parole piane... come scandite... appena incerte... la voce di chi è abituato a parlare un’altra lingua... E lo zio gli risponde, invitandolo in casa, a prendere una tazza di caffè. Davanti a me compare il marinaio, e subito sorride guardandomi con quei suoi occhi del colore dell’acqua... Io tremavo. Sono corsa in cucina, l’emozione mi soffocava. Tremavo, quando gli ho offerto la tazzina, temevo di tradire il sentimento che mi aveva invasa: sarei morta se lo guardavo.
Entra l’uomo dalla maschera d’oro e prende Anita per mano.
Garibaldi - Tu devi essere mia!
L’uomo esce.
Spari in lontananza. Colpi di cannone.
Anita - «Tu devi essere mia!...» Un attimo e poi era scomparso. Ma io avevo sentito quella frase magica e i suoi occhi mi tenevano incatenata a lui: così e cominciata la mia storia con Garibaldi, bimbo mio.
Stanno cercandoci ma sono lontani. Non ci troveranno, lo so: la vita con Josè ha sempre avuto questo sapore di pericolo... Pochi i giorni senz’ansia: i primi tempi, quando andavamo a cavallo nei boschi... o sulla spiaggia e il vento asciugava il sudore dai nostri corpi dopo l’amore... Là finalmente eravamo soli, lontano dai pettegolezzi del paese... io per la gente ero ancora una donna sposata. Com’era buffo, Garibaldi, quando si dimenava sulla sella! A quei tempi ero meglio di lui a tenere a freno una bestia selvaggia, e ridevo nel vederlo ansimare... tutto teso a trattenere l’animale che cercava di gettarlo a terra... Come un’ombra scolorita, Manoel svaniva sempre più dalla mia vita. Era Josè l’unico amore, anche lui lo scopriva, non solo quando stavamo insieme sulla nave, nell’attesa dello scontro con la flotta imperiale. Non era soltanto la passione ad unirci ma ogni cosa scoprivamo tra noi, in un rapido succedersi di eventi...
Un’ampia vela si alza da terra.
Soldato e amante sono stata con lui. Eravamo ancorati a Rio Pardo, in attesa dell’attacco. Le nostre navi si cullavano nell’acqua, al largo, Josè le teneva pronte per scagliarle contro gli imperiali, a difesa della Santa Catarina, la nostra piccola repubblica stracciona che aveva scelto come capo Garibaldi.
La vela si fa lenzuolo.
In quelle ore di attesa, ci dicevamo ogni pensiero più segreto, i sentimenti, le ansie, il sollievo... speranze e desideri... Poi quando eravamo sazi di parole, il respiro dell’uno si annullava nell’altro... La guerra ci svelò nel coraggio, e ancora di più sentendo fragile la vita sentivamo quanto fosse importante essere uniti. Scoppiava poi l’inferno! Lampi! Grida!... La nave attaccata dalle forze imperiali... Imprecazioni!... Spari!... Il nome di Gesù!... e lamenti.., e bestemmie.., e invocazioni... E Josè che dà ordini.., e gente che corre all’impazzata... e sangue dappertutto... e urla e gemiti e maledizioni!... E la voce imperiosa di Josè che appena si vela di dolcezza rivolgendosi a me, «Vai di sotto», mi dice, non vuole che io resti sul ponte a rischiare la vita. «Resto qua», gli rispondo. Lui mi fissa come se mi scoprisse allora, non mi impone di andarmene, affascinato dalla mia volontà di restare al suo fianco in quei momenti di pericolo come in quelli vissuti nell’amore.
Parla al suo bambino.
Perché vedi, bimbo mio, le nostre vite ormai erano una vita sola.
Messa da requiem. Entra un soldato imperiale portando un grosso fagotto. Apre il fagotto sul pavimento: si spargono teste, brandelli di divise. Si mette da parte suonando un flauto di legno.
Anita - Camminavamo da ore. Una marcia durissima, tutta la notte senza un attimo di tregua. Arriviamo a Cutiribanos... è un paesino dolce... Pensavamo di riposarci là. Di colpo urla, spari, il fuoco delle bombe... amici fatti a pezzi... Da ogni parte ci assediavano, eravamo caduti in un agguato. Io guidavo la squadra che forniva munizioni a tutti quanti, Josè mi aveva affidato quell’incarico, era un compito difficile, esigeva calcolo, prontezza... Io lo eseguivo con gioia perché incontravo ogni soldato e gli davo i proiettili, ma anche una parola e un sorriso per fargli coraggio. Mi sono spinta avanti per non lasciare nessuno senza aiuti...
Un colpo secco di fucile. Anita sobbalza.
Un colpo di fucile aveva trapassato il mio cappello: un po’ più in basso e mi avrebbe ammazzato. I soldati imperiali mi avevano isolata...
Soldato imperiale - Il «tuo Josè» non vive più.
Anita - Non è vero. Non può essere vero.
Soldato imperiale - Donnaccia! Prostituta! Cagna in calore! Hai mandato i soldati al macello! Disgraziato un comandante come Garibaldi che usa l’amante sul campo di battaglia!
Anita - Noi siamo un popolo! Uomini e donne uniti nell’amore e nella guerra! Tu insulti una donna che appartiene alla tua gente! Sei povero e umiliato come noi. Servo!, non padrone tu della tua storia!
Soldato imperiale - Zitta bastarda o te ne pentirai! In ginocchio! Rimangiati le offese o farai la fine del tuo uomo!
Anita - Garibaldi è vivo! Non può morire! La mia gente ha bisogno di lui!
Soldato imperiale - Povera donna innamorata mi fai pena! E’ a marcire, il grande generale! Una carogna è rimasta di lui! Vai a vedere, non ti divertirai... il campo è pieno di uomini ammazzati. Te lo concedo, puoi guardarli ad uno ad uno...
Anita fa qualche passo verso le teste che giacciono a terra. Il soldato si ritira. Anita parla al suo bambino.
Anita - Di fronte a quel soldato avevo usato tutte le mie forze, ma dentro di me ero sconvolta. Il. terrore che avesse detto la verità mi prese al punto che pensai «Voglio morire anch’io!». Ma subito un desiderio irrefrenabile di vita cacciò via quel pensiero e mi ordinò, sì mi ordinò di raggiungere ogni punto di quel campo ricoperto di morti e di guardarli ad uno ad uno...
Anita si sposta qua e là dove sono sparse le teste. Prende una testa fra le mani.
Anita - Occhi di colomba.., figlio della mia Laguna, la tua ragazza non potrà più baciarti... Vi bacio io per lei, dolci pupille scure e vi chiudo per la vostra pace. Che Dio benedica il tuo riposo, non sei Josè!...
Anita prende un’altra testa.
Quante volte mi ha chiamato questa bocca!... Pallide labbra, non sentirò più la vostra voce gentile. Piango per voi, ma mi perdoni Dio per la gioia che provo nel vedere che non siete le labbra di Josè!...
Anita solleva un’altra testa.
Se tu sei morto, lui può essere vivo! Povero volto sfigurato, io non so chi tu sia... Ma i tuoi capelli sono neri e Josè è biondo... Cresce in me la speranza che sia vivo!
Anita parla al suo bambino.
E ogni volta che tenevo fra le mani il capo di un soldato caduto, opposti sentimenti mi spaccavano il petto. Pietà per quel ragazzo che non sarebbe più tornato alla sua casa, e gioia lancinante, come un balzo nel petto a riprender speranza perché non era il mio Josè, non era lui quell’uomo senza vita già freddo deformato dal piombo, e ad ognuno che guardavo cresceva in me la sicurezza che fosse vivo! Sì vivo ancora il mio Josè, e fosse vero quanto lui stesso tante volte mi aveva confidato al fuoco dei falò nel riposo notturno: che non sarebbe mai caduto sul campo di battaglia, che Dio lo proteggeva per altre imprese che insieme ci avrebbero portato in terre lontane...
La fanciullina richiude il fagotto con le teste e corre via portandolo con sé. Anita parla al suo bambino.
E quando non ci fu nemmeno uno che non avessi guardato tra i morti, quando fui certa che Josè non era tra quei poveri corpi senza vita, me ne andai via correndo. E dopo giorni e notti di cammino, perdendomi tra gli alberi fitti, a rischio di annegare nel fiume, seguendo non so quale istinto, a un tratto il buio della selva si spalanca e in una allegra piazza di paese tra contadini, cavalli e soldati ecco apparire...
Appare Garibaldi con la sua maschera d’oro.
...nel sole lui! Senza parlare mi guarda e ride con tale intensa felicità che il suo volto ha la luce dell’oro e non parole riusciamo a pronunciare,...
Allegra musica popolare. Garibaldi solleva Anita abbracciandola. Si stringono ridendo.
…ma ridiamo! Ridiamo per la gioia di ritrovarci ancora vivi!
Garibaldi si fa serio.
Garibaldi - Coraggio vuol dire anche prudenza. Hai rischiato la tua vita...
Le sfiora il ventre con una carezza.
... e la sua, non farlo più. Il figlio che tu porti lo devi custodire gelosamente, per te e per me, soprattutto per lui, per il futuro.
Bacia Anita sul seno e se ne va.
Anita - Era il mio primo figlio che aspettavo, tuo fratello... E Josè via via che passavano i mesi, pareva trasformare il suo amore per me in qualche cosa di più dolce e sommesso, quasi un’adorazione come sentivo aveva di sua madre di cui tanto parlava... Ed io mi domandavo se, nato il bambino, quella passione che ci aveva unito così profondamente avrebbe continuato oppure se come sua madre e nient’altro mi avrebbe voluto. Io non l’avrei mai sposato se lui mi avesse amata non perché donna ma creatura angelicata: i figli li volevo per quel totale fondermi con lui, ma non l’avrei ceduto a un’altra amante per darmi tutta all’istinto materno!
Vagiti di neonato che sovrastano a tratti la voce di Anita.
Poi è nato Menotti!... Riflessioni ed ipotesi si sono fatte inutili: dovevo occuparmi di lui che voleva poppare! Occorreva lavarlo... rivestirlo con le fasce pulite... coccolarlo. La guerra intanto ci aveva sfiancato. Dopo due anni di speranze e delusioni abbiamo deciso di partire...
Entra Garibaldi con un bambino in fasce tra le braccia. La maschera d’oro gli sta sui capelli, tirata su come si fa con gli occhiali: non è un momento da maschera d’oro. Pelli di buoi pendono dalle sue spalle.
Garibaldi - Riposati un po’. Lo tengo io Menotti. Non dovevamo attraversare il fiume con il bestiame, tutto quello che la gente ci ha dato per aver combattuto in sua difesa. Soltanto queste pelli ci rimangono, le venderemo a Montevideo.
Anita - Montevideo non è lontana!... Ci aspettano amici laggiù.
Garibaldi - Ti prometto una casa. E vestiti.., cibo per i nostri figli. Lavorerò come tutti i mariti.
Anita - Tu sei nato per grandi progetti. Non devi sprecare i tuoi giorni, cercherò di guadagnare anch’io.
Garibaldi - Tu sei la mia donna, devi restare a casa. Al resto penso io.
Garibaldi bacia Anita che vorrebbe replicare. Poi se ne va.
Anita - Pur di stare con lui avrei fatto qualunque cosa. Ma Josè non mi voleva fuori casa, in questo era come tutti gli uomini di allora. A me però non importava: nei progetti importanti - lo sapevo - io sarei tornata accanto a lui, come in Brasile per la nostra repubblica stracciona. In quell’attesa, passavo le giornate impaziente di vederlo tornare. Lui lavorava al porto, faceva il sensale...
Una romanza italiana dalla melodia struggente.
Stavamo in un quartiere di famiglie italiane, e i ragazzini andavano da lui ritornando da scuola. Senza quasi volerlo, cominciò a far lezione. Gli chiedevano soprattutto matematica. Lui spiegava, risolveva i compiti... ma poi dai numeri passava alle battaglie: dove riandava la sua mente e il suo cuore, là lo portavano allora le parole...
Entra Garibaldi con la fanciullina vestita da maschietto. Porta una lavagna e dei gessi colorati.
Garibaldi - Dunque fate attenzione.
Comincia a scrivere sulla lavagna.
Dieci sta a X... come settantacinque sta a quindici...
Fanciullina-Maschietto - Perché?
Garibaldi - E’ un’«equazione»: si chiama così. E c’è un’incognita - vedete? -, la X: dovete ricavarla dai numeri che già conoscete. Dieci sta a X «come» - deve esserci una proporzione, capite? -: come settantacinque sta a quindici... Allora, cosa devo fare?
Fanciullina-Maschietto - Cosa?
Garibaldi - Devo ricavare la X.
Scrive.
E scrivo: X uguale... a dieci per quindici.., diviso settantacinque... Il risultato è due, perché dieci per quindici fa centocinquanta... che diviso per settantacinque fa...
Fanciullina - Due?
Garibaldi - Due! E infatti, ecco la prova!
Scrive - Dieci diviso due è uguale a settantacinque diviso quindici, cioè cinque in tutti e due i casi! Chiaro?
Fanciullina - Perché?
Garibaldi - Perché è una formula. Una formula matematica.
La fanciullina lo guarda perplessa.
Fanciullina - Sempre?
Garibaldi - In matematica sì. Nella vita, no. Tante volte, nella vita, il risultato è diverso. Contano le idee, le passioni: allora le forze si moltiplicano... Quando noi combattevamo, in Brasile, per dare pane e libertà alla gente che stava male come state anche voi, non c’era proporzione fra le nostre forze e quelle del Governo Imperiale. Noi eravamo pochi, senza mezzi, quasi privi di armi. Loro con splendide divise, ben nutriti.., ma senza un ideale: andavano al macello per un pezzo di pane. Li vincevamo pur essendo di meno «in proporzione»! Il nostro scopo era la gente libera, un futuro di uguaglianza e di benessere! Lo spirito non si calcola con la matematica. Ma a lungo andare è la forza dei numeri ad avere la meglio. Per questo abbiamo dovuto partire...
Entra Anita con una spada che offre a Garibaldi.
Anita - Il Governo dì Montevideo ti ha accettato come ufficiale di marina!
Musica allegra. Anita e Garibaldi danzano un ballo tradizionale. Anita parla al suo bambino.
Anita - E’ stato allora che abbiamo deciso di sposarci! Sì! Dì sposarci! Io che non volevo, che mi sentivo già unita a lui a quella notte passata a Laguna, ho accettato il sacramento in chiesa! Si cambia nella vita, le circostanze mutano. Le decisioni sono figlie dei giorni e così io volevo in quel momento che la gente mi chiamasse la «moglie» di Garibaldi, l’ufficiale italiano!
Garibaldi arresta la danza. Si fa serio.
Garibaldi - Mia madre è molto religiosa... Se andremo in Italia, non vorrei che ti considerasse una sgualdrina...
Anita - Tua madre è una donna all’antica. Noi abbiamo dei figli, e la gente è cattiva: non vuol capire che le carte per noi sono prive di importanza.
Garibaldi - Se contassero le carte, non sarebbe più amore. Ma mia madre è una donna all’antica...
Anita - E allora facciamo questo matrimonio! Quella volta non ho indossato l’abito da sposa, non ho calzato scarpe dello stesso colore del vestito, ma il mio cuore gridava di gioia nel pronunciare le parole di fedeltà, le promesse d’amore che ci rendevano marito e moglie!
La fanciullina in abito di Menotti entra portando una grande torta ornata di rose di zucchero.
Garibaldi - Rose di zucchero candito! Un coltello comune farebbe torto a un dolce tanto prezioso!
Tira fuori la spada. Anita batte le mani rapita.
Anita - Oh! La spada! Sì!...
Garibaldi - Io taglio questa torta con la spada. Vorrei usarla sempre in questo modo Se potessimo non avere più guerre!...
Prende in braccio la fanciullina in abito di Menotti e la fa piroettare in alto mentre la bimba ride felice.
Anita - Quella notte - la prima, del nostro matrimonio - tutta la passione di un tempo ci ha ripreso, come un incontro nuovo, irresistibile…
Garibaldi mette giù la fanciullina. che corre via. Anita sorride al ricordo.
Anita - Quasi ci facevamo vedere dal bambino…
Garibaldi tira fuori una lettera da una tasca sul petto. La porge ad Anita.
Garibaldi - Ti ricordi del nostro primo incontro, quella sera, a Laguna?
Anita - Come potrei dimenticarlo?
Garibaldi - E’ stato sconvolgente, anche per me... quel trovarti... come avevo sognato e mai creduto possibile... che non ti ho detto... non ti ho detto mai…
Anita - Che cosa non mi hai detto mai?
Garibaldi tira fuori da una tasca un foglio ripiegato. Lo porge ad Anita.
Garibaldi - E’ . . .una lettera. A te.
Anita - Siamo sempre stati insieme... Perché una lettera?
Garibaldi - Quando ho cominciato a scriverla, pensavo che non ti avrei mai più rivisto.
Anita - Leggi. Voglio sapere.
Anita abbraccia Garibaldi che comincia a leggere.
Garibaldi - Donna mia, forse non ti incontrerò mai più. Ti ho visto per un attimo. Poi sei scomparsa. Non potevo raggiungerti. Ero sul ponte della nave. E aspettavo: che cosa non sapevo. C’era in me un senso triste di vuoto, quello che prova un uomo in battaglia privato di una parte del suo corpo... Mi mancava una donna, una casa.., dei figli... desiderarli mi era sembrato fino a quel giorno cosa di cui sentirsi in colpa, per uno come me, che si era dato tutto a un ideale che metteva in pericolo ogni momento della vita. Ma il destino decideva in altro modo. Io ero triste quel giorno… triste da morire... Erano caduti gli amici più cari oppure combattevano lontano... Ero solo, e sempre con più intenso dolore io sentivo l’isolamento di una vita senza amore. Una donna! Sì! Una donna! L’avevo sempre immaginata come la creatura più perfetta, e sulla nave io fantasticavo su quella donna destinata a me. E come comandato, alzo lo sguardo sulle case di Laguna, piccole, affastellate l’una sull’altra.., e dalla riva una donna mi guardava... Afferro il cannocchiale e la vedo ancor più chiaramente: lei mi guardava e i suoi occhi brillavano di una luce intensa e magnetica. Il suo viso era fiero e... appena accennato sulle labbra, un sorriso ne scioglieva la seria compostezza. Ordinai di portarmi fino a terra. Mai fu più perentorio un mio comando, e venato di inquieta impazienza. Appena al molo corsi per le strade, fra le case per ritrovare quella donna della quale sentivo di non poter più fare a meno... Ma lei era scomparsa! E sconsolatamente allora io continuo a girare fissando ogni volto femminile che intravvedevo sulle porte schiuse, alle finestre delle case, nell’ombra misteriosa dei portoni, ogni volta con il cuore in gola, smanioso di vedermela di fronte... Disilluso alla fine mi staccai da quel sogno, e me ne andavo senza meta come un bambino abbandonato quando mi viene incontro un uomo che avevo conosciuto al mio arrivo in paese; premuroso mi invita a prendere il caffè nella sua casa; io lo seguo e subito nella penombra della stanza un bagliore mi ferisce facendomi balzare indietro per la sorpresa immensa e per la gioia di rivederla! Quella donna! .. .Eri tu, Anita, con un volto di bimba dal nome difficile di Anita... La mia donna... La madre dei miei figli...
Garibaldi smette la lettura e guarda Anita.
Adesso la mia sposa.
Anita - La compagna della tua vita nella buona e nella cattiva fortuna. E’ stato bello ascoltarli e conoscere quello che avevi scritto e conservato in tutti questi anni, sul tuo cuore.
Garibaldi - «Tu devi essere mia»! Ricordi?, te lo dissi in italiano, e tu non capivi una parola.
Anita - Era il tono della tua voce che mi ha fatto capire. Era come mi guardavi...
Garibaldi - Anche adesso ti guardo come allora.
Si abbracciano. Uno squillo di tromba segnale di guerra. Garibaldi se ne va. Anita parla al suo bambino.
Anita - Quel tempo felice finì presto. Ci eravamo illusi di essere un marito e una moglie come tanti. Ma lui... era Garibaldi... Perciò l’avevo scelto, e dovevo aspettarmi quello che tutti si aspettavano da lui: che combattesse. Così se ne andò nell’interno, verso Corrientes, risalendo il Paranà... Io me ne stavo sola col mio bambino... E insieme all’ansia per il pericolo a cui continuamente andava incontro combattendo, un’altra ansia... Oh! non mi vergogno a dirlo!, un’altra per me più tremenda e più angosciosa mi prendeva: la gelosia, suggestione della mente, che distruggeva ogni forza nel mio essere. Conoscevo di lui l’impetuosa capacità di godere della vita: la passione che lo faceva combattere era la stessa del suo amore perla gente. E quando la battaglia era finita, e vuoto si presentava il tempo del riposo e dei dolci abbandoni, questo amore sfociava poi per lui... ah! troppo mi costa dirlo!, nell’aprirsi all’incanto di una bellezza femminile, alla distrazione giocosa di un discorso che lo distraesse dai gravosi pesi della guerra e gli recasse quel sollievo che soltanto l’abbraccio di un’amante può offrire! Cercavo di scusarlo in questo suo bisogno, sicura che non mi sostituiva nel suo cuore con altre donne, vaghe ombre che in un attimo soltanto potevano rallegrare il mio uomo, parvenze soltanto immaginate, senza nome né volto, e senza storia. Ma, prima impercettibilmente, poi sempre con più insistenza, all’inizio con sguardi e con gesti allusivi, poi con parole e frasi, fino a chiare denunce ecco, mi viene detto da più parti che c’è una donna accanto al mio uomo: Lucia, la bella figlia di un proprietario di terre coltivate. E’ lontano da me da sette mesi, il mio Josè: e me, me soltanto ha cercato in quella donna!... Finirà presto, ne sono sicura... Forse in questo momento è già finita...
Entra la fanciullina e consegna una lettera ad Anita, poi scappa via. Anita strappa la busta con impazienza e legge ad alta voce.
«...Aspetta un figlio da Josè...»
Straccia il foglio con furia come se volesse distruggere una persona.
Non da me! Non sarò io la madre! Avevo desiderato un altro figlio, tanti ne avrei voluti ancora, per rivedere in loro il mio uomo, lui e me insieme in quei volti innocenti. E invece no, un’altra donna intreccerà con Garibaldi i tratti del suo volto di cagna. Lui lo sapeva: potevo sopportare i suoi sfoghi di maschio da bordello, ma i figli no!: loro dovevano essere unicamente di noi due.
Garibaldi si profila sul fondo. Anita si volta e gli si avvicina. I due sono uno di fronte all’altra.
Garibaldi parla con tono incerto tentando disinvoltura.
Garibaldi - Sono tornato...
Fa per abbracciarla. Anita gli volta le spalle.
Anita - E’ vero.., quello che ho saputo?
Garibaldi tace.
E’ vero... di quella donna? Di Lucia?
Garibaldi - (dopo una pausa imbarazzata) Io... Io non posso che sperare... nel tuo perdono... Io... Io ti chiedo scusa... lo... lo non posso sperare... altro che in te, che tu capisca... nel tuo cuore di donna... Un soldato.., si trova solo... si illude... vuol riprovare... le gioie che gli ha dato la sua donna... Oh!,ìo ti chiedo scusa... Non ti ho mai confusa con nessuna... Ma in quei momenti... se tu fossi stata con me... e invece eri lontana... Solo per questo, Anita, perché tu non c’eri.., io ho mancato... Non ti ho mai confusa...
Anita - Non mi hai confusa con nessuna: eppure hai fatto un figlio con un’altra: quella donna lo aspetta da te!
Garibaldi - Io... Io non posso che sperare... nel tuo perdono...
Anita - Si chiamerà Garibaldi anche quel figlio! Che perdono pretendi per questo?! Un tradimento si cancella, un figlio no.
Garibaldi - Io... Io non posso sperare altro che in te, che tu capisca...
Anita piange. Dapprima trattenendosi, poi lasciando scorrere le lacrime in un singhiozzare sempre più dirompente. Garibaldi tenta di abbracciarla. Lei lo respinge, poi cede all’abbraccio. I due si baciano. Infine Garibaldi si allontana. Anita si asciuga le lacrime.
Anita - Cosa potevo fare?! Era il mio uomo. Come respingerlo? Certo qualcosa era cambiato, tra noi non era più come prima. Ma un uomo può darsi totalmente ad una donna? Può un uomo stabilire per sempre un rapporto di affetto, di fiducia con lei, e insieme mantenere profonda una passione destinata a durare in eterno, senza rischio di spegnersi, ma solido legame ed alleanza? Forse non è possibile. Ma io mi ero illusa. E se l’uomo è diverso dalla donna, dovevo rassegnarmi: amarlo così com’era, nella sua diversità.
Anita si fa più dolce.
Sono di nuova incinta. Sarà una bimba, questa volta. Una bambina, come ha avuto Lucia: prima l’avrei uccisa, per quel figlio. Adesso mi fa pena: è sola, ha soltanto suo padre e le sue terre, il mio uomo è tornato da me. La piccola che è nata a casa nostra è fine, ha il naso dritto, tanti capelli biondi e una pelle delicata e rosea, così Rosa è stata chiamata, Rosa... Rosita. E dopo lei, è nata Teresita... un’altra femmina in tutto simile alla prima. Occhi, capelli, carnagione, tutti e tre i miei bambini rassomigliano al padre, nessuno mai potrebbe dire che non sono figli suoi! Ma poi e arrivato un ragazzino.., occhi neri, scuro di pelle, suo padre lo ha preso tra le braccia per osservano bene, guardava quel viso minuto e sorrideva...
Entra Garibaldi vestito da comandante in capo delle forze di difesa di Montevideo. Tiene tra le braccia un bambolotto bruno.
Garibaldi - E’ il primo che assomiglia tutto a te!
Anita - Anche questo è tuo figlio: era ora che almeno uno di loro mi somigliasse! Sono i maschi a prendere dalle madri...
Garibaldi - Partirete per l’Italia. Pio nono ha concesso riforme liberali. Ho messo la mia spada al suo servizio, per la causa nazionale. Valuterai tu anche per me, se sono propositi fondati. Andrete a Nizza, da mia madre.
Anita - E tu? Non vieni via con noi?
Garibaldi - E’ qui che devo organizzare i miei soldati. Sono impazienti, gli Italiani, di tornare. Non più come bestie braccate, minacciati da una condanna a morte, come io stesso in Italia. Qualche rivoluzione si è tentata anche da queste parti, ora l’Italia chiama. Partirai coi bambini.
Anita - Riuscirò a resistere senza di te? E tu, di nuovo lontano... Io ti amo, Josè, ma la fiducia in te è mutata, sai che cosa voglio dire...
Garibaldi - Ti ho chiesto scusa. E dopo, abbiamo avuto ben tre figli...
Anita - L’altro giorno ho sentito una donna che ti faceva un complimento. Una signora, una di queste ricche cittadine di Montevideo... Tu torni da me ogni sera. Le frasi frivole non contano in confronto alle notti in cui ci amiamo. Ma intanto all’ambizione non rinunci, e per questo io soffro.
Garibaldi - Quelle signore non hanno potere su di me. Tu sì.
Sempre. Come sette anni fa.
Anita - Sei bello come allora. Con dei capelli da fanciulla, leggeri... ricci.., biondo di un biondo speciale, quella signora diceva estasiata: cavalcava accanto a te, io ti ero venuta incontro ma una siepe mi nascondeva ai vostri occhi. Quella voce di donna mi ha fermato: ti faceva un complimento che mi parve volgare anche se le parole erano scelte con finezza ed il tono aggraziato. Tu ridevi compiaciuto. Odiai in quel momento i tuoi capelli. Odiai la tua bellezza. Odiai te.
Garibaldi - Non potrei vivere se tu mi odiassi. I miei capelli non devono creare dei contrasti fra noi. Tagliali.
Garibaldi si allontana. Anita parla al suo bambino.
E così, bimbo mio, tagliai i suoi capelli. Mi diede lui le forbici, ed io quasi strappai quei riccioli biondi con tutta la forza che la gelosia aveva scatenato in me. Lui sopportò senza dire una parola. Aveva appena sulle labbra un sorriso leggero quasi scusasse il gesto di cui dopo mi sarei pentita... E fu così! Mi rattristavo quando sentivo gli ufficiali che ridevano per la sciocca mutilazione a cui l’avevo costretto, e lo prendevano in giro. Lui sorrideva e non diceva niente, come quando i suoi riccioli cadevano... Forse era perfino lusingato che io lo amassi al punto di fare una pazzia.
Un suono cupo di sirena di nave. La fanciullina in abito di Menotti corre vicino ad Anita tenendo fra le braccia Teresita e Ricciotti. Anita prende in braccio la fanciullina.
Anita - Siamo partiti. Josè ci avrebbe poi raggiunto.
La fanciullina-Menotti - E Rosita? Non viene con noi?
Garibaldi - Rosita... deve restare ancora qui.
La fanciullina-Menotti - Con te, papà?
Garibaldi - Sì.
La fanciullina-Menotti - E poi verranno anche loro?
Garibaldi - Ho promesso che vi raggiungerò dalla nonna appena possibile. E porterò anche Rosita.
La fanciullina-Menotti - Staremo di nuovo insieme tutti quanti?
Anita - Sì. Ma Rosita... Rosita dovremo andare a trovarla. In un bel prato verde, con tanti gigli.., e rose...
La fanciullina-Menotti corre via. Una ninna nanna in lontananza. Anita parla al suo bambino.
Anita - E’ difficile raccontare ai bambini che la morte gli è passata vicino e ha portato via uno di loro. Rosita se n’era andata in tre giorni di febbre e di delirio. Come per il mio fratellino Salvador un piccolo cuore aveva cessato di pulsare prima ancora di schiudersi alla vita. Come lui Rosita era scesa nella terra fredda e buia. Per lei invece del lenzuolo c’era stata una bara bianca a ripararla, e una ninna nanna a cullare il suo sonno... L’avremmo portata in Italia con noi, Josè me lo aveva promesso.
Una romanza nostalgica. Lo sciabordio dell’acqua sui fianchi della nave.
Anita - Che cosa mi aspetta in Italia? Sono settimane che vedo solo il mare. Questo che percorriamo adesso è più azzurro che mai, non l’avevo mai visto così intenso... Da due mesi viaggiamo... Sogno dell’acqua buona... un frutto fresco, una verdura appena colla nell’orto... tutto è rancido e vecchio e i bambini fanno pena... ricoperti di pustole, smagriti... nelle corse a gara con i topi di cui ridono, abituati a vederli. Ma io ho paura di infezioni, e di notte non dormo per impedire che vengano assaliti.
Un ramoscello fiorito cade accanto ad Anita che lo raccoglie.
La terra è vicina. Spiagge fiorite di aranci e di limoni... E gente amica... a Genova.., dove sbarchiamo... Faremo festa!
Una allegra fanfara. Un distinto signore genovese entra spiegando la Gazzetta che leggerà ad alta voce, con accento spiccatamente ligure.
Anita ascolta sorridendo. Fra le mani tiene una bandiera italiana. Accanto a lei, la fanciullina-Menotti con i due bambolotti.
Signore genovese - «Giunsero ieri fra noi la moglie e i figli di Giuseppe Garibaldi. Una folla di cittadini si recò questa mattina sotto la sua abitazione acclamando all’illustre Guerriero che difese ed accrebbe l’onore delle armi italiane, combattendo in America per la causa della libertà. Una bandiera nazionale venne offerta con nobili parole alla forte Donna, e con vivo entusiasmo salutato il ritratto del valoroso genovese. Anna Garibaldi esprime in queste parole la sua riconoscenza: “Genovesi, le vostre generose e forti acclamazioni...
Anita ripete le ultime parole proseguendo poi nel discorso.
Anita - Genovesi, le vostre generose e forti acclamazioni per il mio arrivo fra voi mi hanno rivelato di trovarmi sopra una terra abitata da Italiani risorti alla originaria virtù dei loro antenati. Io vi offro in cambio i più vivi ringraziamenti del mio cuore. Sono stata felice fino ad ora di appartenere ad un uomo che per cause di libertà sopra un suolo straniero spiegava un valore inutile alla sua patria. Sarò al colmo dei voti quando avverrà che per questa patria egli debba combattere, e quando mi mostrerò italiana anch’io!
Applausi scroscianti.
Voci - Vita gloriosa a Garibaldi. Viva Anita! Viva!
Anita parla al suo bambino.
Anita - Ero così felice, bimbo mio! Tutto mi pareva nuovo e bello. L’attesa di tuo padre non mi pesava tanto, perché sentivo l’affetto della gente. Poi siamo andati a Nizza. C’era la nonna, la mamma di tuo padre. Era buona, nonna Rosa. Si diede subito da fare per quei nipotini che conosceva solo allora. Eravamo diverse. Lei quasi austera, la chiesa era dove più volentieri si rifugiava quando usciva, e ci voleva portare anche me... Oppure voleva trattenerci nell’oscurità silenziosa delle sue stanze, difese da immense tende di velluto. Appena potevamo, noi correvamo fuori. Si andava in giro per le strade, L’aria di mare ci ricordava il nostro paese... E dopo quattro mesi, finalmente è tornato Josè!
Entra Garibaldi che indossa la camicia rossa. Anita gli offre la bandiera.
Anita - Me l’hanno data a Genova. Tu puoi renderla viva.
Garibaldi - Quello che conta è riunire l’Italia. Con o senza il Re. Il problema che sta tanto a cuore a Mazzini, la caduta della monarchia e l’avvento della repubblica, per ora non mi importa. Fare l’Italia una, libera dalla pestilenza straniera, questo è il mio scopo.
Anita tocca la camicia rossa di Garibaldi.
Anita - Lo so. E voglio esserci anch’io, in questa impresa. La tua camicia mi ricorda Montevideo... I macellai della città la indossano come casacca di fatica... L’avevi scelta per i soldati perché costava poco...
Garibaldi - E permetteva ai nostri uomini di riconoscersi in mezzo al nemico. Qualcuno qui ha già fatto delle critiche: «Facile bersaglio alle pallottole»...
Anita - Ha il colore del sangue. Dà coraggio. Non è il rosso a decidere la morte.
Garibaldi - Prima di arrivare alla morte, ho sperato di vivere giorni felici. Con te, coi nostri figli, con mia madre che non vedevo da quattordici anni... E’ così grande questa mia felicità che un uomo non può chiederne di più. Troppa perfino! E quasi, un presentimento di sciagure...
Aria verdiana. Anita e Garibaldi paiono personaggi da opera lirjca.
Anita - Oh! Non dire così!
Garibaldi - Ma mi pare impossibile, insieme e senza guerre!...
Anita - Quando saremo in pace veramente, forse non proveremo più l’intensità di questo sentimento così raro...
Garibaldi - Avremo ancora vittorie e avremo ancora sconfitte. Non illudiamoci: i papi e i re non cambiano la loro natura repressiva.
Anita - Erano forse peggio gli imperiali in Brasile? Come allora, io sarò al tuo fianco.
Garibaldi - Sì. Come allora io ti guardo e vedo in te la donna creata per me.
Anita - Quella frase del nostro incontro, in quel tuo italiano misterioso...
Garibaldi - «Tu devi essere mia»! Solo la morte potrebbe infrangere quel nodo che hanno stretto le mie parole...
Anita - Quelle parole mi danno la certezza che tu rimarrai sempre con me.
Garibaldi si allontana da Anita. Parla mentre sta andando via sempre più lontano.
Garibaldi - E’ già finita la felicità. Devo partire.
Anita - Vengo con te. Come hai promesso.
Garibaldi - Non è ancora il momento. Adesso rimani accanto ai figli, con mia madre.
Garibaldi esce.
Anita - E tante volte andò e tornò. Illusioni e delusioni, alleanze e tradimenti, amici e nemici mistici e imbroglioni onesti a parole e traditori nei fatti denigratori e spie... L’Italia non era l’ideale che avevamo sperato, ce ne accorgemmo presto.
Entra la fanciullina spingendo avanti una bella poltrona da casa patrizia. Prende per mano Anita e ve la fa sedere.
Anita - Poi finalmente la notizia: il Papa era scappato! In fretta e furia aveva abbandonato Roma e via! A Gaeta travestito da lacchè! Altro che speranze di riforme, il bel sogno era durato un giorno... Ma intanto chiamano Josè e il Corpo Volontario della Repubblica Romana lo vuole Colonnello!
Una romanza dolcissima di voce isolata.
Eravamo andati ad abitare a Rieti, dove alloggiava il suo quartier generale. Dolcissima città... belle le strade e quiete... e il palazzo dei marchesi Coletti, vasto.., pieno di luce... mi pareva un sogno l’abitarci... Le nostre stanze, al primo piano.., avevano affreschi alle pareti... In questo luogo sereno, col nostro amore noi ti abbiamo chiamato alla vita: da allora vivi in me, bimbo mio... Poi Roma ha voluto Garibaldi a difenderla, nessuno come lui può combattere le truppe dei francesi. Sarò con lui. E tu che ti nascondi dentro di me, ancora con più forza mi spingi a raggiungere tuo padre.
Anita si alza e la fanciullina porta via la poltrona. Camicie rosse come allegri festoni stesi su corde che si incontrano e si intrecciano cominciano a girare per la scena. Squilli di tromba e spari.
E dopo giornate di lotta in cui tutto pareva vinto e tutto perduto, ecco le giornate del Gianicolo!... Villa Spada... Villa Corsini... che la gente chiama il Casino dei quattro Venti... Villa Doria... Villa Giraud... Villa Medici del Vascello...
Le camicie diventano annerite strappate mano a mano che passano volteggiando. Colpi di cannone a ripetizione come contrappunto. Entra la fanciullina in abito di soldato. Garibaldi entra con una gamba ferita e sanguinante.
Garibaldi - Per diciotto miglia le mura circondano Roma! E’ possibile vincere il nemico con un simile percorso da difendere?!
Anita - Sei ferito...
Si strappa della tela dalla gonna sotto l’abito e fascia la gamba di Garibaldi.
Garibaldi - Dobbiamo andare ai Quattro Venti... La salvezza di Roma sta laggiù... Perdiamo tutto se rimane ai francesi.
Si allontana nel fumo.
Anita - Quel combattimento durò dall’aurora fino a notte... C’erano tutti i nostri amici... Masina... Daverio... Peralta...
Ad ogni nome la fanciullina-soldato getta a terra una camicia rossa.
Mameli... Dandolo... Ramorino... Morosini... Panizzi... Davide... Melara... Minuto.., e il coraggioso dolce Aguyal e tanti altri eroi che non ricordo...
Entra Garibaldi.
Garibaldi - Mazzini crede di aver genio per dirigere le cose di guerra. Invece non ne ha capacità pratica, è lento a progettare movimenti ed imprese. Il giorno prima che morisse Manara lo avevo mandato da Mazzini, per suggerirgli di uscire da Roma e di marciare con tutti i nostri uomini verso le forti posizioni degli Appennini. E non so perché ciò non si fece! Avremmo potuto ritardare la disfatta, chiedere aiuti... Abbiamo invece lasciato tempo ai Francesi di riorganizzarsi... e Roma cade.
Anita - Dobbiamo arrenderci?
Garibaldi - La difesa è impossibile. Ce ne andremo. Quattromila uomini verranno con noi.
Anita - Ti seguirò dovunque.
Garibaldi - Tu hai la febbre. Sei debole. Nostro figlio che tu porti in te richiede cure. E’ una marcia difficile.
Anita - Tu vuoi lasciarmi!
Garibaldi - O donna mia! Non parlare così!
Anita - Tu vuoi lasciarmi se ripeti il rifiuto di portarmi con te.
Garibaldi - Verrai. Ma tu rischi la vita più di me, più di tutti i miei uomini.
Anita - Sono mai rimasta indietro durante le battaglie di Laguna? Ho mai fatto tardare un’azione nelle marce estenuanti, negli assalti a cavallo?
Garibaldi - Per te il pericolo diventa incitamento e il tuo coraggio aiuta tutti noi, sostiene la speranza di riuscire... Ma adesso... adesso c’è il bambino che richiede sua madre...
Anita - Siamo una cosa sola, io e il bambino. E io con te, sono una cosa sola. Dunque verrò.
Garibaldi - Va bene.
Abbraccia Anita nascondendola al pubblico. Quando se ne distacca, Anita ha i capelli corti: una zazzera da ragazzo.
Anita - Ho voluto tagliare i miei capelli. Più libera, e uguale a voi.
Garibaldi - Ecco un soldato in più Ma i tuoi capelli, lunghi, lucenti, come metallo vivo, voglio mandarli a mia madre. Che li tenga a ricordo del sacrificio di una donna bella e coraggiosa.
Anita indossa sull’abito una camicia rossa.
Garibaldi - Partiremo stanotte.
Si allontana.
Anita parla al suo bambino.
Anita - Non ti ho sacrificato, bimbo mio, sarei morta se lui mi lasciava. Da giorni, da notti innumerevoli noi stiamo camminando... per le campagne del Lazio... e poi l’Umbria... e la Toscana... e l’Emilia... e la Romagna... Sono tutta un dolore...
Entra la fanciullina in abito di contadina – quello che indossava alla sua prima entrata - con una anguria tagliata fra le mani. Si avvicina ad Anita, offre il frutto.
Anita - Che delizia! E’ il paradiso questo frutto... così fresco... e dolce... come a Laguna... quando coi miei fratelli… nella campagna... raccoglievo... le angurie più mature... quelle rosse...
Guarda la fanciullina.
Tu mi ricordi il mio paese... mi ricordi quand’ero bambina...
Fanciullina - Vieni... Vieni a casa...
La fanciullina prende Anita per mano e la conduce via. Appena dietro le quinte, l’attrice che interpreta Anita torna in scena togliendosi la parrucchetta e lasciando liberi i suoi capelli. Toglie anche una parte del vestito, mostrando il suo abito.
Attrice - Garibaldi ritornò con uno dei suoi uomini fidati, il colonnello Nino Bonnet che era cresciuto in quelle terre. Insieme portarono Anita fino ad una cascina dove abitava della brava gente: smaniava per l’arsura, le diedero dell’acqua, ne ebbe un po’ di sollievo. Arrivarono poi alla casa di una sorella di Bonnet, e dalle donne Anita ricevette qualche cura. Ma la febbre cresceva e il delirio rapiva il senso delle sue parole. Alle sette della sera arrivarono alla Mandriola. Anita era su un carro coricata sopra un materasso. Finalmente un medico la vide, Garibaldi gli chiese con passione di salvare la sua donna. Adagiarono Anita sudi un letto: il suo volto era immobile, il polso non batteva più. Allora Garibaldi pianse. E lasciando quel corpo senza vita alla pietà dei contadini, riprese il suo cammino per il mondo, portando sempre Anita nel cuore.