Il Cardinale Martini all’autrice
Gentile signora,
la ringrazio per la lettera e sono lieto che abbia pensato di scrivere un testo teatrale sulla grande figura di Sant’Agostino.
Esso mostra ancora una volta — se fosse necessario — che il teatro è una fonte inesauribile di comunicazione immediata e profonda.
Le scene sono semplici, quasi familiari, i personaggi vivi, i dialoghi piani e incisivi, permettendo a chi legge di cogliere con chiarezza e semplicità il lungo e complesso cammino di ricerca compiuto da Agostino e il suo perenne messaggio spirituale. Mi è sembrata anche ben indovinata l’idea di far parlare Agostino, arrivato ormai alla maturità, della sua adolescenza e della sua giovinezza, così come l’idea di Monica che gli appare in sogno.
Le auguro che la fatica da lei fatta — e la si intravede quale frutto di una personale ricerca e di attenta riflessione — sia accolta dal pubblico con largo favore e simpatia.
Con i più cordiali saluti nel Signore
Suo
+ Carlo Maria Martini
“Il tempo di Agostino” è stato scelto dal padre Vittorino Grossi, preside dell’Augustinianum Istituto Patristico, e distribuito a tutti i conventi dell’Ordine, in occasione del 750° anno di fondazione dell’Ordine Agostiniano.
UN SAPERE CHE GODE E UNA BELLEZZA CHE SA
Luigi M. Lombardi Satriani
«Chi riuscirà a trattenerlo, questo cuore, a fissarlo perché trovi un po’ di fermezza, perché rapisca un po’ di luce all’eternità che ha questa fermezza? Chi riuscirà a tenere il cuore dell’uomo, in modo che riesca a vedere che l’eternità non ha né passato né futuro, ma che è ferma in se stessa e da lei nasce il passato, da lei nasce il futuro? Ne sarà forse capace la mia mano?»
Agostino è riuscito a trovare un po’ di fermezza e a rapire un po’ di luce all’eternità; la sua opera rappresenta un’altissima testimonianza di ricerca della verità, percepita come fondamento e orizzonte dell’esistenza. Il male come defectus boni; il tempo come distensio animi; l’invito: noli foras ire, in te ipsum redi, in interiore homine habitat veritas sono nodi problematici di un itinerario intellettuale denso di intensa spiritualità e capacità di attrazione. E a tale itinerario che Maricla Boggio — che ha già fatto rivivere sulla scena personaggi come Abelardo ed Eloisa, Sartre e Simone de Beauvoir e numerosi altri — ha rivolto la sua intelligente attenzione, restituendoci un Agostino dai tratti autentici ed estremamente eloquenti. All’affermazione dell’utilità della ricerca teorica si accompagna il riconoscimento della necessità della pietà, del riscatto dell’umano valore.
«I libri dei filosofi platonici mi avevano spinto alla ricerca di una verità incorporea; da loro avevo appreso che Dio è infinito, e che tutto trae esistenza da Dio... Ma quelle pagine dei filosofi non dicono l’aspetto della pietà, le lacrime della confessione (...) Non c’è in quei libri l’invito di Cristo: “Venite a me, voi tutti che siete pieni di dolori e di affanni!”. Questo invito, la gente importante, i furbi, i ricchi, i potenti non l’hanno conosciuto. Gesù Cristo, questo invito lo ha fatto a chi non conta».
Nelle pagine di Agostino riecheggia il Discorso della Montagna, il suo altissimo richiamo alla purezza del cuore, alla solidarietà con gli umili, all’amore. Sono affermazioni che attraversano i tempi; Agostino le riprende e nella sua inesausta ricerca le ripensa rivivendole e conferendo ad esse nuova linfa. Il pensiero di questo grande mistico viene delineato con intensa suggestione da Maricla Boggio, che parte da un’approfondita e rigorosa lettura dei testi agostiniani per riformularne le espressioni, teatralizzandole, nell’accezione contemporanea della messa in scena della parola, mostrando, con la costante validità e l’estrema attualità dell’opera di un uomo che ha unito passione e intelligenza nella sua continua ricerca di Assoluto e al quale, a distanza di secoli, ci sentiamo, pur nella diversità di accentuazioni, affratellati.
«L’uomo si lascia sedurre dal gusto di comandare. E questa seduzione corrompe il potere: doveva essere un servizio per gli altri, si tramuta in prerogativa personale di disporre delle cose, di disporre soprattutto degli uomini a proprio piacimento. Non esiste più autorità secondo giustizia; l’esercizio del potere è guidato da interessi privati. Vi siete mai domandati che cosa vuol dire “privato”? Il suo significato si richiama ad una privazione: “privato” è ciò che priva del rapporto con gli altri, con la società; è ciò che rimane isolato, avvolto nell’egoismo. Ed è egoismo che prevale sugli interessi comuni; è l’egoismo che rende povero lo Stato e pochi invece ricchissimi. Ed è da questa situazione che deriva la rovina dello Stato».
Accanto ai nodi del pensiero di Agostino vengono evocati momenti della sua esistenza, reinventati con discrezione ed efficacia; il colloquio con la madre, ad esempio, è soffuso di tenerezza. Maricla Boggio si è accostata ad Agostino con sensibilità: ne ha inteso l’altissima testimonianza, ne ha reso i tratti essenziali, ne ha riproposto, con libera riorganizzazione, temi e affermazioni, il discorso. Il risultato è un testo teatrale particolarmente felice, atto a trasmettere riflessioni ed emozioni, aspetti complementari di una conoscenza che non intenda attestarsi mutila su un piano di arida razionalità o essere risucchiata in un vortice di emotività autolegittimantesi.
In questo nostro tempo tormentato abbiamo particolare bisogno di un sapere che gode e di una bellezza che sa.
PERSONAGGI
AGOSTINO, nella maturità.
GIOVANNI, ragazzo di campagna.
ALIPIO, monaco, amico di Agostino.
GIULIANO, manicheo, seguace di Agostino in gioventù.
PAOLO, ragazzo di famiglia agiata.
PAOLA, ragazza di famiglia intellettuale, fidanzata di Paolo.
MONICA, in sogno, madre di Agostino.
DONNA VELATA, profuga da Roma.
LA SCENA
Un angolo di portico ad arcate, davanti al giardino di un chiostro.
Fronde di un albero spuntano dall’alto.
Africa settentrionale, fine del IV secolo.
PROLOGO
Agostino sta scrivendo una lettera. Dopo averla conclusa, rilegge quanto ha scritto.
AGOSTINO - «Se mi chiedi un consiglio in armonia / con la legge di Dio, so quello che devo / dirti: Abbandona la vita militare, / per quanto sia possibile, senza compromettere / la pace delle cose umane, e stai con quelli / che vivono in maniera pura, dove combatte / in silenzio la gente che vuol stare con Cristo, / non per uccidere uomini, ma per debellare / principi, potenze e spiriti del male. / Il più grande titolo di gloria per un capo / militare è quello di uccidere la guerra / con la parola piuttosto che gli uomini/con la spada; è quello di ottenere la pace / con la pace, non con la guerra”».
Ha finito di rileggere.
Roma è travolta dalla guerra. E lontana, Roma. / Posso tentare soltanto di mandare queste mie fragili / parole... L’amico che mi ha chiesto un consiglio, / non riuscirà forse a leggerle... Ci sono state riferite / cose orrende... Stragi... violenze.., e torture... distruzione. / Su queste notizie ho pianto, non potendo far altro, / tranne che pregare. Dolore e morte... e l’amore di Dio... / dimenticato... Noi, qui, ancora nella calma. Per quanto, / non lo so. Ho visto nascere questo nuovo giorno. Grazie, / mio Dio, per questo dono.
I - L’INFANZIA NON È BUONA
Un canto di monaci, lontano.
AGOSTINO - Da molto tempo è morta la mia infanzia. E io / continuo a vivere. Tu invece, Dio, sei vivo / sempre e niente muore in te. Dimmi allora, / ti supplico; prima dell’infanzia avevo un’altra / vita? Sì certo, quella nel grembo di mia madre. / Ma prima ancora, ero in qualche luogo, ero / qualcuno? Nessuno può darmi una risposta, neanche / la mia memoria. Soltanto Tu sei sopra queste cose, / Tu non m’inganni, gli anni tuoi sono l’oggi. / Quanti giorni, nostri e dei nostri padri, sono passati / attraverso questo tuo «oggi» e ne hanno ricevuto / dimensione ogni volta ed esistenza! Altri ancora / passeranno, e ne riceveranno dimensione ed esistenza... / Tu invece sei sempre Te stesso, e tutte le opere / di domani e tutte quelle del poi, e quelle di ieri /e le altre ancora più indietro, Tu le farai oggi, / le hai fatte oggi. Che m’importa se qualcuno / non capisce? Si rallegri anche lui e dica: / «Ma che cos’è questo?»; si rallegri anche così / e sia contento, non trovandoti, di trovarti / piuttosto che, trovandoti, di non trovarti...
Al portico appare un ragazzo. Porta un paniere di fichi. Quando arriva accanto ad Agostino gli offre il paniere senza dir niente.
AGOSTINO - Fichi. La mia passione Tu lo sai / e, appena maturano sulla tua pianta, / mi porti i frutti più belli.
GIOVANNI - Per ascoltarti.
AGOSTINO - Per ascoltarmi. Non sei come gli altri / figli dei contadini. Dai spazio alla mente, / le tue forze sono fresche, / la fatica dei campi non ti ha ancora abbrutito...
GIOVANNI - Voglio studiare. Come te.
AGOSTINO Se continuerai in questa volontà, / ti aiuterò come un figlio. Ne avevo uno, / intelligente, vivace, un dono di Dio; / ma come mi era stato donato mi venne tolto...
GIOVANNI - Avevi un figlio e ti è morto?
AGOSTINO - Il dolore per la sua perdita / si è acquetato, è nelle mani di Dio. / Tu gli somigli, come / una mente desiderosa di conoscere può assomigliare / ad un’altra altrettanto vivace e pronta...
Prende un fico, lo apre, lo sbuccia e se lo mangia.
Anch’io ero così, da ragazzo. Ardito, / aperto ad ogni conoscenza. / Ma più sfrenato; cercavo senza avere un obiettivo, / cercavo provocando. Chi? Ché cosa? Non lo sapevo. / Era un protendersi fuori di me, alla cieca, / verso una meta sconosciuta...
Prende un fico. Lo soppesa contemplandolo.
Vedi questo frutto?
GIOVANNI – E’ un bel fico. Maturo. Uno dei più grandi.
AGOSTINO - Varrebbe la pena rubarlo, se un affamato / lo vedesse davanti agli occhi oscillare / da un ramo sopra la sua testa, appena un poco / più alto della mano...
Comincia a sbucciare il fico, che poi mangerà.
Se fosse tutto raggrinzito, ammuffito / o non ancora maturo, varrebbe la pena / rubarlo?
Giovanni ride.
GIOVANNI - Chi mai ruberebbe un fico / così privo di valore?
AGOSTINO - Ma se la pianta dove cresce questo fico / e tanti altri frutti come quello fosse / al di là di un muro, difesa da una ripida / barriera, e un cancello di ferro sprangato / la lasciasse appena intravvedere, / perché un padrone avaro / se li vuol conservare per sé, quei fichi / che lui crede dolci e allettanti, / che penseresti allora tu?
Giovanni ammicca furbescamente.
GIOVANNI - La tentazione...
Ride con un po’ di imbarazzo, accorgendosi di entrare troppo in confidenza con quell’uomo importante e sapiente. Dei resto, è lui ad attirarlo alla risposta.
AGOSTINO - Allora? Non aver paura. Dimmi / quello che ti è venuto in mente.
GIOVANNI - Tutti quegli ostacoli...
AGOSTINO - Che faresti?
GIOVANNI - Buttandosi a rischio, precipitosamente. Li ruberei! Si ferma, interdetto del suo ardire.
AGOSTINO - Certo! Anch’io ho fatto come te, / quando avevo più o meno la tua età. / Soltanto che si trattava di una pianta / di pere, anziché di fichi. Ho voluto / commettere quel furto, non perché / vi fossi costretto dal bisogno, / ma per il puro gusto di rubare.
Prende un altro fico e comincia a mangiarselo.
Ah!, non siamo buoni neanche da bambini. / Perfino il lattante è invidioso / del compagno che si attacca al seno / di sua madre; non tollera di dividerlo/con altri, che pure ha bisogno di quel latte / per sopravvivere, e con occhio dispettoso / guarda pallido di rabbia quello / che cerca come lui di fortificarsi per vivere...
Giovanni ha assunto un atteggiamento umiliato. Agostino se ne accorge e sorride.
Oh! Ma non prendere un’aria triste, / non è a te che attribuisco questo genere/di comportamenti. Siamo tutti così,/l’infanzia non è innocente, se lasciata / a se stessa...
Giovanni appare rinfrancato.
GIOVANNI - Anche tu allora...
Sorride incoraggiante. Vorrebbe saperne di più sulla storia delle pere.
AGOSTINO - Rubavo! E anche prima di quell’episodio / delle pere. Ancora bambino: piccoli furti / nella dispensa di casa, o spinto dalla gola / o per avere qualche cosa da regalare ai ragazzi / che si vendevano per farsi vincere nel gioco da me, / perché spesso io carpivo la vittoria con l’inganno. / Mi prendeva in quei momenti come una smania / di inconsistente superiorità...
Giovanni è rimasto muto, un poco imbarazzato. Agostino gli fa cenno di sedersi accanto a lui.
Siediti, Giovanni. Ti racconto dei fatti / ormai lontani perché tu possa capire che un ragazzo / com’ero io a quel tempo, può farsi trascinare / dal peccato. Più tardi si capisce, si matura... / Non ne sarai dannato neanche tu, se delle volte / è successo anche a te.
Giovanni ride rinfrancato e fa cenno dì sì.
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GIOVANNI - Ma le pere... perché?
AGOSTINO - Qual era lo scopo? Dato che erano frutti / completamente privi di attrattiva...
GIOVANNI - Il furto in sé?!
AGOSTINO - Questo! Ride. L’hai capito perché tutti e due siamo della stessa / natura, soggetta al peccato. Tante volte / mi sono interrogato sul quel fatto... Che cosa / ho amato in te, mio furto — mi dicevo —, crimine/notturno dei miei sedici anni? Non eri bello, eri/un furto! Sei almeno un qualcosa di vero, dato / che ti rivolgo la parola? Quei frutti che abbiamo rubato / erano belli perché Tu li avevi creati, mio Dio; / erano belli, ma non ad essi tendeva / il desiderio della mia anima miserabile: / ne avevo di migliori e in abbondanza; colsi quelli soltanto per rubare; li colsi/ e li buttai via, saziandomi invece / di cattiveria: era questa che mi dava / godimento e gioia...
GIOVANNI - Cattiveria, godimento e gioia: /che strano contrasto... Eppure, / se ci penso, qualche volta è successo / anche a me.
AGOSTINO - Non ti sei mai chiesto perché?
GIOVANNI - No. Mi veniva su, dal cuore, come un senso, / non so, di potere, una sfida... A chi non so; / come se avessi il mondo in mano, / e potessi distruggerlo, soltanto / che lo avessi voluto... Fortissima / è stata questa sensazione, quando ho ucciso / un uccello nel nido... Stava uscendo / dal guscio, a fatica, spezzando col becco / quella sottile parete che lo separava / dal mondo, dalla vita... Mi faceva pena / per lo sforzo che metteva in quell’operazione... / e schifo per le piume bagnate... Avrei voluto / aiutarlo ad uscire... Poi qualcosa cambiò, / improvvisamente, in me: desiderai che morisse!
AGOSTINO - Era proibito uccidere, per questo / godevi di agire al contrario.
GIOVANNI - Ero attratto come da un comando. / Mi bastò toccare il nido con un ramo; cadde / e non si mosse più. E i miei compagni intorno / mi applaudirono.
AGOSTINO - Non eri solo. Eravate una banda.
GIOVANNI - Si va per le campagne con le fionde / in gruppo a cercar frutta e animali... / Insieme ci si sente più forti, / e cose che mai si sarebbero fatte / da soli, se i compagni ti guardano / acquistano valore, come un’impresa / di guerra; fai cose che non avresti / mai pensato di poter fare tu...
AGOSTINO - Quello stupido furto delle pere, / forse non l’avrei fatto se fossi stato / solo. Ero anch’io con il gruppo/dei compagni di strada, quelli / che paion pronti a tutto, liberi/da legami con famiglie o maestri... / Comincia uno a dire: «Andiamo! Facciamolo!» /e tu ti vergogni di non provar vergogna, / cerchi allora di andare oltre per nascondere l’imbarazzo, e fai, / fai di più ancora, per vincere in potere, / per diventare il re di quel piccolo gruppo / disperato...
GIOVANNI - Tu mi leggi nel cuore. Sciogli i nodi / che per me rimanevano un mistero.
AGOSTINO - Non sono io che posso sciogliere / questo groviglio di sentimenti/ che ti sta dentro. La strada è lunga, / Giovanni. E tu hai una bella mente, / somigli a mio figlio, che se n’è andato / con Dio prima di sperimentare/le difficoltà che a noi vengono / dalla vita di ogni giorno. / Torna a trovarmi, parleremo ancora.
Gli porge il paniere dei fichi
E portami ancora i tuoi frutti... Ride. purché non siano rubati!
II - NON VOLEVO E HO UBBIDITO
Entra correndo un vortice di gente urlante, circonda Agostino indirizzandogli richieste concitate; ciascuno nel domandare vorrebbe prevaricare gli altri. Si crea una sorta di tensione, ma nessuno osa arrivare a toccare Agostino.
VOCI — Qual è l’origine del male?
— Castità o matrimonio?
— Passato presente futuro quanti sono i tempi?
— O non è il moto degli astri?
— Si può misurare il presente?
— Esiste il passato?
— Esiste il futuro?
— Il tempo misura il moto...
— Non sappiamo niente...
— La misura del tempo...
— Oltre il tempo...
Alipio entra dal fondo e raggiunge il gruppo urlante. La sua voce sovrasta quella degli altri che tacciono e si allontanano uno dopo l’altro.
ALIPIO - Che cos’è questo? Un mercato?! Non è l’ora / dell’incontro, e non è il modo! Agostino / dà risposta a ogni domanda, ma nei tempi / stabiliti, e con calma, a ciascuno! Queste urla, / questa confusione... Come potete pensare / di ottenere risposte meditate cercando di superarvi / l’un l’altro, prepotenti a contraddire la ricerca / della conoscenza di Dio!
Agostino è rimasto solo con Alipio. Gli sorride.
AGOSTINO - Mi hai salvato.
ALIPIO - Sono sempre più numerosi! Vengono / da ogni parte. La tua fama si allarga....
AGOSTINO - Tutta quella gente stretta intorno a me... / Mi sembra quel giorno, nella chiesa...
ALIPIO - Non te l’aspettavi! Volevi fondare un monastero, / ritirarti nella pace dello studio... meditare!...
AGOSTINO - E invece tutta quella folla... addirittura in chiesa!...
ALIPIO - Avevano bisogno di te. Sono pochi i preti che lavorano: / i fedeli vengono lasciati a loro stessi, aumentano / le sette, le false credenze seducenti all’apparenza... / Il vescovo gridava queste cose alla gente riunita / per la messa, quella domenica, uguale a tante altre... / Tu ti trovavi là per caso...
AGOSTINO - Ci ero andato per vedere un amico. Pensavo / di poterlo convincere a venire con noi / nel monastero. Le parole del vescovo diventavano / via via sempre più forti e concitate, e la gente / si caricava di emozione; erano sempre più stretti / intorno a me; urlavano, ne sentivo i fiati, e le braccia / intrecciate a catena mi impedivano di scappare, come certo / avrei fatto, pieno di paura...
ALIPIO - Io stavo poco lontano, paralizzato nella ressa. / Ma in quella violenza collettiva avvertivo qualcosa / di sacro; e sapevo che non dovevo intervenire, / non dovevo aiutarti a fuggire.
AGOSTINO - Mi hanno trascinato fino al vescovo. E gridavano / che mi ordinasse sacerdote. Io non volevo. / Non volevo con tutte le mie forze!
ALIPIO - Soltanto dopo la morte di tua madre avevo visto / il pianto sul tuo viso. E in quel momento / tu piangevi, ti divincolavi come una bestia / che viene portata al sacrificio.
AGOSTINO - C’era l’usanza: i fedeli possono scegliere / un uomo che riscuota la loro fiducia, e chiedere / al vescovo di ordinarlo prete. Ma da quel ruolo / io mi sentivo lontanissimo, e non pensavo mai / che contro la mia stessa volontà a forza / me lo avrebbero imposto. Mi rifiutavo con violenza, / con caparbietà. Ma poi, a un tratto, da un momento / all’altro, qualcosa dentro di me è cambiato. / Io non volevo, ma voleva il popolo, e con lui / chi voleva era Dio. Se dentro il mio cuore ancora / non volevo, ugualmente ho ubbidito. Ho accettato / piangendo. Non volevo e ho accettato.
ALIPIO - E così hai rinunciato al progetto del monastero. / Adesso sei riuscito ad avere anche questo. Non c’è però / la quiete che speravi.., è un via vai di gente / che ti assilla... Poco fa pareva addirittura il giorno / del tuo forzato sacerdozio.
AGOSTINO - Devo accettare i desideri della Chiesa, non posso / anteporre l’egoismo della mia ricerca di pace, / quando c’è gente che ha bisogno. Se nessuno volesse / aiutarla, questa Chiesa, a generare nuovi figli, / neppure noi, Alipio, avremmo avuto la possibilità / di nascere in lei.
ALIPIO - Perché ti ho seguito? Perché in te trovo l’amore / della verità e la necessità dell’amore.
AGOSTINO - E allora diamo concreto peso alle parole. / Anche se non è l’ora e sono in tanti, violenti / addirittura per impazienza di sapere, mandami / quella gente, gli risponderò.
ALIPIO - Due... tre! Non tutti!
AGOSTINO - Quelli che chiedevano sul tempo. Quel poco / che ho pensato, ripenserò con loro.
ALIPIO - Ti manderò quelli del tempo. Intanto / tu riposati un momento. Tornerò dopo un poco, / a riprenderli, tu la terresti tutto il giorno / questa gente, senza accorgerti del tempo che è passato.
AGOSTINO- Passa il tempo?/O siamo noi a crederlo?
ALIPIO - Non mi coinvolgerai nei tuoi ragionamenti! / Io li conosco, e non saprei tenerti testa.
Se ne va.
III - COME IL VENTO SULL’ACQUA
Una fronda dell’albero che sovrasta la scena oscilla e si abbassa come gravata di un peso. Un canto corale emerge dalla lontananza del convento. Agostino ascolta rapito. Le voci si allontanano fino a scomparire.
AGOSTINO - Tardi ti ho amato,
bellezza tanto antica e tanto nuova, Dio!,
ti ho amato tardi! Eppure tu eri dentro di me:
io stavo fuori e fuori ti cercavo! Ero privo di bellezza
e con violenza mi gettavo a impadronirmi
delle cose belle che hai creato. Tu
eri con me, ma io non ero con te.
Mi tenevano lontano quelle creature che se non esistessero in te, non esisterebbero.
Mi hai chiamato, hai gridato
e hai rotto la mia sordità.
Sei apparso nel tuo splendore
e hai messo in fuga la mia cecità.
Hai sprigionato il tuo profumo,
io l’ho aspirato e adesso anelo a te.
Ho sentito appena il tuo sapore
e adesso ho fame e ho sete.
Mi hai toccato e nella tua pace io ho preso fuoco.
Arriva correndo un uomo ancora giovane.
GIULIANO - Agostino!
Per un attimo Agostino non riconosce l’uomo. Poi la sua fisionomia gli emerge dalla memoria.
AGOSTINO - Sei Giuliano! Quanti anni...
GIULIANO - Una decina, almeno... Allora eri con noi.
AGOSTINO - E tu, sei ancora con i Manichei?
GIULIANO - La ragione non mi ha aiutato a trovare la strada di Dio. / Loro sono un po’ la mia famiglia, insieme / ci si sente meno soli...
AGOSTINO - Io ero incuriosito dalle teorie dei Manichei; ci credevo / al punto da convincere altri a seguirli. Anche te... / Cose passate, per me; ne rido, adesso. Ma tu, sei rimasto...
GIULIANO - Non volevano farmi passare, i monaci di qui. Ma io / avevo bisogno di parlarti. Sono riuscito a entrare / senza che mi vedessero. C’era un fico, fuori dal muretto, / mi sono arrampicato...
AGOSTINO - L’albero di Giovanni...
GIULIANO - Che hai detto?
Agostino indica il paniere ai suoi piedi.
AGOSTINO - Meli hanno portati adesso. Prendine, sono dolci...
Prende un fico e glielo porge. Giuliano fa il gesto di afferrarlo, ma poi ritrae la mano con timore.
GIULIANO - Non possiamo, lo sai...
AGOSTINO - Ancora queste favole?!...
GIULIANO - E’... peccato mangiare un frutto così dolce, / così buono... Io non sono un «eletto»...
Agostino assume un tono canzonatorio.
AGOSTINO - Il fico, quando viene colto, e anche la pianta, / che è sua madre, piangono lacrime di latte... / La mano che lo coglie è in colpa, ma non chi mangia/il frutto, se è uno di quei «santi»; a lui va offerto, / e se lo gode tra gemiti e rutti, purificando la vile materia / liberandone le luminose parti divine!
GIULIANO - Sono affermazioni puerili, sentendole da te / me ne rendo conto. Eppure ne rimango ancora / prigioniero. Sono venuto qui proprio perché / tu mi aiuti a liberarmene.
AGOSTINO - Mi sento responsabile verso di te perché allora / ho sostenuto le loro teorie, e ho persuaso anche te / più di quanto tu non lo fossi prima...
GIULIANO - La mia mente ne è piena. Se cerco di uscirne, / altri mi premono, con teorie ancora più bislacche, / che mi fanno disperare di trovare la verità... / E intanto ogni giorno torno con loro... Almeno li conosco, / e l’amicizia ci consola del fallimento spirituale...
AGOSTINO - Ora sei qui, sei venuto da me, è un segno! Parla! / Apriti con fiducia! Tira fuori tutto quello che ti turba!
Come scosso da un impulso irresistibile, Giuliano chiude gli occhi e comincia a parlare come in trance, girando lentamente su se stesso.
GIULIANO - «Esistono al mondo due nature, ciascuna con un principio, in lotta fra di loro... Due nature o sostanze... E nel corpo... nel corpo di ogni uomo esistono due anime... una viene da Dio, identica a lui per natura e sostanza... per natura e sostanza, sì... e un’altra, anima anch’essa... viene al popolo che Dio non ha creato, ed ha vita propria, uscita dalle tenebre, regno e principio non creato... non creato, sì... e quest’anima si è ribellata contro Dio... E Dio allora, non trovando altro modo... sì, stretto dalla necessità... ha mandato nel mondo una sua anima, sì... anima buona, come una piccola, piccola parte della sua sostanza, e da questa unione e mescolanza il nemico è stato contenuto, e si è formato il mondo...».
Giuliano si ferma e tace, ma come se cercasse dentro di sé torpidamente delle altre credenze da tirare fuori come dei veleni, per liberarsene.
AGOSTINO - E poi? Che cos’altro ancora trattieni nella mente, / ad angosciarti?
Giuliano riprende a parlare con sforzo, come se qualcuno si opponesse al suo dire e lui ne avesse timore.
GIULIANO - «Cinque elementi esistono nel mondo / che generano i rispettivi capostipiti... / Cinque elementi della gente delle tenebre... / Fumo, fuoco, oscurità.., e poi acqua e poi vento... / Nel fumo sono nati gli animali con due gambe... / e dopo gli uomini... Nel buio sono apparsi i serpenti... / Gli animali con quattro zampe è il fuoco / a averli generati... / pesci nelle acque e tutti gli esseri / che vivono nuotando... E nel vento gli uccelli, / e gli animali che volano piumosi... / Cinque elementi: ma erano malvagi; a combatterli / ne furono mandati cinque altri, che venivano / dal regno di Dio... E vi si mescolarono... sì, / i buoni ed i cattivi furono fusi insieme... / Fumo con aria... oscurità con luce... il buio / e lo splendore... fuoco di tenebra e fiamma / scintillante... ed al vento malvagio che distrugge / si intrecciò il vento che porta la frescura... sì, / il respiro, la vita...».
AGOSTINO - Tutto quanto vai dicendo è frutto di fantasia! / Immagini bellissime, ma vane parvenze, / non è questo il creato di Dio! Sei preso /da una sorta di incantesimo che dura da decenni! / E arrivato il momento che tu te ne devi liberare!
Giuliano riprende a parlare come in sogno, appena un poco ridestato dalla voce di Agostino che lo richiama alla coscienza.
GIULIANO - «L’origine dei peccati non dipende dalla nostra volontà, / ma dalla sostanza della gente avversa... La carne... / i corpi... non sono opera di Dio, ma di una mente insana, / velenosa, di un principio contrario, eterno come Dio... / E’ natura corrotta, ci è rimasta attaccata fin dalle origini / dell’uomo... e quando si separa dal nostro corpo, vive / anch’essa immortale... Coesistono due anime, ed una è buona, / malvagia l’altra; si scontrano, dall’interno di noi, sì... / di ogni uomo …».
La voce di Agostino sì alza a svegliare Giuliano dal torpore malefico nel quale è caduto.
AGOSTINO - Svegliati! Liberati da queste fantasie / che non hanno nessuna consistenza! Per anni mi sono illuso / anch’io che dietro favole come queste potessi trovare / risposta alla mia ricerca di Dio. Ero giovane, inesperto, / e presuntuoso; mi compiacevo della mia abilità / nell’usare le parole, nel ribaltare i concetti; / manipolavo i miei avversari, che rimanevano sconcertati, / e pur avendo da oppormi teorie molto più serie delle mie,/ si arrendevano, e nel silenzio consumavano la loro umiliazione. / E sempre di più io ne andavo orgoglioso; discutevo / con provocatoria sicurezza di cose che conoscevo appena; / denigravo le sacre scritture senza averle neppure approfondite. / Avevo di Dio una concezione limitata e banale, priva/di simboli, legata alla materia. Non sapevo che Dio / è lo spirito, che non possiede membra, da misurare / come un corpo umano. Ero ingenuo e astuto insieme... / Con quella mia abilità ho trascinato anche te a credere / alle dottrine manichee, che da tempo mi appaiono ridicole e sciocche.
GIULIANO - Ma io ho creduto, Agostino! A loro, e a te! E la mia vita / è fatta di quei giorni. Sei tu adesso che devi / farmi tornare indietro. Dirmi dov’è la verità!
AGOSTINO - La verità! Io non la possiedo, Giuliano. / So che si trova in Dio. La sto cercando. / La verità rimane nascosta solo perché / non si conosce il modo di cercarla.
GIULIANO - Noi volevamo usare il ragionamento per comprendere / ogni cosa, anche Dio. Ricordi? Era il tuo orgoglio, / quello di arrivare alla fede attraverso la ragione...
AGOSTINO - Questo, di credere soltanto ciò che indica la ragione, / è un gioco di cui ho scoperto l’ingenuità. Tu vedi / con gli occhi i corpi, le cose?
GIULIANO - Certo, le cose concrete le vedo. Ma l’anima, la fede...
AGOSTINO - E i tuoi atti di volontà, li vedi?
GIULIANO - Li vedo con l’animo, perché sono nel mio animo...
AGOSTINO - E con quali occhi vedi l’amicizia che l’amico sente per te?
GIULIANO - Non ho occhi per vederla.., e con il mio animo / non posso vedere quello che avviene nell’animo di un altro...
AGOSTINO - E allora non puoi credere alle buone intenzioni del tuo amico?
Giuliano tace, assorto. Non riesce a formulare una risposta, ma ne è felice. Questo sentimento gli si delinea sul volto con crescente intensità.
O credi a queste sue buone intenzioni, e lo ripaghi / con uguale amicizia? Eppure non lo vedi, nell’animo! / Certo, vedrai come si comporta con te, come ti parla. / Ma l’amicizia, quella dovrai soltanto credere, che lui / la provi per te. Se tu non facessi in questo modo, / saresti solo, isolato, in ogni momento della vita.
GIULIANO - Non potrei vivere così. Il cuore mi porta a credere / all’amicizia, all’amore.
AGOSTINO - E dove non guardi con gli occhi o non conosci / con l’animo, applichi la fede.
GIULIANO - La fiducia va al di là della verifica, mi è successo / tante volte.
AGOSTINO - Tutto quanto tu conosci si fonda sulla fede! Anche quello / che ti viene raccontato, che riguarda i tuoi parenti/lontani nel tempo, perfino quello che riguarda / i tuoi genitori, e la tua nascita: tutto, tutto! / è fondato sulla fiducia che riponiamo in quelli / che ci raccontano, e che a loro volta hanno dato fiducia / a quelli che hanno raccontato a loro...
GIULIANO - Non potremmo vivere, se non dessimo fiducia... Ma Dio, / come credergli senza dimostrazione?
AGOSTINO - Ti fidi per le piccole cose, non vuoi fidarti per le grandi? /Ti fidi di gente oscura, non vuoi fidarti dei grandi / spiriti della Chiesa? E gli indizi che Cristo ci ha lasciato, / neanche questi ti bastano? Apriti dunque a questa fede / che ti innalza come fratello di Cristo, abbandona / le belle favole, inventate da chi compie un atto di superbia / e vuole affermare un suo pensiero originale, / illudendosi di essere un creatore...
Giuliano sta via via convincendosi. La gioia lotta con l’amarezza degli anni perduti.
GIULIANO - Cercavamo la luce...
AGOSTINO - Soltanto degli ingenui potevano prendere per buone / quelle teorie. Degli ingenui o della gente in malafede, / che voleva approfittare, appunto, degli ingenui. / C’ero anch’io tra questi, e quindi non sarò certo io / a giudicarti. Cercavamo la luce: sì, la cercavamo / perfino dentro ai cibi: certi erano pieni / di tenebre, la carne, il vino... altri il contrario, / il melone soprattutto, dicevano quei profittatori, / era pieno di luminosità!
Ride, rassicurato dall‘espressione di Giuliano, che va via via seguendolo nel ragionamento.
Nella digestione si separavano i due elementi / e, dopo una bella masticata, nello stomaco dell’ «eletto» / la luce veniva liberata! Ah!, eravamo proprio /degli sciocchi! Quanti buoni cibi abbiamo offerto / a quegli imbroglioni! E di quanti frutti squisiti / ci siamo privati per la nostra credulità!
Raccoglie un fico dal paniere.
E tu, ancora temi! Prendi, Giuliano! Questo fico, / tra il verde e il viola, con una bella lacrima / di zucchero rosato sarà il segno della tua liberazione / appena l’avrai messo tra le labbra!
Giuliano prende il fico, incerto.
GIULIANO - Mi rendo conto di essere ancora prigioniero di sciocchezze. / Ma questi limiti, queste proibizioni, sono state fino ad ora / il mio sostegno: il segno che qualcuno badava a me, / gli importava di quello che facevo. Fare la stessa cosa, / in tanti, è la prova di un’intesa; un’azione anche minima / diventa un segno... E’ tremendo esser soli, e senza scopi: / allora presti ascolto a chi ti vuole con sé, e ti prende / offrendoti la parvenza di un affetto.
AGOSTINO - Per la tua buona fede non sarai giudicato. E se ti guardi / intorno con occhi nuovi, liberati dalla paura preconcetta, / non sarai solo mai più. Intanto ascolta me; altri poi, / come me, ti indicheranno come arrivare a Dio. Tutto / è stato creato da lui, da lui soltanto. E’ bene, Dio, / questo anche tu lo sai. Se manca il bene, non c’è esistenza. / Ma tutto quanto esiste, è buono. E il male non è sostanza: / se lo fosse, sarebbe un bene. A definire il male / è solo la mancanza del bene... Ma se tu vuoi capire / fino in fondo, all’intelligenza devi affiancare la pietà, / e una certa pace della mente.
GIULIANO - Già mentre ti ascolto sento che il mio cuore si fa più sereno. / Ma ho bisogno di capire.
AGOSTINO - Le favole dei Manichei passeranno come il vento sull’acqua. / Da quando Gesù Cristo è salito al cielo, sai quante / sono state le eresie? Più di un centinaio, soltanto / di quelle che conosco. Prima dei Manichei ce n’erano / già state cinquanta, tante ne aveva elaborato la mente / umana, nella sua superbia... Simoniaci... Menandriani... / Saturniani... Basilidiaci... Nicolaici... Gnostici... / Carpocraziani... Carinziani... Ebionei... Valentiniani... / E dopo i Manichei, un’altra cinquantina di eresie... / leraciti... Melesiani... Ariani... Vadiani... fino ai Donatisti, / ai Priscillianisti, a quelli che «non mangiano con gli / uomini», a quegli altri che «dicono Cristo suscettibile/di natura divina», fino ai credenti in un Dio di tre forme; /e così via, arrivando agli ultimi, per ora almeno, / che sono i Pelagiani. Si agitano e inventano, senza curarsi / di accostarsi alla verità, impazienti invece di vantarsi / per una propria piccola originale ideuzza. Ero così anch’io: / al tempo delle nostre clamorose discussioni: clamori,/ appunto, nient’ altro. Ma Dio, dopo avermi lasciato fare / un poco, mi ha chiamato per il tempo dell’impegno. /Rimani qui. Ci sono i monaci. Potrai parlare anche con loro / e poi restare o andartene, libero, dove tu vorrai.
GIULIANO - Devo riflettere. E il fico...
Spacca in due il fico che si apre dolcemente. Comincia a mangiarlo.
...che dolcezza! Né luce né tenebre, ma un sapore / delizioso, tutto suo!...
La fronda che sovrasta la scena scricchiola percorsa da un intenso tremolio, finché flessuosamente si abbassa lasciando al suolo Giovanni, tutto imbarazzato.
GIOVANNI - Ero sull’albero...
AGOSTINO - Me ne sono accorto. Perché eri salito lassù?
GIOYANNI - Volevo ascoltarti. Ride furbo. Non per rubare pere, ma parole, pensieri...
Agostino ride.
AGOSTINO - Come posso sgridarti? Hai una bella testa, / te l’ho già detto. Ma non devi esagerare, / nella tua voglia di sapere. Sarò io a decidere / se e quando potrai assistere a degli incontri...
Lo guarda con un sorriso tra il bonario e l’ironico.
... sempre che tu ci porti qualche bel paniere / di fichi...
Si rivolge a Giuliano che ha assistito al dialogo senza capire bene che cosa stia succedendo.
Giuliano ne va matto!
GIULIANO - Fichi?!... Pere?!... Parole?!... Pensieri?!... / Io non ci capisco niente!
AGOSTINO - Non preoccuparti. Sei tra amici. / Pensa piuttosto a Dio. Il resto è per gioco.
GIULIANO - Allora vado.
Prende qualche fico dal paniere. Con aria furba, volendo entrare in quel gioco di allusioni che tuttavia non capisce fino in fondo.
E me ne prendo un po’. Tanto Giovanni / ne porterà degli altri!...
Se ne va.
IV - LUI CI HA FATTO
Agostino è rimasto solo con Giovanni. Lo guarda a lungo, poi scuote la testa e sorride.
AGOSTINO - Io stavo qui, a ricordare con Giuliano le credenze / dei Manichei, le teorie di quel gruppo di fanatici / più vicine alle favole che alla religione, e lassù, / in mezzo ai rami, tu ascoltavi... Forse purtroppo / quei discorsi ti hanno creato in testa più confusione / che chiarezza. Oh, la colpa è tua, perché ti sei nascosto / sopra l’albero... Ma io devo comunque rimediare ai danni / che alla tua mente possa averti procurato: sei giovane, / hai bisogno di sapere.
GIOVANNI - Tu hai detto che Dio ti ha chiamato, hai detto. /Ti ha chiamato dopo averti «lasciato fare un poco»: / ma come lo hai capito? E Dio, chi è?
Agostino ride di gusto.
AGOSTINO - Non hai perso tempo, lassù! Sei riuscito / ad afferrare al volo il punto più importante del discorso! / Chi è Dio. Me lo sono domandato dopo aver sentito / che lo amavo: ha battuto il mio cuore con la sua parola / e l’ho amato. E’... troppo lungo e complicato / spiegarti il percorso che ha compiuto la mia mente / per arrivare a questa conclusione così semplice...
GIOVANNI - Ma insomma, quando dici di amare Dio, che cosa ami?
AGOSTINO - Posso dirti quello che non amo. La bellezza / dei corpi, no. E non la freschezza della gioventù. / Non il candore abbagliante della luce, così caro / ai nostri occhi. Non le melodie carezzevoli delle canzoni. / Non la fragranza soave dei fiori, degli unguenti,/ degli aromi. E non i cibi più gustosi, /e le belle membra che ti attraggono così tanto / che tu le abbracci con passione... Non sono queste / le cose che amo, quando amo il mio Dio.
GIOVANNI - Non ami queste cose?... Io sì!
AGOSTINO - Anch’io, in un certo senso le amo. Amo la luce, il suono, /il profumo, i sapori del cibo e le calde sensazioni / di un abbraccio quando amo il mio Dio, che è tutte queste cose / della mia umanità più profonda: ed è luce/ che non ha limiti di spazio... armonia che nel tempo / non svanisce... profumo che il vento non disperde... / Tutto questo io lo amo, quando amo il mio Dio.
Giovanni è intimidito e incuriosito, incapace di replicare. Agostino lo rassicura con un sorriso.
Tu parli con gli animali, qualche volta?
Giovanni ride furbo.
GIOVANNI - Io sto sempre con loro. Sono i miei amici...
AGOSTINO - Vi parlate, allora. Tu con parole, o strilli...
Giovanni ride, sollevato dalla piega che sta prendendo la conversazione.
GIOVANNI - Gli urlo, quando brucano le piante dell’orto. / Poi si gioca insieme. Corriamo. Ci rotoliamo / sull’erba. E mangiamo le stesse cose, delle volte... / Frutta. E l’acqua fresca della sorgente.
AGOSTINO - Così come fai tu con gli animali, / io sono andato a interrogare la terra.
Giovanni ride stupito.
GIOVANNI - Che cosa hai domandato alla terra?
AGOSTINO - Le ho chiesto se era Dio.
GIOVANNI - Ti ha risposto, la terra?
AGOSTINO - Ha riso della mia ingenuità e ha detto: I «Non sono io il tuo Dio». E tutte le cose? che sono sulla terra mi hanno risposto / nello stesso modo. Ho interrogato il mare/e i suoi abissi, e gli esseri viventi / che vi guizzano, e tutti hanno risposto: / «Non siamo il tuo Dio, cerca sopra di noi». / Ho domandato ai venticelli che d’estate / ci portano frescura, ho interrogato l’intero spazio / dell’aria con i suoi abitanti. E ognuno diceva: / «Sbaglia chi crede che siamo la divinità, /noi non lo siamo!». E poi il cielo, il sole, la luna...
GIOVANNI - Hai chiesto anche alle stelle?
AGOSTINO - Anche alle stelle. E tutti gli esseri, / e le cose, indistintamente, dicevano...
GIOVANNI - «Non siamo noi il tuo Dio»!
AGOSTINO - «Non siamo noi il tuo Dio». Allora li ho guardati, / questi esseri che mi stavano intorno, queste cose / inanimate che avevano trovato voce e ho detto: «Parlatemi / del mio Dio; dato che non lo siete voi, ditemi / qualcosa di lui». E a gran voce tutti insieme / hanno esclamato: «Lui ci ha fatto».
GIOVANNI - Lui ci ha fatto! Dio!
Intona la frase su suoni diversi, frantumando le parole, portandole a tonalità chiare e scure, allungando le vocali, come note musicali.
Uhihhihahahohihooo!!! / Uiiaaoioooo!!! / Uuiiiiaaaaooooiioooo!!! / E questo che dicono gli uccelli / quando volano su e giù per il cielo! / Cantano tutti insieme, si rincorrono... / Io sto sotto, sull’erba; li ascolto, voglio / capire, indovinare dai suoni quello che dicono... / Gioia... Allegria, questo mi arrivava... Ma ora so / che cantavano... «Lui ci ha fatto! Dio!»
Su varie modulazioni canta la frase, riprendendo i versi degli uccelli.
AGOSTINO - E così per tutte le creature. Io le guardavo, / una per una; volevo una risposta. E quelle tutte, / il sole, il vento, e gli alberi, l’acqua e i pesci, / i serpenti e le piccole lepri dalle orecchie appuntite, / e le montagne di sabbia del deserto, e i fiori / cresciuti nell’ombra di una pietra, e le capre / dai grandi occhi sporgenti, tutte quante le creature / rispondevano con la loro bellezza....
Mentre Agostino parla, Giovanni va muovendosi intorno, volteggiando in una sorta di mimesi degli esseri inanimati ed animati. Sibili, suoni modulati, cantilene emergono dalla sua bocca seguendo foneticamente la frase della creazione.
GIOVANNI - Uhih hhihahahobihooo!!! Hihio!!! / E anche la mucca!!! Uhuhuhihihihahahahohohohihihooo!!! / E il vitellino! Lui non sa ripetere il verso I della madre, ma si sforza e fa quello che può... / Hihihihohohoooo!!! Perfino l’erba me lo dice sottovoce... / Io ci sto sdraiato sopra, e lei... uhuhuhohohhihihohooo!!! / anche l’erba! E dall’erba vien fuori la talpa e.... / lhchhhfhtthhdddhhh!!!... lei si esprime come può!
Ride ripetendo il verso con la stessa intonazione della frase ma con suoni consonantici, come fa nel suo linguaggio il piccolo animale scavatore. Si ferma poi di colpo, sorpreso da un pensiero.
Ma io, che cosa sono? E come posso cercare Dio?
AGOSTINO - Mi sono fatto anch’io queste domande, / pur essendo tanto più vecchio di te. / E mi sono risposto: «Sono un uomo». Un corpo e un’anima.
GIOVANNI - Un corpo... / e un’anima, anch’io?
AGOSTINO - Pensali insieme e avrai te stesso. L’uomo.
GIOVANNI - Io uomo. E come posso cercare Dio, da uomo?
AGOSTINO - Posso dirti i miei tentativi. Avevo cercato Dio / dalla terra al cielo, fin dove avevo potuto spingere / i miei occhi. L’avevo cercato con il corpo e niente / avevo saputo di lui.
GIOVANNI - Ma l’anima, che può fare? Io non la vedo.
AGOSTINO - L’anima dà la vita. Non può farlo, un corpo. / L’anima sì. E Dio è vita della vita.
GIOVANNI - Vita della vita... Vita della vita... Vita della vita!!!
Soffia facendosi vortice di vento e girando intorno a mulinello, ripetendo le parole fino a farle diventare soffio. Si ferma poi con un ultimo soffio davanti ad Agostino e gli getta in faccia uno sbuffo leggero e deciso, come quello di Dio quando animò il primo uomo. Si ferma poi, e si rifà serio.
Ma dove trovarlo, Dio?
AGOSTINO - In lui stesso, sopra di te. Non c’è un luogo... / Ci allontaniamo, ci avviciniamo a Dio... ma non è / una questione di spazio.
GIOVANNI - Se è sopra di noi, ci accompagna, ci vede!...
AGOSTINO - È sopra di noi e dentro di noi. Chiamalo, / è in te che sentirai la risposta. Ma devi volerlo / ascoltare. In lui troverai la felicità.
Giovanni si fa pensieroso. Si accuccia per terra, come se si trovasse da solo, in uno dei tanti momenti della sua giornata di ragazzo contadino e pastore.
GIOVANNI - Certe volte, alla sera, dò l’erba alle bestie; / loro mangiano, quiete quiete, nella stalla. / E gli porto l’acqua, bevono. Poi cambio la paglia, / le pulisco. Tirano qualche calcio, ma è perché / sono contente. Allora mi siedo fuori; mangio /il mio pane, le olive, un pezzo di formaggio; /poi prendo lo zufolo, suono. E sto bene.
AGOSTINO - Dio è un po’ questo. Per te è così.
Sospira. Vorrebbe dire altre cose ma si trattiene. Fa un gesto ampio.
E poi è tante altre cose. Ma tu hai capito / più di molti che consultano pile di libri e si affannano / dietro infinite discussioni.
Giovanni si alza di scatto, agile, da terra.
GIOVANNI - E tardi. A quest’ora le bestie hanno fame. / Devo scappar via. Ma, posso tornare?
AGOSTINO - Come potrei dirti «no»? / Tu sei la vita di domani.
GIOVANNI - La vita, fra un giorno?
AGOSTINO - Tu andrai oltre a me, nel tempo. Per questo / sei importante. E poi, mi ricordi mio figlio. / Ma lui, non c’è più.
GIOVANNI - Oh! Mi dispiace.
AGOSTINO - Vai vai, adesso. Le bestie saranno impazienti.
Giovanni corre via volteggiando come una fresca folata di vento.
GIOVANNI - Arrivederci! Huhuhihahahohihoooo!!!
V - I SEGNI DELLA BELLEZZA
Un canto lontano, accompagnato da strumenti. I monaci intonano lodi a Dio. Ad occhi chiusi Agostino ascolta il canto. Con qualche sussurro della voce accenna a seguire la melodia.
AGOSTINO - Mi piace questo canto. Mi piace troppo. / Più il suono che le parole. Questa musica, / mi accarezza... con prepotenza si fa strada / nella mia mente e ruba il posto alle parole. / Diventa un inganno, questo suono così dolce, / così carezzevole; e mi impedisce di pensare / a quello che il canto vuol comunicare. Allora / sarebbe meglio che non sentissi più cantare!
Ascolta, suo malgrado, il canto che si diffonde accompagnato dal suono degli strumenti.
Eppure, questa sensazione di piacere è anche bella! / E la musica, insieme alle parole, che induce / al fervore, alla preghiera, quasi a sciogliere / con la sua dolcezza la durezza razionale della mente / e portarla all’amore...
Ascolta, Lasciandosi andare alla musica. Accenna ad unirsi alla melodia con un lieve fischio modulato. Si ferma di colpo, come scoprendo un tranello.
Ma cos’è questa commozione che mi invade / e mi allontana dal pensiero? La bellezza del canto / cancella la purezza dei concetti, non li sostiene / per valorizzarli, ma li avvolge invece di passione! / Oh! Preferirei allora non sentir cantare! / Ecco a che punto sono! Incerto, inquieto, smanioso / di godere quello che è Dio ad offrirci, ma anche pieno / di paura, timoroso di cedere ad un inganno dei miei sensi: / in bilico pieno di tormento tra la rinuncia ed il peccato!
Il canto svanisce in lontananza. Una intensa luce solare — è quasi mezzogiorno — illumina il volto di Agostino ferendolo agli occhi. Agostino solleva una mano, sorridendo a ripararsi.
AGOSTINO - Regina dei colori, luce! Dove cadono i miei occhi, / tu sei lì, a risplendere. Dovunque io sia / durante il giorno, qualunque cosa stia facendo, / senza che me ne accorga, tu mi affascini, / tu ti insinui impetuosa; se mi vieni sottratta / all’improvviso, io ti cerco con ansia; se manchi / per lungo tempo, divento triste. Dolcezza seducente, / pericolosa dolcezza, tu nascondi la vera vita / a quanti, ciechi, amano il mondo. Abbiamo creato / oggetti di ogni genere, pitture, forme d’arte... / Troppe cose, alla fine, per lasciar spazio a Dio, / per conservare in noi stessi la sua opera. / Ma bisogna poi anche riconoscere che queste cose / belle create da abili mani sono segni di quella bellezza / che sta sopra le intelligenze umane. E’ l’uso equilibrato / delle cose a consentire di restare accanto a te, mio Dio, / mia bellezza; chi si lascia affascinare disperde / le sue forze e si annulla. E quindi, lode a te, / lode a te per ogni dono!
Viene colto da un pensiero.
Ma c’è anche chi si lascia trascinare dalla curiosità; / il piacere, almeno, corre dietro a ciò che è bello, / armonioso, soave, a quanto attrae perché gustoso, o mite... / La curiosità invece vuol fare anche l’esperienza / dell’opposto ad ogni qualità: non perché voglia costringersi / a una pena, ma per il capriccio di sperimentare / e di conoscere. Che gusto c’è, infatti, a vedere / un cadavere straziato che ti fa orrore? Eppure / se ce n’è uno da qualche parte, gettato a terra, / corrono tutti, per provarne fastidio e sofferenza, / e impallidirne! E temono perfino di rivederlo in sogno, / quasi che qualcuno li abbia costretti a guardare / da svegli o la notizia di uno spettacolo attraente / li abbia indotti ad accorrere.
VI - PRENDI LEGGI
Alipio irrompe affannato, precedendo un ragazzo e una ragazza. Il ragazzo porta un cesto di frutta e dolci dagli involucri colorati, la ragazza tiene fra le braccia una pianta di fiorellini bianchi.
ALIPIO - Volevi pace, serenità?! Volevi delle ore per studiare, / meditare e pregare? Non le avrai mai se resti qui! / Sanno tutti ormai che la tua parola aiuta a sciogliere /i nodi del dubbio, i tormenti dell’incertezza: / e così vengono a cercarti! Non sono certo in grado io/di fermare chi è spinto dal bisogno, è una forza / che nessuno può arrestare!...
AGOSTINO - Quanti preamboli! Questi ragazzi, / che cosa vogliono? Lo saprei già / se me lo avessi detto subito!
ALIPIO - Temevo un tuo rifiuto. Son già venuti tanti, prima... / e altri ancora aspettano...
AGOSTINO - Perché sono venuti, me lo diranno loro.
Fa un cenno ai ragazzi che avanzano di corsa fino a lui, rassicurati, lanciandosi tra loro uno sguardo di soddisfazione.
ALIPIO - Ah! Meglio così. E io andrò in cucina, verrò a chiamarti.
Il suo tono si fa affettuoso e protettivo.
Non dimenticarti del pranzo. Mangiare, per te, / è sempre l’ultimo dei pensieri ... Rimarrai senza forze, / se non prendi almeno un po’ di cibo...
Se ne va, minacciando blandamente, con un gesto che accompagna le parole).
...Siate brevi, concisi! Carità è anche questo...
Agostino sorride ai due giovani.
AGOSTINO - E’ affetto, il suo. La forma è ruvida, / ma la sostanza è tutto il contrario; come un frutto / dalla scorza spinosa, tenero dentro, e dolce...
Il ragazzo depone ai piedi di Agostino il cesto di frutta e dolci. Agostino prende un frutto, lo intacca con un coltellino.
AGOSTINO - ...come questo: basta intaccarne la buccia... / ed ecco venir fuori la polpa, uno zucchero...
PAOLO - Perdonaci per la nostra invadenza... Io sono Paolo.
Paola depone accanto al cesto la sua pianta fiorita.
PAOLA - Sono del mio giardino, con tutte le radici.../ Vorrei piantarli qui, che ti rallegrino per lungo tempo... / Mi chiamo Paola.
AGOSTINO- Paolo e Paola... Uguale il nome... e simili / nell’aspetto, tranne che nel sesso.
PAOLO - Vorremmo sposarci... Io, cioè, lo desidero. / Ma lei... che dice di amarmi...
PAOLA - Io lo amo, davvero. Ma... sono una ragazza... / Certo, è questo che mi porta ad amarlo... / ma poi proprio questa condizione, di ragazza, di donna, / mi fa esitare...
AGOSTINO - Perché senti un impedimento?
PAOLA - È questo che vorrei dirti! Sono venuta/ apposta per chiederti consiglio, e ho portato / anche lui, che non voleva...
PAOLO - E una cosa tra noi. Perché distogliere / un uomo come Agostino dalle sue meditazioni?
AGOSTINO - Se non c’è la carità, non serve a niente il resto. / E dunque parla, Paola. Già nello sforzo di esporre/il tuo problema, lo chiarisci a te stessa.
PAOLA - E come se una forza... dentro di me... mi dividesse. / Due voci mi chiamano... e mi sollecitano a prendere / strade opposte, impossibili da conciliare...
AGOSTINO - Che cosa ti dicono le voci?
PAOLA - Io sono venuta ad ascoltarti in chiesa, delle volte. / «La castità è meglio», hai detto. E così mi ripete / una voce, a contrasto con l’altra, che mi spinge / nelle braccia di Paolo.
AGOSTINO - Era una citazione dell’Apostolo. Ma Dio / deve sostenerti, non è con le forze umane / che si vive la castità. Uomo e donna col matrimonio / costituiscono la prima società, sono il mondo che cresce.
PAOLA - I giorni corrono via! Una parte di me è già passata. / Mi sento come un fiume, fangoso, pieno di detriti, / che fluisce in continuazione e non si ferma mai.
AGOSTINO - E’ la condizione di ogni essere umano.
PAOLA - Per tutta la vita si può essere casti, se questa / è la scelta. Ma l’amore esige un corpo giovane / per trattenere il compagno... Io penso e mi dibatto, /mi tormento nell’incertezza. Quando avrò finito / di riflettere, sarò rimasta sola.
PAOLO - Te l’ho giurato, io ti aspetterò finché mi dirai / «Sì» o «No»!
PAOLA - Non giurare! La vita distorce la volontà. / Hai certo amato altre prima di incontrarmi; / per altre, dopo, dimenticherai me.
Paolo si racchiude in se stesso, incapace di replicare. Agostino fissa incuriosito Paola che ne sostiene lo sguardo con spavalda disperazione.
AGOSTINO - Non è così di solito che le ragazze si esprimono / sulle cose dell’amore. Sembra che tu abbia già vissuto; / che l’esperienza sofferta da altri tu l’abbia fatta tua...
PAOLA - Fin da bambina ho letto libri. Venivano dei maestri, / a casa per i miei fratelli; rimanevo anch’io, ero / schietta, allegra, sembravo un ragazzino, mi tolleravano. / Così ho scoperto cose che una donna di solito ignora. / Per conoscerle, ha un’unica possibilità...
AGOSTINO - Tu pensi al convento.
PAOLA - Ho una sorella di mia madre, monaca. / Gli anni sono passati su di lei come l’acqua sopra una rosa. Ha una luce, negli occhi, / che riflette una calma, una saggezza, che sta dentro. / E la giornata è sua: per lo studio, la preghiera... / e il cibo e il sonno... Mia madre intanto si è fatta vecchia; / noi figli siamo grandi ormai, e lei non sa più cosa fare / e si trascina da una stanza all’altra, lamentandosi / per l’indifferenza di mio padre, e cerca svaghi / alle sue giornate vuote negli abiti, nei pranzi / e in ogni genere di frivole perdite di tempo.
AGOSTINO - Devi avere la vocazione, per il convento. Sennò è una vita innaturale, e porta storture / e ribellioni. Essere casti, poi, è un modo di vivere / fuori dal matrimonio. Puoi praticarla tu, che sei / una ragazza, ma anche il tuo ragazzo; per costume / quasi mai è così!, quanti dicono «Siamo uomini! » / o si appellano alla legge civile che punisce / l’adulterio come colpa della donna e lo ignora / se è compiuto invece dall’uomo. Ma, attenzione!/ altro è il diritto del foro e altro è il diritto/del cielo. Nel matrimonio, poi, uomo e donna / devono essere fedeli; per Dio non esiste differenza: / Un’unione fondata sull’amore, Cristo l’aiuta con la sua grazia.
PAOLA - Fedeltà e amore... E amici e feste e figli... / Oppure il silenzio, i libri.., meditare... cercarsi dentro, /per trovare Dio.. come fai tu. Se rinuncio, quando verrà / il mio momento di morire, la mia mente sarà rimasta vuota: / allora come potrò andare vicino a Dio?
AGOSTINO – La donna è stata creata a immagine di Dio, / come l’uomo. Non c’entra il sesso, nell’anima.
PAOLO - Nella mia famiglia è naturale che i maschi ricevano / una certa istruzione. Io capisco Paola, il suo rimpianto... / E se lei fa dipendere ogni scelta per il futuro dai libri, / dallo studio, le lascerò tutto il tempo che vuole. Senza/ di lei non posso vivere!
Agostino guarda i due ragazzi, lei presa dal suo problema, lui proteso a trovare una soluzione pur di riuscire a restare con l’amata.
AGOSTINO - Paolo furioso di passione... Inquieta Paola, / presa dal suo difficile problema... Come due parti / di un unico tutto, esseri / indipendenti, esseri che si attirano e si completano, e temono, / se si riunissero, di perdere la loro libertà... / Sovente Dio si manifesta attraverso dei segni: / e bisogna afferrarli al volo, questi segni... / Paolo, Paola, voi siete, insieme, quella realtà / uomo-donna creata non in forme separate, / ma traendo un essere dall’altro!
Un silenzio. Paolo e Paola si guardano, come uscendo da un sogno e affiorando alla realtà.
PAOLA - Noi dobbiamo vivere il presente.
Una scintilla negli occhi dell’uno e dell’altra. Fra i due è evidente l’attrazione degli innamorati. Paolo si rivolge ad Agostino.
PAOLO - Tu non puoi darci una risposta. Che cosa fare, dipenderà/dalla nostra volontà. Ma dacci un segno. Saremo noi / a interpretarlo, come fai tu quando interroghi Dio.
AGOSTINO - Tanti anni fa, anch’io ero un ragazzo, come voi. / Ero assetato d’amore. Andavo cercando un oggetto / da amare, e dentro di me avevo fame, ma di un cibo / spirituale, di Dio. Però Dio non lo conoscevo. / E la mia anima sentiva il bisogno di stare a contatto / con le creature su di un piano fisico... per me / era importante possedere un corpo, per amarlo! / E che cosa ne andavo ricavando? Vincoli tormentosi, / amarezze, gelosie, sospetti di tradimenti, e risse/rabbie paure, e l’odio, anche l’odio. In quegli anni / insegnavo retorica. Io ero vinto dalle passioni / e vendevo l’arte di vincere con le chiacchiere! / A un certo punto decisi di farla finita con tutti/quegli amori che non mi davano più neanche contentezza, / e mi scelsi una donna, una sola, a cui essere fedele, / come a una moglie. Ma una donna legata a me per la passione; / era l’amore fisico a tenerci assieme, e una certa abitudine / non era un patto coniugale, ma resisteva, c’era anche / rispetto tra noi, e una certa forma di affezione. Durò / quattordici anni, e venne al mondo anche un bambino, / e pur se era nato nel peccato, lo amai, /perché i figli poi si fanno amare... Arrivò un momento / in cui insegnare retorica non mi piaceva più. Chiacchiere / e basta; e gli allievi poi se ne servivano per esercitarsi / nel linguaggio, ma peggio ancora, per imbrogli, per trucchi. / Ogni attrattiva sentita prima era caduta. / Non mi interessavano più i soldi — un po’ / ne avevo e mi bastavano—; degli onori / volentieri ne facevo a meno — erano vuote / illusioni, nient’altro —; mi restava, fortissima / ancora, la voglia di unirmi all’ altro sesso, / ero attanagliato dalla donna. Lasciai la mia compagna / perché decisi di sposarmi, e lei non potevo, / la nostra società non me lo permetteva. Se ne andò / lontano, alla sua terra, e fece voto di non amare / nessun uomo mai più, dopo di me. Era dolce,/rassegnata, mi lasciò nostro figlio; la sua mancanza / mi lacerò come uno strappo nella carne. Sentivo / l’urgenza di unirmi ad una donna, di averne amore, /conforto, compagnia... L’Apostolo mi sosteneva / coi suoi scritti in quella scelta, del matrimonio, / che lui chiama «Bene minore»: era una strada / comoda per me, che chiedevo a Dio di farmi casto, / «ma non subito, non adesso per favore». / Nello stesso tempo sentivo crescermi dentro / il desiderio grande di una purezza nuova; eppure / esitavo ancora di dar morte alla morte e di vivere, / finalmente, nella vita. E dalle profondità del cuore/mi sono visto emergere, come una visione, tutta quanta/la miseria, la debolezza, la meschinità / della mia esistenza. Dentro mi si è scatenata / una tempesta, e mi è uscito un pianto senza fine. / Era vicino a me, in quella circostanza, un amico fedele; / da anni mi seguiva, sperando che trovassi quella pace / che anche lui andava ricercando, con più semplicità/di me; è Alipio, l’uomo che vi ha condotto lui. /Nonostante l’antica confidenza, in quel momento/mi allontanai da lui. Volevo restar solo, avevo bisogno/di star solo, di dar sfogo a quel pianto misterioso. / E me ne vado, brusco, mormorando parole soffocate / già dalle lacrime. Mi getto a terra, non so come, / sotto un albero di fico, e tolgo i freni a tanta / commozione; piango, piango, e come fiumi le lacrime / mi scorrono dagli occhi. E parlo a Dio, gli dico / molte cose; non erano proprio queste le parole, / ma questi in sostanza i sentimenti: «Fino a quando, / mio Dio, sarai in collera con me? Domani e poi domani? / Perché non ora? Perché non subito porre termine / a questa mia vergogna?». Parlavo e continuavo a piangere. / Ed ecco, da una casa vicina sento una voce—di bambino/o di bambina?—, non so; ripeteva più volte, canticchiando, / «Prendi leggi... Prendi leggi... Prendi leggi...»; pareva / una di quelle filastrocche che delle volte, giocando, / cantano i bambini, ma non mi ricordavo di averla / mai udita. Smetto di piangere, mi alzo, sicuro / che quelle parole sono un ordine del cielo, di aprire/un libro e di leggervi la prima frase che mi fosse/capitata sotto gli occhi. Così tutto eccitato torno/dove Alipio era rimasto, per discrezione non mi aveva / seguito quand’ero corso via in preda al pianto. /Afferro il libro che prima stavo leggendo — era/dell’Apostolo Paolo—; lo apro e leggo in silenzio / la frase io cui subito si erano appuntati i miei occhi: / «Non in feste e ubriacature, non in cose di letto / spudorate, non in litigi né in preda all’invidia!, / ma vestitevi del Signore Gesù Cristo e non tenete / conto della sensualità tormentosa dei corpi». / Non ho voluto legger oltre, non ce n’era bisogno. / Alipio poi ha letto il seguito — io gli avevo mostrato / la frase — e ha voluto vedere quello che c’era dopo: / «Se poi qualcuno è debole nella fede, / porgetegli la mano». Quelle parole, Alipio /ha sentito che erano per lui, ed è rimasto poi / sempre con me; col tempo ha rafforzato la sua fede / e ha trovato la pace.
Un silenzio. Timidamente Paolo si rivolge ad Agostino.
PAOLO - Dio ha parlato, a te. Ma noi siamo soltanto / dei ragazzi. Paola, non è tanto il sesso, la sua bellezza / che mi attraggono, di lei. Io l’ho scelta! E Paola / ha scelto me. Certo, siamo ragazzi... Il sentimento? passa anche attraverso le emozioni, e l’immagine/ di Paola mi parla, come mi parlano le sue parole... / È con lei, per tutte queste cose assieme, che voglio / vivere! Ed è questo desiderio che anche lei credo provi, / a portarmi a sperare che mi accetti come compagno...
Si rivolge a Paola senza avere il coraggio di andarle vicino.
. ..un giorno, se vorrai.., per te soltanto... amante.
Paola rimane silenziosa, poi rialza il capo con decisione.
.
PAOLA - Conoscere... studiare... per me rimangono soltanto aspirazioni. / Io non sento la voce di Dio, non ho avuto la sua chiamata! / Se fosse così, potrei con gioia entrare in un convento! / La mia è ribellione!, è rabbia! Perché sono costretta/ a rinunciare a quello che agli uomini è permesso: leggere, / scrivere, inventare, andare in giro per il mondo / e trasformarlo! Tutto questo perché io, anima immortale, / sono chiusa in un corpo femminile!
Piange senza ritegno.
Ho desiderato il convento perché forse è l’unico luogo / dove si valuta lo spirito come se si trovasse già / di fronte a Dio. Ma non ho vocazione e non posso / inventarmela per poterne godere i vantaggi.
Si avvicina a Paolo, gli prende una mano affettuosa, accorata.
Le tue intenzioni sono buone. Il tuo amore / è rivolto anche al mio spirito. E anch’io / provo per te quello che tu hai detto prima, per me. / Ma è il tempo in cui viviamo che io temo: questo tempo / che non sento mio mi terrà sottomessa, oscura / perché donna. E nessuno saprà che ho vissuto.
Agostino è un po’ appartato, lasciando i due ragazzi al loro dialogo. Quasi sussurra.
AGOSTINO - La luce del volto di Dio è impressa in tutti noi. / Diventiamo luce noi stessi: noi, che prima/ eravamo tenebre.
PAOLO - Io saprò che tu hai vissuto. Vivremo l’uno per l’altra. / E faremo tante cose, anche se i tempi sono difficili.
AGOSTINO - Non sarete proprio voi, unici al mondo, / che Dio lascerà senza gioia nella vita!
Prende le mani dei due ragazzi e le unisce lievemente.
VII - IL CUCCHIAIO D’ARGENTO
Arriva Alipio trasportando un paniere pieno di cibi. Lo seguono Giovanni con una tovaglia e dei cavalletti per allestire una tavola, e Giuliano con bicchieri, piatti e stoviglie varie.
ALIPIO - Ho portato da mangiare qui. E l’unico modo / per farti concludere le tue sedute inarrestabili...
Mentre si dà da fare, indica Giuliano che armeggia per preparare la tavola insieme a Giovanni.
Se ne stava come un’anima in pena. Voleva vederti, parlarti ancora...
GIULIANO - Sono stato un po’ coi monaci... Ma / è il tuo discorso che mi affascina!
ALIPIO - Non adesso, per carità!
Agostino sorride.
AGOSTINO - Stai tranquillo. Ma, dov’è andata quella gente / così impaziente di interrogarmi sul tempo?
ALIPIO - Avevano fretta. Se ne sono andati!
Tutti ridono.
GIOVANNI - Io ho dato da mangiare alle bestie / e fino a stasera sono libero, che bellezza!
AGOSTINO - Le bestie di Giovanni hanno mangiato / e noi siamo ancora digiuni. Ne è passato / del tempo, da quei fichi di stamattina!
Paolo mette il suo cesto sopra il tavolo.
PAOLO - Frutta! E dolci, canditi!...
Paola mette i fiori sulla tavola.
PAOLA - E i fiori, un po’ d’allegria...
ALIPIO - Si comincia con una buona zuppa...
Distribuisce intorno le scodelle. Porge ad Agostino il suo cucchiaio d’argento.
Il tuo cucchiaio...
Giovanni osserva il cucchiaio con curiosità.
GIOVANNI - E d’argento... come una moneta!
AGOSTINO - Ci sono affezionato. E l’unica posata che uso sempre.
Comincia a mangiare. Così fanno gli altri.
Dio mi ha insegnato ad accostarmi ai cibi / come se dovessi prendere delle medicine, poca roba / voglio dire, senza esagerare in quantità. Ma quando, / dalla molestia della fame passo alla quiete della sazietà, /proprio in quel momento dei passaggio ecco il laccio / della gola! Nel mangiare e nel bere c’è una ragione, / ed è la salute; ma a questa poi si aggiunge un piacere / subdolamente, che vuol prevaricare, e ti fa fare / quello che dico di voler fare prendendo come scusa / la salute!
Giovanni nella sua semplicità non ha afferrato la sottigliezza della differenza espressa da Agostino fra necessità e golosità.
GIOVANNI - Questa zuppa io la trovo proprio buona... / Non so dire nient’altro. E perché... / non ho la tua istruzione...
Agostino ride.
AGOSTINO - Tutto è puro per chi è puro. Ma chi / non si lascia trasportare un poco / oltre i limiti del bisogno?
ALIPIO - Ringraziamo Dio per questi cibi/che ci vengono dalla sua bontà.
Tutti mangiano, mentre lontano un canto di monaci si alza sul silenzio laborioso dei commensali.
I - MONICA, IL SOGNO
Agostino sogna, reclinato sopra il tavolo sparecchiato su cui è rimasto un bicchiere di vino mezzo colmo. Evanescente nei veli, — un‘apparizione — avanza verso di lui Monica. Il corpo di Agostino rimane reclinato, nell’immobilità del sonno. Ma il suo spirito che sogna si stacca dal corpo alzandosi e andando verso la madre. Il tono di Monica è soave, dolcissimo.
MONICA - Hai bevuto un poco. E ti sei addormentato... / Eri stanco... Vogliono sempre tutti qualcosa da te... / Un po’ di vino quando mangi ti fa bene...
Una piccola risata fresca.
Quant’è stato curioso per me il rapporto col vino!... / Da ragazza lo odiavo. Quell’odore forte mi toglieva / il respiro; lo avvertivo fin dai primi gradini / della cantina, quando i miei mi mandavano a riempire / la caraffa, attingendo dalla botticella. Per superarne / l’avversione — così, per un capriccio, un’impuntatura / di bambina, avevo cominciato a trangugiarne qualche goccia / mentre tiravo su la tazza piena. Che gusto ripugnante! / Poi quel poco diventava di più... sempre di più... / Ne aspettavo impaziente l’effetto, quell’ebbrezza / mai provata prima... Gli occhi mi si accendevano... fuoco/ sopra le guance, ed uscivo come fuori da me stessa! ... / Stavo diventando alcolizzata e non me ne accorgevo. / Mi salvò una servetta dalla lingua pronta. Litigavamo/per una stupidaggine, e lei, a tradimento, fuori dal discorso / mi butta in faccia «Ubriacona!». Quell’insulto di ragazza / inviperita, Dio lo usò per correggermi, mi colpì / come una frustata! Non me l’ero vista, quella debolezza;/ e adesso stava lì, davanti a me. Vergogna vergogna vergogna! / Da allora non ho bevuto più. Ma un po’ di vino mentre mangi, / a te fa bene...
AGOSTINO - Mamma. Da quanto tempo non ti vedevo!... E com’è strano / che tu ricordi quella piccola mancanza di quand’eri bambina...
MONICA - Nel sogno c’è anche il gioco... Tu stai sognando... / E il gioco è un segno divino...
AGOSTINO - Mi sei mancata, da quando ci hai lasciato. / Ero abituato alle tue cure, e al dialogo con te. / E anche gli altri. Come una madre ti preoccupavi / di tutti, servivi tutti come fossi una figlia.
MONICA - Non ero così all’inizio della vita. Ho dovuto combattere / con il mio carattere. E anche tu... mio figlio... / non eri facile. Volevi andartene da casa e io mi opponevo / con tutte le mie forze.
AGOSTINO - Mi attiravano cose sciocche, legate ai sensi, / tu lo sapevi e te ne addoloravi. E dalla nostra terra, / un po’ ai margini dell’impero, volevo andare a Roma. / Era un sogno e una febbre. Dio sapeva perché dovessi / partire, ma non lo lasciava capire né a me, che smaniavo / per andarmene, né a te che volevi impedirmelo.
MONICA - Era un disegno di Dio. Io piangevo, soffrivo atrocemente perché tu insistevi, / eri impaziente di partire. E ti ho seguito fino al mare; /ti trattenevo con violenza, volevo che tu tornassi indietro, / o almeno che partissi con me. Tu allora mi dicesti / che volevi stare insieme ad un tuo amico fino alla sua / partenza...
AGOSTINO - Ti mentivo. A una madre come te, ho mentito. / Anche di questo, poi, Dio mi ha perdonato.
MONICA - Mi avevi convinto a rimanere per quella notte / in una cappella dedicata a Cipriano, che stava sulla spiaggia / vicino alla nave. E io ti ho creduto, sono rimasta là / a pregare e a piangere. Pregavo Dio che non ti lasciasse / partire. Ma lui aveva disegni profondi e voleva esaudire / la sostanza del mio desiderio; quindi non faceva caso/ a quello che chiedevo in quel momento, perché voleva farti / come io ti avevo chiesto sempre!...
AGOSTINO - Io intanto partivo... Le vele erano gonfie di vento; / la spiaggia scomparsa ai miei occhi, e con la spiaggia? anche il pensiero dite che avevo abbandonato.
MONICA - Al mattino corsi fuori. La nave / non c’era più. Quanto piansi! Ne stancai le orecchie dì Dio!
AGOSTINO - Ma lui non prendeva in considerazione i tuoi lamenti. ? E lasciava che mi trascinassero via le passioni / più degradanti, proprio perché avessero fine. / Il tuo rimpianto, mamma, allora era troppo terreno; / tu volevi tenermi vicino a te, come tutte le madri.
MONICA - Di più. Di più! E non capivo la gioia che Dio voleva darmi / con la tua partenza, dopo... Per questo piangevo, mi lamentavo. / Ma poi finii col pregare per te.
AGOSTINO - E io arrivai a Roma. Cominciò tutto da allora. / È passato tanto tempo. Ora ti vedo qui, accanto a me. / Ma so che ci hai lasciato, ormai da anni.
MONICA - Io sono con te ogni momento. Tu lo sai.
AGOSTINO - Ci hai lasciato nel tuo aspetto terreno. Ma che tu / sia con me nello spirito, lo sento. Ho intuito / che sarebbe stato così, ancor prima che tu uscissi / da questa vita.
MONICA - Era un giorno meraviglioso. Si stava io e te/da soli, affacciati alla finestra sul giardino della casa / che avevamo preso là, vicino ad Ostia Tiberina.... / Lontani dalla confusione, dopo la fatica del nostro / lungo viaggio in Italia... Ci riprendevamo per affrontare / il ritorno in Africa, per mare... E parlavamo tra noi, / dolcemente.
AGOSTINO - Ci domandavamo quale fosse la vita eterna dei santi, / che nessuno ha mai visto o udito, né ha capito / con intelligenza umana.
MONICA - Oltre le creature, oltre il pensiero umano, arrivammo / a immaginare quegli spazi dove vita è sapienza... / Tutti gli esseri sono stati e saranno creati da lei... / ad essa è, perché è eterna...
AGOSTINO - Eravamo protesi in un solo desiderio... Ascoltare Dio / per un attimo! Non per lingua di carne, voce d’angelo / o fragore di nubi, non per allegoria di somiglianza, / ma lui, che amiamo in ogni cosa, lui volevamo ascoltare! / Se quell’estasi si fosse perpetuata nella vita / come avvenne in quell’attimo di intuizione.., oh! / Non è questo il senso di «Entra nel gaudio del tuo / Dio»? Ma quando, quando? Forse quando tutti risorgeremo, / ma non tutti saremo mutati?
MONICA - Pochi giorni dopo me ne andai da questa vita. / Non mi importava più dove il mio corpo sarebbe stato / seppellito. Prima mi ero tanto preoccupata della tomba / dove avrei voluto andare, vicino al corpo di tuo padre!...,/ Volevo che tutti lo sapessero: l’armonia della vita / con lui si sarebbe coronata con quell’unione sotto / la stessa terra. Ma per la bontà di Dio, questa fatuità/ era scomparsa in me.
AGOSTINO - «Seppellite questo corpo in un posto qualsiasi... / — mi hai detto — Non sia per voi motivo di preoccupazione...».
MONICA - Niente è lontano per Dio... E non c’è da temere / che alla fine dei secoli non sappia il luogo / dove mi resusciti...
Monica si allontana con un lieve salutare della mano. Agostino risponde al cenno della mano, incapace di parlare, preso dalla commozione. A sua volta indietreggia ritornando al punto in cui il suo corpo ha continuato a mantenere la posizione appoggiata al tavolo, profondamente addormentato.
AGOSTINO - Mamma... Mamma...
Agostino si risveglia. Si rialza un poco.
Mamma...
Entra Alipio con un bacile, una brocca con dell’acqua e una salvietta
.
ALIPIO - Eri ancora addormentato... Rinfrescati un poco....
Appoggia sul tavolo bacile, brocca e salvietta.
Agostino è ancora avvolto nel suo sogno. Mormora impercettibilmente.
AGOSTINO - Mamma...
Ormai sveglio, si accorge di Alipio.
L’ho sognata, come se fosse ancora tra noi.
ALIPIO - Io so quanto l’amavi, quanto tutti noi le volevamo bene...
AGOSTINO - E stato duro accettare la sua morte.
ALIPIO - Non ne hai parlato mai...
AGOSTINO - Da poco riesco ad accettare che mia madre sia morta, / anche se solo per un tempo provvisorio... Vederla, / in sogno, mi ha riportato indietro, a quelle sue ultime/giornate. E le ho vissute di nuovo insieme a lei, / fino al distacco, e poi anche dopo...
Ha un moto di pianto.
Oh!, Alipio! Le chiudevo gli occhi ed ero invaso / da un’immensa tristezza. Stavo per piangere, ma, / come per un ordine, con violenza gli occhi / ricacciavano indietro le lacrime e restavano asciutti. / E in questo contrasto stavo male. C’era in me / qualcosa di puerile — come una voce di ragazzo — / che mi spingeva al pianto; poi un impedimento. / Pensavamo che non fosse serio celebrare quel lutto / con lacrime, con gemiti e lamenti, perché di solito / si piange in questo modo chi muore squallido e meschino,/ oppure chi scompare del tutto; e per lei non era così. / Che cos’era quindi a farmi così male dentro, se non la ferita / recente che aveva colpito all’improvviso la consuetudine / dolcissima e cara di vivere insieme? Mi confidavo con Dio, / con lui solo; nessuno poteva sentirmi. Accusavo la debolezza / del mio affetto e tentavo di tenere a freno la tristezza, / ma ci riuscivo soltanto per un poco, poi di nuovo / ero trascinato dalla violenza della disperazione, / ma non arrivavo a piangere, né il mio volto si contraeva, / e soltanto io sapevo che cosa mi tenevo chiuso nel cuore. / E quando il corpo, ecco, venne portato via, andammo, / ritornammo, senza lacrime. Neanche al momento delle preghiere / ho pianto, ma sono rimasto triste per tutta la giornata,/ e turbato nell’animo pregavo Dio di guarirmi dal mio dolore; / lui però non mi guariva; voleva che mi rendessi conto, / io credo, dei legami che si creano attraverso ogni consuetudine, / anche per chi si ciba ormai della parola che non porta / inganno. Alla fine mi sono addormentato. Poi / mi sono svegliato; il dolore — mi sono reso conto — / si era mitigato non di poco. E cominciavo via via / a ripensare a mia madre, come lei era prima... / piena d’amore verso Dio, così buona, così dolce/ con noi, e d’improvviso ne ero stato privato. / Allora ho sentito una gran voglia di piangere/di fronte a Dio, su di lei e per lei, su di me / e per me. Le lacrime prima trattenute ho lasciato/ che sgorgassero quanto volevano... Era Dio che mi stava/ ascoltando, non un uomo qualunque che poteva interpretare/ quel mio pianto con arroganza.
Alipio versa dell’acqua nel bacile, che porge ad Agostino.
ALIPIO - Il pianto, poi di nuovo la serenità. Come un cielo/ d’aprile in campagna, tra la pioggia e il sereno...
Agostino si rinfresca il viso. Alipio gli porge la salvietta perché vi si asciughi.
E dopo, hai potuto sopportare il distacco da tua madre.
AGOSTINO - Il dolore era forte, ma non c’era più la disperazione.
II - L’URLO DEL CIRCO
Arriva Giovanni con una pelle d’agnello sulle spalle.
GIOVANNI - Sono passato dalla cucina...
Indica la pelle di agnello, troncando la frase, con imbarazzo.
Si ferma sempre gente, ad aspettare di parlargli... / Avranno fame...
ALIPIO - Ogni tanto un po’ di carne ci vuole./ Soprattutto se ci sono degli ospiti. E’ d’accordo..
Indica Agostino che sta asciugandosi il volto.
...anche lui.
AGOSTINO - Per far onore a chi viene da fuori. / Ma se ne può fare a meno...
Guarda fissamente Giovanni.
Perché questo dono improvviso?
Giovanni comincia a parlare veloce, come per liberarsi da un peso.
GIOVANNI - Mio padre mi aveva chiesto di aiutarlo, / è un lavoro, per noi. E gli ho dato una mano, / come sempre; la gente vuol mangiare... / Ho colpito l’agnello, e ho visto i suoi occhi! /Ancora stamattina correvamo insieme sul prato... / E adesso, soltanto carne da pesare per vendere!.../ E quel grido...
Raccolto su se stesso, emette un lamento lungo, come di bestia ferita a morte.
...hhhh-hhiiiihhhh!!!... Non ci avevo mai pensato, prima...
Si toglie la pelle dalle spalle e la stringe in un fuggevole abbraccio, poi la abbandona a terra.
ALIPIO - Non sentirti in colpa. E’ un lavoro, quello di tuo padre. / Un lavoro che serve a tutti. Anche lui...
Indica Agostino
...non è contrario, purché sia necessario per nutrirsi.
Agostino raccoglie la pelle con delicatezza e la rimette sulle spalle di Giovanni.
AGOSTINO - Mangiavano carne anche i profeti, fin dai tempi / della Bibbia. Se non si potessero mangiare gli animali, / in quanto fosse illecito ammazzarli, perché allora / non estendere questa proibizione agli erbaggi, ai vegetali, / ai frutti? Per quanto non abbiano una sensibilità/ come la nostra, si usa dire che «vivono»: possono quindi / anche morire. Ma gli animali e le piante non hanno / la nostra natura; la loro vita e così la loro morte / sono subordinate alle necessità dell’uomo, secondo / quanto ha stabilito Dio. Sono altre le cose da cui guardarsi: / quando il sangue è versato inutilmente... quando è gioia / il dolore degli altri... se corrompe il tuo cuore / il desiderio di veder soffrire...
ALIPIO - Una volta io ero così. Ma non mi vedevo! Passione cieca / per il circo. Arrivavano le bestie più strane; i lottatori /giravano per la città con quel corteo per attirarci:/ «Dai andiamo! Ci si diverte un po’ !...». E col solito / gruppetto degli amici, subito a scegliere i posti / per vedere bene, per vedere tutto!
GIOVANNI - Al circo ci sono andato anch’io! Qualche volta, / ma a guardare soltanto. Non sei tu ad uccidere!
ALIPIO - Che tu ci vada per divertimento non è più crudele / che ammazzare un agnello necessario per nutrirsi?
GIOVANNI - Ci vanno tutti, agli spettacoli! E l’imperatore / che li manda e non si paga niente! Vengono da Roma, / i lottatori, e fanno fuori un numero incredibile / di bestie. Qualche volta però anche loro ci lasciano la vita..
ALIPIO - E tu pensi al tuo agnello!: correvate insieme nel prato / e ti è spiaciuto di doverlo uccidere! Nel circo invece / le bestie tu non le conosci, e vai apposta per vederle / ammazzare... Se poi è un uomo ad essere colpito, cresce / il divertimento. La gente freme, tutta tesa, e quando / sta per scendere la morte sale un urlo di entusiasmo! / E un mostro, la folla presa da questa smania, / e mentre ci stai dentro non sei più tu, ma una parte / di quella... Gridi insieme a quegli altri, per inebriarti /di quell’urlo immenso come il boato di un vulcano, / che ti fa sentire potentissimo! E il tuo corpo e il tuo cervello/ tutto sei dentro a quel suono disumano che chiede la morte / della bestia!... Non erano più mani le mie mani, ma artigli / tentacoli infiniti a rafforzare nel gesto la richiesta!... / E cercavo nei volti sfigurati che mi stavano intorno / la mia stessa ferocia, la mia ebbrezza... Mi immergevo / nel sangue attraverso gli occhi dilatati; tutto me stesso/ nei sensi esasperati se ne stava a godere lo spettacolo. / Era un vizio, una febbre che mi tormentava, e nient’altro / più mi piaceva... Ma un giorno me ne andavo in giro/ senza far nulla, e mi viene in mente di passare dalla scuola / dove insegnava Agostino — molti dei miei amici erano/ suoi studenti... — Vado, entro, mi siedo. Lui parlava. / Stava facendo una satira di quelli che si lasciano trascinare / dal piacere ottuso del circo e vanno in delirio per il gusto / del sangue... Agostino continuava a parlare... e io / mi sono visto in mezzo a quella folla, stravolto, / ansimante, senza dignità!... Prima per me era stato/ un gioco più che lecito; ma le sue parole, in quel momento, / mi parevano rivolte proprio a me...
Agostino ride.
AGOSTINO - Io non avevo affatto pensato di fare un rimprovero / a te. Era nella mia lezione, quell’esempio. E tu / sei capitato in quel momento.
ALIPIO - Sono rimasto colpito dal tuo discorso proprio perché / non era stato fatto apposta.
Ascoltandoti, capivo / a quale stupido gioco mi prestassi, cadendo nella trappola / del circo: chi ci elargiva quel genere di giochi/ci privava di ogni volontà. Ma ci voleva qualcuno / che mi indicasse la via per liberarmi
Indica Agostino.
Le sue parole bruciarono le scorie del mio cuore / come carboni ardenti; cauterizzarono, guarirono / la mia anima. Io mi sentii scuotere tutto. Le immagini / del circo svanirono in un lampo... E non ci sono più tornato.
Giovanni emette un fischio di ammirazione rivolgendosi ad Agostino.
AGOSTINO - Io non avevo pensato di riferirmi a lui. Ma Dio / si serve di tutti noi. Possiamo essere a conoscenza / del suo ordine, possiamo non conoscerlo: lo sa lui, / e l’ordine è giusto.
GIOVANNI - E io piangevo sull’agnello... Mi hai fatto scoprire / cose di cui non mi rendevo conto.
AGOSTINO – E’ stato così anche per Alipio. Io stesso / ho mutato vita non per mia scelta, ma per ordine di Dio.
GIOVANNI - Che cosa devo fare, io? Noi macelliamo...
AGOSTINO - Ci sono cose ben più gravi da cui guardarsi... / Te l’ho già detto. E altre, ancora più pericolose... /Onori... Ricchezze... avidità di questo.
ALIPIO - Io vado in cucina. Non bisogna sprecare / quello che Dio ci ha mandato attraverso Giovanni.
Si avvia.
III - IL MENDICANTE UBRIACO
Giovanni scruta Agostino, poi azzarda una domanda.
GIOVANNI - Eri.., diverso, prima?
AGOSTINO - Ero diverso, sì. Spasimavo per gli onori, / per i soldi. Spasimavo per le donne... E Dio / se la rideva di me. Per riuscire a realizzare / quelle voglie sopportavo le difficoltà più amare. / Dio mi era vicino; per questo mi impediva di sprofondare / in quei piaceri che mi parevano tanto dolci / e che non avevano niente a che fare con lui...
GIOVANNI - E poi? Come hai fatto a... capire?...
AGOSTINO - Che ero un disgraziato? Me ne sono reso conto / un giorno in cui mi preparavo a recitare / le lodi dell’imperatore: era un ragazzetto / di quattordici anni e ne sapeva poco, come te. / Questo incarico ufficiale era molto ambito nella corte: / dovevo mettere insieme un po’ di balle: così facendo / avrei riscosso il favore di chi, quelle balle, / ben sapeva che fossero tali. Stavo dietro a mille / seccature ed ero tutto agitato dalle preoccupazioni, / che andavano distruggendomi, quando, nel passare / per una stradina di Milano — era là che abitava / l’imperatore — mi imbatto in un mendicante / completamente ubriaco: vaneggiava balbettando frasi / senza senso e ballava da solo, felice e contento / all’apparenza. Io stavo con degli amici. / Mi sono messo a parlare con loro dei dolori / che ci procuriamo da noi stessi, con le nostre follie. / Io mi sentivo oppresso di fatica e aumentavo / la mia infelicità sotto lo stimolo di desideri smodati. / Ma alla fine, che cosa ci preme di raggiungere, / attraverso tutti questi sforzi? Nìent’altro / che una felicità sicura: condizione a cui quel mendicante / prima di noi era arrivato; condizione che forse / noi non raggiungeremo mai. Con pochi soldi, raccolti / mendicando, quel poveraccio aveva ottenuto lo stato / a cui ambivo io che, per arrivarci, mi perdevo / in percorsi tortuosi, pieni zeppi di difficoltà. /Lui era riuscito ad ottenere una sorta di felicità, / anche se soltanto temporanea; certo non possedeva / una felicità vera e propria, ma quella che cercavo io, / con tutte le mie ambizioni, era molto più falsa della sua. / E il mendicante almeno era contento, io pieno d’ansia; / lui era tranquillo, io in uno stato di totale agitazione.
GIOVANNI - Avresti preferito essere come il mendicante?
AGOSTINO - No invece! Questa era la contraddizione. / Se avessi potuto scegliere, avrei voluto rimanere / com’ero, spossato dai timori e dagli affanni.
GIOVANNI - Ma perché? Ti volevi far del male?
AGOSTINO - Forse era una specie di pervertimento... Oppure / agivo per una profonda convinzione, non lo so neanch’io. / Certo non potevo sentirmi superiore al mendicante / per la mia cultura, dato che non ne traevo felicità / e il fine ultimo di tutti è proprio quello! di essere felici. Con questa cultura cercavo di piacere / alla gente, ma non per offrire davvero del sapere: / soltanto per essere ammirato.
GIOVANNI - Lui beveva, e così era felice per la sbronza. / Tu volevi essere felice per la gloria.
AGOSTINO - Ma non era vera la felicità, e non era vera la gloria. / Più ci pensavo, più mi sentivo turbato. Quel poveretto / — riflettevo — avrebbe smaltito la sua sbornia / nella notte stessa; io avrei dormito con la mia / e mi sarei alzato la mattina dopo sempre con quella / sbornia; e così via, così via per giorni e notti, / non sai per quante volte! In fondo, poi, lui spandeva / allegria attorno a sé, mentre io ero dilaniato dai problemi. / Lui si era guadagnato il vino augurando del bene alla gente, / io andavo invece alla ricerca di consensi raccontando / soltanto delle balle.
GIOVANNI - E a un certo punto tu te ne sei reso conto...
AGOSTINO - Sono rimasto atterrito dai miei peccati e dal peso / della mia miseria. Ho pensato di fuggirmene da solo, /ma Dio mi ha fatto capire che dovevo rimanere tra la gente. / Non si può vivere soltanto per se stessi.
GIOVANNI - Quello che dici, non lo capisco proprio tutto, / ma qualcosa, dentro, mi rimane...
AGOSTINO - Dio ti ha dato una bella mente, e un cuore generoso, / a poco a poco capirai. Ma adesso, vattene, lasciami solo.
GIOVANNI - Vado da Alipio. Può aver bisogno di me...
Si allontana.
IV - LA STRANA FOLLIA
In lontananza il canto dei monaci. La luce del pomeriggio ha un caldo colore dorato.
AGOSTINO - Per ognuno viene il momento di svegliarsi / dal suo sonno e di scoprire di aver sognato, / correndo dietro a cose indegne e amandole... / Anch’io. Una strana follia mi aveva indotto / per lungo tempo a desiderare di soffrire, / trovando godimento nel dolore. Proprio nell’amore / per le lacrime io provavo un insano piacere... / Era il teatro, lo spettacolo a trascinarmi / in questa esaltazione. E più i fatti che vedevo / erano tragici, carichi di lutto, più mi divertivo. /Come si può spiegare che l’uomo provi queste sensazioni, / mentre al tempo stesso non vorrebbe mai trovarsi / in mezzo a questo tipo di esperienze? Fremevo di gioia, / godevo anch’io! Quando gli amanti se la spassavano / nelle maniere più indecenti e depravate. Ne godevo, / pur sapendo che era tutto per finta, nel gioco / della rappresentazione. Se poi erano costretti / a separarsi, mi rattristavo; era per me quasi una pena: / in entrambi questi casi, però, mi divertivo! /Ma più che tutto, ero contento di soffrire / e andavo alla ricerca di spettacoli che mi facessero / provare dolore. Erano attori, recitavano, lo sapevo / bene: ogni loro espressione era finta, esagerata; / eppure mi avvincevano, e con più forza, le scene / che mi strappavano le lacrime. Questa era la mia vita, / allora... Quanto tempo è passato! Eppure mi succede ancora / che il cuore oscilli tra passato e futuro. Chi riuscirà / a trattenerlo, questo cuore, a fissarlo perché trovi / un po’ di fermezza, perché rapisca un po’ di luce / all’eternità che ha questa fermezza? Chi riuscirà / a tenere il cuore dell’uomo, in modo che riesca / a vedere che l’eternità non ha né passato né futuro, / ma che è ferma in se stessa e da lei nasce il passato, / da lei nasce il futuro? Ne sarà forse capace la mia mano? / La mano della mia bocca compirà forse un’opera così grande / attraverso le parole...
Giuliano e Paolo con passo veloce arrivano fino ad Agostino. Rimangono poi davanti a lui in silenzio.
V - IL TEMPO
AGOSTINO - Cominciare un discorso è difficile...
GIULIANO - Eh! sì... Noi camminavamo, ognuno era preso / dai suoi pensieri... Ci siamo incontrati!
PAOLO - Io avevo lasciato Paola nella cappella; voleva / restar sola a pregare. Avvertivo anch’io il bisogno / di restare solo con me stesso, per ripensare a quanto avevi detto.
GIULIANO - La pace che c’è in questo luogo mi ha permesso / di guardarmi dentro. Tu hai gettato speranza / nella mia solitudine, ma ho bisogno di te, / per fare chiarezza.
PAOLO - Ne abbiamo bisogno tutti e due. E così, / camminando, abbiamo parlato. Quando ci trovavamo / davanti un dubbio, e non ci riusciva di andare oltre, / pensavamo a come avresti ragionato tu.
GIULIANO - E via via che si parlava, siamo risaliti indietro, /fino ai tempi dei tempi. E a un certo punto / ci siamo posti una domanda: ma non eravamo in grado / di rispondere!
PAOLO - Che cosa faceva Dio prima di creare il cielo, / prima di creare la terra?
AGOSTINO - Prima di creare il cielo e la terra, / Dio... non faceva niente.
GIULIANO - Niente?!
PAOLO - Niente niente?!
AGOSTINO - Se avesse fatto qualcosa, faceva una creatura. / Ma prima della creazione non esisteva nessuna creatura...
GIULIANO - Se faceva qualcosa, allora era già / il momento della creazione!
AGOSTINO - E proprio così! Non si può parlare di un tempo / in cui Dio sia rimasto senza fare niente, /perché Dio ha anche fatto il tempo.
PAOLO - Ma il tempo, che cos’è?
GIULIANO - Quand’ero arrivato qui e aspettavo di parlare / con te, tanti volevano venire a porti delle domande / sopra il tempo... il presente... il passato... il futuro... / e l’eternità. Tiravano fuori le loro teorie; qualcuno / sosteneva di aver scoperto un sistema infallibile / per poterlo misurare... Poi se ne sono andati, / incapaci di aspettare con pazienza anche solo / un pugno di ore, magari di minuti... Ma a me è rimasto / nella testa un turbine di domande contrastanti. / E ho scoperto che è soltanto un’illusione quella di misurarlo, / il tempo, e che sia lungo... e che sia breve...
PAOLO - E se il passato è lungo o breve, e se lo è il futuro, /lungo o breve...
AGOSTINO - Possiamo dire che il passato è stato lungo o breve... / Possiamo dire che lungo o breve, lo sarà il futuro... / O forse, lo si può dire veramente del presente, / che può essere lungo, o può essere breve... Perché / il passato è già stato, il futuro sarà...
PAOLO - Ah!, del presente, allora, si può dire, in certi casi, / che è lungo!...
AGOSTINO - Fai tu un esempio. Che cosa scegli?
PAOLO - Gli anni. Cento! / presenti cento anni!
GIULIANO - Ma cento anni non possono essere presenti tutti assieme!
AGOSTINO - E’ vero. Presente forse può essercene uno.
PAOLO - Prendiamo allora l’anno che stiamo vivendo. Un lungo / anno presente.
AGOSTINO - Che dici, Giuliano? Un anno tutto intero?
GIULIANO - Eh no! Non si può dire che sia tutto presente / neanche l’anno che adesso sta passando. E se non è / presente tutto, l’anno non è presente!
Trionfante.
I suoi mesi sono dodici!Ciascuno di essi, / mentre è in corso, è presente. Gli altri mesi / sono passati e sono futuri!
Agostino va attizzando nei due la concatenazione dei ragionamenti con maliziosa acutezza, inducendoli ad arrivare a quanto gli preme capiscano: che è impossibile misurare il tempo in termini di presente, passato ,futuro e così via. Egli vuole che siano loro stessi ad arrivare a questa conclusione.
AGOSTINO - Certa, gli altri mesi sono passati o futuri. / Del resto, neppure di quel mese che sta passando / si può dire che sia tutto presente: presente / è un giorno: se si tratta del primo, sono futuri / gli altri; se è l’ultimo il giorno presente, / gli altri sono passati...
PAOLO - E se il giorno presente sta nel mezzo, / viene tra i giorni passati e quelli che verranno nel futuro!
AGOSTINO - Ed ecco che quel tempo presente — il solo / che possiamo chiamare con il termine di «lungo» — / è ridotto appena alla durata di una giornata sola!
PAOLO - Ma è presente, una giornata tutta intera?
AGOSTINO - Tu hai capito il gioco: neanche di un giorno / si può dire che sia presente tutto.
GIULIANO - Certo! Esso è formato, tra giorno e notte, / di ventiquattro ore...
PAOLO- Rispetto alla prima ora presente, tutte le altre sono future...
GIULIANO - Per l’ultima, tutte le altre sono passate...
PAOLO - E per una di mezzo, un po’ sono passate...
GIULIANO - ...e un po’ sono future! E anche l’ora si svolge/in tanti istanti che fuggono via appena tu ti fermi su di loro.
PAOLO - Allora, per farci un’idea del tempo, dovremmo arrivare / ad una particella che non possa essere suddivisa: / ma questo è mai possibile?
AGOSTINO - Vi siete resi conto che neanche questo si può fare; / ma se si potesse anche, quel punto volerebbe così / in fretta, dal futuro al passato, da non avere estensione / di durata: perché se ce l’avesse, sarebbe anch’essa / divisibile in passato e in futuro; il presente, / al contrario, non possiede alcuna estensione...
GIULIANO - E allora?
PAOLO - La mia mente si perde...
AGOSTINO - Non crediate che sia facile. Anch’io vado cercando / e chiedo a Dio di assistermi e sorreggermi. / E’ con la mente che io credo possiamo vedere / il passato e il futuro; esistono anche loro, / il passato e il futuro, oltre al presente. / Per il passato, ci sono delle immagini rimaste impresse, / come delle orme, nell’animo, per mezzo dei sensi. / Non so se avvenga nello stesso modo, per il futuro: / il futuro, in se stesso, non si vede, dato che non c’è / ancora; ma si vedono, forse, del futuro, delle cause, / degli indizi che già esistono: non il futuro, quindi, / appare ai nostri occhi, ma delle cose future / possono preannunciarsi, concepite con lo spirito... / E chi predice il futuro, le intravvede come presenti.
PAOLO - E’ bello, il tuo ragionamento. Ma io mi ci smarrisco. / Vorrei aggrapparmi a qualche immagine concreta...
AGOSTINO - ...Come il bambino alla mano della madre. / Allora ti farò un esempio. Io vedo l’aurora. / E prevedo che il sole sorgerà. Ciò che vedo / è presente, ciò che preannuncio è futuro; non / è futuro il sole — esso esiste già —, ma è futuro / il suo sorgere, sorgere però che io — se non ne avessi / l’immagine nell’animo nello stesso modo con cui / ne sto parlando — non potrei predire di certo. / Ma nemmeno l’aurora che vedo in cielo è il sorgere / del sole, quantunque lo preceda; e nemmeno lo è / l’immagine dell’animo mio: tutti e due sono visti / nel presente, perché il futuro si possa preannunciare. / Non ci sono dunque ancora le cose future; / e se non ci sono ancora, non si possono vedere; / ma si possono preannunciare dai segni presenti, / che già esistono e si possono vedere.
PAOLO - Ma allora il passato e il futuro esistono soltanto / nella mente... come se fossero tutti e due presenti!...
AGOSTINO - Io direi che il presente del passato è la memoria; / che il presente del presente è quello che si intuisce / in maniera diretta; e che il presente del futuro / è l’attesa. Per far esistere questi tre tempi, / bisogna pensarli sempre — io credo — al presente / e sentirli tutti quanti dentro l’animo.
GIULIANO - Ma quando il tempo passa, noi lo misuriamo.
AGOSTINO - Come lo sai?
GIULIANO - Lo so, perché lo misuro.
AGOSTINO - Lo misuri quando passa. Quando poi è passato, / non lo misuri più. Ma quando lo misuriamo, da dove / viene? Per dove passa? Dove va?
GIULIANO - Viene dal futuro. Passa dal presente. Va verso il passato.
AGOSTINO - E quindi viene da ciò che ancora non esiste, / attraverso quanto non ha estensione, verso/ quello che non esiste più!
GIULIANO - Allora non c’è nessuna possibilità di misurare il tempo?!
AGOSTINO - È un enigma, e noi siamo insufficienti a risolverlo / con le sole nostre forze. Dio ha portato a vecchiaia/ i miei giorni; passano, questi. giorni, e non so in quale modo!
PAOLO - Dobbiamo rinunciare a capire?
AGOSTINO - Non sappiamo che cosa sia il tempo. Eppure sappiamo / che quello che stiamo dicendo lo diciamo nel tempo. / E stiamo parlando del tempo da molto tempo, e questo / molto tempo non è molto, se non per la durata del tempo. / E come so tutto questo, se non so che cosa sia il tempo? / O invece non so come dire quello che so? Mio Dio!,! non so neppure quello che non so!
GIULIANO - Noi più di te, Agostino, perché per la prima volta/ ci rendiamo conto di quanto sia profondo questo mistero / del tempo, che quasi per caso abbiamo affrontato. / Ed eravamo partiti da una domanda a cui credevamo / si potesse rispondere con facilità...
PAOLO - Tu stai ripercorrendo insieme a noi i momenti / della tua ricerca. Sono in tanti, a parlare / di quello che tu sai: ne parlano, ma non sanno ripetere / i tuoi ragionamenti.
AGOSTINO - Io parlo secondo il cuore, davanti a Dio. / Dobbiamo impegnare tutta la nostra intelligenza / e tutta la nostra attenzione. E Dio ci aiuterà.
Lontano, un canto soave. La voce è quella di Paola e il canto, un inno di lode a Dio.
Ecco, per esempio, una voce... Comincia a sentirsi / questo suono di creatura che canta... E risuona.../ ancora... questo canto...
Il canto prosegue.
... Risuona... risuona...
Tutti ascoltano, stupiti di quella attenzione al canto da parte di Agostino, come se si fosse distratto dal discorso sul tempo. Paolo ha un trasalimento. Quasi a se stesso sussurra..
.
PAOLO - E’ la voce di Paola!...
Il canto prosegue ancora per qualche istante, poi si interrompe.
AGOSTINO - Ha smesso. Il canto non c’è più. Ormai c’è il silenzio. / E quella voce è passata e non è più voce. Prima / che risuonasse, era futura: non si poteva misurarla / perché non esisteva ancora. E non si può misurarla / adesso, perché non c’è più. La si poteva misurare / mentre la ascoltavamo; ma anche allora non era immobile: / si svolgeva, e passava via; si estendeva in un certo spazio / di tempo che permetteva di misurarla: ma il presente / non ha estensione!
GIULIANO - Insomma, il tempo possiamo misurarlo, ma non prima / che arrivi; non quando è passato, non quello / che non ha durata. Dunque, noi non possiamo misurare! né il futuro, né il passato, né il presente, / e neppure il tempo / mentre passa: eppure, il tempo noi lo misuriamo!
PAOLO - Dopo il canto, è venuto il silenzio... E lo sentiamo / proprio perché prima c’era il canto. Possiamo misurano, / il silenzio?
AGOSTINO - Lo misuriamo come se il tempo fosse un suono. / Se con la tua voce vuoi emettere un suono / di una certa lunghezza, e col pensiero vuoi precisarne / la durata, in che modo puoi farlo?
PAOLO - Penso di emettere quel suono... ma lo immagino soltanto, / per quello spazio di tempo che ho deciso dovrà essere lungo. / Quando ce l’ho bene in mente, lo tiro fuori con la voce / e io farò durare fino al termine che mi ero prefissato.
GIULIANO - La tensione con cui emetterai quel suono / farà passare la tua voce dal futuro al passato: / diminuisce il futuro, cresce il passato; alla fine, / esaurito il futuro, tutto diventa passato!
AGOSTINO - Tutti e due siete nel giusto. Ma come può, il futuro,/ diminuire, o esaurirsi, dato che non esiste ancora?/ Come può crescere il passato, che non esiste più?
GIULIANO - Ah! Questo non lo so/ In realtà mi rendo conto / che non è possibile... Forse è soltanto un modo di dire...
PAOLO - Se fosse così, sarebbe un sotterfugio ben meschino...
AGOSTINO - Dovete aver fiducia. E l’animo che attende; / è l’animo che presta attenzione, che ricorda!/ Chi potrebbe negare che il futuro non esiste ancora? / Ma è nell’animo che vive l’attesa del futuro. Chi / potrebbe negare che il passato non esiste più? / Ma è nell’animo che vive il ricordo del passato. / E chi negherà che il tempo presente manca di estensione, / perché non è che un punto che trascorre? Ma tuttavi/! perdura l’attenzione attraverso cui il futuro tende / al passato... Questo avviene non soltanto per quel suono / che Paolo vorrebbe prevedere di una data lunghezza, / ma si verifica in tutta quanta l’esistenza umana, / che si compone di tante parti quante sono le sue azioni. / Questo succede per ogni generazione, composta anch’essa / di tante parti quante sono le vite degli uomini.
Lontana, la voce torna ad innalzarsi, chiara e modulata. Poi conclude il suo canto.
Non è quindi il caso di fare domande come «Che cosa / faceva Dio prima di creare il cielo e la terra». / E come se chi le fa volesse bere più di quello che può / bere, e come una testa matta andasse domandandosi: / «Ma come gli è venuto in mente, a Dio, di creare / qualche cosa, dato che prima non aveva mai creato niente?» / Non esiste tempo se non esiste creatura; meglio smettere / di parlare in questo modo superficiale e sciocco.
Giuliano e Paolo sono imbarazzati, pensando che l’ammonimento sia rivolto a loro. Agostino se ne rende conto.
Non rattristatevi per quello che ho detto./ Mi riferivo a quei tanti che si ingegnano/con mille trabocchetti filologici a esporre/le loro piccole trovate. Pensiamo a Dio. Chi capisce, / gli creda! E chi non capisce, gli creda lo stesso! / La sua casa sta in chi è umile di cuore.
VI - AMBROGIO VESCOVO A MILANO
Dal fondo arriva Paola. Tiene un libro fra le mani.
PAOLO - Cantavi. Ti abbiamo sentito...
PAOLA - Ero in chiesa.
Si rivolge ad Agostino mostrandogli il libro.
Là ho trovato dei libri. Tu li hai scritti. /Questo, sulla musica, ne ho letto qualche pagina; / cominciavo a capire l’armonia...
AGOSTINO - Dalla musica puoi intuire l’ordine complesso della realtà. / Puoi immaginarti il movimento delle stelle... /Dalla musica puoi arrivare all’anima, e a Dio.
PAOLA - Nella musica posso esprimermi anch’io, che sono donna. / Ma come donna potrò arrivare a Dio, dopo la morte? / Molti non lo credono.
Ride.
Pensano che nell’aldilà tutto dev’essere perfetto, e noi donne / per poterci entrare dovremmo essere cambiate in maschi!
AGOSTINO - Essere donna non è un difetto, ma una condizione naturale. / La donna è creatura di Dio, come l’uomo. E Dio, che ha creato / i due sessi, nella resurrezione li ricostituirà tutti e due.
Arriva Alipio seguito da Giovanni. Hanno sentito l’ultima frase pronunciata da Agostino.
ALIPIO - Chi sostiene quella tesi parte da un pregiudizio: / «Dio ha creato Eva da una costola di Adamo, quindi la donna / è inferiore all’uomo!...»
AGOSTINO - La Bibbia dice che Dio «edificò» quella costola in donna. / L’uomo dormiva e gli fu tolta una costola: come a Cristo, / mentre dormiva il sonno della morte fu trapassato / il fianco dalla lancia: ne sgorgò sangue, ne sgorgò / acqua: e sangue e acqua sono i sacramenti nei quali / la Chiesa è edificata. Tra uomo e donna c’è la stessa / unione che noi vediamo tra Cristo e la Chiesa.
Il terreno del simbolico intimidisce gli spettatori, pur attraendoli.
GIULIANO - Quanto poco sappiamo!...
PAOLO - Ma che cosa dovrei sapere? Non so neppure questo.
GIOVANNI - Io non sapevo che non sapevo...
AGOSTINO - Anch’io sono come voi! Così poco ci divide, / perché ignoranti siamo tutti.
GIOVANNI - Ma tu non sei mai stato come noi...
AGOSTINO - Ero molto peggio, ve l’ho mostrato senza nascondere / niente, durante questa giornata che va ormai verso il tramonto. / Ci siamo incontrati, e abbiamo parlato. Discussioni... / scontri... confidenze... dubbi... e ricordi e progetti... /e cercare, cercare insieme la verità. Una volta / ero il peggio del peggio; ma non me ne accorgevo, / me ne vantavo addirittura, tanta era la mia presunzione. / Poi... Dio mi ha aiutato. C’è stato un incontro / che ha cambiato la mia vita.
ALIPIO - Ambrogio, il vescovo di Milano. Già a quel tempo aveva fama / di santo...
AGOSTINO - Santo: chi viveva accanto a lui lo considerava santo. / Io ero andato a Milano...
Tutti siedono intorno ad Agostino per ascoltare. Giovanni lo interrompe con impeto.
GIOVANNI - Oh! Racconta! Io conosco soltanto il mio paese / e la gente di qui...
AGOSTINO - Seguimi con la mente, vedrai coi miei occhi, / camminerai sopra i miei passi.
Si concentra di nuovo per riprendere il racconto.
Dunque, ero andato a Milano...
Alipio si rivolge sottovoce agli altri.
ALIPIO - ...Chiamato a ricoprire una carica importante: / oratore ufficiale alla corte dell’imperatore!
Giovanni vuol fare la sua bella figura.
GIOVANNI - Poi ha incontrato un mendicante ubriaco... / che era molto più felice di lui... e ha pensato / che non valeva la pena di star lì a far tanta fatica / per mettere insieme delle balle, e se n’è andato via!
ALIPIO - Ragazzo presuntuoso! Non vantarti di quel poco che sai / e ascolta invece quello che non sai!
GIULIANO - E non interrompete tutti quanti! Il sole sta calando, tra poco sarà sera.
PAOLA - Tra poco sarà sera per noi tutti...
PAOLO - Agostino era uno come noi... Si lasciava attirare dalle cose / superficiali, come succede a noi, ogni giorno, e perdiamo di vista / la ragione della vita, qualcosa che ci faccia sentire / di non aver vissuto invano.
Si avvicina a Paola che gli tende le braccia.
Paola, io non voglio sparire nel nulla...
I due restano allacciati ad ascoltare.
AGOSTINO - Vi dirò quello che so, di me. Vi dirò anche / quello che non so: perché quello che so di me, lo so dalla luce di Dio. E certe volte, in molte circostanze / della vita, credevo di andare in una direzione; poi / mi rendevo conto che lo scopo, Dio me lo aveva cambiato. / Come quando...
Ssi guarda intorno per vedere se qualcuno degli ascoltatori lo interrompe ancora. Ma tutti rimangono muti in attesa che Agostino continui a raccontare
...quando ero andato a Milano. Con una corriera / a spese dello Stato! Perché la madre dell’imperatore, / Giustina, mi aveva chiamato a corte, per il giovane / Valentiniano: voleva che suo figlio imparasse / a fare dei bei discorsi — io ero maestro di retorica—; / si era fatta consigliare da due pagani — lei era ariana — / e loro avevano segnalato proprio me. A quell’epoca / io stavo a Roma, insegnavo a un gruppo di studenti / che sarebbero diventati funzionari dell’impero... / Mi aveva chiamato a quell’incarico... Indica Alipio.
Alipio!, che era assessore alle finanze, un uomo / potentissimo: chi l’avrebbe pensato, a quel tempo,/ che poi decidesse di abbandonare ogni carica e ricchezze, / lusso, onori...
Alipioè orgoglioso di quanto Agostino ha detto di lui, ma per modestia vuole allontanare da sé l’attenzione degli altri. Si rivolge ad Agostino invitandolo timidamente a proseguire il racconto.
ALIPIO - Ci parlavi di te... che eri andato a Milano...
AGOSTINO - Sì, ero andato a Milano. / miei allievi, a Roma, / non mi pagavano! Quand’era giorno di scadenza, / non si facevano vedere. E io aspettavo un’occasione / per andarmene. Stavo ancora con i Manichei; questa posizione / di ribelle alla Chiesa mi aveva reso simpatico / a Giustina: chiamandomi a corte, quella donna / potentissima riteneva di dar fastidio ad Ambrogio, /che a Milano era vescovo e aveva un peso rilevante / nella vita non solo religiosa della città. A Milano / ogni cosa, arrivando, mi sembrò una meraviglia. / C’era di tutto! Case eleganti nell’architettura / e negli interni.., botteghe splendide, ogni sorta / di stoffe e oggetti e gioielli!: qualunque cosa/tu volessi acquistare, a Milano potevi trovarla. / E la gente in giro, un’aria allegra!: chiacchierano, / si riuniscono, sono sempre indaffarati... Poi / hanno il circo, una fortissima passione, e il teatro / con gradini larghi, comodi... e templi.., e portici... / e il palazzo imperiale... e la zecca, che batte moneta! / C’è un quartiere famoso per le terme sempre piene/di gente che fa il bagno o magari ci va solo per svagarsi. / E poi ancora, altre costruzioni con mura altissime / e intorno un fossato per la difesa: certo non sfigurano / con Roma! Ma non era serena, la città. Giustina / pretendeva per gli Ariani una chiesa dove potessero / riunirsi — Cristo per loro è solo un uomo, innalzato / alla divinità, non il figlio di Dio fattosi uomo—: /ma Ambrogio resisteva, e contestava gli errori della setta / parlando nel Duomo, la chiesa immensa che andava / facendo costruire. Era nuovo, il suo modo / di affrontare la discussione; usava un linguaggio / semplice, chiaro; c’era sempre tanta gente ad ascoltarlo, / e tutti senza fatica ne seguivano i ragionamenti. / Ci andavo anch’io. Volevo studiare la personalità / di Ambrogio, carpirne i segreti, la tecnica nel catturare / l’attenzione del pubblico!... Ormai avevo raggiunto / i trent’anni, e mi trovavo invischiato nel fango / di ideali inconsistenti: mi piaceva avere tanti soldi... / correvo dietro a cariche di prestigio e mi disperdevo / in queste cose... Dentro di me dicevo: «Domani / troverò quello che cerco... Mi apparirà tutto chiaro /e saprò cosa fare. Ma dove, dove cercare la verità? / E quando cercarla? Vorrei leggere un sacco di libri / e non ho tempo per farlo! E anche i libri, dove cercarli? / Come, quando procurarmeli? A chi chiederli? Si devono / destinare delle ore per la salvezza dell’anima!» / Ma a poco a poco, nonostante tutta questa confusione, / mi andava nascendo una speranza. La religione cattolica / non insegnava quello di cui fino ad allora la accusavo: / «l’uomo creato a immagine di Dio» non significava un Dio / delimitato da una figura umana: tutto l’opposto, / era l’uomo da considerare nello spirito. Perché allora / restare dubbioso e non darsi da fare perché tutto / mi si rivelasse con chiarezza? Le ore del mattino, / gli studenti me le occupano loro; le altre però / come le impiego? Perché non le uso per risolvere / questo problema? Ma se faccio così, quando potrò / far visita agli amici importanti? Ho bisogno del loro / appoggio! Quando preparerò le lezioni che gli studenti/mi pagano? Quando potrò riprendere le forze, rilassandomi / dalla tensione che tante preoccupazioni mi procurano? / La vita è squallida, e l’ora della morte non si conosce: / se arriva improvvisamente, come mi troverò al momento / di andarmene? Dove potrò imparare quello che qui / ho trascurato? O dovrò invece subire un castigo / per questa negligenza? E se la morte troncasse ogni affanno / e vi ponesse fine insieme all’esistenza materiale?: / Anche questo bisogna domandarsi! Eppure non può essere / così: la fede in Cristo non conquisterebbe tutto il mondo, / se con la morte del corpo anche la vita dell’anima / venisse consumata. Ah!, ma attenzione! ... anche le cose / terrene sono belle, danno piacere e possiedono / una loro non piccola dolcezza...
Agostino è andato qua e là tra gli ascoltatori. Gli interrogativi vengono suggeriti ora a questo ora a quello degli ascoltatori, poiché ognuno potrebbe fare suoi quei problemi.
Questi ragionamenti si alternavano dentro di me come/ dei venti contrari che sballottavano il mio cuore / di qua e di là. E passavano gli anni... Amavo la felicità, / ma intanto la sfuggivo temendo di cercarla dove si trovava/ davvero. E andavo ad ascoltare Ambrogio, per capire / come quell’uomo riuscisse con le sole parole a trascinare / la folla. Quelle parole le apprezzavo in se stesse: ammiravo / l’abilità di Ambrogio nel costruire le frasi e mi disinteressavo / totalmente del significato. Ma il senso di quei discorsi / dentro di me senza mia volontà, misteriosamente si faceva strada. / Avrei voluto fare mille domande, ma mi teneva lontano / da Ambrogio una folla che gli stava sempre addosso, insistente / e lamentosa: il vescovo ascoltava, mettendosi al servizio / di chiunque avesse bisogno; quando non stava con questa gente, / nel poco tempo che gli rimaneva riprendeva le forze mangiando / il minimo indispensabile o sosteneva lo spirito leggendo. / Gli occhi correvano sulle pagine, era la sua mente a scrutare / la scrittura, voce e lingua stavano in riposo... A nessuno / era impedito di entrare in casa sua; delle volte allora andavo là, mi sedevo in silenzio — chi osava/ disturbare / il suo raccoglimento? — e lo guardavo, mentre leggeva... / Poi me ne tornavo via, senza distoglierlo / da quella sua concentrazione. Quante domande avrei voluto / fargli! Certi problemi da solo non potevo proprio risolverli. / Allora andavo in Duomo, ad ascoltarlo ogni domenica, / quando in maniera semplice e precisa Ambrogio spiegava / al popolo la verità. Però non ero umile. Cercavo dei mezzi / per arrivare a Dio, ma non mi avvicinavo a Gesù Cristo,/ che è il tramite, il mediatore fra Dio e gli uomini; / non mi stringevo all’uomo Gesù Cristo che è Dio sopra tutte / le cose. Non ero umile, quindi non capivo l’umiltà di Dio / Gesù, né quello che insegnava la sua debolezza. Io pensavo / a Cristo soltanto come a un uomo: un uomo a cui nessuno/ può essere paragonato, ma un uomo. La sua nascita miracolosa, / da una Vergine, mi pareva una cosa straordinaria; / ma il significato delle parole «il Verbo si è fatto carne» / non riuscivo neppure a immaginarlo. Avevo capito soltanto / questo: che Cristo aveva mangiato, aveva bevuto, / aveva dormito, aveva camminato, aveva provato gioia / e dolore, aveva predicato... e che quindi aveva avuto / un corpo che si era unito al Verbo divino. Ammettevo / in Cristo tutta quanta la natura umana, e pensavo / che lui fosse superiore agli altri uomini: ma dov’era / quella carità che si fonda sull’umiltà ed è Gesù Cristo? / I libri dei filosofi platonici mi avevano spinto / alla ricerca di una verità incorporea; da loro avevo / appreso che Dio è infinito, e che tutto trae esistenza / da Dio... Ma quelle pagine dei filosofi non dicono / l’aspetto della pietà, le lacrime della confessione, / il sacrificio di Cristo, la salvezza del popolo, / il calice della nostra redenzione... Non c’è in quei libri / l’invito di Cristo: «Venite a me, voi tutti che siete pieni / di dolori e di affanni!» Questo invito, la gente importante, / i furbi, i ricchi, i potenti non l’hanno conosciuto. / Gesù Cristo, questo invito lo ha fatto a chi non conta.
VII - LA CITTÀ DI DIO
Lontano, il canto dei monaci. Giovanni si lascia sfuggire una frase.
GIOVANNI - Chi non conta... siamo noi!
AGOSTINO - Dio ha forse detto: «L’uomo può comandare / sull’uomo»? No. Su chi può comandare, allora, / l’uomo? Sui pesci del mare... sugli uccelli del cielo... / sui rettili della terra... ma non sull’uomo. E stato / l’uomo a inventarsi la schiavitù, il dominio dell’uno / sull’altro. Nella vecchiaia del mondo, quando tutto / stava cadendo a pezzi, Dio ha mandato Cristo per rifarlo / il mondo. Viene Cristo, e rinnova anche noi. Il mondo / è come l’uomo: nasce... cresce... invecchia... Non bisogna / restare attaccati a questo vecchio cadente che è il mondo. / Cristo ti dice: «Non aver paura; la tua giovinezza / si rinnoverà come quella dell’aquila»... C’è una storia / che non è più di gente che comanda, ma storia di tutti / gli uomini...
Si avvicina a Giovanni, siede accanto a lui che gli si accoccola ai piedi.
...anche dei più umili, che prima, agli occhi dei potenti, / non contavano: è la storia della città di Dio. /Chi non conta i piccoli, gli umili — conta / nell’amore di Dio.
GIULIANO - Ma noi dobbiamo vivere nel mondo. Gente come noi, / tutti ci comandano.
AGOSTINO - L’uomo si lascia sedurre dal gusto di comandare. / E questa seduzione corrompe il potere: doveva essere / un servizio per gli altri, si tramuta in prerogativa / personale di disporre delle cose, di disporre soprattutto / degli uomini a proprio piacimento. Non esiste più / autorità secondo giustizia; l’esercizio del potere / è guidato da interessi privati. Vi siete mai domandati che cosa vuol dire «privato»? Il suo significato / si richiama ad una privazione: «privato» è ciò che priva / del rapporto con gli altri, con la società; è ciò / che rimane isolato, avvolto nell’egoismo. Ed è egoismo / che prevale sugli interessi comuni; è l’egoismo che rende povero lo Stato e pochi invece ricchissimi. / Ed è da questa situazione che deriva la rovina dello Stato. / Queste considerazioni riguardano noi tutti, perché/ siamo arrivati al momento in cui le cose devono cambiare!
PAOLO - Ma chi può governare con giustizia vera? Forse soltanto / Gesù Cristo...
AGOSTINO - Gesù Cristo non regna nel mondo. Opera nelle coscienze. / In quelle dei capi, dei magistrati... in quelle/di tutti i cittadini. Lo Stato cristiano non esiste / come entità politica diretta, ma si manifesta/ attraverso le coscienze. Chi comanda deve osservare / la legge divina come l’ultimo dei suoi concittadini. /Tutti insieme danno vita ad una «società» a un insieme / di uomini e di donne legati gli uni agli altri / da un amore comune.
GIULIANO - L’amore salva dalla solitudine, dalla disperazione... / Io credevo di averlo trovato in mezzo a quegli amici...
AGOSTINO - Era amore anche quello. Ma amore che esclude / chi non appartiene al gruppo. Amavate voi stessi. / C’è, in chi lo pratica, una ricerca di beni che si adattino / al corpo, alla mente, a tutti e due questi obiettivi. / Arrivano a conoscere Dio, molti che vivono così. Ma / non lo esaltano, non gli dimostrano gratitudine; / si perdono nella vanità dei ragionamenti, e il loro cuore / scioccamente affonda nel buio. Si esaltano della propria / sapienza e sono pieni di superbia; al posto di Dio/ mettono l’uomo; ma l’uomo, alla fine, non può / che corrompersi e morire.
GIOVANNI - Delle volte mi pare di aver capito tutto, / e mi sento felice... E quando mi dimentico di me... / e amo le cose... le creature... divento ogni essere / che amo...
Accenna a quel suo ampio muoversi circolarmente accompagnando il movimento con un suono leggero, quasi un fischio, come aveva fatto nella scena «Lui ci ha fatto».
Poi... il vuoto.., come se mi mancasse qualche cosa... / che tenesse tutto quanto insieme!...
PAOLO - Anch’io sento un bisogno di appoggiarmi a qualcosa / che sia umano come noi... ma che non muoia... / che non ci abbandoni!...
AGOSTINO - Tutto quanto è buono, e voi amate, viene da Cristo. / Ma può diventare amaro, se si ama quanto viene / da Cristo mentre poi, lui, lo si abbandona. / Cristo ha sposato la natura umana, e in quella / condizione non è rimasto senza fare niente: ha vissuto / la sua vita di uomo come una grande, intensissima / corsa... con tante parole... tanti avvenimenti... / la morte e la vita.., la discesa fino a noi/ e poi di nuovo verso il cielo!... Si é allontanato/ dal nostro sguardo perché guardassimo dentro noi stessi / e ci trovassimo lui. Se n’è andato e invece, ecco!, / è qui. Cristo non ci ha lasciato mai.
GIULIANO - Il rischio sta nel vivere ogni giorno.
AGOSTINO - Cristo rimane sempre il fondamento. Anche se, / per i motivi più svariati, hai vissuto la peggiore/delle vite. Ci sono due diversi modi di amarla, / la vita: due amori. E questi due amori hanno costituito / due città. Una è nata dall’amore di sé, ed è / la città terrena. L’altra è nata dall’amore di Dio / fino al disprezzo di sé... La città terrena cerca / la gloria degli uomini, la città di Dio la sua gloria / in Dio, che è testimone della sua coscienza.
Agostino tace per un lungo attimo, prima di affrontare il punto centrale del discorso.
Nella città terrena, come in quella divina, / ci sono uomini ai posti di comando. Ma chi detiene/ il potere nella città terrena impone agli altri / la propria volontà. Chi invece governa nella città / di Dio offre ai cittadini i suoi consigli, e loro / li osservano, in uno scambio di aiuto nell’amore. / La città terrena ama la propria forza, si esalta / di questa forza attraverso i suoi capi. La città / di Dio ama Dio, e Dio è la sua forza. Due città, / e due amori. Uno riguarda il bene della comunità; / è un amore «sociale». L’altro riguarda l’individuo / è un bene che si vuole escludendone gli altri; / è un amore «privato». Il bene della comunità / unisce gli uomini tra loro. Il bene che il singolo / ricerca per sé isola, divide ogni individuo / dalla comunità degli uomini, e genera di conseguenza / l’orgoglio, l’avarizia, l’eccesso di ogni desiderio, / che sono le radici di ogni male. Beni e mali/sono comuni, in questa terra, all’una ed all’altra città. / Ma non è comune l’uso che le due città ne fanno, / perché non è comune lo spirito che anima le due città.
Agostino cerca delle immagini per rendere più chiaro il suo pensiero.
Pensate ad una bella fiamma, a un grande fuoco; / se dentro vi gettate dell’oro, rifulgerà, quel metallo, / più luminoso ancora, purificato da ogni scoria; / gettate, in quel fuoco, della paglia: fumerà/ infastidendo i vostri occhi, e alla fine non ne resterà/ che poca cenere. Pensate alla trebbia, che si abbatte / sugli steli del grano diventato maturo; le cannucce / che ne sostengono le spighe, ormai secche, inutili, / stritolate, si ridurranno in polvere, mentre i chicchi / del frumento salteranno fuori, puliti e lucidissimi.
GIOVANNI - Noi portiamo le olive al frantoio... Il torchio / le schiaccia, ne fa una polpa scura, appiccicosa... / Ma poi, sotto il peso della macina, l’olio scorre, / diviso dalla morchia... ed è limpido e chiaro quanto / la morchia è nera e pesantissima: scorrono insieme, / eppure se ne stanno separati!
AGOSTINO - Si potrebbero ancora fare tanti esempi. La differenza / nel reagire ad una condizione non sta in quello / che si patisce, ma in chi patisce: scossi dallo stesso / moto, il fango emana un puzzo orrendo, l’unguento / una soavissima fragranza... E così, nella stessa sofferenza, / i malvagi maledicono Dio, lo bestemmiano; i puri / di cuore lo pregano e accettano la sua volontà. Così / avviene, nello stesso modo, per gli uomini che appartengono / alle due città, quando sono provati dal dolore: cadendo / su chi è buono, la sofferenza lo prova e lo purifica; / quando cade su un malvagio, la sofferenza / lo distrugge. Anche se all’apparenza sono simili, / le due città non hanno quindi niente di comune.
GIULIANO - Ma non si potrebbero far coesistere le scelte, / tutte e due, insieme, nella stessa città? L’amore / di Dio e l’amore di sé possono andare l’uno accanto / all’altro, per consentire in tempi brevi, almeno/ in questo mondo, una sorta di alleanza? Come potrei / chiamarla, questa città? Terrena... spirituale...: / una città «politica»!
ALIPIO - Avviene sovente, in ogni paese! Il compromesso / è un’arte, quante volte ho dovuto praticarlo! / Pur avvertendo i suoi limiti, sentendo che il suo scopo / era oltre, per programmi comuni e per vivere in pace, /l’ho accettato!...
AGOSTINO - Sì, può accadere, sulla Terra, per un certo tempo. / Questo perché anche un popolo divenuto estraneo / a Dio ama una certa pace, che le è propria / e non è da condannarsi, Ma questa pace non potrà! più goderla alla fine. A noi però interessa che quel popolo / possa goderne provvisoriamente, in questa vita. E’ /lo scontro dei due amori — quello di sé e quello/ di Dio— che ha creato il dramma della storia... / Sempre durante la vita terrena, le due città / risultano intrecciate, mescolate nei loro «cittadini»; / anche noi, che vogliamo stare nella città di Dio, / ci serviamo di questa pace relativa. E la città/ di Dio a costruirla, e crea il benessere sociale, / e fonda lo Stato sulla giustizia: in questo modo/ contribuisce a realizzare nello Stato un apporto / benefico, sia sociale che politico.
GOVANNI - Fino a quando queste due città rimarranno così / mescolate?
AGOSTINO - Fino alla fine dei secoli. E ognuno di noi, anche se crede/ di appartenere alla città di Dio, perché ritiene / di agire bene, non può esserne sicuro fino in fondo! / E neanche può essere sicuro di rimanere nella città/ di Dio fino alla fine dei suoi giorni.
PAOLA - Chi è nella Chiesa... Chi ha scelto il convento... / avrà più sicurezza di noi.
AGOSTINO - Non è certo per la loro scelta in questo mondo / che possano stare nella città di Dio con sicurezza / e per loro diritto. Le strutture, anche quelle della Chiesa / non garantiscono di per sé l’amore da cui si è animati. / Non c’è garanzia per nessuno: l’adesione alla Chiesa, / appartenervi, dà all’uomo soltanto la possibilità / di una verifica costante del proprio amore...
VIII - LA CITTÀ DEGLI UOMINI
Dal fondo avanza una figura di donna velata, le vesti lacere e macchiate di sangue. Si accascia davanti ad Agostino.
DONNA - Carità...
Tace timorosa del suo aspetto miserando.
AGOSTINO - Aiutiamola!...
Paola e Giovanni si avvicinano alla donna e la sorreggono.
DONNA - Miseri.., tanti... come me...
ALIPIO - Non aver più paura. Avrete rifugio.., e cure. / Venite da Roma...
DONNA - L’inferno... Disperazione... Tutto perduto... ! Corpo... non più mio... Orrore... Schifo...
Un silenzio teso.
AGOSTINO - Ora tu sei tra amici.
DONNA - Altri.., non hanno voluto uscire dalla nave... ! Case distrutte... uccisi quelli rimasti... Meglio / la morte che la nostra vergogna...
AGOSTINO - Ti risponderò. Ma prima voglio che tu ti senta confortata.
ALIPIO - Doveva arrivare una nave, da Roma, con questa povera gente. / Lo sapevo, ma era inutile rattristarvi. Vado a vedere.
Si avvia.
AGOSTINO - Tutto quello che serve, daglielo. Hanno patito anche per noi.
La donna si è inginocchiata ai piedi di Agostino, nell’atteggiamento della Maddalena di fronte a Cristo. Agostino solleva la donna, con il semplice gesto. La Donna si protende verso di lui con il viso coperto da un velo, come una maschera o un sudario.
DONNA - Casa... roba... pazienza. Si lavora.., si torna ad avere.., / Ma io... e tante come me... Non siamo più degne di rispetto.
AGOSTINO - Tu lo pensi?
DONNA - Lo pensano gli altri. Davanti a noi, voltano il capo.
Un grido.
E colpa essere donna? ! Ci hanno rubato il corpo; lo hanno usato...
AGOSTINO - E stata tua la volontà?
DONNA - Contro ogni volontà.
AGOSTINO - E questo basta. Tu sei rimasta quella che eri prima. / Che cosa ti angoscia?
DONNA - Dicono... che siamo contaminate. Che la loro sporcizia / ci ha sporcato.
AGOSTINO - Chi pensa che si perda la purezza quando sulla sua carne / ghermita con la violenza si soddisfi la lascivia / di qualcuno? Se si perdesse in questo modo, / la purezza non sarebbe un pregio dello spirito, / ma solo un bene fisico, accanto al vigore, / alla bellezza, alla salute e così via.., beni che, / anche scomparsi, non fanno per nulla scomparire / la bontà e la rettitudine di un’esistenza. Se anche / la purezza fosse uno di questi beni, perché penare / per conservarla, mettendo in pericolo anche il corpo? / Ma se è un bene dello spirito, allora la purezza/ non si perde, anche se il corpo ha dovuto subire / la violenza.
DONNA - C’è chi vede soltanto ciò che appare.
AGOSTINO - E per la loro leggerezza che noi ci dibattiamo / in questa discussione. Ma non è tanto la risposta/ che ci preme quanto, prima di tutto, confortarti.
PAOLA - Credevamo di aver trovato la pace... Pensavo che all’interno/ di queste mura sacre si potesse vivere in serenità. Ma lui... /
Fa un gesto indicando Agostino.
...Lui non ci ha illuso. La città di Dio può cominciare7 a nascere dentro di noi, come un desiderio.., ma sarà/ dopo... E lei ci ha portato una prova di come il mondo / sta vivendo.
Sorregge la donna. Giovanni si avvicina:
GIOVANNI - In casa mia c’è posto. Per te e per gli altri.
Ha un attimo di incertezza.
E mio padre...
Si rinfranca, ridendo furbo.
... Lo convincerò.
Si rivolge ad Agostino.
Non sono «la vita di domani?» E allora...
Si raddrizza tutto, con orgoglio).
...Io voglio così!
Giuliano si rialza.
GIULIANO - Vado anch’io. Avranno bisogno...
AGOSTINO - Adesso non è tempo di riposo. Roma va in rovina... / Ma non morirà, se non moriranno gli uomini. / E gli uomini non muoiono, se amano Dio. L’uomo fa! e l’uomo distrugge. Il mondo, creato da Dio, / è destinato ad andare in rovina. Ma non andrà in rovina / né ciò che ha fatto l’uomo, né ciò che ha fatto Dio, / se non quando sarà Dio a volerlo. Non va in rovina/ un’opera dell’uomo senza il volere di Dio: quando mai/ potrà andare in rovina un’ opera di Dio, perché lo vuole/ l’uomo? Andate. Andate tutti. Il momento del riposo verrà. / Cristo ce lo ha promesso risorgendo. Quando verrà/ il momento, allora riposeremo e staremo con lui. / Staremo con lui e ameremo. Ameremo e loderemo Cristo. / Ecco quello che avverrà alla fine, senza fine... / Quale altra fine ci appartiene, se non l’approdo / al regno che non ha fine?...
Tutti si avviano. Agostino rimane solo. Riprende la lettera che stava scrivendo all’inizio e vi scrive ancora qualche riga. Legge.
«... E ancora una volta, non posso far altro / che ripeterti: il più grande titolo di gloria! per un capo militare è quello di uccidere la guerra / con la parola piuttosto che gli uomini con la spada;/ è quello di ottenere la pace con la pace, non / con la guerra».
FINE
In copertina “Sant’Agostino legge le epistole di San Paolo - Conversione”, particolare dell’affresco di Benozzo Gozzoli nella Chiesa di Sant’Agostino a San Gimignano (Siena).